Agrigento e la Valle dei Templi
  
  

Necropoli greche

All'esterno delle mura cittadine, secondo l'uso antico, sono state individuate diverse necropoli, gli antichi cimiteri dì età greca e romana, ovvero le "città dei morti" secondo l'etimologia del termine greco. Al pari degli scavi effettuati tra le mura dell'antica Agrigento, anche le indagini condotte nelle aree sepolcrali ad oggi individuate offrono agli studiosi elementi utili non solo per inquadrare sempre meglio la secolare vicenda della città e dei suoi abitanti, ma anche per arricchire, con una mole straordinaria di reperti, che oggi fanno bella mostra di sé nel Museo Archeologico Regionale, le nostre conoscenze, ad esempio, sulla ceramica dipinta qui importata dall'Attica.

In merito al rito funebre è documentato sia quello che prevedeva l'inumazione corpo del defunto, adagiato all'interno di fosse scavate nella roccia tufacea rivestite all'interno di lastre di pietra o tegoloni, sia quello a cremazione in cui le ceneri erano racchiuse all'interno di vasi in ter­racotta deposti in pozzetti di forma per lo più quadrangolare, scavati anch'essi nel tufo.

Tra le necropoli riferibili alla fase più antica (VI secolo a.C.) c'è quella scoperta in contrada Maddalusa, localizzata a ovest della foce del fiume Akragas (odierno San Biagio). Questa è caratterizzata da interessanti sepolture datate a partire dalla prima metà del VI secolo a.C. che vengono ricondotte alla presenza di un abitato legato all'emporion (scalo commerciale) sorto nei pressi della foce del fiume. Segue l'area cimiteriale rinvenuta in contrada Pezzino, a ovest del fiume Hypsas (odierno fiume Sant'Anna). Questa necropoli è stata localizzata in una vasta area all'esterno della città compresa tra le Porte VI e VII. Già individuata alla fine del XIX secolo, l'area cimiteriale è stata indagata a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso. Sulla base dei riscontri archeologici si indicano in quattro le fasi di utilizzo dell'area, dal VI a.C. (epoca arcaica) fino al IV-III secolo a.C. (epoca ellenistica). La necropoli presenta anche due interessanti particolarità: è organizzata in due aree separate da un asse viario ordinatore e presenta alcuni "raggruppamenti" di sepolture che hanno fatto ipotizzare ad una disposizio­ne delle tombe per nuclei familiari. Tale modalità è già attestata nella fase più antica (VI secolo a.C.) a cui si datano, ad esempio, due sepolture a cremazione collocate all'interno di un'unica fossa suddivisa in due parti: i resti cremati dei due defunti erano contenuti ognuno in una grande anfora utilizzata quale urna cineraria.

Più che le tipologie tombali, sono soprattutto gli oggetti rinvenuti all'interno dei corredi funerali a consentire agli studiosi di datare in fasi la necropoli ed individuare contatti commerciali tra l'antica Agrigento e i diversi centri del Mediterraneo, inprimis la Grecia. In questo ambito rivestono particolare interesse, ad esempio, le ceramiche corinzie con de­corazioni vegetali o animali del VI secolo a.C. (I fase), così come le belle Ihkythoi attiche (vasi monoansati dal corpo allungato ed orlo svasato, in genere utilizzati come porta profumi, che in contesto funerario venivano utilizzati per il rito) datate tra la fine del VI e i primi decenni del secolo successivo (530-480 a.C; II fase).

