Necropoli
greche
All'esterno
delle
mura
cittadine,
secondo
l'uso
antico,
sono
state
individuate
diverse
necropoli,
gli
antichi
cimiteri
dì
età
greca
e
romana,
ovvero
le
"città
dei
morti"
secondo
l'etimologia
del
termine
greco.
Al
pari
degli
scavi
effettuati
tra
le
mura
dell'antica
Agrigento,
anche
le
indagini
condotte
nelle
aree
sepolcrali
ad
oggi
individuate
offrono
agli
studiosi
elementi
utili
non
solo
per
inquadrare
sempre
meglio
la
secolare
vicenda
della
città
e
dei
suoi
abitanti,
ma
anche
per
arricchire,
con
una
mole
straordinaria
di
reperti,
che
oggi
fanno
bella
mostra
di
sé
nel
Museo
Archeologico
Regionale,
le
nostre
conoscenze,
ad
esempio,
sulla
ceramica
dipinta
qui
importata
dall'Attica.
In
merito
al
rito
funebre
è
documentato
sia
quello
che
prevedeva
l'inumazione
corpo
del
defunto,
adagiato
all'interno
di
fosse
scavate
nella
roccia
tufacea
rivestite
all'interno
di
lastre
di
pietra
o
tegoloni,
sia
quello
a
cremazione
in
cui
le
ceneri
erano
racchiuse
all'interno
di
vasi
in
terracotta
deposti
in
pozzetti
di
forma
per
lo
più
quadrangolare,
scavati
anch'essi
nel
tufo.
Tra
le
necropoli
riferibili
alla
fase
più
antica
(VI
secolo
a.C.)
c'è
quella
scoperta
in
contrada
Maddalusa,
localizzata
a
ovest
della
foce
del
fiume
Akragas
(odierno
San
Biagio).
Questa
è
caratterizzata
da
interessanti
sepolture
datate
a
partire
dalla
prima
metà
del
VI
secolo
a.C.
che
vengono
ricondotte
alla
presenza
di
un
abitato
legato
all'emporion
(scalo
commerciale)
sorto
nei
pressi
della
foce
del
fiume.
Segue
l'area
cimiteriale
rinvenuta
in
contrada
Pezzino,
a
ovest
del
fiume
Hypsas
(odierno
fiume
Sant'Anna).
Questa
necropoli
è
stata
localizzata
in
una
vasta
area
all'esterno
della
città
compresa
tra
le
Porte
VI
e
VII.
Già
individuata
alla
fine
del
XIX
secolo,
l'area
cimiteriale
è
stata
indagata
a
partire
dagli
anni
Ottanta
del
secolo
scorso.
Sulla
base
dei
riscontri
archeologici
si
indicano
in
quattro
le
fasi
di
utilizzo
dell'area,
dal
VI
a.C.
(epoca
arcaica)
fino
al
IV-III
secolo
a.C.
(epoca
ellenistica).
La
necropoli
presenta
anche
due
interessanti
particolarità:
è
organizzata
in
due
aree
separate
da
un
asse
viario
ordinatore
e
presenta
alcuni
"raggruppamenti"
di
sepolture
che
hanno
fatto
ipotizzare
ad
una
disposizione
delle
tombe
per
nuclei
familiari.
Tale
modalità
è
già
attestata
nella
fase
più
antica
(VI
secolo
a.C.)
a
cui
si
datano,
ad
esempio,
due
sepolture
a
cremazione
collocate
all'interno
di
un'unica
fossa
suddivisa
in
due
parti:
i
resti
cremati
dei
due
defunti
erano
contenuti
ognuno
in
una
grande
anfora
utilizzata
quale
urna
cineraria.
Più
che
le
tipologie
tombali,
sono
soprattutto
gli
oggetti
rinvenuti
all'interno
dei
corredi
funerali
a
consentire
agli
studiosi
di
datare
in
fasi
la
necropoli
ed
individuare
contatti
commerciali
tra
l'antica
Agrigento
e
i
diversi
centri
del
Mediterraneo,
inprimis
la
Grecia.
In
questo
ambito
rivestono
particolare
interesse,
ad
esempio,
le
ceramiche
corinzie
con
decorazioni
vegetali
o
animali
del
VI
secolo
a.C.
(I
fase),
così
come
le
belle
Ihkythoi
attiche
(vasi
monoansati
dal
corpo
allungato
ed
orlo
svasato,
in
genere
utilizzati
come
porta
profumi,
che
in
contesto
funerario
venivano
utilizzati
per
il
rito)
datate
tra
la
fine
del
VI
e
i
primi
decenni
del
secolo
successivo
(530-480
a.C;
II
fase).
Nella
terza
fase
(tra
480-430
a.C),
quella
di
maggior
sviluppo
dell'area
cimiteriale,
sono
documentate
oltre
alle
sepolture
ad
inumazione
scavate
nella
roccia,
anche
pozzetti
all'interno
dei
quali
sono
stati
scoperti
crateri
ceramici
utilizzati
come
urne
cinerarie.
Proprio
al
cinquantennio
centrale
del
V
secolo
a.C.
vanno
riferiti
gli
straordinari
vasi
a
vernice
nera
e
a
figure
rosse
su
fondo
nero
di
provenienza
ateniese
dalla
straordinaria
qualità
artistica.
Ira
questi
spicca
un
cratere
attico
del
tipo
a
calice
(500-490
a.C),
attribuito
al
pittore
di
Kleophrades,
oggi
conservato
presso
il
Museo
Archeologico
Regionale.
