L'Appennino
siculo è una suddivisione degli Appennini consistente
nell'insieme di catene
montuose a ridosso della costa nord-orientale della Sicilia,
separato dall'Appennino
calabro dallo Stretto
di Messina. Si divide nei tre gruppi dei Peloritani,
dei Nebrodi e
delle Madonie,
arrivando fino alla valle
del Torto, con l'altezza massima raggiunta dal Pizzo
Carbonara, seconda cima della Sicilia dopo
l'Etna.
Lo
stretto che separa Sicilia e Calabria non interrompe gli Appennini: la
catena montuosa innerva la parte nordorientale del Messinese grazie ai
Peloritani e ai Nebrodi.
I
gruppi montuosi siciliani che solitamente vengono considerati parte
dell'Appennino siculo sono quindi:
Monti
Peloritani
I Monti
Peloritani vanno dallo stretto
di Messina Capo
Peloro (o Punta del Faro) e seguono verso ovest, fino ad
incontrare i Monti
Nebrodi. La cima più alta è Montagna
Grande (1.374 m) – I Peloritani si
estendono per circa 65 chilometri a partire da Capo Peloro, sono
attraversati dalla Dorsale Peloritana, un’antica via di comunicazione che
ne percorre la cresta, e hanno nel Monte Scuderi la vetta più
rappresentativa: nel XVIII secolo il geologo francese Déodat de Dolomieu
(da cui hanno preso nome le Dolomiti) le definì le montagne più ricche di
minerali d’Europa, e in effetti l’attività estrattiva nel Settecento e
nell’Ottocento fu intensa e redditizia.
I
Peloritani si raccordano con i Nebrodi in prossimità della Montagna Grande,
e in questa zona si trovano alcuni dei luoghi più suggestivi
dell’Appenino siculo, come il Bosco di Malabotta, l’Altopiano
dell’Argimusco e il borgo medievale di Montalbano Elicona. Il Parco dei
Nebrodi, con i suoi 86.000 ettari di superfìcie, è la più grande area
naturale protetta della Sicilia: il paesaggio è caratterizzato
dall’asimmetria dei vari versanti, dalla ricca vegetazione e dalla
dolcezza dei rilievi, che pure arrivano a sfiorare i 2000 metri.
Particolarmente suggestive sono le Rocche del Crasto, tra le poche rocce
dolomitiche nell’Italia meridionale, e il Bosco di Mangalaviti con la sua
atmosfera fiabesca, che ospita una delle più belle faggete dei Nebrodi.

Delle
antiche foreste di quercia, leccio, sughero e
probabilmente anche di faggio, pino e castagno,
attualmente rimangono solo poche formazioni che occupano all'incirca tremila
ettari. Le degradazioni successive, causate principalmente dall'uomo e dagli
incendi, hanno determinato il passaggio alla macchia, poi alla macchia
degradata, alla gariga ed
infine ad una vera e propria steppa.
Solo nelle zone più impervie, e quindi economicamente svantaggiose per
l'uomo, si sono conservati piccoli nuclei di bosco naturale di roverella e
di leccio o di macchia mediterranea con predominanza di erica, cisto, corbezzolo e ginestra.
L'azione di rimboschimento, intrapresa già dal 1873 dal
Consorzio per il Rimboschimento e successivamente dal 1920 dal Demanio
Forestale dei Peloritani, ha infine creato pinete di pino domestico,
Pino marittimo, Pino d'Aleppo e boschi di Castagno, Leccio e Roverella.
Le
aree boschive del Demanio Forestale sono così divise:
-
Demanio dei Peloritani orientali: a cavallo del tratto iniziale dell'omonima
catena montuosa a ridosso dei centri di Messina, Villafranca
Tirrena, Saponara e Rometta,
occupa oltre 4102 ettari.
- Demanio Savoca:
ha un'estensione di 762 ettari e comprende i comuni di Furci
Siculo e Casalvecchio
Siculo, sul versante sud dei Peloritani Centrali.
-
Demanio Mela: prossimo al Savoca ma ubicato sul versante opposto dei
Peloritani, occupa una superficie di 1827 ettari ed è compreso tra i bacini
montani dei torrenti Idria, Longano e Mela, nei comuni di Barcellona
Pozzo di Gotto, Castroreale e Santa
Lucia del Mela.
-
Demanio Cisterna: è il più piccolo dei quattro nuclei, con una superficie
di 264 ettari. Ricade nei Peloritani Occidentali nel bacino montano del
fiume Alcantara, sottobacino del torrente Zavianni, in territorio di Francavilla
di Sicilia

