Siti
Archeologici
Il
parco archeologico dell'area Griso-Laboccetta - L'area
sacra al momento più rilevante è quella nel fondo Griso-Laboccetta,
situata al centro della città.
Scavata
dalla fine del XIX secolo, l'area Griso-Laboccetta ha restituito tra i
pezzi archeologici più celebri esposti al Museo Nazionale della Magna
Grecia di Reggio. Già nel VI secolo a.C. è accertata la
presenza di un santuario molto importante dedicato a Demetra in questo
sito fuori dalle mura. Verso la metà del IV secolo a.C. l'area viene
integrata entro il nuovo circuito allargato delle mura cittadine. Da questo
momento l'area è occupata da edilizia privata fino al periodo romano.
L'area
monumentale costituisce un settore di una più vasta area urbana, raffigurata
sotto nella planimetria catastale di fine Ottocento, che fu oggetto di scavi a
partire da quell'epoca ed ha restituito numerosi resti fittili che hanno portato
all'identificazione della stessa come santuario dedicato alle divinità ctonie.
Furono rinvenute numerose terrecotte architettoniche che rivestivano le
strutture degli edifici di culto, nonché grandi quantità di coroplastica e
vasi frammentari che costituivano gli ex voto, dedicati alle
dee Demetra e Persefone, il cui culto era molto praticato in età
greca arcaica e classica.
I resti murari individuano le fondazioni di strutture
murarie in ciottoli il cui alzato in mattone crudo è ormai perduto. le
strutture corrispondono ad edifici sorti nel santuario tra il V ed
il IV secolo a.C. e agli edifici di carattere residenziale che si
impiantarono sullo stesso sito dopo l'abbandono del santuario in età
ellenistica e romana (III - II secolo a.C.)
Agli
inizi dello scavo iniziato alla fine del XIX secolo è stato rinvenuto
un tratto del temenos, il muro di cinta dell'area sacra. Le numerose
decorazioni architettoniche rinvenute nello scavo hanno dunque permesso di
ipotizzare la presenza, oltre che di un tempio di notevoli dimensioni, anche di
una serie di strutture annesse e di un tempietto con cella e pronao databile alla metà del VI secolo a.C.
Alla
fase di maggiore splendore del santuario segue una fase di ricostruzione, datata
nel secondo quarto del V secolo, come può essere dedotto dal rinvenimento
di materiale architettonico relativo a quel periodo.
Durante
le varie campagne di scavo è stato recuperato molto materiale tra cui è molto
interessante un frammento di fregio architettonico in terracotta policroma,
detta "lastra Griso-Laboccetta" databile all'ultimo quarto
del VI secolo a.C. Non è stato ancora possibile stabilire la
destinazione del pezzo in cui sono ritratte due figure femminili danzanti,
modellate senza l'uso di matrice.
Santuario
del palazzo della Prefettura - Un'area
sacra scoperta nel 1913 da Paolo
Orsi, durante i lavori per la costruzione del palazzo della Prefettura, ha
portato alla luce le fondazioni (stereobate)
di un tempio, databile alla prima metà del V
secolo a.C. grazie all'identificazione di due tegole riutilizzate nella
costruzione di un edificio termale romano.
In
base agli elementi noti si è ipotizzato che potesse trattarsi del tempio
ad Apollo.
L'Athenaion
sul lungomare - I
resti di un Athenaion (tempio dedicato alla dea Atena)
sorgono sotto un Bar del lungomare,
nell'isolato compreso tra via XXIV Maggio, corso Vittorio Emanuele
III, corso Garibaldi e via San Paolo. Si possono vedere due
colonne entrando nelle caverne sotto il bar.
Necropoli
- Tutt'intorno all'area
dell'antica città greco-romana sono state trovate numerose necropoli che hanno
portato alla luce una gran quantità di reperti custoditi al Museo
Nazionale. Tra queste le più importanti sono quella di Santa
Caterina, quella ritrovata durante i lavori per l'edificazione del Museo
stesso, quella in via Demetrio Tripepi, e quella recentemente scoperta di San
Giorgio Extra che sta portando alla luce tombe sia ellenistiche e sia
romane. Le tombe, essendo poste in una zona alluvionale, sono state ritrovate
sotto un grande strato di interro che rende la profondità di giacitura a circa
sei metri. Questa scoperta è destinata a cambiare la topografia dell'antica
necropoli poiché i suoi confini meridionali arriverebbero fino al torrente
Calopinace, zona molto più a sud rispetto al confine precedente che è
fissato con il luogo dove attualmente insiste la villa
comunale.