In
merito
alla
quarta
e
ultima
fase
di
utilizzo
dell'area
funeraria
(fine
IV-III
secolo
a.C),
gli
studiosi
osservano
che
le
sepolture
presentano
corredi
più
poveri
rispetto
all'epoca
precedente
con
strutture
ormai
limitate
a
semplici
fosse
terragne
o
al
riutilizzo
di
strutture
di
tombe
più
antiche.
Nel
quadro
di
un
generale
decadimento
che
caratterizza
l'area
in
questa
fase,
va
ricordato
l'episodio
riferito
dallo
storico
Diodoro
secondo
il
quale
nel
406
a.C,
quando
Cartaginesi
cinsero
d'assedio
Agrigento,
Annibale
ed
Imilcone
avrebbero
distrutto
monumenti
funerari
per
ricavare
materiale
utile
all'impresa:
gli
studiosi
ipotizzano
che
la
distruzione
fu
ai
danni
della
necropoli
di
Pezzino.
Altra
necropoli
di
grande
interesse
è
quella
individuata
in
contrada
Mosè,
lungo
la
strada
che
collegava
l'antica
Agrigento
(uscendo
da
Porta
II)
a
Cela.
Gli
studiosi
datano
i
corredi
funerari
più
antichi
al
VI
secolo
a.C.
quando
buona
parte
delle
strutture
tombali
erano
costruite
"alla
cappuccina",
cioè
dotate
di
una
copertura
di
chiusura
che,
al
posto
di
una
lastra
di
chiusura
orizzontale,
presentava
tegoloni
laterizi
disposti
inclinati
a
realizzare
come
un
doppio
spiovente
di
tetto.
A
questa
fase
arcaica
vanno
riferite
interessanti
anfore
attiche
con
figure
nere
su
cui
ricorrono
soggetti
a
tema
militare,
eroico
o
mitologico.
Al
successivo
V
secolo
a.C.
è
invece
datata
quella
che
gli
archeologi
hanno
definito
una
"fossa
di
purificazione",
all'interno
della
quale
sono
state
rinvenute
numerose
statue
in
terracotta
di
Demetra
di
epoca
arcaica.
Sempre
a
quest'epoca
risale
il
maggior
sviluppo,
anche
monumentale,
dell'area
cimiteriale.
Sono
documentate
in
questa
fase
diverse
sepolture
ad
incinerazione,
collocate
in
cratere
all'interno
di
tombe
a
pozzetto.
Va
segnalato
a
questo
riguardo
l'elegante
cratere
in
bronzo,
datato
alla
fine
del
V
secolo
a.C,
oggi
conservato
presso
il
Museo
Archeologico
Regionale:
dotato
di
anse
a
volute
del
tipo
a
testa
di
cigno,
era
stato
utilizzato
quale
urna
cineraria
all'interno
di
una
tomba
a
pozzetto
dal
ricco
corredo
di
vasi
ceramici.
In
questa
necropoli
sono
documentate
sepolture
anche
ad
inumazione,
collocate
in
strutture
realizzate
con
conci
squadrati
di
arenaria.
All'interno
di
una
di
queste
sepolture
è
stato
rinvenuto
un
sarcofago
marmoreo
del
tipo
a
cassa,
con
coperchio
a
doppio
spiovente
dotato
di
acroteri
angolari,
anch'esso
conservato
presso
il
Museo
Archeologico
Regionale.
Alla
fine
del
V
secolo
a.C.
si
datano
alcuni
corredi
tombali
rinvenuti
a
Poggio
Giache
di
Villaseta,
non
molto
distante
dal
lembo
occidentale
della
necropoli
di
contrada
Pezzino.
Gli
scavi,
condotti
negli
anni
Sessanta
del
secolo
scorso
e
diretti
da
Graziella
Fiorentini,
hanno
portato
al
rinvenimento
di
alcuni
pregevoli
oggetti
di
corredo
all'interno
di
tombe
del
tipo
a
fossa
o
a
pozzetto
con
pareti
intonacate.
Tra
i
reperti
merita
una
menzione
un
decorato
cratere
attico
del
tipo
a
campana
(420
a.C.
circa)
attribuito
al
Pittore
di
Kleophon,
oggi
conservato
presso
il
Museo
Archeologico
Regionale.
Alla
fine
del
IV
secolo
a.C.
venne
poi
a
costituirsi
all'esterno
della
città
in
prossimità
della
Porta
IX,
in
contrada
Sottogas
(oggi
via
Manzoni),
una
necropoli
con
tombe
del
tipo
a
camera,
scavate
nella
roccia
ed
introdotte
da
prospetti
architettonici.
Necropoli
romana
e
Tomba
di
Terone

All'esterno
delle
mura
cittadine,
uscendo
dalla
Porta
Aurea
(Porta
IV),
nell'area
che
a
sud
si
protende
verso
il
mare
attraversando
la
pianura
di
San
Gregorio,
è
stata
localizzata
una
vasta
area
cimiteriale
suburbana,
un
settore
della
quale
è
noto,
fin
dalla
fine
del
XIX
secolo,
come
"necropoli
Giambertoni":
questo
settore
si
trova
sul
pendio
della
Collina
dei
Templi,
sotto
il
Tempio
della
Concordia,
in
un'area
non
distante
dalla
Grotta
Fragapane
dove
venne
organizzata
in
seguito
una
grande
catacomba.
La
maggior
parte
delle
sepolture
individuate
sono
datate
all'età
romana
imperiale
(I-III
d.C.)
e
alcune
di
queste,
soprattutto
localizzate
nell'area
Giambertoni,
hanno
visto
un
loro
riutilizzo
in
epoca
tardo
romana-paleocristiana
(IV-VI
d.C).
