Agrigento e la Valle dei Templi
  
  

La storia di una città è fatta (anche) dai suoi nomi: nel nostro caso, alla greca Akràgas seguono la romana Agrigentum, la Girgenti araba e normanna e infine, dal 1927, la moderna Agrigento dei nostri giorni. Un unico nome in forme diverse è certamente il segno di una storia lunga e gloriosa, ma anche complessa e tormentata, ricca assieme di gloria e di contraddizioni.

La colonia greca di Akràgas, secondo la tradizione, fu fondata nel 582 a.C. dagli abitanti di Gela, a sua volta edificata cent'anni prima da coloni di stirpe dorica provenienti da Rodi e Creta. La tradizione ci ha tramandato anche i nomi dei due uomini, Aristonoo e Pistilo, che avrebbero guidato i coloni e cui spetterebbe quindi il titolo di ecisti cioè, in greco, "fondatori" della città.

La fase più antica della storia di Agrigento è legata al dominio di alcuni tiranni, sulla cui biografia spesso la verità storica si mescola alla leggenda. Il primo è Falaride, che sarebbe stato tiranno della città per oltre quindici anni, fra il 572 e il 556 a.C. Originario secondo alcune fonti dell'isola greca di Astipalea (oggi Stampalia), secondo altre rampollo di una nobile famiglia di Rodi, giunse ad Agrigento quando la città era ancora un gigantesco cantiere e vi esercitò l'incarico di esattore delle imposte. Ottenuto un importante appalto per la costruzione del tempio di Zeus sull'acropoli, Falaride utilizzò il denaro ricevuto dalla città per assoldare un piccolo esercito personale, di cui si servì per prendere il potere. Potere che avrebbe esercitato con il pugno di ferro, non senza una buona dose di sadismo. La leggenda più famosa tramandata su di lui è quella che riguarda la statua di bronzo raffigurante un toro a grandezza naturale, vuota all'interno e dotata di uno sportello, di cui si sarebbe servito per eliminare gli oppositori. Questi venivano chiusi all'interno della statua collocata sopra un falò acceso, fino a morire fra atroci tormenti, ustionati dal metallo arroventato. Ma non basta: la leggenda vuole che il tiranno avrebbe provato un particolare piacere nell'ascoltare le loro grida disperate, grida che il metallo avrebbe trasformato in suoni simili al muggito di un toro.

Fra le opere pubbliche più significative intraprese da Falaride ci fu la costruzione della prima cinta di mura, che con il tempo raggiunse un'estensione di ben dodici chilometri. Dotate di nove porte, le mura di Agrigento seguivano sostanzialmente la conformazione naturale del terreno, in quanto Agrigento venne costruita su una piattaforma rocciosa che in diversi punti, specialmente a sud, si eleva a strapiombo sulla piana circostante.  

Dopo la morte di Falaride, nel 555 a.C, Agrigento attraversò un perio­do di governo oligarchico, durato quasi settant'anni, del quale abbiamo scarse notizie. Sembra che in questa fase il potere sia stato esercitato da una "Assemblea dei Mille", mentre in città veniva progressivamente affermandosi il potente clan degli Emmenidi, che nel 488 a.C. presero il potere con l'inizio della tirannia diTerone.

Secondo la tradizione, Terone rimase al potere per quasi vent'anni (fino alla morte, nel 472 a.C), riprendendo in politica estera l'approccio aggressivo di Falaride, espandendo il territorio controllato da Agrigento verso Gela, Selinunte e Himera. Queste mire espansioniste furono, tuttavia, accompagnate da un'accorta strategia diplomatica che culminò con il doppio matrimonio tra sua figlia e Gelone, tiranno prima di Gela e successivamente di Siracusa, il quale gli offri la mano della nipote. Ma nel frattempo una nuova minaccia incombeva sull'intero mondo greco: guidati dal re Serse, i Persiani erano intenzionati a invadere la Grecia. Questo progetto, dopo la vittoria alle Termopili, fu vanificato dalla sconfitta nella battaglia navale di Salamina, nel 480 a.C.