La
necropoli sotto il Museo - Una
tomba della necropoli presente nei sotterranei del Museo, è stata spostata sul
lungomare, accanto al chiosco di un rinomato gelataio, è una tomba a camera del
periodo greco, il manufatto, trovato durante gli scavi per le fondazioni
di Palazzo
Piacentini, fu spostato dal sito originario e posto come ornamento tra il
Lungomare Italo Falcomatà e il Corso Vittorio Emanuele III, usato fino a pochi
anni fa come basamento per il monumento a Ibico reggino,
adesso spostato in altra sede.
Le
necropoli di Santa Caterina - La
necropoli romana-greca di Santa Caterina fu scoperta nel marzo del 1883 durante
gli scavi condotti dal locale Museo Civico. La vasta necropoli si estendeva per
oltre quattrocento metri e le sue tombe si trovavano a diversa profondità,
anche oltre i sette metri dell'antico piano di campagna. Esse erano di diverso
tipo: a cappuccina, a cassa, a fossa. Il corredo funerario rinvenuto fu scarso.
Fu trovata anche un'urna fittile con cremato.
Da
questa necropoli proviene anche il titolo sepolcrale di Cresimene, vissuto
nel III-IV sec.d.C., che si conserva nel Museo
Nazionale di Reggio Calabria.
Nel 1886 fu
ritrovata un'altra urna cineraria contenente ossa combuste e vasetti fittili.
La
tomba ellenistica - I
greci ed i romani situavano le loro necropoli lungo le vie d'accesso alle città,
facendo a gara per realizzare le sepolture più belle. Secondo alcuni studiosi,
molto probabilmente, una zona adibita a sepoltura doveva trovarsi al centro
della città moderna ed esattamente nell'area dell'attuale Piazza Italia. La
tomba ellenistica fu ritrovata durante gli scavi per la costruzione del Museo
Nazionale, in seguito fu spostata sulla via Marina, come ornamento alla stele di
Ibico. La tomba, del tipo a camera voltata, è realizzata con mattoni legati con
calce e rivestita in origine da intonaco bianco, ormai degradato. Lo scheletro
poggiava sopra un battuto di malta ed il suo corredo funerario era costituito da
sei unguentari fusiformi, una pisside con coperchio, una ciotola con orlo
dipinto con vernice nera e frammenti di uno strigile bronzeo appesi ad un
anello. All'esterno di essa furono ritrovati sei piccoli capitelli in terracotta
policromi, utilizzati per decorare i letti funebri in legno, appartenuti,
probabilmente, ad altre tombe già distrutte.
L'area
archeologica di Piazza Italia - Con gli interventi di restauro e
ristrutturazine eseguiti all'inizio del nuovo millennio in Piazza Vittorio Emanuele II (nota
come Piazza Italia) è venuto alla luce un importante sito archeologico. In
particolare le ripetute campagne di scavo effettuate tra il 2000 ed
il 2004, che
hanno interessato l'area sud orientale della piazza, hanno portato alla luce un
sito di notevole interesse storico a testimonianza che la zona è da sempre al
centro delle attività commerciali della città, riconoscibile attraverso la
sovrapposizione in sei metri di ben undici fasi di edificazione, dal VII
secolo a.C. fino ai primi del XIX
secolo d.C.
Alcuni
ipotizzano si tratti dell'Agorà in
epoca greca e poi del Foro in
epoca romana, ma lo stato attuale degli scavi non consente ancora di esserne
certi.
Nello strato
più basso, quello più antico di epoca
greca arcaica, sono stati rinvenuti alcuni frammenti di ceramica e murature
di ciottoli, organizzate secondo un impianto ortogonale, che coincide con il
soprastante tracciato di epoca
romana. A questa seconda fase, si fanno risalire quattro vani rettangolari,
i cui muri sono caratterizzati da una doppia fase costruttiva, coincidente con
la sovrapposizione di materiali diversi, e forse legata ai dissesti subiti a
causa del terremoto che devastò la città intorno alla metà del IV
secolo d.C.