Si
narra che nelle viscere di Monte Scuderi sia nascosto un tesoro, vegliato da
una principessa figlia del re-mago Saturno e costituito da tre cumuli di
monete (d’oro, argento e rame) e altri oggetti preziosi, tra cui una
chioccia d’oro con 21 pulcini dello stesso materiale. Esistono anche una
serie di prove, in qualche maniera fissate dalla tradizione, da affrontare
per chi sia interessato a impossessarsene: stando a quanto si racconta nelle
valli che circondano lo Scuderi, un gruppo di abitanti di Alì
nell’Ottocento riuscì a superarle tutte, tranne l’ultima. Un membro
della comitiva si spaventò infatti davanti al cavallo imbizzarrito che
rappresentava l’ostacolo finale prima del traguardo e invocò il nome
della Vergine: a quel punto, il malcapitato e i suoi compagni furono
scagliati a chilometri di distanza, chi sulle pendici dell’Etna, chi
addirittura in Calabria.
A
giustificare la leggenda della Trovatura è probabilmente la ricchezza di
minerali dei Peloritani, di cui il monte è una delle vette più alte: la
sua sommità pressoché piana forma una terrazza da cui dominare con lo
sguardo buona parte della Sicilia nordorientale, inclusi, ovviamente, i 3543
ettari della Riserva naturale orientata Fiumedinisi e Monte Scuderi, di cui
fa parte.
Monti
Nebrodi

I Monti
Nebrodi vanno
dal Monte Tre Fontane (1.140 m) e si dirigono verso ovest fino al Monte
Castelli (1.566
m). La cima più alta è il Monte
Soro (1.847
m).
I
Nebrodi sono la Sicilia che non ti aspetti, lontana dal luogo comune di
terra arida, bruciata dal sole, senz'acqua. Su queste montagne che si
innalzano fin oltre i mille metri di quota abbondano fiumi e laghi, e i
boschi si estendono a perdita d'occhio. E' un autentico polmone verde che
corre parallelamente alla costa tirrenica messinese per quasi 80 chilometri,
dove scoprire borghi che i secoli hanno lasciato quasi intatti e godere
della magia di una natura prorompente e selvaggia, come testimoniano i
magnifici volteggi di aquile reali e grifoni tra gli spuntoni aguzzi delle
Rocche del Crasto.
Anche
grazie alle sue caratteristiche orografiche questo territorio si è
preservato nel tempo costituendo una unicum che ha trovato
nell'istituzione del parco regionale, 26 anni fa, uno strumento di tutela da
interessi che diventavano ogni giorno più pressanti.
In
tutte le stagioni i Nebrodi si concedono allo sguardo del visitatore
offrendo una scenografia sempre uguale e sempre diversa, ma il periodo in
cui più forte è la suggestione di questa catena montuosa, cocmpresa tra i
Peloritani a est, le Madonie a ovest e l'Etna a sud, è l'autunno, quando
l'esuberanza cromatica della vegetazione lascia senza fiato. Gialli,
arancioni, marroni e rossi danno vita a un concerto di colori straordinario,
un colpo d'occhio che conferisce a questi monti un'eleganza ineguagliabile.
Quasi
un'isola verde circondata da terre riarse, i Monti Nebrodi sono percorsi da
impetuosi corsi d'acqua che danno vita a luoghi straordiari per la loro
ricchezza botanica e naturalistica. E' il caso della Stretta di Longi,
nell'entroterra messinese, cui si perviene all'ombra dei lecci e della
macchia mediterranea seguendo un lungo canyon scavato nella roccia dal fiume
Fitalia. Un tempo sfruttato dall'uomo - restano tracce di mulini e lavatoi
-, oggi il sito è il regno di rapaci che lo hanno eletto a dimora.

