Naro (Borgo)
(Agrigento)
  
   

Nella zona orientale del territorio agrigentino, a 25 km dal capoluogo sorge Naro, città che ha avuto grande impulso architettonico con il Barocco e le cui testimonianze artistiche presenti oggi in città la collocano tra le più interessanti città barocche dell'isola.

Una delle città più antiche e pittoresche della Sicilia, dove la cultura araba-normanna si è incontrata dando vita, nell'arte e nell'architettura, ad opere di altissimo pregio. Dall'alto del suo monte, a quasi 600 m.s.m. circondato per tre lati dal fiume omonimo, e con la lussureggiante Valle ai suoi piedi, Naro doveva certamente aver affascinato i viaggiatori del passato (Al Idriss, Ibn Gybayr, Jean Houel). Si può immaginare di affacciarsi da un grande balcone naturale aperto sulla "Valle del Paradiso" e sul "Mare Nostrum". 

La sua posizione elevata, naturalmente protetta, la hanno resa un luogo particolarmente ambito. Le sue origini millenarie hanno dato vita, nel corso dei secoli, alla leggenda ed al mito. Secondo alcuni studiosi e fra essi Filippo Cluverio, Paolo Orsi, Fra Saverio Cappuccino, Paolo Castelli e Salvatore Pitruzzella, rifacendosi alle testimonianze archeologiche rinvenute in alcune parti del territorio di Naro (serra di Furore, Dainomeli, San Gaetano, Ragamè e Castellaccio), ci viene attestata l'esistenza di insediamenti umani in epoche remotissime (prima età del bronzo). Notizie meno incerte, è quella che vuole Naro fondata dai Sicani con il nome di Indara. 

Altra ipotesi leggendaria, ma suffragata da alcune fonti, è quella che ritiene essere stata in Naro l'antico "AGRAGAS JONICUM" (680 a.C.), colonia della greca Gela, otto anni dopo la sua fondazione (688 a.C.) e cento anni innanzi Agrigento (AGRAGAS DORICUM 580 a.C.). E' certo comunque che le origini della Città precedono l'onda della penetrazione fenicia e greca e, naturalmente, l'occupazione romana. 

L'ipotesi più probabile ed accettata da molti senza contrasti, è quella che vuole essere stato in Naro il Castello di Mothyum o Mòtyov, di cui parla Diodoro , assalito e preso a tradimento da Ducezio di Nicea (odierna Noto), re dei Siculi, nel 452 a.C. e riconquistato dagli Agrigentini l'anno dopo (451 a.C.). Una fortezza posta in cima al colle e custodita da un presidio agrigentino, tra quelle volute da Falaride, tiranno di Agrigento (570-555 a.C.) a presidio del suo vasto territorio, situata lungo il tragitto Agrigento-Gela, mentre la città continuò a chiamarsi Akragas Jonicum fino al tempo del tiranno Fintia (276 a.C.), che volle che tutto il sito fosse chiamato Mothyum, come il Castello. Ciò è avvalorato anche dalle innumerevoli monete trovate del periodo greco e da vario materiale archeologico dell'epoca. 

Altri farebbero derivare la sua origine dai Fenici ed il suo toponimo dal fenicio "NAHAR", che vuol dire "fiamma", poiché dicono essere stata in quel colle una vedetta, donde per mezzo di fiamme "ammonivasi" le genti d'intorno a guardarsi dalle insidie dei nemici. Naro, infatti, nel 406 a.C. entra a far parte del dominio punico e sotto Caratagine, faceva parte di una rete di collegamento di vedette, che andava da Licata a Selinunte. 

Ma l'ipotesi più suggestiva resta quella che identifica Naro con Camico, dal fiume che le scorreva vicino, la mitica Città costruita da Dedalo, il divino architetto del labirinto di Creta, per Cocalo, leggendario re dei Sicani, e dove Cocalo trasportò la sua reggia ed i suoi tesori. A questo punto Camico sorgeva vicino Acragante, separate l'una dall'altra dal fiume. Presa a tradimento, distrutta e rasa al suolo nel 256, dai Romani durante la prima guerra punica, gli abitanti che scampano si rifugiano nella vicina Inico, alla quale alternarono il nome Inico o Indara in Naro o che così chiamarono a ricordo del maestro di Dedalo, che si chiamava NARO, come dice Pausania (Periegesi) e Diodoro Siculo. Ma l'opinione più diffusa è che Naro, fabbricata sull'altezza di un monte, prenda la sua origine dai Saraceni, che le diedero nome Nar - che secondo il loro idioma vuol dire fiamma (Nar-Urbs ignisFulgentissima), volendo con ciò alludere a quei segni che in tempo di guerra si facevano con fiaccole sulla vetta dei di lei monti. E ciò è errato perché Naro all'epoca della conquista araba (Berberi) era già un fiorente casale, con un castello importantissimo, che formava uno dei centri di strategia con Sutera, Cammarata, Castronovo e Castrogiovanni e Butera. 