La terza fase
di bizantina risale
ai secoli VI-X,
ed è riconoscibile nella presenza di alcuni vani adibiti ad attività
commerciali, con pozzi e cisterne, all'interno dei quali sono state ritrovate
monete che testimoniano l'importanza di Reggio nell'ambito del commercio
marittimo dell'Impero
Romano d'Oriente.
Al XII
secolo, in epoca
normanna, appartiene probabilmente un muro lungo circa 12 metri che delimita
un edificio, suddiviso in ambienti più piccoli, sede di attività artigianali,
legate alla lavorazione del bronzo. A conferma della vitalità economica e
commerciale dell'area nell'Alto
Medioevo, sono stati ritrovati numerosi reperti: monete bronzee (alcune con
indicazioni arabe), ceramiche invetriate di provenienza siculo-magrebina, vetri,
metalli e perfino un tarì d'oro (moneta araba diffusa in Sicilia).
Il XIV
secolo, in epoca
angioina, è identificabile in una serie di edifici articolati nell'ambito
di uno stesso isolato, che mantengono per lo più lo stesso andamento del
sottostante impianto di epoca greca. Anche in questo caso, sono presenti molti
vani adibiti a magazzino, delimitati da murature realizzate in materiale povero
di provenienza locale.
La destinazione
del sito come luogo pubblico, e quindi piazza, risale al XIX
secolo: delimitata da canali di scolo delle acque, probabilmente ospitava
delle vasche con fontane. È stata inoltre ritrovata l'originaria fondazione del
basamento che dal 1828 ospitava
la statua di Ferdinando
I di Borbone, poi sostituita con l'attuale monumento che rappresenta
l'Italia, dedicato a Vittorio
Emanuele II, e dal quale la piazza prende il nome.
Durante la
campagna di scavi preliminare è stato trovato, nella stratificazione più
profonda, un grosso muro posto di traverso che si pensa possa appartenere ad un
grande tempio. Al momento non si hanno molte altre informazioni poiché tale
muro si estende ben oltre l'area degli scavi. Inoltre lo scandaglio ha rivelato
che a circa 4 metri di profondità vi è una massa metallica di circa 2 metri di
lunghezza che molto probabilmente è una statua, il che concorderebbe con
l'ipotesi del tempio.
L'Acropoli
- Secondo i resti della più antica cinta muraria che si
trova a monte del centro della città, la collina del Salvatore costituiva molto
probabilmente l'acropoli di
Reggio. Allora come oggi infatti la zona sopraelevata comprendente la colline
degli Angeli del Trabocchetto rappresentava il primo nucleo della città durante
la fase arcaica.
Molto probabilmente la cinta
della palaiapolis (la palèpoli che era l'arcaica città
fondata nell'VIII
secolo a.C. dai calcidesi)
aveva, come angolo inferiore delle mura che discendevano dall'acropoli,
proprio l'area dell'attuale castello. Nel periodo ellenistico, con
l'allargamento della città verso il mare, le mura che nella polis d'epoca
classica piegavano verso nord, scendevano ora fino al porto; il sito
archeologico delle "Mura greche" sul lungomare mostra
infatti l'angolo della
cinta.
Bouleuterion
- I resti di un antico edificio d'epoca greca identificati
come il Bouleuterion o
l'Odéon di Reggio
Calabria, si trovano nell'isolato delimitato da via del
Torrione, via Demetrio Tripepi, via XXIV Maggio e via San
Paolo, nel centro storico della città.
Dell'edificio oggi rimane un tratto del koilon, che si
trova nel seminterrato di una palazzina di proprietà della Soprintendenza
Archeologica della Calabria.
Realizzato
con blocchi calcarei squadrati in maniera regolare ed accurata (non essendo
semplice reperire giacimenti di marmorei in zona), il
Bouleuterion/Ekklesiasterion/Odéion integro presentava probabilmente un koilon
con una gradinata che arrivava all'incirca ad una quindicina di ordini. La
costruzione semicircolare aveva una capacità di circa 1.600 posti a sedere e
l'orchestra doveva avere probabilmente un diametro di circa 22 m.
Oltre che per spettacoli musicali e di danza è
probabile che fosse utilizzato per le assemblee e per le prove degli spettacoli
che si tenevano nel teatro, il cui sito non è ancora stato identificato.