Contemporaneamente Cartagine, che controllava la parte occidentale della Sicilia e aveva il suo centro nevralgico nella colonia di Palermo, decise di scendere in guerra contro le colonie greche dell'isola per ottenerne il controllo. La battaglia decisiva si svolse sulla terraferma, nei pressi dell'antica Himera. Anche in questo caso, come a Salamina, la vittoria arrise ai Greci e permise ad Agrigento, nonostante i rapporti con Sira­cusa non fossero sempre sereni, di assurgere al ruolo di grande potenza all'interno della Sicilia.

Nei pressi del tempio di Eracle sorge un monumento che per secoli la fantasia popolare identificò con la tomba di Terone: in realtà si tratta di un edificio di età romana.

Alla morte di Terone, nel 472 a.C., il potere ad Agrigento passò nelle mani del figlio Trasideo, cui il padre aveva in precedenza assegnato il governo di Himera. Secondo lo storico Diodoro Siculo, il suo potere sarebbe durato solamente pochi mesi: sconfitto in battaglia da Cerone, tiranno di Siracusa, fu deposto e la tirannide sostituita da un governo oligarchico. Iniziò allora un periodo piuttosto confuso della storia agrigentina, sul quale le fonti antiche non offrono molte certezze. 

Quel che sappiamo è che alla prosperità economica si accompagnò un clima politico molto teso all'interno della città, a causa degli scontri tra fazione oligarchica e fazione democratica. A questo periodo, caratterizzato da grande prosperità economica, risale l'edificazione dei templi dedicati, secondo la tradizione, a Giunone, ad Asclepio, a Vulcano e alla Concordia. Secondo lo storico Diodoro Siculo, in quest'epoca la città arrivò a contare duecentomila abitanti, di cui almeno ventimila erano cittadini con pieni diritti. Dopo la fallita spedizione ateniese contro Siracusa dell'anno 415 a.C, sull'isola si impose progressivamente l'egemonia di Cartagine, che conquistò Himera nel 409 a.C. e nel 406 espugnò e distrusse la stessa città di Agrigento.

Nei decenni successivi la città cercò faticosamente di recuperare il pre­stigio perduto, dapprima alleandosi con Siracusa contro Cartagine in un lungo conflitto dagli esiti alterni. La rifondazione di Agrigento fu guidata secondo la tradizione, da Magillo e Feristo a capo dei coloni provenienti da Elea (nell'attuale provincia di Salerno). A seguito di questi eventi la città conobbe una nuova fase di fioritura economica e architettonica, testimoniata dai ritrovamenti archeologici relativi al cosiddetto "quartiere ellenistico-romano"; per quanto riguarda invece l'edilizia pubblica, sempre a quest'epoca risalgono le nuove sedi del governo cittadino, destinate ad accogliere l'assemblea dei cittadini e il "governo" della città.

Il III secolo a.C. fu un periodo determinante per la storia di Agrigento. Ebbe inizio con un avvenimento di grande importanza simbolica, cioè la distruzione della madrepatria Gela nel 282 a.C. ad opera del tiranno Finzia e proseguì con la sconfitta subita ad opera dell'esercito siracusano nel 280. A quest'epoca risalgono alcune guerre fra Roma e Cartagine, note come Prima (264-241 a.C.) e Seconda guerra punica (218-202 a.C); Agrigento scelse l'alleanza con i vecchi nemici cartaginesi, e ne pagò le conseguenze. Nel 262 a.C, infatti, fu cinta d'assedio da due eserciti consolari che riuscirono a conquistarla dopo sette duri mesi d'assedio, nel corso dei quali i Romani subirono anche un attacco cartaginese dall'esterno, che riuscirono tuttavia a respingere riportando una vittoria decisiva in quella che è nota come "battaglia di Agrigento ". La città fu abbandonata al saccheggio e più di 20.000 dei suoi abitanti furono venduti come schiavi. Il poco che sopravvisse fu a sua volta distrutto dai Cartaginesi allorché ripresero la città nel 255 a.C. Nel corso della Seconda guerra punica Roma dovette di fatto riconquistare e pacificare nuovamente l'intera Sicilia, occupata dagli eserciti cartaginesi nel 213 a.C. La riconquista di Agrigento da parte del console Marco Valerio Levino, nel 210 a.C, costituì di fatto l'ultimo atto della campagna; la città fu nuovamente saccheggiata dai legionari e ancora una volta moltissimi cittadini furono venduti come schiavi. Proprio a Levino, secondo alcune fonti, si deve l'avvio della trasformazione del territorio di Agrigento, così come dell'intera Sicilia, in quello che verrà poi chiamato il "granaio di Roma".  