Oltre
alla
tradizionale
deposizione
a
fossa
terragna,
si
attesta
anche
la
tipologia
a
cassa,
composta
da
blocchi
di
pietra
locale
e
con
copertura
spesso
completata
da
un
segnacolo
tombale
(come,
ad
esempio,
una
stele
a
colonnina),
ed
ancora
la
tipologia
a
recinto
al
cui
interno
trovano
posto
più
tombe
forse
appartenenti
alla
stessa
cerchia
familiare.
Tra
i
reperti
di
spicco
provenienti
da
queste
sepolture
e
dai
loro
corredi
si
segnala,
ad
esempio,
il
sarcofago
in
marmo
(seconda
metà
del
II
secolo
d.C.)
che
ospitava
la
sepoltura
di
un
bambino:
si
tratta
di
un
manufatto
di
grande
interesse
decorato
a
rilievo
sui
quattro
lati
con
scene
struggenti
a
ricordo
dalla
sua
breve
vita
e
della
sua
repentina
morte.
Tra
le
sepolture
della
necropoli
suburbana
di
età
romana
va
ricordata
la
cosiddetta
Tomba
di
Terone
che
qui
si
staglia
in
alzato
nella
piana
di
S.
Gregorio
e
si
raggiunge
attraversata
la
SS
115.
La
struttura,
secondo
una
tradizione
del
tutto
priva
di
fondamento,
avrebbe
ospitato
i
resti
del
grande
tiranno
agrigentino
(al
potere
fra
il
488
e
il
472
a.C.)
nonché
del
cavallo
con
cui
il
tiranno
nell'anno
470
a.C.
aveva
ottenuto
la
vittoria
nella
competizione
ad
Olimpia.
Su
una
base
a
pianta
quadrata
realizzata
con
blocchi
di
pietra,
poggia
un
alto
podio
a
forma
di
parallelepipedo
marmoreo
(alto
3,90
metri
per
4,80
di
larghezza)
che
culmina
con
una
cornice
sagomata
aggettante
su
cui
è
collocata
la
tomba
vera
e
propria.
Si
tratta
di
una
struttura
sostanzialmente
cubica
a
forma
di
tempio,
con
una
finta
porta
a
rilievo
di
ordine
dorico
collocata
al
centro
di
ciascuno
dei
lati
e
quattro
colonne
angolari
di
ordine
ionico.
Il
tempietto
è
concluso
nella
parte
superiore
da
una
trabeazione
dorica,
solo
parzialmente
conservata.
Questa,
caratterizzata
dall'architrave
liscio
e
dal
fregio
con
triglifi
e
metope,
doveva
fare
da
sostegno
alla
copertura
di
forma
piramidale,
della
quale
però
non
è
rimasto
nulla.
Necropoli
paleocristiana
e
bizantina

Lungo
il
percorso
che
collega
il
Tempio
di
Giunone,
il
Tempio
della
Concordia
fino
al
Tempio
di
Ercole,
sono
state
individuate
alcune
aree
sepolcrali
in
uso
tra
il
IV
e
V
secolo
d.C:
si
tratta
di
interessanti
testimonianze
funerarie
di
epoca
paleocristiana
e
bizantina
che
vennero
a
stratificarsi
in
aree
incluse
precedentemente
all'interno
del
circuito
murario.
In
particolare,
nel
giardino
di
Villa
Aurea
sono
stati
identificati
tre
ipogei
cristiani
con
camerette
sepolcrali
forse
legate
a
nuclei
familiari
e
le
tombe
a
cielo
aperto
di
una
più
vasta
area
sepolcrale
cristiano-bizantina,
mentre
più
oltre
nell'area
sono
visibili
una
serie
di
tombe
rettangolari
scavate
nella
roccia.
Poco
distante
da
Villa
Aurea,
attraversata
la
strada,
si
raggiunge
la
catacomba
nota
come
Grotta
Fragapane:
si
tratta
di
un'area
ipogea
già
conosciuta
nel
XVIII
secolo
che
venne
costruita
scavando
un
banco
roccioso
e
riutilizzando
l'area
di
antiche
cisterne
di
epoca
greca.
Scavata
a
partire
dalla
fine
del
XIX
secolo,
la
catacomba,
a
cui
si
accede
attraverso
un
corridoio
a
cielo
aperto,
a
ridosso
del
quale
si
dispongono
delle
sepolture
della
necropoli
a
cielo
aperto,
si
caratterizza
con
un
percorso
che
ha
andamento
da
nord
a
sud.
Nelle
pareti
dei
corridoi,
così
come
in
quelle
degli
ambienti
circolari
localizzati
lungo
il
percorso,
sono
stati
scavati
nella
roccia
arcosoli
(loculi
che
nella
parte
sommitale
sono
coperti
da
una
volta
a
botte)
e
cubiculi
(al
cui
interno
erano
collocate
tombe
a
sarcofago)
alcuni
dei
quali
recano
ancora
visibili
residui
di
pittura
parietale
con
decorazione
nastriforme
o
vegetale.
Nel
settore
a
sud
la
catacomba
ha
un
accesso
diretto
alla
necropoli
romana
nell'ex
fondo
Giambertoni.
Va
infine
ricordato
che
sotto
il
Tempio
di
Giunone,
lungo
il
versante
sud-orientale
della
Collina
dei
Templi,
in
epoca
paleocristiana,
venne
costruita
una
piccola
chiesa
detta
del
Vallone
di
San
Biagio.
