Caltanissetta

 

Parco archeologico di Sabucina  

Nel territorio si susseguirono insediamenti dall'età del bronzo antico (XX-XVI secolo a.C.), poi la fase di ellenizzazione del sito fino al periodo romano.

Il villaggio originario ha sicuramente origini pre-greche: fu, infatti, costruito dai Sicani, i quali sfruttarono l'agevole posizione del monte che domina l'intera vallata del Salso.

In base ai dati archeologici disponibili, le fasi dell'abitato possono essere suddivise come mostrato di seguito:

XXIII-XV secolo a.C.: alcuni villaggi di facies castellucciana ai piedi della montagna

XIII-X secolo a.C.: esteso abitato di capanne di facies di Pantalica Nord (tre fasi):

Nella prima fase (XIII-XII secolo a.C.) avviene l'occupazione del sito con la nascita di capanne circolari con diametro tra i 3,5 m e i 7 m scavate direttamente nella roccia con un gradone.

Nella seconda fase le capanne vengono delimitate perlopiù da muri a secco con diametri tra i 4,9 m e i 7,9 m.

Nella terza fase (XI-X secolo a.C.) i nuclei abitativi cambiano forma diventando a pianta rettangolare e spesso divisi in due ambienti tramite muri di pietre.

X-IX secolo a.C.: l'abitato diviene modesto (forse a causa di una violenta distruzione) e si collega alla cultura di Cassibile

VIII-VII secolo a.C.: nuovo insediamento con case rettangolari; aree di culto organizzate disposti sulla sommità della collina.

VI secolo a.C. il sito viene ellenizzato da coloni rodio-cretesi e realizzata la cinta muraria, che verosimilmente restrinse l'area abitata.

V secolo a.C. il centro viene distrutto da Ducezio, nel corso della rivolta sicula contro i Greci e poi ricostruito. Sul finire del V secolo a.C. avvenne un'altra distruzione, questa volta da parte dei Cartaginesi contro i Greci.

IV secolo a.C.: la città viene ricostruita, le mura rinforzate e fortificate con torri quadrangolari ad opera di Timoleonte: il centro presentava un orientamento diverso.

310 a.C. il sito viene abbandonato probabilmente per la distruzione operata da Agatocle determinando il trasferimento della popolazione che si disperde.

In epoca romana si insediano delle fattorie e ville in pianura presso Piano della Clesia e la necropoli di contrada Lannari.  

La scoperta di questo sito archeologico è relativamente recente, infatti fu solo negli anni sessanta che venne intrapresa la prima campagna di scavi, guidata da Piero Orlandini, che condusse alla scoperta del villaggio capannicolo del Bronzo Tardo, risalente al XIII-X secolo a.C.; questa scoperta fu di straordinaria importanza, in quanto si trattò del primo villaggio di questo tipo individuato in Sicilia. Nella zona ai piedi della montagna, sono state rinvenute anche alcune tombe a grotticella, risalenti all'età del bronzo.  

Della facies di Pantalica Nord sono alcune capanne circolari parzialmente scavate nella roccia e contenute da un muretto di pietre su cui poi si insediava la struttura lignea fatta di pali che determinano fori circolari nel terreno. Al centro delle capanne vi era il focolare, alcune di esse erano collegate ad ipogei sottostanti. Una delle capanne era adibita a fornace, essendo state ritrovate anche delle matrici in pietra per la costruzione di armi metalliche. Nel sito vengono ritrovati anche dei manufatti di ascendenza egea, segno della presenza di contatti o di migrazioni di genti dalla madrepatria sino alla Sicilia.

La fase finale della cultura di Pantalica Nord determina abitazioni a pianta rettangolare che richiama alle strutture abitative di Thapsos e persino modelli egei. Del IX secolo a.C. risalgono le tracce di una violenta distruzione, testimoniata da tracce di bruciature. A quest'epoca risalgono i manufatti provenienti dalla cultura di Cassibile e vasi in stile Sant'Angelo Muxaro.  

A sud del muro di fortificazione, cioè all'esterno della cinta muraria, si trova l'antica area sacra. Qui sono presenti una serie di ambienti rettangolari o circolari probabilmente destinati al culto di divinità ctonie. Lo sviluppo di tale area avviene tra l'VIII secolo a.C. e il V secolo a.C.