La dominazione araba durò fino a quando nel 1086 l'ultimo emiro di Naro, Al Qasim ibn-Hammùd, si arrese al Conte Ruggero, che dopo aver conquistato il 25 luglio Agrigento, con una manovra lampo espugnava tutte le fortezze intorno Agrigento, comprese Naro, Ravanusa, Muculufa, Bifara e Licata. La leggenda narra che il Conte fece uccidere tutti gli uomini validi...ed ecco perché nel territorio di Naro esistono molte belle donne con gli occhi verdi o azzurri. Naro, pertanto, ha avuto parecchi nomi nel corso dei millenni Agragante, Agragas Jonicum, Inico, Indara, Camico, Nahar, Mothyum, Corconia, Nar.

Durante il periodo romano la città, che probabilmente portava il nome di Carconiana, acquisisce una vocazione agricola che ne caratterizzerà la storia dei secoli successivi.

Nel suo territorio esistono resti di insediamenti paleocristiani, in particolare delle catacombe, e di ville romane. In territorio di Naro nacque San Gregorio vescovo d'Agrigento.

Della storia della città durante il periodo bizantino non si hanno molte notizie, sicuramente il centro urbano conosce un periodo di sviluppo e prosperità dopo la conquista araba avvenuta nell'839 ad opera dell'emiro Ibn Hamud, saranno proprio gli arabi ad intuire l'importanza strategica del centro urbano, in ottima posizione per controllare il territorio circostante da sfruttare con l'agricoltura ed al centro dei commerci poiché lungo la strada di collegamento fra Agrigento e Catania. La città durante il periodo arabo venne dunque ampliata e fortificata e permise all'emiro Ibn Hamud di resistere alla conquista normanna fino al 1086, quando Naro, dopo quattro mesi di assedio, cadde ad opera del Conte Ruggero, ben quattordici anni dopo la conquista di Palermo. Lo stesso Conte Ruggero, poco dopo la conquista della città trasformò la moschea in chiesa Madre stabilendovi il decanato della diocesi di Girgenti.

Con gli svevi, venne nominata città parlamentare e chiamata "Fulgentissima" da Federico II di Svevia, che le diede tale titolo nel parlamento di Messina del 1233 annoverandola fra le 23 Regie o Parlamentarie del Regno di Sicilia. Ogni città demaniale del regno venne posta a capo di una comarca, suddivisione che si mantenne fino al 1793, quando le comarche vennero sostituite dai distretti e il territorio di Naro fu smembrato e inserito nel distretto di Girgenti. La comarca di Naro comprendeva gli attuali territori di Canicattì, Sommatino, Delia, Camastra, Grotte, Racalmuto, Castrofilippo e Campobello di Licata. 

Nel 1263, secondo quanto riportato da Fra Saverio Cappuccino, la città viene dotata di una cinta di mura fortificate, che però sono probabilmente il rifacimento e ampliamento di precedenti strutture arabe. Sulle mura vennero originariamente aperte sei porte: la porta della Fenice, la porta S. Giorgio e la porta d'Oro (o porta Vecchia) sul versante settentrionale, la porta di Girgenti e la porta dell'Annunziata sul versante meridionale, la porta di S. Agostino ad ovest. 