Il
clima dei Nebrodi è abbastanza differente dal tipico clima siciliano,
soprattutto nella stagione invernale. Gli inverni, sopra i 700 mt, sono
rigidi con nevicate abbondanti e temperature minime che possono raggiungere
e talvolta superare i −10 °C sul crinale. In estate si registra meno
aridità rispetto alle zone più collinari dell'isola, questo grazie anche
all'abbondanza di acqua, conservata dalle formazioni calcaree, che mantiene
il suolo prevalentemente fertile anche nei mesi più caldi. Sono comunque
rari i corsi d'acqua che riescono a trattenere una portata sufficiente. Le
temperature massime estive raramente superano i 30 °C nelle aree di
crinale,dove, a causa dell'altitudine l'escursione termica sia
annuale che giornaliera è piuttosto elevata.
Sul
piano orografico i Nebrodi, chiamati anche Caronie, si pongono tra i Monte
Peloritani a est e le Madonie a occidente e costituiscono il proseguimento
della "spina dorsale" appenninica italiana che discende verso
l'Africa. I rilievi non raggiungono altitudini molto pronunciate (la massima
cima, il Monte Soro, tocca appena i 1847 metri) e si configurano perlopiù
come distese tondeggianti di argille e arenarie o, dove predominano i
calcari, assumono un aspetto dolomitico, ad esempio sul Monte San Fratello e
alle Rocche del Crasto.
La
loro particolare genesi, tramite l'innalzamento di fondali marini nelle
epoche più remote, ha determinato la presenza del flysch,ovvero
un'alternanza di argille e calcari marnosi che rende il suolo scarsamente
permeabile: di qui l'abbondanza delle acque in superficie, garanzia di
elevatissima biodiversità. Numerosi sono infatti in quest'area i fiumi e i
torrenti, basti citare il Simeto, l'Alcantara, il Caronia, spesso perenni e
tra i più importanti dell'Isola, oltre a sorgenti, stagni e specchi d'acqua
in alta quota come il Biviere di Cesarò o i Laghi Maulazzo e Trearie,
indispensabili nel preservare mimicroclimi umidi.

Il loro stesso nome, dal greco nebros, cerbiatto, evoca un passato
selvaggio e popoloso di animali: caprioli, daini, orsi e lupi che avevano
eletto a loro dimora questi fitti boschi di faggi, querce, aceri e
roverelle, poi lecci e macchia mediterranea alle quote più basse.
Se
oggi queste specie sono praticamente scomparse, intatto è rimasto il
fascino dei luoghi, che ospitano comunque martore, istrici e una ricchissima
avifauna: folaghe, cavalieri d'Italia, tuffetti e aironi nelle zone umide
vicino ai laghi, assieme a testuggini di palude e decine di varietà di
farfalle... in breve, un paradiso che dal 1993 protegge un'area di oltre
85.000 metri quadri di superficie.
Il
paesaggio naturale dei Nebrodi è caratterizzato dall'asimmetria dei
versanti, ma principalmente dalla ricchissima vegetazione e dagli ambienti
umidi che favoriscono lo sviluppo della flora e della fauna. Vi è
praticato, in maniera poco intensiva, l'allevamento del bestiame
(principalmente bovini, ma anche cavalli) ed è presente una razza
autoctona di maiale (Nero dei Nebrodi) che vivono allo stato
semibrado e brado. I boschi che li ricoprono costituiscono il pittoresco Parco
dei Nebrodi. Nelle aree più elevate si estende la più meridionale faggeta
d'Europa. Sono le acque dei Nebrodi a dare alimentazione ai due grandi Laghi
artificiali di Lago dell'Ancipa e Lago Pozzillo, oltre ad
altri minori.
L'abete
dei Nebrodi,o abete delle Madonie, è una conifera endemica di questa parte
di Sicilia, caratterizzata dalla chioma di un bel verde scuro che tende ad
assumere forma conico-piramidale e produrre pigne lunghe fino a circa 20
centimetri. Questa specie fu descritta ai primi del Novecento dal botanico
Giovanni Ettore Mattei (1865-1943), che tuttavia la giudicò praticamente
estinta. Negli anni cinquanta ne venne però scoperta una piccola colonia -
nel Vallone della Madonna degli Angeli, sulle Madonie - i cui semi, nel
tempo, sono stati coltivati. Dal 2000 la Regiona Sicilia ha avviato un
programma di salvaguardia e ripopolamento.
MEGALITI
DELL’ARGIMUSCO - L’Altopiano
dell’Argimusco, ai confini tra Nebrodi e Peloritani, è caratterizzato da
una serie di roccioni di arenaria quarzosa modellati in fogge curiose, in
taluni casi rassomiglianti a esseri umani o animali. Sulle origini delle
Rocche dell’Argimusco sono state formulate nel corso degli anni diverse
teorie: secondo l’ipotesi su cui converge la maggior parte degli studiosi,
a modellare queste pietre non sarebbe stato l’uomo; si tratterebbe infatti
del lavoro svolto dal vento e dall’acqua sull’altopiano nel corso dei
millenni.