Realizzato
in
conci
di
arenaria,
l'edificio,
con
l'entrata
a
est
preceduta
da
un
nartece,
si
componeva
di
una
piccola
aula
rettangolare
con
abside
semicircolare
sul
muro
di
fondo.
Inglobate
nel
pavimento
dell'aula
sono
state
rinvenute
due
sepolture
e
ciò
ha
portato
gli
studiosi
ad
ipotizzare
che
l'edificio
fosse
un
martyrium,
cioè
un
luogo
di
devozione
a
ricordo
di
Libertino
e
Pellegrino
(vissuti
nel
III
secolo
d.C.).
Distrutta
nella
prima
metà
del
V
secolo
(forse
quando
la
città
venne
interessata
da
invasioni
vandaliche),
la
chiesa
sarebbe
stata
poi
ricostruita
tra
la
fine
del
V
e
gli
inizi
del
VI
secolo.
La
Rupe
Atenea
Un
altro
nucleo
sacro,
oltre
a
quello
individuato
sulla
Collina
dei
Templi,
è
stato
individuato
sul
versante
meridionale
della
Rupe
Atenea
che
sovrasta
ad
oriente
l'antico
centro
abitato
nella
valle.
Su
tale
costone
roccioso,
per
sua
natura
fortificato,
sono
stati
rinvenuti
i
resti
di
due
torri
datate
alla
fine
del
V
secolo
a.C.
di
cui
una
venne
obliterata
nel
IV
a.C.
in
occasione
della
costruzione
di
un
muro
di
terrazzamento
posto
a
sostegno
e
rinforzo
di
una
struttura
destinata
alla
lavorazione
e
spremitura
delle
olive.
Si
percorre
via
Demetra
fino
a
raggiungere
lo
spiazzo
antistante
il
Cimitero
di
Bonamorone:
da
qui,
superato
il
cancello
di
accesso
all'area
archeologica
della
Rupe
Atenea,
è
possibile
intraprendere
il
percorso
in
terra
battuta
che,
salendo,
consente
di
raggiungere
la
chiesa
di
San
Biagio.
Durante
l'itinerario
si
osservino
i
resti
di
un
antico
tracciato
scavato
nella
roccia
con
evidenti
i
solchi
lasciati
dal
passaggio
di
carri.
La
chiesa
di
San
Biagio
è
un
edificio
medievale
di
epoca
normanna
(XII
secolo)
a
navata
unica
con
abside
semicircolare
rivolto
a
est,
che
si
eleva
sopra
la
fondazione
di
un
antico
tempio
datato
intorno
al
470
a.C.
e
realizzato
con
blocchi
di
calcare
locale.
La
chiesa,
caratterizzata
da
una
semplice
facciata
con
portale
d'entrata
ad
arco
a
sesto
acuto,
occupa
in
tutta
la
larghezza
e
in
oltre
metà
della
lunghezza
l'area
dell'antico
tempio
dorico
distilo
in
antis
(13,30
x
30,20
m)
utilizzandone
il
naos,
mentre
le
fondazioni
del
pronao
d'accesso
sono
ancora
bene
osservabili
all'esterno
dell'abside
della
chiesa.
In
merito
alla
sua
dedicazione
si
ipotizza
che
il
tempio
fosse
consacrato
a
Demetra
sulla
base
del
ritrovamento,
nei
pressi
del
muro
perimetrale,
di
una
coppia
di
altari
a
pianta
circolare
e
di
un
pozzo
votivo
al
cui
interno
sono
state
rinvenute
offerte
ricondotte
al
culto
della
dea
e
ai
riti
ad
essa
connessi
come,
ad
esempio,
numerose
lucerne.
Queste
sono
conservate
presso
il
Museo
Archeologico
assieme
a
parte
della
sima
(cornice)
con
gocciolatoi
a
testa
leonina
che
doveva
caratterizzare
all'esterno
l'antico
sviluppo
del
frontone.
All'interno
della
chiesa,
invece,
sono
conservate
alcune
parti
del
geìson
templare.
Tali
reperti
architettonici
sono
stati
rinvenuti
in
occasione
degli
scavi
condotti
a
partire
dagli
anni
Venti
del
secolo
scorso.
Va
infine
segnalato
che
poco
a
sud
dall'area
dell'antico
tempio
è
stata
rinvenuta
nel
1
897,
all'interno
di
una
cisterna,
la
celebre
statua
nota
come
Efebo
di
Agrigento
(oggi
al
Museo
Archeologico).
Quanto
alla
chiesa
di
San
Biagio
va
segnalato
che
questa,
tra
il
XV
e
il
XVI
secolo,
venne
internamente
modificata
con
l'inserimento
di
quattro
colonne
a
reggere
arcate
a
tutto
sesto
centrali
ed
arcatelle
laterali,
nonché
con
l'innalzamento
dell'area
presbiteriale.
Nel
corso
di
un
intervento
di
restauro
effettuato
nel
2000,
a
cura
del
Parco
Archeologico
di
Agrigento
e
della
Soprintendenza,
sono
state
effettuate
interessanti
scoperte
sotto
i
livelli
pavimentali
della
chiesa.
In
particolare
va
segnalato,
nell'angolo
nordoccidentale,
il
rinvenimento
di
una
antica
cisterna
scavata
nel
banco
roccioso
che
andrebbe
collegata
con
l'antico
edificio
templare
e
la
cui
presenza
interroga
gli
studiosi
in
merito
alla
possibilità
di
un
culto
delle
acque
in
epoca
antica,
forse
poi
proseguito
anche
in
epoca
post
classica
con
la
dedicazione
al
santo
che,
secondo
la
tradizione,
guariva
anche
con
l'acqua.