Nella terza fase (tra 480-430 a.C), quella di maggior sviluppo dell'area cimiteriale, sono documentate oltre alle sepolture ad inumazione scavate nella roccia, anche pozzetti all'interno dei quali sono stati scoperti crateri ceramici utilizzati come urne cinerarie. Proprio al cinquantennio centrale del V secolo a.C. vanno riferiti gli straordinari vasi a vernice nera e a figure rosse su fondo nero di provenienza ateniese dalla straordinaria qualità artistica. Ira questi spicca un cratere attico del tipo a calice (500-490 a.C), attribuito al pittore di Kleophrades, oggi conservato presso il Museo Archeologico Regionale. In merito alla quarta e ultima fase di utilizzo dell'area funeraria (fine IV-III secolo a.C), gli studiosi osservano che le sepolture presentano corredi più poveri rispetto all'epoca precedente con strutture ormai limitate a semplici fosse terragne o al riutilizzo di strutture di tombe più antiche. Nel quadro di un generale decadimento che caratterizza l'area in questa fase, va ricordato l'episodio riferito dallo storico Diodoro secondo il quale nel 406 a.C, quando Cartaginesi cinsero d'assedio Agrigento, Annibale ed Imilcone avrebbero distrutto monumenti funerari per ricavare materiale utile all'impresa: gli studiosi ipotizzano che la distruzione fu ai danni della necropoli di Pezzino.

Altra necropoli di grande interesse è quella individuata in contrada Mosè, lungo la strada che collegava l'antica Agrigento (uscendo da Porta II) a Cela. Gli studiosi datano i corredi funerari più antichi al VI secolo a.C. quando buona parte delle strutture tombali erano costruite "alla cappuccina", cioè dotate di una copertura di chiusura che, al posto di una lastra di chiusura orizzontale, presentava tegoloni laterizi disposti inclinati a realizzare come un doppio spiovente di tetto. A questa fase arcaica vanno riferite interessanti anfore attiche con figure nere su cui ricorrono soggetti a tema militare, eroico o mitologico. Al successivo V secolo a.C. è invece datata quella che gli archeologi hanno definito una "fossa di purificazione", all'interno della quale sono state rinvenute numerose statue in terracotta di Demetra di epoca arcaica. Sempre a quest'epoca risale il maggior sviluppo, anche monumentale, dell'area cimiteriale. Sono documentate in questa fase diverse sepolture ad incinerazione, collocate in cratere all'interno di tombe a pozzetto. Va segnalato a questo riguardo l'elegante cratere in bronzo, datato alla fine del V secolo a.C, oggi conservato presso il Museo Archeologico Regionale: dotato di anse a volute del tipo a testa di cigno, era stato utilizzato quale urna cineraria all'interno di una tomba a pozzetto dal ricco corredo di vasi ceramici.

In questa necropoli sono documentate sepolture anche ad inumazione, collocate in strutture realizzate con conci squadrati di arenaria. All'interno di una di queste sepolture è stato rinvenuto un sarcofago marmoreo del tipo a cassa, con coperchio a doppio spiovente dotato di acroteri angolari, anch'esso conservato presso il Museo Archeologico Regionale. Alla fine del V secolo a.C. si datano alcuni corredi tombali rinvenuti a Poggio Giache di Villaseta, non molto distante dal lembo occidentale della necropoli di contrada Pezzino. Gli scavi, condotti negli anni Ses­santa del secolo scorso e diretti da Graziella Fiorentini, hanno portato al rinvenimento di alcuni pregevoli oggetti di corredo all'interno di tombe del tipo a fossa o a pozzetto con pareti intonacate. Tra i reperti merita una menzione un decorato cratere attico del tipo a campana (420 a.C. circa) attribuito al Pittore di Kleophon, oggi conservato presso il Museo Archeologico Regionale.

Alla fine del IV secolo a.C. venne poi a costituirsi all'esterno della città in prossimità della Porta IX, in contrada Sottogas (oggi via Manzoni), una necropoli con tombe del tipo a camera, scavate nella roccia ed introdotte da prospetti architettonici.

Necropoli romana e Tomba di Terone

All'esterno delle mura cittadine, uscendo dalla Porta Aurea (Porta IV), nell'area che a sud si protende verso il mare attraversando la pianura di San Gregorio, è stata localizzata una vasta area cimiteriale suburbana, un settore della quale è noto, fin dalla fine del XIX secolo, come "necropoli Giambertoni": questo settore si trova sul pendio della Collina dei Templi, sotto il Tempio della Concordia, in un'area non distante dalla Grotta Fragapane dove venne organizzata in seguito una grande catacomba.

