Caltanissetta

 

Storia, folklore e gastronomia si fondono in maniera perfetta in una splendida provincia nel cuore della SiciliaCaltanissetta. Una provincia che affonda le proprie radici in un passato lontanissimo, che rivive attraverso le testimonianze degli scavi archeologici e nei castelli sparsi sul territorio.

La storia della provincia di Caltanissetta è costellata dal passaggio di molte dominazioni che hanno lasciato la loro impronta: greca, romana, araba-normanna, sveva, angioina, aragonese e castigliana.

Il periodo di massimo splendore è legato allo sfruttamento dei grandi giacimenti di zolfo, oggi dismessi, che sono entrati a far parte del patrimonio storico-naturalistico di questa provincia.

Dirigendosi verso il confine agrigentino, il paesaggio ancora mostra i segni delle antiche miniere, con i pozzi e le gallerie che hanno modificato il profilo delle montagne.

Le colline brulle e giallognole in primavera si trasformano in un verde intenso, cambiando radicalmente il paesaggio. Dolci rilievi degradano verso il breve tratto di costa che segna lo sbocco sul mare della provincia.  I vivaci colori delle coltivazioni di uliveti, vigneti e agrumeti animano l’intera zona per poi confondersi con l’azzurro del mare. Il Nord è segnato da monti, colline e ampi valloni, habitat ottimale per la coltivazione di noccioli, vigne e ulivi.

Il toponimo deriva dall'arabo Qalʿat an-nisāʾ, letteralmente traducibile come "rocca delle donne", o "castello delle donne", che è il nome con cui il geografo arabo Idrisi indica la città nel 1154. Il motivo per cui la località fosse appellata in questo modo rimane sconosciuta e l'ipotesi che il castello di Pietrarossa fosse un harem a servizio dell'emiro di Palermo sembra essere smentita dalla natura militare della fortezza. Secondo la storica nissena Rosanna Zaffuto Rovello il nome era dovuto al fatto che gli uomini, a causa della distanza dei campi coltivati, fossero costretti a dimorare fuori dal villaggio, dando così l'impressione che fosse abitato solo dalle donne.

Con l'arrivo dei Normanni, nell'XI secolo la città incominciò ad assumere il nome latinizzato di Calatenixet, secondo la versione del Malaterra, o Calatanesat, in una traslitterazione dall'Arabo di un testo di Muhammad al-Idrisi. Già alla fine del XII secolo, lo storico Ugo Falcando, nel suo Liber De Regno Sicilie, parla di Caltanixettum, che risulta essere la traduzione ufficiale dell'odierno nome in latino.

Secondo una ricerca dello studioso Luigi Santagati, il toponimo dimostrerebbe l'esistenza, mai confermata, di un borgo preesistente di origine bizantina. Secondo questa teoria, nisā, "donna" in arabo, sarebbe la storpiatura di Nissa, il nome della città dell'Anatolia da cui provenivano gli stratioti bizantini che avrebbero costruito il castello di Pietrarossa e il vicino villaggio, che avrebbero chiamato Nissa, lì dove sorge il quartiere degli Angeli. In seguito alla conquista da parte degli Arabi, questi avrebbero aggiunto al nome originale del borgo il prefisso Qalʿat, "castello", analogamente a quanto fecero a Henna, l'odierna Enna, che rinominarono Qasr Yannae, divenuta poi Castrogiovanni, e in altre località di cui storpiarono o integrarono il nome bizantino.

Gli albori di Caltanissetta vanno cercati in epoca molto antica: reperti dell'età del bronzo trovati nei pressi della città indicano che la zona è abitata fin dal IV millennio a.C. La posizione strategica fu certamente il motivo per cui gruppi di uomini, già a partire dall'ultimo neolitico, decisero di insediarsi in questa particolare zona della Sicilia centrale, su delle alture da cui si poteva dominare tutto il paesaggio circostante, molto vicini alla costa settentrionale e collegati alla costa meridionale dall'Imera meridionale, fiume che all'epoca risultava essere navigabile.