Una settima porta venne aperta a sud-est nel 1377: la porta di Licata. Prendendo parte ai Vespri siciliani la città si libera dai francesi con una sanguinosa rivolta che si conclude il 3 aprile 1282 con l'uccisione del governatore Francesco Turpiano e di tutti i francesi a guardia del castello. Naro deciderà allora di reggersi da sola sotto la guida del governatore francese Ognibene Montaperto

Gli inizi del secolo XIV sono un periodo d'oro per la città, sotto la castellania di Pietro Lancia la rilevanza politica della città cresce a tal punto che il re Federico III d'Aragona promulga dal castello di Naro i 21 capitoli per il buon governo delle città nel 1309 (nel 1324 secondo alcuni studiosi). Seguirà a questo periodo una decadenza economica causata da mezzo secolo di lotte interne, decadenza che verrà superata a partire dal 1366 quando la città passa a Matteo Chiaramonte ed inizierà così un intenso periodo culturale ed artistico durante il quale viene costruita la chiesa di Santa Caterina, viene definito l'Oratorio di S. Barbara, si amplia il castello e probabilmente viene anche restaurata ed ingrandita la matrice che sul finire del secolo ottiene il titolo di Duomo da re Martino il Giovane.

Fino al 1492, anno in cui fu emessa l'ordinanza di bando degli Ebrei dalla Sicilia emanata da Ferdinando II d'Aragona, Naro ospitò una comunità ebraica.

Ottenne il titolo di città nel 1525 quando, per petizione presentata al Real Parlamento di cui Naro occupava il 18º posto del braccio demaniale dal magnifico naritano Don Girolamo D'Andrea, si vide concedere tale titolo (fino ad allora si chiamava "terra del demanio di Naro") da Carlo V, che per mezzo del suo viceré, il Duca di Monteleone concesse alla città anche il privilegio del Mero e Misto Impero, autorizzandola quindi ad esercitare giustizia civile e penale da sé (di tale privilegio godevano all'epoca solo Palermo e Messina in tutta la Sicilia). 

Nel 1615 venne nominata capo comarca dal Parlamento Generale svoltosi a Palermo. Nel 1645 ottenne anche il privilegio del Bussolo Senatorio (da qui la sigla S.P.Q.N. nello stemma della città), tramite il quale i giurati e i patrizi venivano eletti ogni anno direttamente dal consiglio cittadino e i primi prendevano il titolo di senatori. Il XVII e il XVIII secolo rappresentano un periodo di particolare splendore per la città durante il quale i diversi ordini monastici presenti costruiscono o rinnovano diverse chiese e monasteri che caratterizzano il tessuto urbano della città attuale.

Il 4 febbraio del 2005 il comune è stato colpito da una frana che ha messo in pericolo gran parte del centro storico. Circa 70 abitazioni sono state dichiarate inagibili, diverse sono state abbattute. Centocinquanta persone sono state sfollate in abitazioni di fortuna.

Castello chiaramontano

È forse il monumento più famoso di Naro, la cui storia s'identifica con le sue vicissitudini. Si può affermare che il castello è la stessa ragione d'essere della Città, perché senza di esso, forse, Naro non sarebbe stata una realtà od il suo divenire avrebbe avuto altre manifestazioni.

Il sito fu certamente scelto non solo per le sue caratteristiche di difendibilità, ma per quelle connesse con il controllo dell'ampia e ferace vallata. Per cui, sotto gli Arabi prima e sotto i Normanni ed i Chiaramonte dopo, il Castello assunse non solo la difesa militare limitata alle esigenze locali, ma anche quello d'elemento fondamentale per la struttura e l'organizzazione territoriale di un vasto comprensorio inserito, in altre parole, nel sistema di controllo dell'isola, quale presidio territoriale strategico.

Tale posizione, mantenuta ed accresciuta nei secoli, fece sì che Naro, crogiolo di civiltà, di storia e d'arte, ed il suo Castello diventasse teatro d'importanti avvenimenti, alcuni dei quali hanno perfino inciso sulla storia dell'Isola. Imponente nel suo profilo di pietra gialla, il Castello sembra vigilare ancora oggi sia sulle vecchie case dell'antico "borgo", quasi accucciate sotto le possenti ali del vecchio Maniero, sia sugli edifici della parte nuova della Città evocando, immoto testimone, immagini che conservano intatto il sigillo del tempo.

Percorrendo il lastricato della via Archeologica che inizia dirimpetto al convento delle Suore di Carità od ascendendo la spettacolare scalinata completa di n. 156 scalini, realizzata nel 700, antistante il Duomo Normanno, si giunge ai piedi del "Mastio-Dedalico", com'era anche chiamato in epoca lontana, poi detto comunemente dei Chiaramonte, dal nome dell'antica e nobile famiglia che governò Naro per più di un secolo, discendente da Federico Chiaramonte dei Clermont di Piccardia d'Auvergen, che aveva sposato Marchisia Profolio dei Signori di Ragusa e Conti di Caccamo.