Ritrovamenti sono relativi ad una capanna adibita a santuario e al cosiddetto sacello di Sabucina. È quest'ultimo un modello in terracotta, risalente al VI secolo a.C., trovato nei pressi della necropoli, che rappresenta un tempietto con pronao in antis, un tetto a doppio spiovente, sormontato da due figure di cavalieri e con il basso timpano ornato da due maschere di tipo gorgonico.

In questa stessa area verrà poi costruito il quartiere artigianale con la presenza di una fornace per la fusione delle armi.  

Il muro di fortificazione risale all'ellenizzazione del sito, cioè al VI secolo a.C. dove è presente anche un torrione circolare. La fortificazione cinge la parte alta del monte. Dopo la distruzione operata da Ducezio nel V secolo a.C. la fortificazione viene rinsaldata con la costruzione di torri quadrate.

A seguito della distruzione da parte dei Cartaginesi, nella metà del IV secolo a.C. le mura vennero ripristinate e rinnovate consentendo anche la creazione di nuovi quartieri abitativi.

Parco archeologico di Gibil Gabib

È situato a circa cinque chilometri dal capoluogo nisseno, su una collina dalla quale si domina il versante sud-orientale della valle del Salso

Il sito, costituito da tre piatteforme digradanti verso sud-est, fu sede di insediamenti preistorici indigeni e di età greca. Gli scavi in quest'area furono incominciati alla metà dell'Ottocento e vennero ripresi con maggiore vigore negli anni cinquanta del secolo scorso, con le ricerche condotte da Dinu Adameșteanu. L'ultima, infine, risale al 1984

Proprio intorno alla metà del Novecento vennero portati alla luce alcuni ambienti risalenti al VI secolo a.C., parti della cinta muraria e alcuni oggetti di ceramica riferibile alla facies di Castelluccio Bronzo Tardo, mentre negli anni ottanta è stato riportato alla luce un vero torrione di difesa della metà del VI secolo a.C. Tale scoperta si è rivelata di notevole importanza, poiché ha consentito di chiarire la destinazione delle cinte murarie rinvenute quasi trenta anni prima.

Dagli scavi presso gli ambienti sono stati rinvenuti vasi, oggetti di uso quotidiano, piatti e lucerne. Sono state inoltre ritrovate anche una statua di divinità fittile femminile e una testina fittile di offerente che testimoniano l'esistenza di vari spazi dedicati al culto e alla venerazione nell'abitato. Ai piedi dell'altura si estendevano due necropoli da cui provengono i corredi con ceramica a figure rosse siceliota.

Maccalube

Le Maccalube (dall’arabo maqlub, terra che si rivolta) sono un particolare quanto raro fenomeno di vulcanesimo sedimentario che si manifestano nella zona nissena di Terrapelata, la cosiddetta Collina dei vulcanelli, vicino al Villaggio Santa Barbara.

Nel 2002 e nel 2008, le maccalube o “vulcanelli” di Terrapelata sono state anche al centro di un fenomeno abbastanza esteso che ha prodotto profonde fenditure nel terreno prima e la formazione di una vasta collina a seguito di forti esplosioni con riversamenti di quantità enormi di argilla e fango. La zona dei vulcanelli, si trova altresì nelle immediate vicinanze della Riserva di Capodarso e Valle dell’Imera Meridionale, proprio in mezzo alle famose miniere di zolfo di Caltanissetta.

Sulla collina dei Vulcanelli, area brulla di colore dal biancastro al grigio scuro, si trovano una serie di vulcanelli di fango, alti intorno al metro, che sono i protagonisti del vulcanesimo sedimentario. Il fenomeno è legato alla presenza di terreni argillosi poco consistenti, intercalati da livelli di acqua salmastra, che sovrastano bolle di gas metano sottoposto a una certa pressione. Il gas, attraverso discontinuità del terreno, affiora in superficie, trascinando con sé sedimenti argillosi ed acqua leggermente salata a temperature comprese tra i 20 ed i 25 °C, che danno luogo a un cono di fango la cui sommità è del tutto simile a un cratere vulcanico. La consistenza dei fanghi argillosi è a volte così liquida, come nella zona di Caltanissetta, da non permettere la formazione di veri e propri coni vulcanici. Altre volte il fenomeno assume carattere esplosivo, con espulsione di materiale argilloso misto a gas e acqua scagliato a notevole altezza.  