Il primo nucleo urbano, di origine sicuramente sicana, si formò nella zona del monte Gabal al Habib, attestato da un'epigrafe del 397 a.C. nella quale si sarebbe letto per la prima volta il nome Nissa che, con l'arrivo dei Greci intorno al VII secolo a.C., sarebbe stata posta sotto il presidio di Siracusa.

Dopo la seconda guerra punica, la Sicilia passò sotto il controllo dei Romani. Fino a qualche anno fa si pensava che nel 123 a.C. il territorio nisseno fosse stato invaso dai Romani guidati dal console Lucio Petilio, che vi avrebbero installato una colonia chiamata "Petiliana" in suo onore. Dopo recenti studi, si tende a pensare che la colonia Petiliana corrisponda alla vicina Delia. Ciononostante si è voluto che il presunto passaggio del console rimanesse un segno indelebile nella toponomastica della zona, per esempio a Borgo Petilia, in realtà nome attribuito dal Fascismo nel XX secolo. Un importante indizio della presenza latina risiede nei resti di una villa a nord-ovest di Sabucina, da dove provengono vari reperti archeologici, tra cui un busto dell'imperatore Geta.  

Durante il dominio arabo, delle famiglie di origine berbera si stanziarono in un borgo corrispondente all'attuale quartiere degli Angeli, che battezzarono Qalʿat an-nisāʾ("castello delle donne").

In base ai suoi studi sull'origine del toponimo Caltanissetta, lo studioso Luigi Santagati sostiene che i primi ad abitare nell'attuale luogo della città potrebbero essere stati i Bizantini, che nella seconda metà dell'VIII secolo avrebbero edificato il castello di Pietrarossa e l'annesso borgo che avrebbero chiamato Nissa dal possibile nome della città di provenienza degli stratioti fondatori sita in Cappadocia. Con l'arrivo degli Arabi, intorno all'846, il nome sarebbe diventato Qalʿat an-nisāʾper assonanza con il vecchio nome bizantino.

Nel 1087, la città venne occupata dai Normanni, e divenne possedimento del Gran Conte Ruggero, che la trasformò in feudo per vari membri della sua famiglia e fondò l'abbazia in stile romanico di Santo Spirito, laddove si trovava un villaggio rupestre e un convento basiliano sorto forse sui resti di una fattoria di origine romana. Primo feudatario di Caltanissetta, dopo Adelasia, nipote del Gran Conte Ruggero, fu Gosfredo di Lecce, signore di Montecaveoso forse dal 1153 al 1155.

Durante il dominio aragonese nel 1296 Federico III nominò conte Corrado I Lancia. Nel 1361 i baroni Francesco Ventimiglia e Federico Chiaramonte assediarono Federico IV nel Castello di Pietrarossa, dove aveva trovato rifugio, e fu salvato dai nisseni, che non sopportavano la prepotenza dei due baroni.

Nel 1365 Guglielmo Peralta, che già controllava Sciacca e Caltabellotta divenne il signore di Caltanissetta. Nel 1358 aveva riunito nel Castello di Pietrarossa gli altri tre uomini più potenti della Sicilia di allora: Artale AlagonaManfredi ChiaramonteFrancesco Ventimiglia, che si spartirono l'intera Sicilia nel cosiddetto Governo dei Quattro Vicàri, che tuttavia durò fino al 1392, quando Martino I di Sicilia intervenne militarmente. Il re Martino I regnò fino al 1409, quando gli successe il padre Martino I di Aragona, che però morì un anno dopo, nel 1410.

Nel 1407 Caltanissetta passò ai Moncada di Paternò (con la nomina di Matteo II Moncada conte da parte di Martino I), a cui resterà per 405 anni, fino all'abolizione della feudalità in Sicilia, nel 1812.  

Nel 1553 fu costruito il ponte Capodarso sul fiume Salso, a un'unica arcata, alta quasi 20 metri, per facilitare le comunicazioni. La costruzione è tutt'ora esistente e percorribile, pur avendo subito alcune modifiche nel tempo.