Proprio l'agricoltura, assieme al commercio, consentirono alla città di mantenere una discreta prosperità nel corso degli ultimi due secoli della repubblica. Prosperità che conobbe di fatto solo tre battute d'arresto significative. Le prime due in occasione delle rivolte degli schiavi che sconvolsero l'intera Sicilia fra il 136 e il 132 a.C. e poi nuovamente fra il 104 e il 99 a.C; la terza nel corso dei tre anni, fra il 73 e il 71 a.C, in cui fu propretore dell'isola il famigerato Gaio Licinio Verre, il quale si macchiò di soprusi e ruberie di ogni genere. A seguito delle prove a suo carico raccolte da Cicerone in occasione del processo che i Siciliani gli intentarono nell'anno 70, Verre abbandonò Roma e l'Italia prima ancora della sentenza, rinunciando alle sue ambizioni politiche. Fra le vittime dei suoi saccheggi di opere d'arte c'era anche Agrigento, cui il propretore aveva sottratto una statua in marmo di Apollo ospitata nel tempio di Asclepio. Solo la pronta reazione dei cittadini aveva invece impedito il furto della statua in bronzo di Eracle, realizzata dal grande artista Mirane nel V secolo a.C. e conservata nel tempio consacrato all'eroe. Senza contare le centinaia di "appropriazioni indebite" perpetrate all'interno di case private.

Con l'avvento al potere di Augusto, quarantanni più tardi, si ebbe la piena assimilazione al nuovo regime imperiale della città di Agrigento, elevata al rango di municipium: i suoi cittadini ottennero in tal modo la cittadinanza romana. In questa fase la città conobbe una notevole prosperità economica grazie all'agricoltura, all'allevamento, alle attività estrattive legate in particolare allo sfruttamento delle miniere di zolfo e, naturalmente, alla presenza del suo porto, uno dei pochi che sorgeva sulla costa meridionale dell'isola. La ricchezza raggiunta dall'aristocrazia terriera ed imprenditoriale della città è testimoniata in particolare da diverse abitazioni private, scoperte dagli archeologi, nonché di alcune tombe della grande necropoli che sorse a sud della Valle dei Templi. Con il tardo impero e poi la successiva della caduta dell'impero d'occi­dente, nel 476 d.C, iniziò infine la decadenza della città, testimoniata storicamente e archeologicamente dal fatto che gran parte dell'antica area urbana venne progressivamente abbandonata e gli abitanti si ritirarono sulla collina di Girgenti, nell'angolo nord-occidentale della città.

A partire dall'anno 828-829, quando fu conquistata dagli arabi, Agrigento conobbe una momentanea rinascita economica e demografica, unita ad un profondo riassetto della struttura urbana. I nuovi occupanti ne fecero la loro capitale ribattezzandola Gergent, Girgenti, nome che la città mantenne fino al 1927.