Secondo alcuni storici e fra essi Pancrazio, Polieno, Frontino e Placido Palmeri, la suo origine è leggendaria. È collocato nell'età di Cocalo, il mitico re dei Sicani, di cui era la primitiva fortezza.

Quel che è certo che preesisteva alla conquista degli arabi, che lo ingrandirono e lo fortificarono. Ospitò varie volte Federico II d'Aragona, che nel 1330 vi fece aggiungere la massiccia torre quadrata, alta m. 21 e larga per ogni facciata m. 13, come testimonierebbe lo stemma araldico della Casa Aragonese sul lato occidentale della facciata.

Fu rimaneggiato in epoca chiaramontana, quando Matteo Chiaramonte ottenne la Signoria di Naro. Sembra che nel periodo arabo le dimensioni del castello siano state più estese, fino ad arrivare al Vecchio Duomo, allora moschea, con un ampio circuito di mura che arrivava alla casa del conte Arrigo Rosso di San Secondo, vicino la porta Vecchia e, si dice, che poteva ospitare una guarnigione d'otto mila uomini.

Pare che nell'anno 828 sia stata sede dell'emiro Salem, il fondatore di Salemi, messo a governare con mille uomini dall'emiro Abu Dekak, che aveva già conquistato Naro nel marzo dell'828 e nell'anno 829 dall'emiro Abd Allàh el Chalid ben Jshak. Ed, in seguito dall'emiro Ibn Al Abbas, che talvolta ricusò il denaro e volle piuttosto uomini, del Kaid Alì-Ibn-Hawwas. Dal 1081 al maggio 1089 rimane sotto la signoria di Ibn-el-Werd, Signore di Girgenti, Siracusa, Noto e Catania.

Le cronache dicono di lui che scannò i prigionieri e fin le suore di un convento trasse nello harem di Siracusa. Lo spavaldo arabo muore, annegato, combattendo contro il Gran Conte.

A questi succede l'emiro Al Qasim ibn-el-Hamud, l'ultimo Signore arabo di Naro. Anticamente isolato in un pianoro, domina tutta la città e la ferace vallata. 

Munito d'alte mura, si articola intorno ad un ampio cortile non accentrato e tutto intorno una serie di vani, un tempo adibiti a scuderie ed abitazioni degli armigeri.

È costruito con elementi decorativi in pietra da taglio a faccia vista. La torre quadrata rivestita con accurato paramento murario in conci squadrati, presenta sul lato nord-est due belle bifore archiacute, le cui due colonnine di marmo sono state sottratte, con grave danno, perché, uniche finestre di epoca chiaramontana della prima metà del trecento, poggiate su una grossa cornice, che delimita i due ordini.

A mezzo di una scala rampante ed attraverso un bellissimo portale ogivale, artisticamente decorato con motivi chiaramontani, si accede al Salone della Torre, in altre parole alla cosiddetta Sala del Principe o dei Baroni, illuminata dalle bifore succitate, con copertura a botte a sesto acuto, formata da blocchetti di pietra arenaria, proveniente da una cava, da qualche tempo abbandonata, esistente in contrada Donato, rinforzata da un arco mediano traverso, sistemato su pilastri semicircolari a base semiottagonale e capitelli floreali.

Sopra di questa, salendo per una scala di pietra, vi è un porterra, ornato di muraglia merlata, ove nell'angolo di levante e mezzogiorno, vi era una garitta di guardia, la cui veduta si estendeva dall'Etna al mare Africano di Sciacca e tutt'intorno quasi all'infinito. Dichiarato Monumento Nazionale nel 1912 per opera del Comm. Dr. Domenico Riolo, per parecchi anni è stato adibito a carcere mandamentale.  

Il castello è attualmente visitabile e presenta al suo interno la Mostra permanente dell'abito d'epoca "Vento di donne", raccolta di abiti (per lo più femminili) e accessori di fine Ottocento e inizio Novecento.

Al suo interno è stata recentemente ospitata la mostra itinerante Il genio di Leonardo, raccolta di riproduzioni di opere del maestro toscano Leonardo da Vinci. La mostra, curata dall'associazione Anthropos, è stata inaugurata il 28 marzo 2009.