BOSCO MALABOTTA - Il
Bosco di Malabotta è uno dei boschi piú particolari della Sicilia.
Eccezionale è il suo valore ecologico, non
solo per l'integrità, ma soprattutto per l'accentuata diversità
ambientale. Dal 1997 il
bosco fa parte della Riserva Naturale Orientata del Bosco di Malabotta.
Si trova ad una quota che oscilla tra i 700 e i 1341 m s.l.m. Ha
un'estensione di 32,21 km2 ed è situata in mezzo a due diverse catene
montuose: quella dei Monti Peloritani e quella dei Monti Nebrodi. L'area si
estende tra i comuni di Montalbano Elicona, Francavilla di Sicilia,
Malvagna, Roccella Valdemone e Tripi. Nella riserva troviamo diversi
habitat: il bosco, la radura, gli ambienti umidi torrentizi e quelli
rupestri.
Il
Bosco di Malabotta è punteggiato da numerose alture: Pizzo Castelluzzo,
Serra Castagna, Pizzo Daniele e Pizzo Galera tutti rivestiti di fitto
bosco,infatti per circa 80 ettari domina il Cerro (Quercus cerris), quercia
dal portamento regale che può raggiungere i 30 metri d’altezza e di cui
in cima a monte Croce Mancina esistono esemplari con tronco di circa due
metri di diametro, la restante parte è costituita da faggi, noccioli,
agrifoglio, castagno ,leccio. Il sottobosco vanta il biancospino, la Peonia
selvatica (Paeonia officinalis), le Ginestre, la Rosa canina, lo sparzio
spinoso offre riparo a volpi istrici cinghiali, suini neri dei Nebrodi,
donnole e martore.
Significativa
è anche la presenza del topo quercino, tra la microfauna, importantissimi
sono gli artropodi (animaletti invertebrati a cui comunemente associamo
ragni, insetti e crostacei) presenti con molte specie endemiche. Per quanto
riguarda l'avifauna, troviamo gheppi e falchi pellegrini, poiane, aquile
reali, sparvieri. Gli animali presenti nel bosco di Malabotta sono un vero e
proprio campionario della fauna siciliana che qui assume una forte valenza
data la naturalità del bosco.
All'interno del bosco vi sono diversi sentiere naturalistici, di lunghezza
variabile dai 5 Km a 15 Km. Trai i più rinomati è il cosiddetto
"Sentiero dei Patriarchi",
caratterizzato da relitti centenari di alberi di Roverella; trattasi di
esemplari con un tronco di circa 2 metri di diametro.
Molto
suggestivo è anche il "sentiero della Trota",
con un tratto lungo il torrente Licopedi, dove in alcuni periodi dell’anno
è possibile scorgere le Trote.