Santuario
rupestre
di
Demetra
o
di
San
Biagio
Lasciata
la
chiesa
di
San
Biagio-Tempio
di
Demetra,
tornando
indietro
per
un
tratto,
si
scende
per
una
ripida
scala
scavata
nella
roccia
fino
a
raggiungere
i
resti
del
cosiddetto
Santuario
rupestre
di
San
Biagio.
Il
complesso,
indagato
a
partire
dagli
anni
Venti
del
secolo
scorso
da
Pino
Marconi,
si
trova
al
di
fuori
dalle
mura
della
città
sulle
pendici
nordorientali
della
Rupe
Atenea
e
sotto
la
piattaforma
rocciosa
su
cui
si
trova
la
chiesa
di
San
Biagio-Tempio
di
Demetra.
Esso
presenta
a
ovest,
a
ridosso
di
una
parete
rocciosa
dove
si
aprono
grotte
naturali,
i
resti
di
un
edificio
a
pianta
rettangolare
che
del
complesso
costituisce
il
corpo
principale.
Questo
edificio
verso
est
si
apre
su
un'area
trapezoidale
recintata,
interpretata
come
piazzale.
Se
gli
studiosi
sono
da
sempre
concordi
circa
la
destinazione
sacra
dell'area,
differenti
sono
le
proposte
relative
al
destinatario
del
culto.
Da
un
lato
abbiamo
la
tradizionale
ipotesi
che
vede
il
complesso
dedicato
alle
Divinità
ctonie
Demetra
e
Persefone;
questo
non
solo
perché
il
Tempio
di
Demetra
campeggia
in
posizione
elevata
sulla
Rupe
Atenea,
ma
anche
per
il
rinvenimento
di
alcune
offerte
votive
e
busti
fittili
riconducibili
al
loro
culto.
Un'altra
ipotesi
è,
invece,
quella
secondo
la
quale
il
complesso
sarebbe
stato
dedicato
al
culto
delle
ninfe,
osservando
la
ricca
presenza
d'acqua
nell'area.
Più
di
recente,
grazie
a
nuove
indagini,
il
complesso
è
stato
interpretato
come
una
arti<
olata
fontana
di
epoca
ellenistica.
Quello
che
oggi
è
possibile
osservare
di
questo
complesso
è
un
edifk
io
a
pianta
rettangolare
(3,02
x
12,32
m)
in
blocchi
di
calcare
locale
i
lic
si
appoggia
con
uno
dei
lati
lunghi
alla
parete
rocciosa
venendo
a
coniai
lo,
quasi
al
centro,
con
l'imbocco
di
due
grotte
da
cui
dipartono
ah
rei
uni
le
gallerie
fra
di
loro
comunicanti
all'interno
delle
quali
sono
state
rinvenute
numerose
offerte
votive.
Sulla
base
delle
indagini
effettuate
questa
struttura
doveva
svilupparsi
su
due
livelli
di
cui
quello
inferiore,
organizzato
in
due
ambienti
tra
loro
divisi
da
un
basso
muro,
veniva
utilizzato
come
area
di
raccolta
dell'acqua
qui
convogliata
da
una
sorgente
poco
distante
grazie
ad
un
condotto
scavato
nella
roccia
che
si
apriva
nell'angolo
nordoccidentale.
L'edificio
quindi
nel
livello
inferiore
doveva
assolvere
alla
funziono
di
bacino
di
raccolta
dell'acqua
suddiviso
in
due
vani-cisterne:
secondo
la
necessità
l'acqua
poteva
essere
attinta
sia
direttamente
dai
vani-cisterne,
raggiungibili
da
est
laddove
il
fronte
dell'edificio
si
apre
sul
piazzale,
sia
dal
lato
ovest
dall'intercapedine
presente
tra
muratura
dell'edificio
e
Li
parete
rocciosa.
In
una
fase
successiva
si
realizzò
un
condotto
che
portava
l'acqua
direttamente
all'esterno
dell'edificio
uscendo
dal
lato
orientale
nei
pressi
del
quale
sorgeva,
recintato
da
un
muro,
un
piazzale
di
forma
trapezoidale.
Questo,
oltre
che
nell'impianto
planimetrico,
si
presenta
differente
dal
corpo
principale
anche
per
orientamento
e
ciò
è
stato
interpretato
dagli
studiosi
come
una
scelta
costruttiva
che
da
un
lato
avrebbe
assecondalo
il
naturale
andamento
dell'area,
ma
dall'altro
avrebbe
anche
risentito
di
episodi
di
dissesto
e
di
un
vero
e
proprio
"scivolamento"
di
questa
porzione
del
complesso
in
direzione
nord-est.
All'interno
del
piazzale
sono
state
rinvenute
delle
vasche
tra
loro
comunicanti
e
dal
diverso
livello
pendenza,
sul
fondo
delle
quali
si
raccoglieva
l'acqua
giunta
al
termine
del
suo
lungo
percorso.
Abitato
greco
arcaico,
classico,
ellenistico
Gli
scavi
archeologici
certificano
che
entro
la
fine
del
VI
secolo
a.C.
nella
valle
dei
Templi
il
primo
e
più
antico
abitato
di
Akràgas
era
già
stato
impiantato
ed
organizzato
secondo
quell'ordinato
sviluppo
ortogonale
che
poi
la
città
manterrà
e
svilupperà
ulteriormente
nei
secoli
successivi.