Il fantasma del Castello - Come ogni castello che si rispetti anche questo di Naro ha i suoi ricordi di sangue e di delitti. Un'antica leggenda narra di Madonna Giselda, la castellana dalle chiome nere e dagli occhi azzurri, che innamoratasi del proprio paggio Beltrando ebbe un tragico destino. In una notte di luna piena, mentre Beltrando le cantava sulla terrazza il suo amore, accompagnandosi con le dolci note del liuto, furono sorpresi dal geloso marito, Pietro Giovanni Calvello allora Signore di Naro:

Silenti nubi che nel ciel vagante,
bianche come barchette in alto mare,
a quel meta ne tende il vostro andare,
lontano, lontano, e dal zefero portate?
Squallido tutt'intorno è l'immenso,
romito il colle e triste la paura,
che mette all'alma un senso di paura.
Il picciol fiume scorre terso terso,
e i rai riflette de la fredda luna
che in alto e fra le stelle guarda e tace
Il mondo senza speme e senza pace,
cadono scialbe le foglie ad un ad una,
lente ed avvizzite giù nella foresta.
Così … l'uman vita passa mesta…

Il giovane paggio fu ucciso e gettato dall'alto della torre. Giselda, richiusa in una fredda e buia cella, si lasciò morire di fame e di dolore.

Dice la leggenda che, ancora oggi, nelle notti chiare d'autunno un bianco fantasma di donna vaga sulla terrazza del castello: è madonna Giselda alla ricerca dell'amato Beltrando. E quando si siede nel vano di una merlatura a contemplare il creato, un usignolo sale dai sottostanti giardini e, fattele appresso, con melodiosi gorgheggi canta una struggente e dolorosa canzone.

E la gente, ricordando questa tragica storia d'amore con commossa fantasia, narra ancora oggi di un bianco fantasma di donna, che nelle notti chiare di luna, vaga perdutamente sugli spalti del castello alla ricerca dell'amato Bertraldo.  

Reggia di Cocalo, "Castellaccio"

A circa due chilometri di distanza da Naro, vi è il Castellaccio. Questo luogo testimonia l’esistenza di un’antica fortezza edificata dai Sicani nel 1240 a.C. circa; alcuni storici reputano che si tratta di Camico la capitale del leggendario regno di Cocalo, re dei Sicani. Essa sorge su un altopiano quadrilungo che regala un panorama strabiliante.

Sono sopravissute all’intemperie del tempo: degli avanzi di mura ciclopiche, un’antica scala che forse conduceva alla porta della città e numerose grotte. Emblematico è la torre, che secondo alcune testimonianze, insieme alla torre sulla cima di Naro con quella che era situata sul colle Caravello, costituivano le cosiddette ‘tre torri’ rappresentate sullo stemma della città di Naro, anche se altri fonti credano che lo stemma rappresenta le torri presenti nella mira urbiche della città di Naro.  

Mura e porte urbane

Naro, come tutti i comuni del periodo medievale, era chiuso da una cinta di solide mura merlate, la cui costruzione si fa risalire al 1263. Furono rafforzate nel 1482 e delimitavano un'area pressoché romboidale.

Nel suo perimetro erano valide opere di difesa militare, la torre della collegiata (Duomo), la torre di San Secondo, la torre della Fenice (in corrispondenza dell'odierna Via Madonna della Rocca) e la Torretta.

L'unico reperto ben visibile delle mura è la porta Vecchia, che testimonia il sistema costruttivo realizzato in pietra con arco ogivale ed eleganti merlature.

La cinta muraria, di cui il tracciato originale c'è dato da un dipinto del XIV secolo, conservato nel Santuario di san Calogero, era controllato da sette Porte, simili alla Porta Vecchia.

Le porte d'accesso alla Città nella parte alta erano: Porta della Fenice, Porta San Giorgio (nei pressi del castello), Porta Vecchia (nell'odierna via omonima) o Porta d'Oro, per il colore delle monete circolanti nel vicino ghetto degli Ebrei e per il frumento che ne entrava e che proveniva dalle ricche terre sottostanti, attraverso la reggia trazzera dei Molini, che metteva in comunicazione Naro e la parte nord-orientale della Comarca.

Molto importanti sono le porte della zona bassa, perché ognuna immetteva da una parte verso la campagna circostante, tramite trazzere e dall'altra immettevano in veri e propri assi stradali.