Nel febbraio del 1567 un forte terremoto colpì la città, e il castello di Pietrarossa ne rimase gravemente danneggiato. A quel punto i ruderi del castello vennero utilizzati come cava per la ricostruzione del resto della città, e rimasero in piedi solo i resti di tre torri, due delle quali sono ancora visibili.

Nel 1718 a Caltanissetta scoppiò una rivolta antisavoiarda, come in molti altri centri siciliani. L'11 luglio di quell'anno le truppe sabaude di Vittorio Amedeo II di Savoia, guidate dal vicerè Annibale Maffei attraversarono la città. Durante la battaglia ci furono 53 vittime tra i nisseni e 17 tra i soldati piemontesi.

Nel 1787 vi soggiornò il poeta Goethe, che nel suo saggio Viaggio in Italia la descrisse come una «città ben situata e ben costruita».  

Nel 1816, in pieno periodo borbonico, Caltanissetta fu elevata a capoluogo di provincia, grazie alla mediazione del giurista Mauro Tumminelli. Per questo motivo la popolazione nissena si rifiutò di partecipare ai moti separatisti di Palermo del 1820, e la città dovette subire un saccheggio da parte di alcune bande armate, formate da galeotti ed ex carcerati, capitanate da Salvatore Galletti, principe di San Cataldo, che devastarono la città dopo un sanguinoso combattimento nei pressi del Convento di Santa Maria della Grazia, a quei tempi posto all'ingresso della città. Da questo evento nacque la ormai proverbiale rivalità tra le due città.

La città fu colpita dal colera nel 1837 e successivamente per altre due volte (1854 e 1866).

Aderì ai moti rivoluzionari e indipendentisti del 1848-1849, guidati da Ruggero Settimo, che ebbero termine proprio a Caltanissetta, dove fu firmata la capitolazione dei rivoluzionari.

Garibaldi e i suoi Mille giunsero a Caltanissetta il 2 luglio 1860 e vi fecero ritorno il 10 agosto. Come l'intera Sicilia venne annessa al Regno d'Italia lo stesso anno.

Dopo l'Unità d'Italia fu interessata da un grande boom economico dovuto soprattutto ad un'intensa attività mineraria, che però fu spesso accompagnata da varie sciagure: il 27 aprile 1867 morirono 47 persone a causa di un'esplosione di grisou nella miniera di Trabonella, 65 minatori persero la vita a Gessolungo il 12 novembre 1881 sempre per un'esplosione, e altri 51 nel 1911 a Deliella e a Trabonella.  

In questo periodo, la vita politica nissena è dominata da due figure importanti: Berengario Gaetani (che fu sindaco dal 1891 al 1894 e poi dal 1897 al 1911) e Ignazio Testasecca, importante imprenditore minerario che venne eletto alla Camera dei deputati per ben otto legislature consecutive nel collegio di Caltanissetta. Durante la sindacatura di Gaetani si realizzarono numerose opere pubbliche, come l'allargamento della strada che conduceva al Convento dei Cappuccini, che venne intitolata alla Regina Margherita, mentre Testasecca donò mezzo milione di lire per la costruzione di un ospizio di beneficenza in contrada Palmintelli, a lui intitolato, che gli valse il titolo di conte concessogli da re Umberto I tramite motu proprio. Altra figura politica di rilievo fu quella dell'avvocato Agostino Lo Piano Pomar, che fu dirigente della sezione nissena dei Fasci siciliani e poi nel 1905 uno dei fondatori della Camera del Lavoro di Caltanissetta, che nasceva dalle rivendicazioni di giustizia sociale dei minatori nisseni.

Le strade rotabili la collegavano a Piazza Armerina, Barrafranca e Canicattì fin dal 1838, ma la ferrovia arrivò solo nel 1878, con l'apertura della stazione ferroviaria e la costruzione della via Cavour, che doveva collegare lo scalo al centro della città. Nel 1867 giunse l'illuminazione a gas, nel 1914 l'arrivo dell'elettricità permise l'apertura del primo cinematografo.  