La maggior parte delle sepolture individuate sono datate all'età romana imperiale (I-III d.C.) e alcune di queste, soprattutto localizzate nell'area Giambertoni, hanno visto un loro riutilizzo in epoca tardo romana-paleocristiana (IV-VI d.C). Oltre alla tradizionale deposizione a fossa terragna, si attesta anche la tipologia a cassa, composta da blocchi di pietra locale e con copertura spesso completata da un segnacolo tombale (come, ad esempio, una stele a colonnina), ed ancora la tipologia a recinto al cui interno trovano posto più tombe forse appartenenti alla stessa cerchia familiare.

Tra i reperti di spicco provenienti da queste sepolture e dai loro corredi si segnala, ad esempio, il sarcofago in marmo (seconda metà del II secolo d.C.) che ospitava la sepoltura di un bambino: si tratta di un manufatto di grande interesse decorato a rilievo sui quattro lati con scene struggenti a ricordo dalla sua breve vita e della sua repentina morte. Tra le sepolture della necropoli suburbana di età romana va ricordata la cosiddetta Tomba di Terone che qui si staglia in alzato nella piana di S. Gregorio e si raggiunge attraversata la SS 115.

La struttura, secondo una tradizione del tutto priva di fondamento, avrebbe ospitato i resti del grande tiranno agrigentino (al potere fra il 488 e il 472 a.C.) nonché del cavallo con cui il tiranno nell'anno 470 a.C. aveva ottenuto la vittoria nella competizione ad Olimpia. Su una base a pianta quadrata realizzata con blocchi di pietra, poggia un alto podio a forma di parallelepipedo marmoreo (alto 3,90 metri per 4,80 di larghezza) che culmina con una cornice sagomata aggettante su cui è collocata la tomba vera e propria. Si tratta di una struttura sostanzialmente cubica a forma di tempio, con una finta porta a rilievo di ordine dorico collocata al centro di ciascuno dei lati e quattro colonne angolari di ordine ionico.

Il tempietto è concluso nella parte superiore da una trabeazione dorica, solo parzialmente conservata. Questa, caratterizzata dall'architrave liscio e dal fregio con triglifi e metope, doveva fare da sostegno alla copertura di forma piramidale, della quale però non è rimasto nulla.

Necropoli paleocristiana e bizantina

Lungo il percorso che collega il Tempio di Giunone, il Tempio della Concordia fino al Tempio di Ercole, sono state individuate alcune aree sepolcrali in uso tra il IV e V secolo d.C: si tratta di interessanti testi­monianze funerarie di epoca paleocristiana e bizantina che vennero a stratificarsi in aree incluse precedentemente all'interno del circuito murario. In particolare, nel giardino di Villa Aurea sono stati identificati tre ipogei cristiani con camerette sepolcrali forse legate a nuclei familiari e le tombe a cielo aperto di una più vasta area sepolcrale cristiano-bizantina, mentre più oltre nell'area sono visibili una serie di tombe rettangolari scavate nella roccia.

Poco distante da Villa Aurea, attraversata la strada, si raggiunge la ca­tacomba nota come Grotta Fragapane: si tratta di un'area ipogea già conosciuta nel XVIII secolo che venne costruita scavando un banco roccioso e riutilizzando l'area di antiche cisterne di epoca greca. Scavata a partire dalla fine del XIX secolo, la catacomba, a cui si accede attraverso un corridoio a cielo aperto, a ridosso del quale si dispongono delle sepolture della necropoli a cielo aperto, si caratterizza con un percorso che ha andamento da nord a sud.

Nelle pareti dei corridoi, così come in quelle degli ambienti circolari localizzati lungo il percorso, sono stati scavati nella roccia arcosoli (loculi che nella parte sommitale sono coperti da una volta a botte) e cubiculi (al cui interno erano collocate tombe a sarcofago) alcuni dei quali recano ancora visibili residui di pittura parietale con decorazione nastriforme o vegetale.