La porta Sant'Agostino, ex Porta Palermo, ad Ovest, che mutò nome dopo l'erezione del Convento agostiniano, che segna l'imbocco della Via Laudicina, con in fondo il convento dei frati agostiniani, a sud la Porta Girgenti all'inizio della via Lucchesi in asse con il castello ed il duomo; Porta Trinità, che nel 1480 muta il nome in porta Annunziata per l'erezione del nuovo convento e della Chiesa del Carmelo, all'inizio della via Specchi e la Porta Licata, aperta nel 1377 per volere di Matteo Chiaramonte, segna l'inizio di quello che dal seicento in poi diventerà l'asse stradale più importante di Naro, cioè la via Maestra e dei Monasteri, l'odierna via Dante Alighieri.

Fino al 1810, nel giorno dell'Ascensione, una singolare processione, che aveva inizio dalla Chiesa della Madonna della Rocca, percorreva la cinta muraria per la benedizione delle mura.

Porta d'Oro

La Porta d'Oro (o Porta Vecchia) è l'unica rimasta delle sei porte che permettevano l'accesso alla città di Naro nel periodo medievale.

La porta fu edificata insieme alle mura di cinta della città, che delimitavano un'area romboidale, nel 1263. Nel 1482 le mura furono restaurate ma nel XVIII secolo, venute meno le funzionalità difensive, furono man mano distrutte. La porta d'oro rappresenta uno dei pochi tratti della cinta muraria conservatisi pressoché intatti fino ai giorni nostri. Il suo nome deriva dalla presenza della dogana e dalla conseguente ricchezza proveniente dai commerci degli ebrei della locale comunità ebraica che proprio vicino a tale porta avevano il loro ghetto e dalla gran quantità di frumento che, proveniente dalle campagne sottostanti, entrava in città attraverso tale porta. 

La porta è costituita da un arco a tutto sesto ed è sovrastata da merli, nei tratti di mura ad essa circostanti sono state oggi ricavate delle abitazioni.

Duomo Normanno

Il Duomo Normanno è un ex luogo di culto cattolico. Esso è monumento nazionale ed è chiuso al culto dal 1867.  

Esso venne edificato nel 1089 ad opera di Ruggero D'Altavilla al di sopra di una preesistente moschea araba poco dopo la conquista normanna di Naro avvenuta nel 1086 e venne dedicato a Maria Santissima Assunta dagli Angeli. Venne elevato a Chiesa Madre, ad opera di Gualtiero Offmill Arcivescovo di Palermo, nel 1174, anno in cui venne abbandonato il rito ortodosso nella Chiesa di San Nicolò di Bari

Nel 1266 (la seconda domenica di maggio) venne consacrato alla Vergine Annunziata, alla presenza del cardinale Rodolfo, Vescovo d'Albano e legato apostolico di Papa Clemente IV, insieme agli arcivescovi di Palermo e di Bari ed ai vescovi di Agrigento, di Mazara e di Patti.

Sul finire del secolo XIV ottiene il titolo di Duomo dal re Martino il Giovane.

Il portale d'ingresso è di epoca chiaramontana e presenta un caratteristico arco a sesto acuto poggiato sopra un gruppo di quattordici colonnine, riccamente modulato ed ornato da zig-zag e palmette.

L'interno fu totalmente rinnovato in età barocca e mantiene pochi resti della originaria ornamentazione in stile corinzio, che però può essere rinvenuta nel cornicione, nelle colonne e nei capitelli.

Si presenta ad impianto a croce latina con cupola ad intersezione dell'unica navata con il transetto. L'interno è modulato secondo un ordine di colonne addossate ai muri della navata, sormontate da cornici da cui si dipartono dei costoloni trasversali in conci di tufo d'irrigidimento della copertura a botte, oggi restaurata.

La chiesa costruita quasi interamente in pietra tufacea, lunga m. 50,60 e larga m. 9,50, è dotata di corpi laterali aggiunti in successione tale da non rispettare alcuna simmetria.

In particolare nel 1565 vi fu aggiunta, da Bernardo Lucchesi Palli di Campofranco, la cappella maggiore, dedicata alla Madonna della Catena, un tempo Patrona della Città di Naro, in cui si trovava una statua, opera di Gagini, che ora si conserva nella Chiesa Madre, inglobando un'antica torre araba.