Nel 1920 le elezioni amministrative videro la vittoria del fronte social-riformista, con l'elezione a sindaco di Agostino Lo Piano Pomar, che però produssero numerosi disordini tra le varie formazioni politiche, alcuni dei quali sfociarono nell'uccisione di Gigino Gattuso, che verrà poi celebrato come "martire fascista". Durante la Seconda guerra mondiale, tra il 9 e il 13 luglio 1943, Caltanissetta fu teatro di pesanti bombardamenti da parte delle forze aeree anglo-americane nel quadro dello sbarco degli Alleati in Sicilia, durante i quali persero la vita 350 civili. Tali eventi furono anticipati da un mitragliamento aereo occorso in città la notte tra il 17 e il 18 giugno precedenti. Inoltre, alla fine dello stesso mese, una colonna tedesca venne mitragliata nelle vicinanze del ponte Capodarso

Truppe americane sbarcarono a Licata la mattina del 10 luglio 1943 alle ore 2,45 nella spiaggia di Mollarella con la 3ª divisione fanteria e il 18 luglio occuparono la città.

Pochi mesi prima, il 21 marzo 1943, un grave incidente ferroviario interessò un treno militare che trasportava 800 soldati del 476º battaglione costiero da Castrofilippo a Termini Imerese, causando 137 morti e 360 feriti.

Pian piano Caltanissetta incominciò a rimarginare la maggior parte delle ferite ricevute in eredità dopo la guerra: negli anni cinquanta incominciò il restauro della Cattedrale, distrutta dai bombardamenti dell'aviazione americana nel 1943 e le strade erano state liberate dalle macerie negli anni precedenti. Negli anni cinquanta-sessanta, con l'approvazione di un nuovo piano regolatore, la città ha conosciuto una notevole espansione urbanistica, che ha portato alla nascita di nuovi quartieri e di nuove arterie di comunicazione. Nei primi anni settanta venne meno il settore dell'estrazione dello zolfo: la crisi irreversibile del settore, incominciata a partire dagli anni venti grazie al nuovo processo Frasch messo a punto negli USA, raggiunse in quegli anni il punto di non-ritorno e furono così chiuse anche le ultime solfare nissene.

Castello di Pietrarossa

Il castello di Pietrarossa è una fortezza dell’XI secolo che sorge a ridosso della Chiesa di Santa Maria degli Angeli, nel vecchio quartiere arabo di Caltanissetta.

Le origini dell’edificio, di cui oggi rimangono solo i ruderi di alcune torri in pietra rossa e del ponte di comunicazione, è piuttosto controversa. Non vi sono infatti documenti a sostegno della sua presenza nel territorio prima dei Normanni, ma per il momento si presume ancora possa essere stato costruito dai bizantini tra il 750 e l’800.

Vi sono anche altre ipotesi, che tenderebbero ad attribuire al fortilizio, un’origine ancora più antica; secondo alcuni, la struttura sarebbe infatti stata eretta dai Romani su un gruppo di antiche fabbriche, altri credono invece che il castello risalga all’Epoca Greca, e in particolare che la rocca fosse di proprietà dei siracusani, e che poi fosse stata attaccata dagli ateniesi, in un fallito tentativo di presa. Altri ancora pensano invece che fosse un possedimento più recente, di origine saracena, dato che testimonianze più attuali sembrerebbero confermare la sua impressionante estensione, che comprendeva, oltre alle mura, ai camminamenti e alle torri, anche giardini e coltivazioni, elementi tipici delle costruzioni arabe; questa ipotesi farebbe pensare, che all’interno delle mura del castello, vivessero qualcosa come 300 nuclei famigliari, di cui 70 armati. Altri invece ne ipotizzano la nascita al tempo di un insediamento sicano.