Il rudere rivide la luce nel 1921,
in occasione dei lavori che interessavano la zona per la costruzione di alcune
palazzine, ad una profondità di 7 m emersero i resti dell'edificio,
identificati dal grande archeologo Paolo
Orsi, come risalenti al IV
secolo a.C.
Oggi del teatro restano soltanto avanzi del
koilon, che si apriva verso ovest con vista sul mare. Il koilon è costruito a
ridosso di un'altura della città di Rhegion, all'interno della seconda cinta
muraria (realizzata nel IV
secolo a.C.); il suo aspetto si può ricostruire dall'unica kerkis che è
conservata.
Il koilon abbraccia l'orchestra con un semicerchio il
cui diametro interno è di 21,90 m (pari a 73 piedi); la coda (non calcolando il
blocco di testata) è invece di 2,70 m (pari a 9 piedi). Nella ricostruzione, il
koilon è dunque suddiviso in 7 Kerkides da 6 scalette intermedie.
Il banco in pietra è del tipo posto a sedere vero e
proprio, e posto per i piedi del retrostante spettatore. I sedili, di cui
restano due ordini, hanno un lieve risalto di 0.05 rispetto alla pedata
retrostante. Le parodoi si trovano probabilmente lungo gli analemmata frontali.
L'Orchestra ha una forma semicircolare, del diametro di 21.90 m. Per quanto
riguarda i particolari architettonici, sono stati rinvenuti frammenti di tre bei
capitelli fittili di ordine ionico.
Il sito fu inizialmente identificato da Paolo
Orsi come l'Odèon della
città - edificio simile ad un teatro di modeste dimensioni dedicato a esercizi
di canto, rappresentazioni musicali e concorsi di poesia e musica - mentre oggi
va consolidandosi la teoria che si tratti dei resti del Bouleuterion o
l'Ekklesiasterion,
l'edificio per le riunioni dell'assemblea popolare, dunque non è improbabile
che proprio qui sia avvenuta l'assemblea voluta da Timoleonte e
dagli strateghi rhegini nel 344
a.C.
Pur
parlando di riunione dell'assemblea, né Diodoro,
né Plutarco nominano
espressamente l'Ekklesiasterion.
Dunque potrebbe anche pensarsi che l'assemblea popolare di Reggio si riunisse,
per esempio, in un teatro, così come è attestato per diverse città. Tuttavia
gli altri dati forniti dalle fonti esaminate sono tali da escludere questa
ipotesi. Infatti Plutarco dice
chiaramente che gli strateghi reggini "riunirono l'assemblea e
chiusero le porte". Le porte di cui si tratta sono quelle dell'edificio
dove il popolo era stato convocato: la loro chiusura ne impediva l'uscita. Tale
dato è fondamentale per identificare la tipologia architettonica dell'ambiente
dove si riuniva l'assemblea popolare, un ambiente non liberamente accessibile,
come un teatro, ma chiuso e forse coperto.
Da esso inoltre non poteva scorgersi il mare, dato che
tutto l'inganno ordito da Timoleonte e
dagli strateghi reggini presuppone l'impossibilità dei cartaginesi, che si
trovano in assemblea, di accorgersi che la flotta corinzia stava salpando.
Sappiamo anche che il luogo di riunione era situato non nella parte bassa della
città, prossima al mare, ma nella parte collinare, dato che Plutarco ci informa
che Timoleonte, fuggendo dall'assemblea, "discese verso il mare".
Esso inoltre doveva avere una rispettabile capienza. infatti le fonti
riferiscono concordemente che vi si riuniva l'assemblea e Plutarco parla
di "moltitudine riunita" e
di "folla" mentre Diodoro precisa che l'assemblea
era "plenaria". Infine entrambi ci informano che l'edificio era
dotato di una tribuna per gli oratori, attorno alla
quale si affollano i reggini per creare confusione e consentire a Timoleonte di
dileguarsi inosservato.
Il Theatron
- Secondo le testimonianze storiche (non ultima quella
riportata dal poeta reggino Diego
Vitrioli), l'area oggi occupata dal Parco della Rotonda (sito che combacia
perfettamente con la tipologia architettonica) sotto il Santuario
di San Paolo, era il Teatro di Reggio in epoca greca (e romana).