Conquistata dai Normanni nel 1087, l'anno successivo la città venne elevata a sede vescovile con la nomina a vescovo di Gerlando di Besancon che resse la diocesi per dodici anni (1088-1100). Durante il suo episcopato fu promotore non solo della costruzione della Cattedrale (1096-1102), che venne edificata nell'area più rilevante della città e dedicata alla Vergine e a San Giacomo, ma anche della fortificazione del castello di Agrigento da cui successivamente la città prese nome. Proclamato santo nel 1159, divenne patrono della città e a lui venne dedicata la Cattedrale. Successivamente, nel corso del secolo XIV le potenti famiglie dei Chiaramonte e dei Montaperto costruirono una nuova cinta di mura al cui interno furono ospitati i conventi di San Francesco e San Domenico.

Una nuova fase di incremento demografico e di espansione urbana si ebbe a partire dal secolo XVIII; l'elevazione di Girgenti a capoluogo di provincia, nel 1817, sancì di fatto l'avvenuta rinascita di questa antica e gloriosa città.

Centro storico

Il centro storico di Agrigento è individuabile sulla sommità occidentale della collina dell'antica Girgenti. Risalente all'età medioevale del XI e XV, conserva ancora oggi vari edifici medioevali (chiese, monasteri, conventi e palazzi nobiliari).

Da aprile del 2016 è tornato a chiamarsi ufficialmente Girgenti, toponimo dell'intera città dismesso nel 1927 su volere di Benito Mussolini.

Nel centro storico sono custodite significative testimonianze dell'arte arabo-normanna, tra cui in particolare la cattedrale di San Gerlando, il Palazzo Steri sede del seminario, il palazzo vescovile, la Basilica di Santa Maria dei Greci ed il complesso monumentale di Santo Spirito e le porte delle cinta muraria.  

Dal disegno di autore Anonimo del 1584, tratta dall'Atlante Storico della Sicilia di L. Dufour, si rileva una rara immagine della città medievale, circondata da una cinta muraria e da un tessuto urbano poco differenziato. In alto spiccano i più importanti edifici quali lo Steri, la Cattedrale, il Castello, la Chiesa di Santa Maria dei Greci.

Al centro si nota un burrone che taglia a metà il Colle, detto della Via Bac Bac. Ancora non sono visibili altri edifici che verranno costruiti successivamente alla stampa del disegno.

Il Centro Storico di Agrigento è databile intorno al XI e il XIII secolo, sorto per necessità difensive, logistiche e commerciali, in relazione alla vicinanza del porto. Gli ultimi abitanti dell'antica Akragas, minacciati dall'invasione musulmana e per l'eccessiva vicinanza delle antiche mura troppo estese e quasi vicine al mare, si arroccarono nel colle occidentale dell'Acropoli, dove costruirono un Castello ed un recinto murario attorno alla città medioevale che poi prese il nome di Girgenti, creando, quindi, una vera e propria fortezza.

Anche se le condizioni di vita risultarono decadenti, iniziò l'espansione urbanistica all'interno della città muraria, passando dalla città antica a moderna, arricchendo l'abitato con Palazzi, Chiese e Monasteri, artisticamente influenzate da scambi culturali arabo-normanna.  

Nel XIV secolo si diffuse in Sicilia uno stile architettonico che prese il nome di Stile chiaramontano. Si tratta di applicazioni in pietra bianca di Comiso con modanature a zig zag, incastonate nelle ghiere merlettate di portali e bifore a sesto acuto, con il fine da rendere più suggestive e abbellire le facciate esterne ed interne di Chiese, Palazzi, Monasteri, conventi e ospedali.  

Le mura  

La costruzione delle prime mura di Agrigento ebbe inizio quasi certamente fin dall'epoca del primo tiranno, Falaride (572-556 a.C), e venne proseguita all'epoca di Terone (488-472 a.C). Oggi buona parte di queste imponenti fortificazioni è scomparsa a seguito dello sviluppo della città moderna, ma in epoca antica si trattava di un circuito di ben 12 chilometri che racchiudeva al suo interno una superficie di quasi 450 ettari, dalla Valle dei Templi, a sud, fino alla Collina di Girgenti, a nord-ovest: decisamente eccessiva rispetto alle reali esigenze urbanistiche della città, tanto che diverse aree comprese all'interno delle mura rimasero di fatto inabitate e furono utilizzate per attività agricole e pastorali.

