Porte
Porta
del Vescovo
- Risalente al XV secolo, si affaccia sul ciglio
settentrionale delle Mura, venne chiusa nel 1755 per ampliamento del
Vescovado.
Porta
Bibbirria
- Risalente al secolo XI, era chiamata Plebis Rea,
collocata nella Piazza omonima, accanto alla chiesa di Sant'Onofrio. La
Porta e la Chiesa furono insieme distrutte nel 1864. Un documento
storico del 15 agosto 1266, depositato presso l'Archivio Storico di
Palermo, ne documenta l'esistenza sin dai " tempi
remoti", di indefinibile data.
Porta
della Gioiosa
- Risalente all'XI secolo, costruita accanto alla
chiesa Madonna degli angeli detta della Porzincuola delle Indulgenze
(gioiosa), è stata demolita all'inizio del '900 perché ormai
pericolante.
Porta
di Ponte
- Risalente al XI
secolo, fu la più importante porta della città; non c'è mai
stato un ponte
levatoio come generalmente si crede. La Porta era sormontata
da un arco gotico con
lo stemma di Federico
III d'Aragona, re di Sicilia dal 1296 al 1337.
Fu completamente distrutta nel 1868 e
ricostruita, senza più l'arco, nello stile neoclassico su
progetto di Raffaello
Politi. Dell'originaria porta esistono due disegni, uno del 1823 eseguito
da Leo
Von Klenze e l'altro del 1829 eseguito
da Friedrich
Maxmilian Hessemer.
La
Porta di Ponte era anche l'ingresso della via Atenea, principale arteria
della città medioevale di Girgenti.
Porta
di Mazara
- Risalente all'XI secolo, si trova nella parte alta
occidentale della città, accanto alla Cattedrale di San Gerlando ed al
Seminario dello Steri. La Porta, detta anche "del Pertugio per
via del rimpicciolimento del varco, dovuto alla trasformazione dello Steri in Seminario,
venne chiusa nel 1846.
Porta
del Borgo
- Risalente all'XI secolo, era la Porta che aveva prima
preso il nome di Mazara, segnava il confine della città con il
quartiere del Rabato, venne demolita dal Comune nel 1873.
Porta
di Mare
- Risalente al XV secolo, è tuttora esistente ma interrata.
Porta
del Marchese
- Risalente al XIV secolo, era collocata tra le cinque
torri meridionali della città medioevali, poi distrutta.
Porta
Balnei (Porta dei Bagni) - Risalente al XII secolo, faceva parte di
un'antica cinta muraria arabo-normanna che fu demolita qualche secolo
dopo per l'allargamento della cinta muraria. Il nome Porta Bagni deriva
dalla strada che conduceva a sud, attraversando la Giudecca, il lavacro
sacro degli ebrei girgentini fino al 1492.
Porta
Panitteri - Risalente all'XI secolo, si trovava lungo il fossato
meridionale della città. Fu distrutto a seguito della costruzione della
Stazione Ferroviaria di Girgenti, ricostruita in sede poco distante nel
1930. Di essa rimane un'edicola del XVII secolo raffigurante la Madonna
del Lume.Porta Cannone - Risalente al XVI secolo, si trovava
all'estremità occidentale della città, accanto alla chiesa
dell'Addolorata, al confine con il quartiere Rabato. Fu demolita per
ragioni urbanistiche del tempo, nel 1864. Ma di questa antica porta
rimane un eccezionale documento storico in un dipinto del francese
Desprez, che erroneamente scambiò il quartiere Rabato con la Rupe
Atenea, dove si scorgono la Torre circolare, la Porta Cannone e la
chiesa dell'addolorata.
Fossato
- Di notevole importanza strategica-difensiva era il Fossato molto
profondo creato parallelamente all'interno delle mura meridionali, in
tutta la sua lunghezza, tale da rendere quasi impossibile l'accesso ai
vicoli della cittadella. Dalla fine del XVII secolo questo enorme
fossato, con profondità diverse, venne via via riempito per ragioni
strutturali ed urbanistiche, fino al raggiungimento del livello attuale,
dove ora sorge la città di Agrigento.
Nave
di Empedocle - La Nave di Empedocle era un enorme voragine
naturale che divideva l'antica Girgenti in due colline. Nella collina
occidentale era arroccata la città Medioevale (Fortezza di Kokalo);
nella collina orientale, meno popolata, era il promontorio della Rupe
Atenea. Un disegno del 1775, tratto da "Antichità Siciliane
spiegate" di G. Pancrazi, visualizza chiaramente tutta la
collina di Girgenti, dove si scorgono il Castello Medioevale, il burrone
e la Rupe atenea.