Nel settore a sud la catacomba ha un accesso diretto alla necropoli romana nell'ex fondo Giambertoni. Va infine ricordato che sotto il Tempio di Giunone, lungo il versante sud-orientale della Collina dei Templi, in epoca paleocristiana, venne costruita una piccola chiesa detta del Vallone di San Biagio. Realizzato in conci di arenaria, l'edificio, con l'entrata a est preceduta da un nartece, si componeva di una piccola aula rettangolare con abside semicircolare sul muro di fondo. Inglobate nel pavimento dell'aula sono state rinvenute due sepolture e ciò ha portato gli studiosi ad ipotizzare che l'edificio fosse un martyrium, cioè un luogo di devozione a ricordo di Libertino e Pellegrino (vissuti nel III secolo d.C.). Distrutta nella prima metà del V secolo (forse quando la città venne interessata da invasioni vandaliche), la chiesa sarebbe stata poi ricostruita tra la fine del V e gli inizi del VI secolo.

La Rupe Atenea

Un altro nucleo sacro, oltre a quello individuato sulla Collina dei Templi, è stato individuato sul versante meridionale della Rupe Atenea che sovrasta ad oriente l'antico centro abitato nella valle. Su tale costone roccioso, per sua natura fortificato, sono stati rinvenuti i resti di due torri datate alla fine del V secolo a.C. di cui una venne obliterata nel IV a.C. in occasione della costruzione di un muro di terrazzamento posto a sostegno e rinforzo di una struttura destinata alla lavorazione e spremitura delle olive.

Si percorre via Demetra fino a raggiungere lo spiazzo antistante il Cimitero di Bonamorone: da qui, superato il cancello di accesso all'area archeologica della Rupe Atenea, è possibile intraprendere il percorso in terra battuta che, salendo, consente di raggiungere la chiesa di San Biagio. Durante l'itinerario si osservino i resti di un antico tracciato scavato nella roccia con evidenti i solchi lasciati dal passaggio di carri.

La chiesa di San Biagio è un edificio medievale di epoca normanna (XII secolo) a navata unica con abside semicircolare rivolto a est, che si eleva sopra la fondazione di un antico tempio datato intorno al 470 a.C. e realizzato con blocchi di calcare locale. La chiesa, caratterizzata da una semplice facciata con portale d'entrata ad arco a sesto acuto, occupa in tutta la larghezza e in oltre metà della lunghezza l'area dell'antico tempio dorico distilo in antis (13,30 x 30,20 m) utilizzandone il naos, mentre le fondazioni del pronao d'accesso sono ancora bene osservabili all'esterno dell'abside della chiesa.

In merito alla sua dedicazione si ipotizza che il tempio fosse consacrato a Demetra sulla base del ritrovamento, nei pressi del muro perimetrale, di una coppia di altari a pianta circolare e di un pozzo votivo al cui interno sono state rinvenute offerte ricondotte al culto della dea e ai riti ad essa connessi come, ad esempio, numerose lucerne. Queste sono conservate presso il Museo Archeologico assieme a parte della sima (cornice) con gocciolatoi a testa leonina che doveva caratterizzare all'esterno l'antico sviluppo del frontone. All'interno della chiesa, invece, sono conservate alcune parti del geìson templare. Tali reperti architettonici sono stati rinvenuti in occasione degli scavi condotti a partire dagli anni Venti del secolo scorso.

Va infine segnalato che poco a sud dall'area dell'antico tempio è stata rinvenuta nel 1 897, all'interno di una cisterna, la celebre statua nota come Efebo di Agrigento (oggi al Museo Archeologico). Quanto alla chiesa di San Biagio va segnalato che questa, tra il XV e il XVI secolo, venne internamente modificata con l'inserimento di quattro colonne a reggere arcate a tutto sesto centrali ed arcatelle laterali, nonché con l'innalzamento dell'area presbiteriale.

Nel corso di un intervento di restauro effettuato nel 2000, a cura del Parco Archeologico di Agrigento e della Soprintendenza, sono state effettuate interessanti scoperte sotto i livelli pavimentali della chiesa. In particolare va segnalato, nell'angolo nordoccidentale, il rinvenimento di una antica cisterna scavata nel banco roccioso che andrebbe collegata con l'antico edificio templare e la cui presenza interroga gli studiosi in merito alla possibilità di un culto delle acque in epoca antica, forse poi proseguito anche in epoca post classica con la dedicazione al santo che, secondo la tradizione, guariva anche con l'acqua.