Nel 1771 per volere del vescovo d'Agrigento, Antonio Lanza, fu restaurata dagli architetti Gaetano e Giuseppe Bennica d'Agrigento e completata dopo 17 anni.

Nel 1788 fu affrescata da due stucchisti palermitani, Emanuele Ruisi ed il figlio Domenico, mentre mastro Ignazio Citillo ed Amedeo Vella, artisti naritani, la ornarono d'arabeschi.

La volta nella parte centrale, prima del crollo, mostrava magnifici affreschi eseguiti da D. Provenzani, il famoso pittore di Palma di Montechiaro: Maria Assunta, Aronne con l'incenso, Davide con l'arpa, Mosè con le tavole della legge, Giosuè in atto di fermare il sole e Giuditta che libera il popolo di Betulia.

Della Signoria dei Chiaramonte ci resta il bel portale d'ingresso, restaurato nel 1818, sebbene corroso dal tempo, con il suo caratteristico arco a sesto acuto, poggiato sopra un gruppo di quattordici colonnine, riccamente modulato ed ornato a zig-zag e palmette, rappresenta uno degli esempi più perfetti di raffinatezza e di preziosità formale raggiunta dall'arte chiaramontana.

Nel vestibolo della chiesa, sulla destra della porta d'ingresso, una rustica nicchia trecentesca con arco e linee spezzate. L'interno, totalmente rinnovato in tarda età barocca mantiene pochi resti della ricca ornamentazione di stile corinzio originaria, rivelabile ampiamente nelle colonne, nei capitelli e nel cornicione.

Nell'interno si poteva ammirare un magnifico affresco del sec.XV (ora presso i locali della Biblioteca Comunale) che raffigura Maria SS. Assunta in cielo, con dodici figure denotanti gli apostoli (foto 28).

Manca la testa della Madonna (b), toltavi con arte da persona del mestiere e che farà bella mostra di sé in qualche museo di Londra o di Parigi, come frammemto d'affresco d'Antonello da Messina, come lamenta il Pitruzzella. Fu chiusa al culto nel 1867 e destinata in seguito a cimitero dei morti di colera nel 1889 e la maggior parte delle opere d'arte ivi custodite fu portata in altre chiese. Era sede della Confraternita dello SS.Sacramento, formata da nobili e sacerdoti, fondata nel 1700, che si mantenne fino alla metà del 1800, al tempo del Rev.do Priore Francesco Costa. Il Viatico è ora celebrato dalla Chiesa Madre con una solenne processione.

Santuario e Chiesa di San Calogero

Il santurario venne edificato nel 1599 al di sopra della "grotta" di san Calogero, dove la tradizione vuole che il santo nero abbia dimorato per una parte della sua vita. La facciata, più volte ripresa, ha aspetto barocco. L'ultimo rinnovo risale al 1954. L'interno è ad unica navata e conserva diversi dipinti fra i quali alcuni raffigurano san Francesco, la Pietà e san Lorenzo Giustiniani.

Non si hanno notizie storiche del periodo in cui fu costruita la chiesa di San Calogero. Si dice, però, che la fondazione della chiesa è stata anteriore al convento. Pare, infatti, che una chiesa dedicata a San Calogero sia stata edificata verso il 1436, al tempo di Papa Eugenio IV, mentre il convento fu fondato dai RR. PP. di San Giorgio in Alga nel 1543, sotto il pontefice Paolo III.

Il 29 giugno dello stesso anno, la chiesa fu concessa dal vescovo d'Agrigento P. Pietro D'Aragona e Tagliavia ai PP. RR. di San Giorgio in Alga, essendo giurati della Città Placido Camastra, Giovan Battista Gueli, Antonio Di Sazio e Giulio Mazza.

I RR. PP. di San Giorgio in Alga, chiamati così perché avevano la loro casa principale nell'isola di San Giorgio in Alga a Venezia, furono fondati all'inizio del 400' da alcuni nobili fiorentini, abbellirono ed ingrandirono la chiesa e tennero la medesima ed il convento fino all'abolizione del loro ordine. Il complesso religioso, quindi, fu acquistato dai RR. PP. Minori Conventuali di san Francesco (con atto del 4 aprile 1672, rogato dal notaio Lorenzo Favara), per la somma di cinque mila scudi, con la condizione di mantenere lo studio di Filosofia e vegliare sul culto del Protettore San Calogero.