Riserva Lago Sfondato

La Riserva Naturale Integrale “Lago Sfondato” è stata istituita dall’Assessorato Regionale al Territorio e Ambiente nel settembre del 1997 per tutelare un ambiente di notevole interesse geologico e per studiare la morfologia e l’idrologia carsica del lago. Le motivazioni iniziali sono tuttavia riduttive rispetto alle valenze naturalistiche del territorio, che vanta una flora e una fauna di particolare interesse conservazionistico. L’area protetta, infatti,è stata classificata come Sito di Importanza Comunitaria per la presenza di un habitat inserito nella direttiva europea 92/43: “lago eutrofico naturale con vegetazione del tipo Magnopotamion o Hydrocharition”.

La Riserva ricade nel territorio comunale di Caltanissetta, a pochi chilometri dal centro abitato di Marianopoli. Si trova ad una quota di circa 400 m s.l.m., ad oriente di Monte Mimiani e alle falde di Cozzo Pertichino. Il decreto istitutivo ha suddiviso il territorio della riserva, esteso complessivamente 33,7 ettari, in due distinte aree a differente destinazione d’uso, in funzione delle caratteristiche ambientali e dei diversi obiettivi gestionali:

• la zona A, con una superficie di 13,7 ettari, comprende lo specchio d’acqua, l’intera conca di sprofondamento nonché alcuni tratti del corso del torrente Stretto;

• la zona B di pre-riserva, con una superficie di circa 30 ettari, è caratterizzata prevalentemente da colture cerealicole e pascoli.  

Riserva Naturale orientata Monte capodarso e Valle dell’Imera

Nel cuore della Sicilia, a cavallo tra le province di Enna e Caltanissetta e lungo il corso del fiume Imera meridionale, si estende uno dei maggiori polmoni verdi dell’isola, la Riserva Naturale Orientata di Monte Capodarso e Valle dell’Imera meridionale. Istituita nel 1999 e affidata in gestione all’Associazione Italia Nostra la riserva ricade nel territorio dei comuni di Pietraperzia, Caltanissetta ed Enna, tra le falde del Monte Capodarso e del Monte Sabucina, coprendo un territorio di ben 1.485,1 ettari. 

In un contesto archeologico e naturalistico di rara bellezza si fondono vari ecosistemi, miniere di zolfo, zone archeologiche e masserie. La prima cosa che colpisce chi arriva nella valle è lo stupendo paesaggio che ha come protagonista il fiume Imera che in alcuni tratti, è incassato tra pareti calcaree mentre in altri è circondato da colline che degradano dolcemente. Nel fiume confluiscono le acque di numerosi affluenti, fra i quali i fiumi Morello e Torcicoda. L’acqua, a volte, abbandona il suo letto creando dei meandri simili a stagni, dove nidificano molte specie animali. 

Qui è presente la tipica vegetazione degli ambienti rupestri con essenze tipiche della macchia mediterranea e quella degli habitat acquatici. Ad ovest del fiume si estende il territorio della provincia di Caltanissetta, mentre a est quello della provincia di Enna. Già negli anni ’70 si profilò la necessità di proteggere il corso centrale del fiume dalle speculazioni, dalle cave e dalle cementificazioni di ogni sorta ma nonostante tutto la vallata venne ugualmente deturpata dalla realizzazione dello scorrimento veloce Caltanissetta-Gela. I magnifici ambienti naturali sono caratterizzati da ampie gorene con meandri e pozze d’acqua fluviale salata, mentre l’altura di Capodarso, di roccia calcarenitica di colore ambrato, ospita cavità carsiche inesplorate delle quali è uno splendido esemplare la ‘Grotta delle meraviglie’.