Porta
dei Saccajoli - Risalente all'XI secolo, detta "dei
pastai", è tuttora esistente, in parte interrata. Essa rappresenta
un chiaro esempio di stile Chiaramontano, caratterizzato dall'utilizzo
dell'arco a sesto acuto, proprio della tradizione architettonica
normanna. Nel XVI secolo all'interno venne collocata una edicola sacra
dedicata alla Madonna del Porto Salvo e successivamente dedicata a Santa
Lucia. La chiesetta soprastante fu in seguito distrutta per ragioni
urbanistiche, e la Porta rimase seminterrata, ma ancora visibile.
Castello
Il
castello, ubicato al vertice del tessuto urbano, sulla collina di
Girgenti, fu costruito per assicurare il controllo della città
musulmana appena conquistata da Ruggero e servì da base per completare
la conquista della zona. Il castello sfruttava la posizione favorevole
del sito, un rilievo naturalmente difeso. Sulla 'collina di Girgenti' si
sviluppò la città medievale mentre la 'Rupe Atenea' corrisponde quasi
certamente all'acropoli del periodo greco. Ai piedi dell'acropoli,
nell'area oggi denominata Valle dei Templi, si estendevano l'abitato e i
monumenti pubblici antichi.
Purtroppo
rimangono pochissimi avanzi del castello, le cui rovine sono state
ulteriormente stravolte dalla costruzione di un serbatoio idrico. Dalle
fonti documentarie si può ricavare qualche informazione sull'aspetto
strutturale del fortilizio in epoca normanna.
Nel
1087, la città si arrende ai Normanni e Ruggero vi ordina la
costruzione di un fortilizio (castellum firmissimum) munito di torri e
propugnacula, qui il Malaterra utilizza le due parole turres
etpropugnacula che evocano l'esistenza di una cinta munita di torri; nel
1150 ca. è descritto come "un'eccelsa e forte rocca" e come
"una delle principali fortezze per l'attitudine alla difesa"
da parte di Idrisi.
Nel
1273, il castrum Agrigenti è annoverato fra i castelli demaniali. Le
rappresentazioni grafiche, elaborate a partire dal XVI secolo,
raffigurano un complesso a pianta assimilabile a quella di un trapezio
isoscele, con corte interna, due torri di cortina e vari corpi di
fabbrica addossati alle mura perimetrali.
Le
pessime condizioni del castello di Agrigento, in disfacimento totale,
non danno la possibilità di aggiungere nulla allo studio delle fonti e
i resti fuori terra visibili ed in abbandono non consentono una lettura
ricostruttiva dell'impianto.
Cattedrale
di San Gerlando
La Chiesa
di Agrigento è stata tra le prime fondate in Sicilia subito
dopo l’avvento del Cristianesimo.
Molti documenti sono stati distrutti dalle guerre e dalle molteplici
devastazioni che interessarono l’Isola nei vari secoli, per cui è
assai difficile ricostruire i primi secoli della diffusione del Vangelo in
questo angolo del Mediterraneo.
La fede
cristiana era riuscita presto a diffondersi in Sicilia nonostante i
terribili momenti della persecuzione romana (durante i quali lo stesso Vescovo
agrigentino Libertino perse la vita). Ma l’occupazione
araba nel IX secolo portò anche nell’antica Akragas le
leggi dell’Islam. I musulmani,
infatti, vietarono la costruzione di chiese ed anche se permisero il
culto, ciò avvenne in condizioni piuttosto difficili: vennero chiuse le
scuole di teologia cattolica, abolite le festività cristiane, messe a
tacere le campane delle chiese, distrutta la gerarchia ecclesiastica.
Ma dopo
due secoli e mezzo di dominazione
araba, Agrigento riprese il cammino della fede cristiana. Nulla,
infatti, poterono le fortificazioni innalzate attorno alla città dagli
emiri arabi dinanzi alla straordinaria potenza bellica dell’esercito
normanno di Ruggero, che il 25 luglio del 1088 strappò la città ai
saraceni e la “recuperò al culto del vero Dio”, come amava dire lo
stesso conte normanno.
Questi
immediatamente diede disposizioni per avviare la rievangelizzazione
della città e del territorio appena conquistati e pertanto scelse Gerlando
di Besançon quale Vescovo di Agrigento e gli diede
l’incarico di costruire la Cattedrale. Il novello prelato si mise
subito all’opera e grazie alle donazioni di Ruggero completò
in soli sei anni il nuovo tempio e lo dedicò alla Madonna
Assunta e agli Apostoli.