Santuario rupestre di Demetra o di San Biagio

Lasciata la chiesa di San Biagio-Tempio di Demetra, tornando indietro per un tratto, si scende per una ripida scala scavata nella roccia fino a raggiungere i resti del cosiddetto Santuario rupestre di San Biagio. Il complesso, indagato a partire dagli anni Venti del secolo scorso da Pino Marconi, si trova al di fuori dalle mura della città sulle pendici nordorientali della Rupe Atenea e sotto la piattaforma rocciosa su cui si trova la chiesa di San Biagio-Tempio di Demetra. Esso presenta a ovest, a ridosso di una parete rocciosa dove si aprono grotte naturali, i resti di un edificio a pianta rettangolare che del complesso costituisce il corpo principale. 

Questo edificio verso est si apre su un'area trapezoidale recintata, interpretata come piazzale. Se gli studiosi sono da sempre concordi circa la destinazione sacra dell'area, differenti sono le proposte relative al destinatario del culto. Da un lato abbiamo la tradizionale ipotesi che vede il complesso dedicato alle Divinità ctonie Demetra e Persefone; questo non solo perché il Tempio di Demetra campeggia in posizione elevata sulla Rupe Atenea, ma anche per il rinvenimento di alcune offerte votive e busti fittili riconducibili al loro culto. Un'altra ipotesi è, invece, quella se­condo la quale il complesso sarebbe stato dedicato al culto delle ninfe, osservando la ricca presenza d'acqua nell'area. Più di recente, grazie a nuove indagini, il complesso è stato interpretato come una arti< olata fontana di epoca ellenistica.

Quello che oggi è possibile osservare di questo complesso è un edifk io a pianta rettangolare (3,02 x 12,32 m) in blocchi di calcare locale i lic si appoggia con uno dei lati lunghi alla parete rocciosa venendo a coniai lo, quasi al centro, con l'imbocco di due grotte da cui dipartono ah rei uni le gallerie fra di loro comunicanti all'interno delle quali sono state rinvenute numerose offerte votive.

Sulla base delle indagini effettuate questa struttura doveva svilupparsi su due livelli di cui quello inferiore, organizzato in due ambienti tra loro divisi da un basso muro, veniva utilizzato come area di raccolta dell'acqua qui convogliata da una sorgente poco distante grazie ad un condotto scavato nella roccia che si apriva nell'angolo nordoccidentale. L'edificio quindi nel livello inferiore doveva assolvere alla funziono di bacino di raccolta dell'acqua suddiviso in due vani-cisterne: secondo la necessità l'acqua poteva essere attinta sia direttamente dai vani-cisterne, raggiungibili da est laddove il fronte dell'edificio si apre sul piazzale, sia dal lato ovest dall'intercapedine presente tra muratura dell'edificio e Li parete rocciosa.

In una fase successiva si realizzò un condotto che portava l'acqua direttamente all'esterno dell'edificio uscendo dal lato orientale nei pressi del quale sorgeva, recintato da un muro, un piazzale di forma trapezoidale. Questo, oltre che nell'impianto planimetrico, si presenta differente dal corpo principale anche per orientamento e ciò è stato interpretato dagli studiosi come una scelta costruttiva che da un lato avrebbe assecondalo il naturale andamento dell'area, ma dall'altro avrebbe anche risentito di episodi di dissesto e di un vero e proprio "scivolamento" di questa porzione del complesso in direzione nord-est.

All'interno del piazzale sono state rinvenute delle vasche tra loro comunicanti e dal diverso livello pendenza, sul fondo delle quali si raccoglieva l'acqua giunta al termine del suo lungo percorso.