Già
in
questa
fase
arcaica
gli
assi
viari
con
andamento
est-ovest
costituiscono
gli
elementi
ordinatori
dell'intero
abitato
intersecandosi
con
gli
assi
viari
nord-sud.
Così
la
planimetria
della
città
va
a
svilupparsi
in
stretti
e
lunghi
isolati,
intersecati
dal
sistema
viario:
la
data
limite
per
la
composizione
urbanistica
è
tradizionalmente
fissata
intorno
al
480
a.C,
quando
viene
edificato
il
tempio
di
Giove
che
risulta
orientato
rispetto
all'impianto
urbano.
Nel
secolo
successivo,
durante
il
governo
del
tiranno
Terone
(dal
488
al
472
a.C),
si
datano
alcuni
interessanti
interventi
infrastrutturali,
tra
i
quali
spicca
la
grandiosa
opera
idraulica
progettata
da
Feace.
Questi
progettò
un
sistema
di
captazione
delle
acque
dai
rilievi
della
Rupe
Atenea
e
della
Collina
di
Girgenti
che
canali
scavati
nella
roccia
portavano
in
diversi
punti
della
valle.
Alcuni
di
questi
terminavano
il
loro
percorso
sfociando
nella
Kolymbetra,
posizionata
al
termine
della
Collina
dei
Templi
a
occidente.
Per
realizzare
questo
complesso
di
"acquedotti
Feaci"
Diodoro
Siculo
(I
secolo
a.C.)
racconta
che
Terone
utilizzò
come
manodopera
i
prigionieri
cartaginesi
catturati
dopo
la
vittoria
nella
battaglia
di
Himera
(480
a.C).
Nel
V
secolo
a.C.
sul
poggio
di
San
Nicola,
nell'agorà
superiore,
vengono
realizzati
alcuni
edifici
sacri
ed
edifici
a
destinazione
civile.
Alla
fine
del
secolo,
nel
406
a.C,
la
città
viene
conquistata
e
distrutta
dai
Cartaginesi.
Successivamente,
sulla
base
degli
accordi
di
pace
tra
Cartagine
e
Dioniso
I
di
Siracusa
(405-404
a.C),
la
popolazione
di
Akragas
può
rientrare
in
città
ma
con
il
divieto
di
ricostruire
le
mura
di
difesa
e
vessata
dal
tributo
da
pagare
a
Cartagine.
Da
questo
momento,
e
fino
alla
metà
del
successivo
IV
secolo
a.C.,
inizia
una
lenta
ripresa
dell'antico
abitato
e,
secondo
gli
studiosi,
a
questa
fase
si
potrebbe
riferire
quel
lembo
dì
abitato
dai
caratteri
punici
costruito
nelle
vicinanze
di
Porta
II,
alle
pendici
orientali
della
Rupe
Atenea.
Con
la
seconda
metà
del
IV
secolo
a.C.,
nella
fase
che
coincide
con
l'epoca
di
Timoleonte,
si
assiste
ad
una
generale
ripresa
dell'abitato.
A
questa
fase
si
data
la
sistemazione
del
circuito
murario
ed
ancora
la
ripresa
della
monumentalizzazione
sulla
Collina
dei
Templi,
in
particolare
nel
settore
occidentale
in
prossimità
del
Tempio
di
Giove;
all'esterno
delle
mura,
sulle
pendici
della
Rupe
Atenea,
viene
edificato
il
santuario
rupestre
di
San
Biagio.
Poggio
San
Nicola
e
l'agorà
Nel
V
secolo
a.C.
sul
poggio
di
San
Nicola
l'agorà
qui
localizzata
viene
dotata
di
edifici
a
destinazione
sacra.
Tra
il
IV
ed
il
III
secolo
a.C.
vengono
costruiti
l'Ekklesiasterion
e
il
Bouleuterion.
I
due
edifici
si
trovano
poco
distanti
dalla
chiesa
di
San
Nicola
(costruita
nel
XIII
dai
monaci
Cistercensi
in
un'area
già
occupata
da
un
edifico
più
antico
di
epoca
normanna)
e
dal
vicino
monastero,
all'interno
del
quale
è
stato
collocato
il
Museo
Archeologico
Regionale.
Sul
versante
meridionale
dell'altura
venne
costruito
l'Ekklesiasterion,
edificio
che
ospitava
l'assemblea
dei
cittadini.
Datato
tra
il
IV
e
il
III
secolo
a.C,
dell'antico
edificio
rimane
oggi
evidente
parte
della
cavea
scavata
nel
banco
tufaceo
e
con
una
leggera
pendenza
verso
sud;
al
termine
delle
diciannove
file
di
sedute
sono
stati
rinvenuti
i
resti
di
un
ambulacro
(largo
1
m)
delimitato
da
un
parapetto.
La
scoperta
di
alcune
cavità
nella
roccia
ha
portato
ad
ipotizzare
la
presenza
di
un
portico
sorretto
da
pali
lignei
a
completamento
della
struttura.
Sebbene
la
cavea
sia
limitata
ad
una
porzione
semicircolare,
questa
è
risultata
sufficiente
per
ricavare
il
diametro
massimo
dell'originale
complesso
circolare
(48
m)
e
per
calcolare
la
capienza
massima
(circa
3000
persone).
Non
sono
stati,
invece,
ritrovati
i
resti
del
podio
su
cui
salivano
gli
oratoti
che
si
avvicendavano
durante
le
assemblee
e
che
in
origine
doveva
essere
collocato
al
centro
dell'Ekklesiasterion.