Questa particolare situazione era frutto certamente di una volontà propagandistica, ma anche e soprattutto del fatto che le mura furono realizzate sfruttando l'elevazione naturale del terreno: Akragas fu costruita su un altopiano di natura calcarea che si eleva dal territorio circostante con pareti in generale molto scoscese. Le difese offerte dalla natura, unite all'intervento dell'uomo, offrivano pertanto alla città un formidabile sistema difensivo, dotato anche di torri di avvistamento, che nel corso della plurisecolare storia della città ne garanti in diverse occasioni la salvezza, o costituì comunque per i nemici un ostacolo particolarmente difficile da superare. Agli occhi di un osservatore esterno la città doveva apparire difesa da una muraglia ininterrotta formata dalla roccia naturale, in alcuni tratti appena sbozzata dalle mani dell'uomo, integrata da settori evidentemente artificiali, realizzati con blocchi di pietra calcarea.

In mancanza di testimonianze dettagliate sulle diverse fasi di realizzazione della cinta muraria, gli archeologi hanno ipotizzato che la sua realizzazione abbia preso l'avvio dal versante meridionale dell'altopiano, la cosiddetta Collina dei Templi, meno elevato e pertanto più facilmente aggredibile. 

A nord la parete dell'altopiano scende praticamente verticale sulla piana sottostante, mentre a est e a ovest una formidabile difesa naturale è assicurata dai profondi valloni scavati nel corso dei millenni dai fiumi Akragas e Hypsas (oggi rispettivamente San Biagio e Sant'Anna).

Nel circuito delle mura vennero aperte diverse porte, destinate a collegare la città con il suo vasto territorio. Gli archeologi ne hanno identificate ben nove: due a est (Porte I e Porta II), tre a sud (Porta III, Porta IV e Porta V), due a ovest (Porta VI e Porta VII) e due a nord (Porta Vili e Porta IX). L'esistenza infine di una decima porta a nord è stata fino ad ora solamente ipotizzata.

Porta II e Porta VI, chiamate anche, rispettivamente, Porta di Gela e Porta di Eraclea, collegavano Agrigento alla grande arteria che attra­versava la Sicilia meridionale collegando il territorio di Agrigento con quello di Gela (a est) e di Selinunte (a ovest). Di particolare suggestione è certamente Porta II alla quale si accedeva percorrendo una strada scavata nella viva roccia sulla quale sono ancora perfettamente visibili i solchi tracciati dalle ruote dei carri che per secoli la percorsero, portando uomini e merci dentro e fuori la città. Questo accesso era inoltre difeso da ben tre torrioni, uno più grande e due di dimensioni minori. Da Porta IV (nota anche come Porta Aurea forse già a partire dall'età bizantina), ubicata nel giardino di Villa Aurea, tra i templi della Concordia (a est) e quello di Èrcole (a ovest), partiva la strada che collegava la città al suo porto.

Parzialmente demolite a seguito della conquista cartaginese nel 406 a.C., le mura furono riedificate dopo il 339 all'epoca di Timoleonte. Il circuito non cambiò rispetto a quello originario e neppure i materiali di costruzione; diversi ingressi alla città, come Porta II, Porta III, Porta IV e PortaVI, vennero ricostruiti e dotati di possenti baluardi difensivi e torri di avvistamento. In particolare all'esterno di Porta II (la Porta di Gela) fu realizzato un bastione a tenaglia, costituito da due muraglioni fra loro paralleli, che resero l'accesso praticamente inespugnabile da parte di eventuali nemici.

Nuovi lavori di ristrutturazione furono realizzati ancora nel III secolo a.C, utilizzando questa volta una tecnica di tradizione romana: due cortine parallele, una esterna e una interna, riempite di pietrame e materiale di risulta.  

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Agosto 2018