Abitato greco arcaico, classico, ellenistico

Gli scavi archeologici certificano che entro la fine del VI secolo a.C. nella valle dei Templi il primo e più antico abitato di Akràgas era già stato impiantato ed organizzato secondo quell'ordinato sviluppo ortogonale che poi la città manterrà e svilupperà ulteriormente nei secoli successivi. Già in questa fase arcaica gli assi viari con andamento est-ovest costituiscono gli elementi ordinatori dell'intero abitato intersecandosi con gli assi viari nord-sud. Così la planimetria della città va a svilupparsi in stretti e lunghi isolati, intersecati dal sistema viario: la data limite per la composizione urbanistica è tradizionalmente fissata intorno al 480 a.C, quando viene edificato il tempio di Giove che risulta orientato rispetto all'impianto urbano. Nel secolo successivo, durante il governo del tiranno Terone (dal 488 al 472 a.C), si datano alcuni interessanti interventi infrastrutturali, tra i quali spicca la grandiosa opera idraulica progettata da Feace. Questi progettò un sistema di captazione delle acque dai rilievi della Rupe Atenea e della Collina di Girgenti che canali scavati nella roccia portavano in diversi punti della valle. Alcuni di questi terminavano il loro percorso sfociando nella Kolymbetra, posizionata al termine della Collina dei Templi a occidente. Per realizzare questo complesso di "acquedotti Feaci" Diodoro Siculo (I secolo a.C.) racconta che Terone utilizzò come manodopera i prigionieri cartaginesi catturati dopo la vittoria nella battaglia di Himera (480 a.C).

Nel V secolo a.C. sul poggio di San Nicola, nell'agorà superiore, vengono realizzati alcuni edifici sacri ed edifici a destinazione civile. Alla fine del secolo, nel 406 a.C, la città viene conquistata e distrutta dai Cartaginesi. Successivamente, sulla base degli accordi di pace tra Cartagine e Dioniso I di Siracusa (405-404 a.C), la popolazione di Akragas può rientrare in città ma con il divieto di ricostruire le mura di difesa e vessata dal tributo da pagare a Cartagine.

Da questo momento, e fino alla metà del successivo IV secolo a.C., inizia una lenta ripresa dell'antico abitato e, secondo gli studiosi, a questa fase si potrebbe riferire quel lembo dì abitato dai caratteri punici costruito nelle vicinanze di Porta II, alle pendici orientali della Rupe Atenea. Con la seconda metà del IV secolo a.C., nella fase che coincide con l'epoca di Timoleonte, si assiste ad una generale ripresa dell'abitato. A questa fase si data la sistemazione del circuito murario ed ancora la ripresa della monumentalizzazione sulla Collina dei Templi, in particolare nel settore occidentale in prossimità del Tempio di Giove; all'esterno delle mura, sulle pendici della Rupe Atenea, viene edificato il santuario rupestre di San Biagio.

Poggio San Nicola e l'agorà

Nel V secolo a.C. sul poggio di San Nicola l'agorà qui localizzata viene dotata di edifici a destinazione sacra. Tra il IV ed il III secolo a.C. vengono costruiti l'Ekklesiasterion e il Bouleuterion. I due edifici si trovano poco distanti dalla chiesa di San Nicola (costruita nel XIII dai monaci Cistercensi in un'area già occupata da un edifico più antico di epoca normanna) e dal vicino monastero, all'interno del quale è stato collocato il Museo Archeologico Regionale. Sul versante meridionale dell'altura venne costruito l'Ekklesiasterion, edificio che ospitava l'assemblea dei cittadini. 

Datato tra il IV e il III secolo a.C, dell'antico edificio rimane oggi evidente parte della cavea scavata nel banco tufaceo e con una leggera pendenza verso sud; al termine delle diciannove file di sedute sono stati rinvenuti i resti di un ambulacro (largo 1 m) delimitato da un parapetto. La scoperta di alcune cavità nella roccia ha portato ad ipotizzare la presenza di un portico sorretto da pali lignei a completamento della struttura. Sebbene la cavea sia limitata ad una porzione semicircolare, questa è risultata sufficiente per ricavare il diametro massimo dell'originale complesso circolare (48 m) e per calcolare la capienza massima (circa 3000 persone). Non sono stati, invece, ritrovati i resti del podio su cui salivano gli oratoti che si avvicendavano durante le assemblee e che in origine doveva essere collocato al centro dell'Ekklesiasterion. 