Flora e Fauna – L’ambiente naturale e agricolo della valle presenta differenti ecosistemi che vanno dai boschi di pino ed eucalipto alle pareti rocciose coperte dai radi cespugli della macchia mediterranea, dall’alveo del fiume alle coltivazioni di pistacchi, olivi e mandorli. A secondo degli ambienti la flora cambia e si adatta. Vi sono ampie estensioni a vegetazione steppica ricche di euforbie, tagliamani (in dialetto ‘disa’), finocchio selvatico, assenzio, ferula e zone a macchia dove trovano il loro habitat ideale il leccio, l’oleastro, il lentisco, il terebinto. Nel periodo invernale fiorisce la barlia, lo spazzaforno, il giaggiolo, la bellavedova e il colchico mentre in primavera il paesaggio è un susseguirsi di colori con fiori di vario genere tra cui spiccano le orchidee spontanee.

Nelle zone disseccate del greto del fiume nidificano l’occhione e il corriere piccolo. I canneti, invece, ospitano la cannaiola, il cannareccione e il tarabusini e le rondini. Il fiume è il territorio di caccia del martin pescatore mentre sui monti Sabucina e Capodarso nidificano il culbianco e la monachella. Gli anfratti rocciosi e i vecchi casolari diroccati sono frequentati dal raro piviere tortolino, dal barbagianni, dall’allocco, dall’assiolo e dalla civetta. Presente nella zona la rarissima aquila del Bonelli insieme alla poiana, al gheppio, al nibbio reale, al lanario, al pellegrino e al grillaio. Nella zona sono presenti circa 150 specie di uccelli di cui almeno 60 nidificanti. 

L’Imera meridionale è un luogo di migrazione tanto che in primavera ed autunno è percorso da varie specie di uccelli migratori come gli aironi, le garzette, i falchi di palude, i limicoli, le gru, le albanelle, i falchi pecchiaioli e svariati passeriformi. Tra i mammiferi ricordiamo il raro gatto selvatico che si rifugia nelle aree boschive, l’istrice, il riccio, la donnola, il coniglio selvatico e la volpe. 

Nelle acque salate del fiume vive anche la testuggine palustre i cui esemplari, purtroppo, sono in forte diminuzione a causa dell’inquinamento e della presenza umana. Un rettile presente nella zona, anche se raro, è il colubro di Esculapio o saettone, un serpente innocuo che può raggiungere anche i due metri di lunghezza.

Archeologia industriale – La riserva è abbastanza antropizzata e ospita numerose masserie, ricoveri temporanei e pagliai. Molte delle masserie hanno una tipologia a baglio o cortile aperto con gli ambienti a piano terra destinati a stalle e magazzini mentre i piani superiori ad abitazione. 

La Valle dell’Imera ospita inoltre, alcuni tra i maggiori siti della civiltà mineraria siciliana. Nelle due cime di Monte Capodarso ad est e Monte Sabucina a ovest si sono accumulati, nel corso dei millenni, i depositi dell’altipiano gessoso solfifero sino a favorire la formazione di miniere di zolfo su ambedue le rive.

Tra le più note ricordiamo quelle di Trabonella, Giumentaro e Giumentarello che oggi rappresentano un prezioso esempio di archeologia industriale. Procedendo lungo la SS.122, dopo aver percorso una stradella che sottopassa ponte Capodarso, edificato nel 1553 sotto Car lo V da due ‘mastri’ veneziani, si arriva alla miniera Giumentaro, la più recente e meglio conservata della provincia dove è ancora visibile un pozzo di estrazione con il castelletto in ferro.

Area Archeologica di Monte Sabucina – Si inseriscono nel magnifico paesaggio di Monte Sabucina i resti di un villaggio sicano ellenizzato del XII secolo ove sono state rinvenute una necropoli con tombe a grotticella della prima età del bronzo ed una misteriosissima e scenografica scala che scende per alcuni gradini per poi proiettarsi nel vuoto della rocca. Nessuno ha ancora capito la sua funzione. Alcuni archeologi colgono un valore simbolico ritenendo che si tratti di un tragitto verso mondi sovrannaturali o un luogo di supplizi, altri pensano ad una via di fuga un tempo dotata di corde e scale a pioli.

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