Madonie
Le Madonìe o Madonìa (in siciliano Li
Marunìi) sono una breve dorsale montuosa posta nella parte settentrionale
della Sicilia,
interamente compresa nella città
metropolitana di Palermo. Si trovano ad ovest dei Monti
Nebrodi e dei monti Peloritani.
Questi ultimi sono compresi nella città
metropolitana di Messina.
Costituiscono
una delle aree di fondamentale importanza per l'approvvigionamento idrico di Palermo e
di buona parte della sua area metropolitana.
Dal
2015, con l'inserimento nella lista
globale dei geoparchi da parte dell'UNESCO,
il parco delle Madonie è considerato sito
patrimonio mondiale
In
epoca classica, il nome del complesso orografico era Maroneum. Plinio
il Vecchio ricorda il toponimo descrivendo
il fragore dei boati del vulcano Etna udito
da aree distanti: «Fragor vero ad Maroneum et Gemellos Colles». Successivamente
il toponimo venne assimilato al feudo di
Madonìa, di proprietà dei marchesi Crescimanni.
In passato questo era uno dei feudi della Baronia d'Aspromonte che insisteva
su parte del territorio di proprietà della famiglia La Farina, nobile di
Palermo.

on una
storia geologica alle spalle che supera i 200 milioni di anni, le Madonie
conservano le formazioni rocciose più antiche di Sicilia, formatesi durante
il Triassico (tra i 250 e i 200 milioni di anni fa). Nonostante corrisponda
a una porzione relativamente piccola (circa il 2%) della superficie
dell'Isola, quest'area ospita da sola oltre la metà delle specie vegetali,
molte delle quali endemiche.
Sotto le
principali vette - dai 1979 metri del Pizzo Carbonara ai 1656 del Monte dei
Cervi - si individuano tre fasce principali: quella più a nord, con fitti
boschi di sugheri, castagni, querce e frassini da manna, dai quali si
raccoglie questa linfa dotata di tante proprietà salutari, dolce e gommosa
al punto da essere celebrata come nutrimeto divino nel libro dell'Esodo; la
parte montuosa vera e propria, con lecci, faggi e residui di Abies
nobrodensis; e infine la zona a sud, più spoglia nelle stagioni aride e
in primavera ammantata del verde dei campi coltivati.
Ricchissima
e assai varia è la fauna che popola questi rilievi: daini, volpi,
cinghiali, farfalle e un'ampia gamma di insetti e invertebrati.

A
partire dalla costa settentrionale si susseguono il rilievo di Pizzo
Dipilo, il Piano
Zucchi tra il rilievo di Monte
Cervi (con le cime di Monte
Castellaro, Pizzo
Antenna Piccola, Pizzo
Colla e Monte
Fanusi insieme con la sorgente di Scillato) e quello di Pizzo
Carbonara, in gran parte occupato da un altopiano con doline e
con pareti sub-verticali verso ovest e nord. Segue il gruppo montuoso di
Monte San Salvatore, costituito da arenarie, con numerose cime secondarie
tra cui il Monte Alto, dove sorge un santuario dedicato
alla Madonna, Monte Cavallo e Monte
Scalone, sul cui versante settentrionale crescono gli ultimi
esemplari di Abies
nebrodensis, abete neoendemico siciliano.
Ad
est del Torrente Mandarini (affluente dell'Imera Meridionale) si eleva il Pizzo
Catarineci, rilievo arenaceo alla cui sommità c'è un'ampia prateria
spesso frequentata da cavalli, circondata da boschetti di faggio.
A nord, sul mare, in posizione isolata, troviamo quella che è considerata
la punta estrema delle Madonie: la Rocca
di Cefalù (270 m s.l.m.)
La
vetta più alta è il Pizzo
Carbonara (1.979 m s.l.m.),
la seconda della Sicilia dopo l'Etna (3.357 m s.l.m.).
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