In
epoca
romana,
quando
ormai
l'Ekklesiasterion
era
in
disuso
da
tempo,
l'area
venne
in
parte
occupata
dall'edificio
erroneamente
noto
come
Oratorio
di
Falaride
perché
in
passato
venne
interpretato
come
i
resti
del
palazzo
di
Falaride
(tiranno
di
Agrigento
dal
570
al
555
a.C),
ma
anche
come
un
monumento
funerario
di
una
ricca
famiglia
romana.
Si
tratta,
in
realtà,
di
un
tempio
di
tipo
romano
(13x9
m)
eretto
su
un
podio
sagomato
(alto
1,60
m)
a
cui
si
accedeva
ttamite
gradinata
frontale.
Tempio
prostilo,
con
quattro
colonne
(tetrastilo)
ioniche
ad
aprire
il
pronao,
terminava
con
il
naos
(6
x
5,30
m)
che
dell'antico
tempio
è
l'unica
porzione
superstite,
grazie
al
suo
utilizzo
in
epoca
normanna
come
cappella
del
monastero
collocato
sull'altura
di
San
Nicola.
Per
questo
motivo
l'ambiente
si
presenta
manomesso
e
modificato.
Dall'altro
lato,
verso
sud,
tra
la
fine
del
IV
e
gli
inizi
del
III
secolo
a.C.
venne
eretto
il
Bouleuterion
(sede
dell'assemblea
dei
rappresentanti
del
popolo).
L'edificio
presenta
una
cavea
semicircolare
che
in
origine
era
inserita
all'interno
di
un'area
rettangolare
recintata
e
coperta
da
un
tetto
sorretto
da
colonne.
A
lato
dell'edificio
vi
era
poi
un
portico
costruito
a
lato
dell'asse
viario
nord-sud
che
poco
oltre
intersecando
l'asse
est-ovest,
dava
anche
a
quest'area
un
impianto
ordinato.
La
cavea
in
pietra
arenaria
si
presenta
con
sei
file
di
sedili
raggiungibili
tramite
quattro
percorsi
scalinati.
L'edificio
(forse
poi
trasformato
in
un
odeon,
edificio
destinato
a
manifestazioni
canore),
in
epoca
romana
venne
dotato
di
pavimentazioni
a
mosaico
nell'area
dell'orchestra
e
nell'area
porticata.
In
epoca
augustea,
dopo
lavori
di
rafforzamento
murario
ed
allargamento
artificiale
dell'area,
venne
costruito
al
centro
di
un'ampia
area
(60
x
36
m)
posta
a
nord
e
delimitata
da
un
portico
ad
U,
un
tempio
su
podio
di
tipo
romano.
L'edificio,
scavato
alla
fine
degli
anni
Novanta
del
secolo
scorso
da
Ernesto
De
Miro
ed
interpretato
come
un
Iseion,
è
stato
più
di
recente
indagato
dal
Politecnico
di
Bari
che,
anche
grazie
ai
nuovi
ausili
tecnologici
messi
a
disposizione
per
lo
studio
dei
Beni
Culturali,
ha
potuto
precisare
la
datazione
del
monumento
e
individuare
due
distinte
fasi
costruttive.
La
prima
fase,
datata
al
I
secolo
a.C,
prevedeva
la
realizzazione
di
un
tempio
del
tipo
ad
oikos
collocato
su
podio
e
scalinata
frontale.
In
realtà
l'edificio
non
sarebbe
stato
completato
prima
del
I
secolo
d.C.
In
questa
seconda
fase
l'edificio
fu
terminato
modificando
però
il
progetto
iniziale.
Vennero
infatti
inseriti
elementi
non
previsti
in
precedenza
come
una
tribuna,
dotata
di
scale
laterali,
costruita
sul
fronte
dell'edificio
al
posto
dell'originale
rampa
gradinata
di
accesso,
e
una
struttura
murarla
ad
ambiente
unico
non
preceduta
da
colonnato
o
pronao.
L'edificio
divenne
il
centro
di
un'area
a
destinazione
forense
circondata
da
quattro
portici
sorretti
da
colonne
e
trabeazione
di
ordine
dorico.
Tre
dei
quattro
portici
verso
l'esterno
presentavano
una
semplice
mura
tura
lineare,
priva
di
decorazioni.
Il
portico
meridionale,
invece,
doveva
presentarsi
verso
l'esterno
con
una
muratura
intervallata
da
pilastri
che
al
centro
inquadrava
l'ingresso
alla
piazza.
Questa
veniva
raggiunta
per
il
tramite
di
una
rampa
di
scale
che
permetteva
di
colmare
il
salto
di
quota
tra
la
strada
e
il
centro
dell'area.
Quartiere
ellenistico-romano
Con
l'epoca
romana,
e
la
pacificazione
seguita
alle
due
guerre
puniche,
nell'abitato
si
assiste
ad
una
nuova
fase
edilizia
e
di
riqualificazione:
in
particolare
ciò
è
stato
osservato
in
occasione
degli
scavi
del
cosiddetto
quartiere
ellenistico-romano
individuato
in
contrada
San
Nicola.
Gli
isolati
vengono
divisi
longitudinalmente
da
canali
che,
oltre
a
separare
le
singole
abitazioni,
risultano
funzionali
alla
gestione
del
drenaggio
delle
acque.
Gli
edifici
sono
stati
realizzati
utilizzando
blocchi
di
arenaria
disposti
a
secco.