L’origine araba del castello, sarebbero però la più accreditata, in quanto potrebbe anche spiegare l’origine del toponimo di Caltanissetta: derivante dal termine arabo Qal'at an-nisah, che tradotto significa ‘castello delle donne’; un’espressione che starebbe ad indicare il fatto che per un lungo periodo dell’anno, gli uomini si ritrovavano ad occupare le terre circostanti, in qualità di contadini, lasciando alle donne il presidio del fortilizio. Del castello rimangono oggi testimonianze sorte sulla base degli studi effettuati sulla rocca, che ci confermano come il castello avesse planimetria e struttura imponenti; a Siviglia vi è infatti una versione del castello, in formato plastico, così come doveva apparire nell’Antichità, stesso discorso per un’illustrazione degli inizi del Novecento, e per uno degli affreschi ubicati presso la ‘Galleria delle Carte Geografiche’, all’interno dei Musei Vaticani. 

Il castello fu teatro di diversi eventi di rilievo, che caratterizzarono il periodo della dominazione angioina di Sicilia; in particolare: durante il periodo dei Vespri, il castello venne attaccato, e i cittadini, una volta cacciati i regnanti, ivi istituirono il "Libero Comune di Caltanissetta". Ma il periodo più splendente delle "murra di l’Anciuli", è sicuramente quello aragonese.

Salito al governo Pietro III d’Aragona, il castello tornò infatti nelle mani regie; i possedimenti perduti non vennero più recuperati, ma tra le sue mura vennero ospitati i tre Parlamenti generali siciliani.

Alla morte di Federico IV, avvenuta nel 1378, la rocca calcarea che domina la valle del Salso, venne occupata dai quattro vicari di Sicilia, tra cui Guglielmo Peralta e Manfredi Chiaramonte, i quali diedero vita al cosiddetto ‘Governo dei Quattro Vicari’. 

Nel 1407, il castello, e il feudo circostante, passa alla famiglia Moncada, (nelle cui mani rimarrà fino alla fine del Feudalesimo), e in particolare a Matteo II, primo conte di Caltanissetta, il quale si dice ospitò tra le sue stanze la Regina Bianca di Navarra, per difenderla dagli oppositori che non la volevano a capo del Regno.

Nella notte del 27 febbraio 1567 il castello crollò, si presume per un terremoto; i Moncada si occuparono di preservarne ciò che ne restava ma, contemporaneamente, diedero anche l’ordine, come si evince dagli scritti, di iniziare ad utilizzarla come cava per estrarre il prezioso materiale che sarebbe asservito alla costruzione dei nuovi edifici della città. 

Le demolizioni continueranno per tutto il XVII secolo; la pietra del castello contribuì alla costruzione del Convento dei Francescani, delle cappelle del vicino cimitero, e delle abitazioni del Quartiere degli Angeli.

Oggi, dell’antica struttura e planimetria è dunque rimasto ben poco, ma alcuni scavi promozionati nel Settecento, portarono alla luce un antico passaggio, subito dopo ricoperto, che ha determinato la nascita dell’antica leggenda dei "cuniculi": ovvero passaggi sotterranei, che si dice colleghino diverse costruzioni della città, tra cui anche antichi palazzi e chiese.

Sempre nei pressi del castello, venne ritrovato un sepolcro, con all’interno quello che si presume possa essere il corpo della nipote di Ruggero d’Altavilla. La salma fu poi traslata presso la chiesa di San Domenico, ma ancora oggi si pensa che la rocca sia infestata dal suo fantasma.

Un’altra leggenda, alimentata dalle possibili origini arabe del castello, sembrerebbe invece confermare la nascita di uno dei dolci più famosi di Sicilia: il cannolo. Secondo la tradizione infatti, le donne arabe preparavano questo dolce in occasione del ritorno dei propri mariti. La cialda, spessa e croccante, veniva realizzata in maniera che potesse essere conservata per giorni; una volta che i mariti furono tornati dai campi, le donne si dedicavano così al riempimento della cialda con un fresco ripieno di ricotta: in questo modo, i loro uomini avrebbero potuto gustare il dolce come fosse appena fatto.