Le
terme romane - Da scavi effettuati durante la sistemazione del
lungomare successiva al terremoto
del 1908, sono venuti alla luce i ruderi di uno degli otto impianti termali
presenti probabilmente nei primi secoli d.C., periodo in cui Regium prosperava
come municipium romano. Data la dimensione delle vasche e degli ambienti, le
terme potrebbero essere state piuttosto dei "bagni", stabilimenti
gestiti da privati, anche se una parte del perimetro appare continuare al di
sotto della strada esistente e potrebbe avere contenuto altri ambienti di
servizio, quali biblioteche o palestre come spesso si rinviene in altri siti in
Europa.
La stanza-ambiente centrale, che è decorata con un
suggestivo mosaico ad elementi geometrici in tessere bianche e nere, funge da
collegamento tra gli altri ambienti. A questo ambiente centrale si perviene da
diversi ingressi, che fanno ipotizzare come l'ingresso principale delle terme
potesse essere dal lato mare, come dal lato superiore, in direzione della vicina
attività commerciale del porto o dell'area del foro localizzata nelle vicinanze
di palazzo San Giorgio.
Da notare, come sempre mantenuta nell'ingegnosità della
progettazione termale romana, la perfetta orientazione degli ambienti: la vasca
per le immersioni fredde (frigidarium)
a nord, la vasca per le immersioni calde (calidarium)
a ovest, per sfruttare tutta la durata del calore solare.
Il frigidarium si riconosce, oltre che per la posizione,
per il rivestimento della vasca in opus signinum (intonaco
impermeabile usato come rivestimento per le opere contenenti acqua, costituito
da una miscela di calce e tegole frantumate che conferiscono il colore rosato) e
per l'assenza del fondo riscaldato e dei tubuli per il riscaldamento della
vasca. Al contrario il calidarium, visibile dalla strada (l'accesso all'interno
del sito non risulta attualmente possibile), mostra in maniera evidente tutto
intorno la disposizione dei tubuli di terracotta, gli elementi verticali
addossati alla parete per la circolazione dell'aria calda proveniente dalla
fornace. Tutto attorno alla vasca, come in altri siti in Europa (ad esempio le
terme di Welwyn, UK)
è posto un muretto dove gli ospiti dei bagni potevano sedersi, visto che il
bagno consisteva in una semplice immersioneo in una natatio, come in una
moderna piscina.
Molto interessante è lo scarico della vasca sul fondo,
che consentiva di drenarla per la pulizia e manutenzione, comunicante con un
canale generale di scarico, e reso possibile dal pavimento sopraelevato sulle
"pilae", di cui una è visibile dal foro quadrato dello scarico
stesso. Un'altra pila ben visibile è posta ad un angolo (nord) dell'ambiente
contiguo, probabilmente il tepidarium,
destinato a riscaldare il corpo, ma senza una vasca per immersione. Le pilae nel
sito di Reggio sono costituite da dischi sovrapposti di terracotta, mentre in
altri luoghi in Europa vari altri materiali vengono usati, secondo le
disponibilità del posto.
La fornace, una galleria in mattoni in cui veniva
bruciato il combustibile, dovrebbe essere quella visibile dalla strada
superiore, anche se la volta in mattoni è per lo più mancante. Il sistema di
riscaldamento, denominato hypocaustum,
tipicamente usato nei bagni dell'epoca romana dei primi secoli, è costituito
dalla fornace, dove il materiale bruciato continuamente riscaldava l'acqua in un
bacino metallico collocato al di sopra, e poi comunicante con la vasca del calidarium.
Allo stesso tempo l'aria calda veniva convogliata al di sotto dei pavimenti
sopraelevati ed entrava nei tubuli di terracotta al di sotto degli intonaci
delle pareti del caldarium e tepidarium per riscaldare gli ambienti, venendo poi
espulsa da camini all'esterno.
Le terme dovevano essere alimentate o da un pozzo
locale, ma anche verosimilmente da un acquedotto, vista la vicinanza con il
porto antico e con l'area del foro, anche se non risulta evidente la presenza di
un canale o di una cisterna di raccolta.
Riferimento per informazioni sulla tecnica costruttiva
dei bagni romani ed esempi visibili nel Regno Unito: Tony Rook (2002) Roman
Baths in Britain, Shire Publications, Haverfordwest, Pembrokeshire, Uk.

Mura della città greca
- A testimonianza della vastità della città greca
rimangono oggi alcuni tratti della cinta muraria sopravvissuti agli eventi
storici. Ne esiste ancora un tratto sul lungomare,
uno sulla Collina degli Angeli, ed uno sulla collina del Trabocchetto.