Fino
al
IV
secolo
d.C.
il
quartiere
romano
è
abitato
e
vitale
con
numerose
botteghe
ed
attività
commerciali
che
si
aprono
sulle
vie.
Durante
l'età
imperiale,
ed
in
particolare
tra
II
e
III
secolo
d.C,
l'abitato
prospera
anche
grazie
alla
fiorente
attività
estrattiva
dello
zolfo
e
alla
sua
commercializzazione,
come
documentato
dalle
indagini
archeologiche.
Gli
scavi
hanno
portato
alla
luce
una
trentina
di
case
che
sono
state
catalogate
e
studiate
a
seconda
della
loro
planimetria
e
sviluppo:
case
con
peristilio
(tipo
ellenistico),
case
con
atrio
caratterizzato
al
centro
da
una
vasca
per
la
raccolta
delle
acque
e
circondato
da
un
peristilio
(tipo
romano),
e
infine
case
con
corridoio
di
disimpegno
tra
l'atrio
d'entrata
e
gli
ambienti
dell'abitazione.
Le
case
fino
ad
ora
scavate
hanno
portato
alla
scoperta
di
pregevoli
dettagli
al
loro
interno
come,
ad
esempio,
le
pavimentazioni.
Queste,
a
seconda
della
ricchezza
del
proprietario
e
dell'utilizzo
funzionale
di
ogni
ambiente,
potevano
essere
costituite
da
un
semplice
strato
di
cocciopesto
(costituito
da
una
amalgama
di
calce
con
frammenti
fittili
come
quelli
di
tegole
ed
anfore)
con
qualche
tesserina
marmorea
decorativa,
da
mosaici
a
tesserine
bianche
e
nere
dal
decoro
essenziale
e
semplice
di
tipo
geometrico
o
vegetale,
oppure,
a
partire
in
particolare
dal
III
d.C,
da
mosaici
policromi
figurati
(con
decorazioni
zoomorfe
e
fitoformi)
se
non
addirittura
quasi
astratti.
Oltre
ai
pavimenti,
in
molte
case
sono
stati
individuati
residui
di
strati
di
intonaco
e
tracce
di
pittura
parietale
ad
indicare
la
cura
con
cui
queste
case
venivano
decorate
e
comunque
mantenute.
Gli
scavi
documentano
che
molti
edifici
ad
un
certo
punto
vennero
ristrutturati
e
modificati,
ad
esempio
con
la
suddivisione
in
più
ambienti
piccoli
di
originali
grandi
vani,
ma
anche
con
la
chiusura
del
peristilio
che
circondava
l'atrio
d'entrata
attraverso
l'innalzamento
di
muri
tra
le
colonne
del
portico.
In
epoca
altomedievale
il
quartiere
verrà
occupato
da
alcune
sepolture,
ora
scavate
in
nuda
terra,
ora
composte
da
una
cassa
di
pietra.
Dall'VIII
secolo
l'abitato
nella
Valle
dei
Templi
verrà
abbandonato
e
sul
Colle
di
Girgenti
inizierà
una
nuova
pagina
della
millenaria
storia
della
città
di
Agrigento.
A
partire
dal
IV
secolo
la
città
inizia
un
lento
declino.
In
particolare
nel
V
secolo
nel
vallone
di
San
Biagio
verrà
costruita
una
piccola
basilica
cimiteriale
paleocristiana,
mentre
una
chiesa
cristiana
è
nota
dalle
fonti
e
da
alcuni
ritrovamenti
architettonici.
Alla
fine
del
VI
secolo,
Gregorio
vescovo
di
Agrigento
(dal
591
al
630)
consacra
ai
Santi
Pietro
e
Paolo
il
Tempio
della
Concordia.
Museo
archeologico
Il
museo
archeologico
di
Agrigento
,
che
all’interno
custodisce
straordinari
tesori,
è
il
più
visitato
dell’intera
Sicilia.
Inaugurato
nel
giugno
del
1967
oggi
conserva
quasi
interamente
reperti
frutto
di
scavi
della
Soprintendenza
ai
Beni
Culturali
effettuati
dal
dopoguerra
ai
nostri
giorni.
Il
grande
stabile
si
trova
sulla
"passeggiata
archeologica"
a
pochi
passi
dal
quartiere
ellenistico
romano
e
ad
un
centinaio
di
metri
dalla
"Via
Sacra"
dove
sorgono,
come
incastonati,
i
meravigliosi
templi.
E'
diviso
in
due
settori:
il
primo
comprende
11
sale
che
espongono
reperti
rinvenuti
nell'area
della
città;
il
secondo
comprende
le
altre
6
sale
che
conservano
i
reperti
rinvenuti
fuori
dalla
città
capoluogo.
Vi
si
trovano
manufatti
di
diverse
ere
che
racchiudono
nella
loro
tipicità
i
diversi
passaggi
della
storia
delle
civiltà
che
fiorirono
sull’area.
Splendido
l’originale
del
Telamone
il
celeberrimo
gigante
che
oltre
ad
abbellirlo
serviva
da
supporto
al
tempio
di
Giove
Olimpico.
Si
possono
inoltre
ammirare
in
gran
quantità,
statuette,
urne
funerarie,
monete
d’oro
uniche
al
mondo,
monili,
ricostruzioni
di
piante
antiche,
utensili
di
vita
quotidiana
e
armi.
Sempre
nelle
grandi
sale
del
museo
viene
conservato
un
vecchio
vaso
greco
che
fu
usato
per
trasportare
le
ceneri
del
drammaturgo
e
premio
Nobel
agrigentino,
Luigi
Pirandello.
Pag.
5
Agosto
2018
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