La chiesa, restaurata varie volte nel 1666, nel 1748 (anno inciso nell'architrave della porta principale), nel 1819 (fu riportata alla luce la cripta del Santo), nel 1950 e nel 1957, ad unica navata con profonda abside, dipinta da D. Bennardino Buongiovanni e da P. Domenico Di Miceli, rispecchia l'impianto seicentesco.

Dal santuario, scendendo delle scale, è possibile accedere alla cosiddetta grotta di San Calogero, una cappella all'interno della quale è conservata, sopra l'altare principale, la statua del Santo nero realizzata da F. Frazzatta nel 1556, e completata dopo la sua morte dalla figlia.

All'interno della cappella è sepolto il corpo della venerabile suor Serafina Pulcella Lucchesi, nobile narese alla quale, secondo la leggenda, il santo apparve in sogno durante la pestilenza che nel '600 colpì la città per annunciarle che per sua grazia la peste sarebbe presso cessata.

Nella parte sinistra della cappella si trova la vera e propria grotta dove il santo abitò durante la sua vita, al suo interno si trova un affresco raffigurante il santo inginocchiato in preghiera oltre ad una copiosa quantità di ex voto lasciati dai fedeli nel corso degli anni.

La cripta è stata restaurata da Umberto Colonna da Bari, lo stesso artista che ha dipinto anche la figura di San Calogero in preghiera all'interno della grotta, mentre è stata indorata da Cocò Schembri, quando fu pure rinnovato il settecentesco altare da Tito Vaccaro, maestro ebanista, entrambi nostri concittadini.

Varie opere, degne di nota, della prima metà del secolo XVIII, si conservano nella chiesa insieme a numerosi dipinti d'autori anche contemporanei.

Notevole è la cappella (700) dedicata a Santa Lucia, affrescata con scene della vita della Santa di Siracusa, l'altare marmoreo del 1444, scolpito a bassorilievo con l'adorazione del SS. Sacramento.

Ed, altresì, un Cristo alla colonna, molto curioso, in marmo le cui particolari venature imitano il sangue sparso sul corpo flagellato, opera di maestranze trapanasi.

Il prospetto esterno, forse dovuto a Giovanni Biagio Amico od a Rosario Gagliardi, mostra i suoi partiti architettonici più rilevanti nella facciata principale convessa, divisa in duplice ordine, di gusto barocco, in cui risalta il portale principale d'ingresso in pietra da taglio.

Notevole è anche il coevo portale laterale secondario, legato a formule rococò, diviso in due sezioni, l'inferiore fiancheggiato da due colonne per lato, poggianti su alti piedistalli ed a corpo avanzato rispetto al parametro murario e terminanti, con raffinati capitelli corinzi, su cui poggia una cornice, dove si eleva una cappelletta al centro della quale v'è l'affresco di San Calogero con la cerva ed il cacciatore Arcadio.

Attualmente la chiesa ed il convento è sede dei P. Guanelliani, che con il loro costante impegno in campo spirituale e sociale, mantengono l'attività del Santuario in crescente dinamismo, ultimamente con la lodevole iniziativa dell'istituzione di una Casa-Albergo in favore degli anziani.

La festa di san Calogero - Il santuario è meta di molti fedeli che vengono a ringraziare il Santo per le molteplici grazie ricevute, uno dei modi più caratteristici di ringraziare il santo consiste nel portare al Santuario delle forme di pane modellate come le parti del corpo guarite per intercessione del patrono di Naro, san Calogero è infatti venerato come santo taumaturgo (che guarisce dalle malattie). Queste forme di pane vengono benedette dai padri guanelliani e poi distribuite ai fedeli. Il flusso di persone devote al santo nero si fa più copioso a partire dal 18 maggio, inizio del mese di san Calogero, e culmina con la festa del 18 giugno, quando i fedeli trascinano il Santo, posto su una grande slitta detta straula, per le vie della città tirandolo con delle funi lunghe 200 metri. Il periodo dei festeggiamenti ha inizio il 15 giugno con "l'acchianata" del simulacro dalla grotta al santuario e termina il 25 giugno con la cosiddetta ottava di san Calogero. Durante questi dieci giorni in città si svolgono diverse manifestazioni artistiche e culturali e le vie principali sono allestite a fiera e mercato.  

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