La Soprintendenza archeologica della Calabria ha
ipotizzato che le mura in mattoni crudi siano di epoca del tiranno Anassila (V
secolo a.C.), mentre quelle in mattoni cotti siano da attribuirsi al
tiranno Dionisio
II (a Reggio dal 356
a.C., e scacciato poi nel 351
a.C.), altri studiosi pensano invece che i tratti di mura giunti fino ad
oggi siano tutti della parte finale del IV
secolo a.C.
Mura del parco archeologico
sul lungomare - Il sito più noto riguardo alle mura reggine è quello
denominato "Mura Greche" che sorge sul Lungomare
Falcomatà nei pressi di Palazzo
Zani. Questo tratto di mura risalirebbe al IV
secolo a.C. e farebbe parte della rifortificazione operata da Dionisio
II, la città infatti era stata conquistata dal padre Dionisio
I, che vi si stabilì facendo costruire una grande villa collocata tra la
cinta più interna a monte e la nuova più esterna a mare.
Il sito è costituito da due file parallele di grossi
blocchi di arenaria tenera ed è di particolare interesse, poiché si tratta del
punto in cui le mura occidentali deviano verso oriente e chiudendo dunque a sud
la cinta reggina.
Mura della collina degli
Angeli - Le mura sulla collina degli Angeli, costruite
in mattoni crudi - cioè con del fango misto a paglia lasciato seccare
al sole - sono conservate per un tratto lungo una decina di metri. Dal lato Est,
al di fuori della città antica, la parte visibile non supera i 3 metri, mentre
dal lato interno il muro si presenta in realtà molto più imponente.
Nel tratto conservato sono stati ritrovati:
un'inscrizione in caratteri greci, ma probabilmente in
lingua osca;
un'edicola votiva rappresentante una Vittoria
alata, con legenda TRIS NIKA, tre volte vittoria. Si ipotizza che l'edicola
votiva ricordi un assalto alle mura da parte di Pirro o
più probabilmente di Annibale,
respinto dai Reggini.
Mura del parco archeologico
Trabocchetto - Le mura furono rinvenute casualmente nel 1980 mentre
si stavano eseguendo alcuni lavori edilizi. Il tratto ritrovato corrisponde al
punto più alto raggiunto dalla cinta muraria, circa 114 m s.l.m.,
dominando l'intero centro cittadino, e risulta perfettamente allineato con i
resti murari ritrovati in località "Collina degli Angeli".
In questo tratto è evidente la sovrapposizione di due
fasi successive di costruzione della cinta muraria:
la prima, edificata a mattoni crudi, risale alla fine
del V secolo a.C.
la seconda, costruita mediante la divisione della
cortina muraria precedente, che viene riusata come riempimento di una doppia
cortina di blocchi isodomi in arenaria,
risale alla metà del IV secolo a.C.
Sono visibili anche i fori di palo dell'impalcatura
utilizzata per la costruzione del muro in blocchi e la fondazione di una torre a
sezione quadrata di arenaria.
Gli scavi archeologici, inoltre, documentano la presenza
di fosse di spoglio della cortina in blocchi, scavate in epoca romana per
recuperare materiale da costruzione; viene così spiegata la totale assenza del
rivestimento in blocchi dall'estremità del muro sul lato nord-est. Come sulle
mura presenti sul lungomare,
molti dei blocchi in arenaria mostrano contrassegni di clava, successivamente
levigati dal passare del tempo.
Scavi di Piazza Garibaldi
- Alla fine di Aprile 2016, proprio mentre veniva riaperto
il museo
archeologico, è stata ritrovata una tomba romana risalente al I secolo d.C.
in seguito ai primi scavi per la creazione di un parcheggio sotterraneo
nell'angolo Nord-Est di Piazza
Garibaldi. I lavori della Soprintendenza per i Beni Archeologici sono ancora
in una fase iniziale. Durante i primi scavi sono state ritrovate anche diverse
anfore, piatti e monete ricollegabili in vario modo all'epoca del ritrovamento
principale della tomba.
Il 9 maggio 2016, in seguito ad un nuovo saggio nella
zona antistante la stazione centrale, è stato ritrovato un basamento
presumibilmente ricollegabile all'età del primo reperto.
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