Planimetricamente articolato su vari livelli, il castello risultava costituito da tre torri collegate da cortine murarie, delle quali oggi risultano visibili resti di quella centrale, alta circa 25 metri e della torre di vedetta nord. La grande torre centrale è costruita su una roccia bipartita da una profonda fenditura che la attraversa longitudinalmente.

Nel lato sud, a cavallo di quest'ultima, sono visibili una feritoia in pietra da taglio e inferiormente un'apertura con arco a sesto acuto privo del concio di chiave, presumibilmente preceduta da una scala d'accesso esterna, oggi non più esistente. Il fianco sud-ovest è rinforzato da un cantonale in pietra da taglio, probabilmente eseguito nel XVI secolo, dopo un parziale crollo della parte superiore della torre; tale tesi è sostenuta dall'esistenza nel cantonale di conci tagliati a sguincio, facenti parte, in origine, di una finestra ubicata alla sommità, lato ovest, della quale restano solo il davanzale ed uno stipite. In cima alla torre è posizionata una cisterna per liquidi rivestita con intonaco che ingloba frammenti ceramidi invetriate piombifere databili tra la fine del XII secolo ed i primi del XIII.

Ai piedi della torre, nell'area dello sperone, lo scavo delle murature parzialmente interrate ha portato alla definizione di un ambiente la cui esatta consistenza non è individuabile a causa del crollo della parete ovest, dovuto all'utilizzo della roccia come cava da costruzione. 

Alla fine del percorso d'accesso al castello, resti di murature addossate alla roccia fanno pensare all'originaria presenza di ambienti di servizio coperti con strutture lignee; poco distante è sita una profonda ed ampia cisterna intonacata, interamente interrata.

In prossimità del castello, a seguito di uno sprofondamento del terreno, si scoprì un condotto sotterraneo, scavato nella roccia, avente ingresso nella strada rotabile d'accesso al cimitero. La galleria aveva parete verticali e copertura voltata, era alta mediamente m. 1,77 e larga m. 1,27; fu esplorata per circa 10 metri e successivamente, per motivi di sicurezza, ne fu chiuso l'accesso.  

Monumento al Redentore  

Il monumento al Redentore si trova sulla vetta più alta del Monte San Giuliano, che sovrasta tutta Caltanissetta. Si tratta di un piedistallo contenente nel suo interno una cappella, che inizia a pianta quadrata e diventa circolare per concedere un adeguato appoggio alla statua del Redentore.  

All’inizio del XX secolo vennero commissionati da papa Leone XIII diciannove monumenti a Cristo Redentore, una in ogni regione d’Italia (all’epoca 19). Tra le regioni che risposero all’appello del Papa vi fu la Sicilia che scelse come luogo per l’erezione del monumento la vetta del Monte San Giuliano, nel cuore dell’isola. Il progetto fu affidato all’architetto Ernesto Basile, figlio di Giovan Battista Filippo Basile (l’architetto del Teatro Massimo di Palermo).

La prima pietra venne posata il 13 maggio 1900. La statua del Redentore arrivò da Roma il 30 luglio, ma non furono fatti grandi festeggiamenti perché il re d’Italia Umberto I era stato appena assassinato a Monza ed era stato proclamato il lutto nazionale. Sempre per questa ragione l’inaugurazione del monumento venne rimandata: dalla fine di agosto fino al 30 settembre del 1900 in città vi furono grandi festeggiamenti e l’inaugurazione avvenne alla presenza di cardinali, vescovi, clero e popolo venuti da tutta la Sicilia.  

Piazza Garibaldi e Fontana del Tritone

Piazza principale del centro storico, in essa si incrociano i due corsi principali, corso Umberto I e corso Vittorio Emanuele. Vi si affacciano il municipio, la Cattedrale e la chiesa di San Sebastiano; al centro vi si trova la "fontana del Tritone".