Con
molta probabilità la costruzione del Duomo venne iniziata nel 1090 e
completata sei anni dopo. Ma quella prima fabbrica venne innalzata per
due terzi sulla terra ferma e per un terzo su di una falda di terreno
argilloso e franoso. Pertanto già alcuni decenni dopo si rilevarono
notevoli problemi di stabilità e i successivi interventi hanno quasi
totalmente trasformato il primitivo edificio normanno, di cui resta ben
poco a causa degli sviluppi apportati in momenti diversi. Già nel 1198
essa risulta infatti “collapsa e diruta” (crollata e distrutta).
Ciò
probabilmente anche a causa delle continue lotte tra cristiani e
saraceni ad Agrigento. Non tutti i Musulmani erano stati infatti
cacciati e in quegli anni lo stesso vescovo agrigentino Urso venne da
loro catturato e rimase prigioniero nel castello di Guastanella per ben
14 mesi.
Le
necessità della guerra costrinsero Federico
II ad usare la Cattedrale agrigentina come presidio
militare. Un altro vescovo, Gualtieri, che resse la diocesi nel secondo
decennio del secolo XIII, per timore dei pirati berberi che infestavano
le acque del Mediterraneo e sottoponevano le città portuali della
Sicilia a violenti saccheggi, fece costruire una torre di difesa nel
lato nord della Cattedrale. Secondo alcuni studiosi il vescovo si servì
dei ruderi del tempio di Giove. C’è poi chi sostiene che la
Cattedrale sia stata innalzata sopra l’antico tempio greco di Giove
Atabirio. La torre del Gualtieri esistette sino al 1835, poi
venne fatta abbattere dal vescovo
D’Agostino perché assai pericolante e sostituita col
bastione di sostegno.
“Quasi
interamente distrutta” trovò la Cattedrale anche il prelato Rainaldo
di Acquaviva e provvide a ricostruirla e a riconsacrarla
(1248).
Il 4
aprile 1315, sotto il Vescovo Bertoldo
De Labro, essa assunse l’attuale nome di San
Gerlando. Gli Agrigentini volevano così onorare e ricordare il
Santo vescovo che aveva rievangelizzato la città dopo la dominazione
araba e aveva costruito la Cattedrale.
Nello
stesso secolo il Vescovo Matteo
de Fugardo decise di ricostruire il tempio perché lo trovò
gravemente danneggiato, probabilmente anche a causa di nuove guerre e
terremoti. Il Papa
Urbano VI aderì all’iniziativa del vescovo agrigentino e
emanò una bolla concedendo l’indulgenza parziale a quanti avessero
contribuito alla ricostruzione del Duomo. Le cronache del tempo
attestano che il contributo più cospicuo venne da parte di Matteo
Chiaramonte, rampollo della più potente famiglia dell’epoca.
Un altro potente del tempo, Giovanni
Montaperto, canonico della Cattedrale e poi Vescovo di Mazara,
realizzò nel 1470 il nuovo campanile, che però rimase incompleto.
Non è
quindi un caso che le quattro porte e le quattro finestre finte in stile
plateresco che vediamo sul lato meridionale della Cattedrale portino
quattro stemmi, con mitra, della nobile famiglia
Montaperto. Al Vescovo
Fugardo si deve l’attuale pianta a croce latina.
Su
iniziativa del vescovo Giuliano
Cybo nel secolo XVI fu ricostruita la sezione occidentale e
vennero aggiunte, sullo stesso lato, altre costruzioni. Probabilmente
infatti – se valutiamo attentamente alcuni documenti dell’epoca –
prima del suo insediamento era crollata la volta della navata centrale,
a causa del dissesto delle colonne e del muro del lato Nord. Della
stessa epoca è la realizzazione del soffitto ligneo a cassettoni
dorati, che porta lo stemma dell’aquila bicipite imperiale,
anch’essa dorata.
Secondo
lo studioso Giovanni
Zirretta i lavori realizzati successivamente per
disposizione di monsignor Giovanni
VI Orosco (1595-1606) furono disastrosi: “La Cattedrale
perse il primo stile, puro ogivale, dagli archi a sesto acuto e dalle
colonne ottagonali – scrive Zirretta – e divenne proprio deforme con
gli archi romani e le colonne fatte divenire rotonde a forza di stucco,
da sembrare tanti “salsicciotti” come scritto da Politi”.