In epoca romana, quando ormai l'Ekklesiasterion era in disuso da tempo, l'area venne in parte occupata dall'edificio erroneamente noto come Oratorio di Falaride perché in passato venne interpretato come i resti del palazzo di Falaride (tiranno di Agrigento dal 570 al 555 a.C), ma anche come un monumento funerario di una ricca famiglia romana. Si tratta, in realtà, di un tempio di tipo romano (13x9 m) eretto su un podio sagomato (alto 1,60 m) a cui si accedeva ttamite gradinata frontale. Tempio prostilo, con quattro colonne (tetrastilo) ioniche ad aprire il pronao, terminava con il naos (6 x 5,30 m) che dell'antico tempio è l'unica porzione superstite, grazie al suo utilizzo in epoca normanna come cappella del monastero collocato sull'altura di San Nicola. Per questo motivo l'ambiente si presenta manomesso e modificato. 

Dall'altro lato, verso sud, tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C. venne eretto il Bouleuterion (sede dell'assemblea dei rappresentanti del popolo). L'edificio presenta una cavea semicircolare che in origine era inserita all'interno di un'area rettangolare recintata e coperta da un tetto sorretto da colonne. A lato dell'edificio vi era poi un portico costruito a lato dell'asse viario nord-sud che poco oltre intersecando l'asse est-ovest, dava anche a quest'area un impianto ordinato. La cavea in pietra arenaria si presenta con sei file di sedili raggiungibili tramite quattro percorsi scalinati. 

L'edificio (forse poi trasformato in un odeon, edificio destinato a manifestazioni canore), in epoca romana venne dotato di pavimentazioni a mosaico nell'area dell'orchestra e nell'area porticata. In epoca augustea, dopo lavori di rafforzamento murario ed allargamen­to artificiale dell'area, venne costruito al centro di un'ampia area (60 x 36 m) posta a nord e delimitata da un portico ad U, un tempio su podio di tipo romano.

L'edificio, scavato alla fine degli anni Novanta del secolo scorso da Ernesto De Miro ed interpretato come un Iseion, è stato più di recente indagato dal Politecnico di Bari che, anche grazie ai nuovi ausili tecnologici messi a disposizione per lo studio dei Beni Culturali, ha potuto precisare la datazione del monumento e individuare due distinte fasi costruttive. La prima fase, datata al I secolo a.C, prevedeva la realizzazione di un tempio del tipo ad oikos collocato su podio e scalinata frontale. In realtà l'edificio non sarebbe stato completato prima del I secolo d.C.

In questa seconda fase l'edificio fu terminato modificando però il progetto iniziale. Vennero infatti inseriti elementi non previsti in precedenza come una tribuna, dotata di scale laterali, costruita sul fronte dell'edificio al posto dell'originale rampa gradinata di accesso, e una struttura murarla ad ambiente unico non preceduta da colonnato o pronao. L'edificio divenne il centro di un'area a destinazione forense circondata da quattro portici sorretti da colonne e trabeazione di ordine dorico.

Tre dei quattro portici verso l'esterno presentavano una semplice mura tura lineare, priva di decorazioni. Il portico meridionale, invece, doveva presentarsi verso l'esterno con una muratura intervallata da pilastri che al centro inquadrava l'ingresso alla piazza. Questa veniva raggiunta per il tramite di una rampa di scale che permetteva di colmare il salto di quota tra la strada e il centro dell'area.

Quartiere ellenistico-romano

Con l'epoca romana, e la pacificazione seguita alle due guerre puniche, nell'abitato si assiste ad una nuova fase edilizia e di riqualificazione: in particolare ciò è stato osservato in occasione degli scavi del cosiddetto quartiere ellenistico-romano individuato in contrada San Nicola. Gli isolati vengono divisi longitudinalmente da canali che, oltre a separare le singole abitazioni, risultano funzionali alla gestione del drenaggio delle acque. 