La fontana costituita da un gruppo bronzeo raffigurante un tritone che tenta di domare un cavallo marino di fronte a due mostri marini che lo insidiano. Ispirata alla mitologia greca il Tritone è un dio marino con il corpo per metà uomo e per metà pesce, figlio di Poseidone e Anfitrite. La figura mitologica è stata spesso usata nella costruzione di fontane e ninfei, anche il Bernini lo ha collocato nella sua famosa fontana a Roma

Fu scolpita dal nisseno Michele Tripisciano nel 1890 e inizialmente posta nell'androne di Palazzo del Carmine: la fontana fu creata dall'architetto Gaetano Averna per essere posta nella sua attuale locazione, al centro di Piazza Garibaldi, dove fu inaugurata il 15 dicembre 1956, in sostituzione ad un vecchio lampione in ferro a cinque luci. 

Tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009, l'intera piazza Garibaldi è stata sottoposta a lavori di pavimentazione in basoli di pietra lavica per impedire il passaggio di automobili e consentire il libero transito dei pedoni. In questa occasione anche la fontana del tritone è stata restaurata e vi sono stati installati impianti di illuminazione che l'hanno riportata così all'antico splendore.  

Monumento ai caduti   

Sito in fondo al viale Regina Margherita, commemora i 291 militari nisseni caduti durante la Grande Guerra. Si tratta di una statua bronzea che riproduce due figure umane: la prima, in posizione eretta, rappresenta la Patria, e cinge un elmetto contornato da ramoscelli di lauro e quercia, con una mano regge un libro e una palma, con l'altra indica verso il basso, dove si trova la seconda figura, l'eroe, che stringe il tricolore. 

La statua è collocata su un basamento che presenta una gradinata sulla parte anteriore, e alla base due cannoni e una corona d'alloro in bronzo. 

Fu inaugurato il 16 dicembre 1922 per volontà di un comitato appositamente costituitosi e presieduto dal dottore Luigi Sagona, che nel conflitto aveva perso congiunti. Inizialmente collocato a poca distanza dal seminario vescovile, in una zona adiacente al viale Regina Margherita che venne chiamata viale delle Rimembranze, nel 1965 fu spostato nell'attuale sito, a 500 m da quello originario.

Fu realizzato su progetto dello scultore Cosimo Sorgi utilizzando il bronzo sottratto al nemico dalla fonderia Laganà di Napoli. È sede cittadina delle commemorazioni del 4 novembre.  

Ponte Capodarso  

Situato in un luogo selvaggio e impervio, protetto da piccole ripide alture che chiudono il fiume in una stretta gola, prende il nome dal vicino monte Capodarso).

Il ponte fu costruito nel 1553 sull'Imera meridionale (comunemente detto "Salso") per ordine di Carlo V per evitare il guado del fiume, particolarmente pericoloso durante le piene. Originariamente aveva l'aspetto di un ponte a un solo arco a schiena d'asino, che poteva essere attraversato solo dai pedoni. Il pittore francese Jean Houel ne fece un disegno ad acquarello alla fine del XVIII secolo, in quanto considerato assieme all'Etna e alla fonte Aretusa di Siracusa, una delle meraviglie della Sicilia («un monte, un ponte e un fonte»).

Sebbene fosse collocato esattamente sul confine con Castrogiovanni, il ponte rimase di pertinenza nissena, come attestato da un documento del 1620 in cui si attribuiva alla municipalità di Caltanissetta la manutenzione dell'intera opera.

Nel 1842 fu interessato da un restauro commissionato dal consiglio provinciale, ma solo dopo l'Unità d'Italia (o già nel biennio 1847-48, secondo altra fonte) la forma originaria venne totalmente stravolta: furono realizzati due piccoli archi laterali affiancati all'arco principale che lo resero piano, e venne allargato per renderlo adatto al passaggio dei carri. Alla fine dei lavori, nel 1866, fu inserito nell'itinerario della strada rotabile Caltanissetta-Piazza Armerina.

Il ponte fu distrutto il 9 luglio 1943 dai tedeschi in ritirata, e ricostruito l'anno successivo. Il 10 aprile 1961 crollò nuovamente in seguito a una piena eccezionale; fu riaperto al traffico il 27 gennaio 1962.

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