La
cappella di San Gerlando venne eretta durante il vescovado di Monsignor
Trahina (1627-1651) e vi venne successivamente posta
l’arca d’argento che conserva i resti del patrono di Agrigento. Il
20 novembre 1658 il Vescovo
Francesco Gisulfo, entrato nella Cattedrale a prendere possesso
della novella sede e trovatala spoglia d’ornamenti, protestò
pubblicamente e disse che ” tutte le sue cure avrebbe egli speso a
migliorarla e l’avrebbe riguardata per l’avvenire sì come la
pupilla degli occhi suoi”. Non venne meno alla sua parola: in poco
tempo ornò la cattedrale con stucchi dorati e con nuovi dipinti per la
realizzazione dei quali mandò a chiamare il celebre artista Michele
Blasco. Arricchì inoltre l’interno con due bellissimi organi e
con candelabri, vasi di argento e altre preziose suppellettili. Basti
dire che nel corso di sei anni spese la considerevole somma di 70 mila
scudi.
Qualche
decennio dopo però, nel 1693, il terremoto che quell’anno distrusse
Catania, Noto, ed altri centri della Sicilia orientale ebbe gravi
effetti anche sulla Cattedrale agrigentina. Il sisma, infatti, provocò
forti danni anche alle strutture fondamentali.
I danni
artistici maggiori vennero fatti nel 1682 sotto il vescovado di monsignor
Rhini, che adornò la Cattedrale del prospetto rivolto ad
occidente.
Tenterà monsignor
Bartolomeo Lagumina all’inizio del nostro secolo di
ripristinare il Duomo nella sua classica architettura originale. Così
ricorda Gerlando
Lentini gli interventi di questo dotto vescovo: “Un fregio
di capitello libero da incrostazioni fece balenare al suo occhio esperto
il tempio nella sua primitiva bellezza. La calce e lo stucco caddero
sotto il piccone e vennero fuori colonne ottagonali, fregi delicati,
affreschi, cappelle di rara bellezza, stemmi chiaramontani”.
Ma a
seguito della rovinosa frana del 1966 la Cattedrale di San Gerlando subì
seri danni e occorsero circa quindici anni perché venisse restaurata e
riaperta.
La
Cattedrale di San Gerlando spazia nel punto più alto della città e
sembra così davvero dominarla e proteggerla. Si giunge all’ingresso
centrale percorrendo la lunga e ampia scalinata. Una grande facciata
barocca, sormontata da un timpano spiovente e sottolineata da paraste
sporgenti e il campanile quattrocentesco a base quadrata costituiscono
gli elementi essenziali della parte occidentale esterna. In basso, nella
parte a meridione, troviamo i due ordini di monofore cieche in stile
plateresco, che abbiamo già citato, con le decorazioni della famiglia
Montaperto, sopra cui si trova un grande arco ogivale, coi
caratteristici ornati a zig zag, che è stato trasformato in balcone.
Entrando,
si può subito notare che la pianta della Chiesa è in stile normanno,
anche se, come abbiamo detto, col passare del tempo, le varie strutture
sono state spesso anche notevolmente modificate. La lunghezza
longitudinale è di circa 100 metri e la larghezza del transetto di 40
circa. Si presenta a croce latina ed è a tre navate, con sette alti
pilastri ottagonali e arcate ogivali che culminano in un elegante
transetto con copertura a capriate dipinte del Cinquecento e decorate
con diverse figure di Santi agrigentini e con motivi ornamentali
floreali. La campata successiva è a cassettoni dorati con una aquila
bicipite, stemma
degli Asburgo.
Sul
cappellone si ammira l’affresco “Il Paradiso” di Michele Blasco
(cui appartengono anche le virtù cardinali dei pennacchi della cupola)
e sulle pareti dello stesso ambiente si trovano le opere attribuite al
pittore palermitano Bongiovanni.
A destra possiamo vedere i seguenti affreschi: “San Gerlando che
evangelizza gli Agrigentini appena strappati al dominio saraceno”;
“San Gregorio I che profetizza il martirio della Vergine
Agrippina“; “San
Gregorio II appena ordinato vescovo di Agrigento”; “San
Giacomo mentre compie un miracolo”. Segnaliamo inoltre la
statua della Madonna
col Bambino di scuola gaginesca.