Gli edifici sono stati realizzati utilizzando blocchi di arenaria disposti a secco. Fino al IV secolo d.C. il quartiere romano è abitato e vitale con numerose botteghe ed attività commerciali che si aprono sulle vie. Durante l'età imperiale, ed in particolare tra II e III secolo d.C, l'abitato prospera anche grazie alla fiorente attività estrattiva dello zolfo e alla sua commercializzazione, come documentato dalle indagini archeologiche. Gli scavi hanno portato alla luce una trentina di case che sono state catalogate e studiate a seconda della loro planimetria e sviluppo: case con peristilio (tipo ellenistico), case con atrio caratterizzato al centro da una vasca per la raccolta delle acque e circondato da un peristilio (tipo romano), e infine case con corridoio di disimpegno tra l'atrio d'entrata e gli ambienti dell'abitazione.

Le case fino ad ora scavate hanno portato alla scoperta di pregevoli dettagli al loro interno come, ad esempio, le pavimentazioni. Queste, a seconda della ricchezza del proprietario e dell'utilizzo funzionale di ogni ambiente, potevano essere costituite da un semplice strato di cocciopesto (costituito da una amalgama di calce con frammenti fittili come quelli di tegole ed anfore) con qualche tesserina marmorea decorativa, da mosaici a tesserine bianche e nere dal decoro essenziale e semplice di tipo geometrico o vegetale, oppure, a partire in particolare dal III d.C, da mosaici policromi figurati (con decorazioni zoomorfe e fitoformi) se non addirittura quasi astratti. 

Oltre ai pavimenti, in molte case sono stati individuati residui di strati di intonaco e tracce di pittura parietale ad indicare la cura con cui queste case venivano decorate e comunque mantenute. Gli scavi documentano che molti edifici ad un certo punto vennero ristrutturati e modificati, ad esempio con la suddivisione in più ambienti piccoli di originali grandi vani, ma anche con la chiusura del peristilio che circondava l'atrio d'entrata attraverso l'innalzamento di muri tra le colonne del portico.

In epoca altomedievale il quartiere verrà occupato da alcune sepolture, ora scavate in nuda terra, ora composte da una cassa di pietra. Dall'VIII secolo l'abitato nella Valle dei Templi verrà abbandonato e sul Colle di Girgenti inizierà una nuova pagina della millenaria storia della città di Agrigento.

A partire dal IV secolo la città inizia un lento declino. In particolare nel V secolo nel vallone di San Biagio verrà costruita una piccola basilica cimiteriale paleocristiana, mentre una chiesa cristiana è nota dalle fonti e da alcuni ritrovamenti architettonici. Alla fine del VI secolo, Gregorio vescovo di Agrigento (dal 591 al 630) consacra ai Santi Pietro e Paolo il Tempio della Concordia.

Museo archeologico

Il museo archeologico di Agrigento , che all’interno custodisce straordinari tesori, è il più visitato dell’intera Sicilia. Inaugurato nel giugno del 1967 oggi conserva quasi interamente reperti frutto di scavi della Soprintendenza ai Beni Culturali effettuati dal dopoguerra ai nostri giorni. 

Il grande stabile si trova sulla "passeggiata archeologica" a pochi passi dal quartiere ellenistico romano e ad un centinaio di metri dalla "Via Sacra" dove sorgono, come incastonati, i meravigliosi templi. E' diviso in due settori: il primo comprende 11 sale che espongono reperti rinvenuti nell'area della città; il secondo comprende le altre 6 sale che conservano i reperti rinvenuti fuori dalla città capoluogo.

Vi si trovano manufatti di diverse ere che racchiudono nella loro tipicità i diversi passaggi della storia delle civiltà che fiorirono sull’area. Splendido l’originale del Telamone il celeberrimo gigante che oltre ad abbellirlo serviva da supporto al tempio di Giove Olimpico. Si possono inoltre ammirare in gran quantità, statuette, urne funerarie, monete d’oro uniche al mondo, monili, ricostruzioni di piante antiche, utensili di vita quotidiana e armi. Sempre nelle grandi sale del museo viene conservato un vecchio vaso greco che fu usato per trasportare le ceneri del drammaturgo e premio Nobel agrigentino, Luigi Pirandello.

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Agosto 2018