A
sinistra seguono le seguenti opere: “uno scontro armato tra un
cavaliere cristiano e un esercito di infedeli”; “i coniugi Caritone
e Doeodata che conducono da San Potamione, Vescovo di Agrigento, il loro
figlioletto, il futuro S. Gregorio II, perchè venga battezzato”;
“il martirio del vescovo agrigentino San
Libertino“. Nella navata di sinistra si apre, con una bella
arcata rinascimentale riccamente modulata, la cappella quattrocentesca
del De Marinis, dove vediamo: a sinistra il sepolcro di Gaspare de
Marinis, opera di Andrea
Mancino e Giovanni
Gagini (1493); nella parete di fondo, sotto l’arcata, una
Madonna con Bambino e Santi, rilievo che fa parte integrante del
sepolcro. Lungo la stessa navata vi sono i monumenti funebri dei vescovi Gisulfo,
Osorio e Lucchesi Palli, La Pegna, Gioeni, Lanza, Branciforti.
Nella
navata di destra si apre la cappella dedicata al patrono della città,
San Gerlando. Essa è preceduta da un bel portale gotico finemente
sagomato e vi si conserva un fastoso reliquiario in argento, con putti,
cartocci e fregi, opera del dell’argentiere palermitano Michele
Ricca (nel 1639 su commissione del Vescovo Trayna), che
custodisce le ossa di San Gerlando. Vi si ammirano la figura di San
Gerlando e (ai lati) scene della vita del Santo.
Riguardo
all’urna di San Gerlando, scrive la studiosa Maria
Accascina: ” Integra, nitida l’opera eseguita senza
collaboratori, presenta una unità stilistica serrata, illuminante sulla
personalità dell’autore da permetterne la conoscenza di quel che
amava e voleva e come e perché. Amava la forma bella, volti nobili, il
disegno accademico senza svolazzi e volgari realismi, lavorava con
solennità e non per seguire maniere ma per spontanea aderenza ad un
proprio ideale. Nella statua ispirata del Santo, l’adesione a motivi
berniniani nei rilievi con i fatti della vita di San Gerlando, nei
puttini in piedi sulle mensole o seduti sulle cornici dei ripiani, è
sempre visibile una coerenza stilistica, in accordo con la coerenza
della sua visione.
Purtroppo
nel febbraio del 1978 ignoti ladri riuscirono a penetrare nella Chiesa
di San Domenico (dove l’urna era stata trasferita dopo la
frana del 1966 che aveva danneggiato la Cattedrale) e si impossessarono
dei dodici puttini e della statuetta argentea soprastante l’arca che
avevano tranciato dal corpo dell’urna. Un altro furto avvenne nel 1981
in Cattedrale dove l’urna era tornata e vennero realizzate nuove
riproduzioni dei numerosi pezzi trafugati.
Nell’abside
destra è collocata una statua della Madonna realizzata dal palermitano
Stefano Di Martino (1495), considerata di scuola gaginesca.
In
un’urna di vetro poco distante dall’ingresso si trova il corpo
imbalsamato di San
Felice Martire, che desta una certa impressione tra i visitatori.
Un’antica tradizione vi riconosce invece la figura di uno dei paladini
di Carlo Magno, Brandimarte.
Ma tra le opere più importanti non possiamo dimenticare la celebre
Madonna col Bambino attribuita a Guido
Reni, donata nel secolo XVIII dall’arcidiacono Desiderio
Sammarco la Torre.
La
navata centrale al fondo presenta un’abside. Sopra l’altare centrale
e il coro, dall’alto in basso, si estende un manto di stucchi ed
affreschi fatti realizzare da monsignor Gisulfo nel secolo XVII. Il
tabernacolo dell’altare della Madonna ha un rilievo cinquecentesco di
San Girolamo.
Dalla
cappella a destra del presbiterio si accede alla sacrestia, dove un
tempo erano conservati ricchi addobbi e altre opere d’arte oggi in
parte temporaneamente trasferite nel museo archeologico nazionale. Si può
comunque ammirare in particolare un’opera dell’artista siciliano
Giovanni Patricolo, raffigurante i sacri cuori di Maria e Gesù (del
1833).
Nell’archivio
della Curia si conservava un indecifrabile testo, la cosiddetta
“lettera del diavolo”, perché consegnata, secondo la tradizione,
dal demonio alla suora Maria Crocifissa, nata Isabella Tomasi, nel 1645.
Oggi questo documento è custodito a Palma di Montechiaro, un centro a
35 chilometri da Agrigento, presso la cappella del monastero delle suore
Benedettine.
Ricordiamo
infine che della Cattedrale particolarmente interessante è
l’acustica, ancora oggi oggetto di studi. Si tratta del singolare
fenomeno acustico del portavoce che si verifica dietro l’altare
maggiore dell’abside, da dove si possono sentire le parole
pronunciate, anche a voce molto bassa, presso la porta principale, che
dista ben 82 metri.
Pag.
1
Pag.
3
Agosto
2018
|