Caltanissetta

 

Palazzo del Carmine

La costruzione del palazzo incominciò intorno all'anno 1371. La zona in cui sorge all'epoca si trovava ben fuori dalle mura cittadine e ospitava una chiesetta rurale dedicata a San Giacomo. Per volere di Guglielmo Peralta e di sua moglie Eleonora d'Aragona, figlia del marchese di Randazzo; vicino alla chiesetta fu edificato il convento dei Carmelitani scalzi e l'annessa chiesa di Maria Santissima Annunziata, comunemente chiamata Madonna del Carmine

Con l'espansione urbanistica che ebbe la città nei secoli successivi (e in particolare nel XVI secolo), il complesso conventuale si trovò inglobato nel tessuto cittadino, affiancato dalla nuova chiesa di San Giacomo e dalla chiesa di San Paolino. 

Durante il XIX secolo, a causa della soppressione degli ordini religiosi, i Carmelitani Scalzi lasciarono il convento che fu abbattuto per costruire la sede municipale; le chiese che lo affiancavano furono demolite e, al posto di quella del Salvatore, arretrata, fu costruito il teatro cittadino (il Teatro Regina Margherita). 

Il palazzo ospita il Municipio della città ed è stato, negli anni, talmente arricchito nel prospetto che l'unica traccia dell'antico convento è costituita da alcuni spezzoni di muratura inglobati nei muri attuali.  

Palazzo della Provincia

La realizzazione fu incominciata dall'architetto Giuseppe Di Bartolo nella prima metà del XIX secolo. Egli avrebbe voluto costruire un grande edificio che fosse sede sia degli uffici provinciali sia di quelli comunali. La complessità dell'opera, però, risultò tale che nel 1870 il palazzo era ben lontano dall'essere completato. Il progetto fu allora ridimensionato dall'ingegnere Agostino Tacchini e fu destinato ad ospitare i soli uffici della Provincia. 

Tra gli artisti che contribuirono alla realizzazione del palazzo, si ricordano: il nisseno Luigi Greco che realizzò l'aula consiliare e lo scalone principale; un altro nisseno, Michele Tripisciano, per le sculture che ornano il palazzo; il catanese Pasquale Sozzi per le decorazioni interne.  

Palazzo delle Poste

Il Palazzo delle Poste di Caltanissetta o Palazzo delle Poste Centrali dì Caltanissetta è uno storico palazzo in stile eclettico già sede durante il periodo fascista delle Poste e telecomunicazioni. Nel palazzo in tre ambienti del piano terra, sono presenti gli affreschi di Gino Morici dedicati alle telecomunicazioni e ai trasporti, realizzati dal pittore palermitano a partire dal 1937. Dal 2003 è la sede centrale della Banca del Nisseno che ne ha l'intera proprietà.

Sottoposto a vincolo come palazzo di importante interesse storico-artistico e architettonico con D.A. n° 6669 il 22 giugno 1999, esso rappresenta un'importante esempio di architettura del periodo fascista nella città di Caltanissetta.

Il palazzo ha una storia che risale alla costruzione di un convento, il convento di Sant'Antonino con la relativa chiesa annessa ad opera dei frati minori riformati; costruzione che iniziò nel 1637 e che fu completata nel 1640 con l'insediamento dei frati minori.

Il convento in parte fu adibito ad ospizio di San Michele per gli orfanelli dal 1848 al 1850. La chiesa subi ad opera dei frati un importante opera di abbellimento e restauro nel 1802; essa si caratterizzava per interni preziosamente arredati in legno di cui si è persa memoria.

Un primo progetto di costruzione di un Palazzo delle Poste a Caltanissetta è del 1910 ad opera del cav. Fazioli, il palazzo era previsto tra la via Saetta e il largo Badia antistante la chiesa di Santa Croce nell'omonimo quartiere.

Successivamente nel 1920 fu scelto il piano di Sant'Antonino dove insisteva l'omonima chiesa e convento oggi sede degli uffici tecnici della provincia antistante a piazza Marconi. Il convento e la chiesa, dopo l'unità d'Italia con la soppressione degli ordini religiosi nel 1866 e con il conseguente incameramento dei beni ecclesiali al demanio, erano state trasformate rispettivamente in caserma con gli uffici del comando dei Carabinieri mentre la chiesa era diventata un deposito militare di armi. Il convento gravemente dissestato, dopo l'abbandono post-unitario, venne ricostruito nel 1913 e quindi trasformato in caserma dei carabinieri.

L'attuale piazza Marconi antistante il palazzo e il convento si chiamava prima del periodo fascista piazza Indipendenza e si caratterizzava per la presenza di una fontana, chiamata murena, oggi scomparsa alimentata dall'acqua proveniente dalla sorgente Scalazza. In questa piazza a partire della fine del 800 si svolgeva il mercato, poi essa divenne sede della fermata degli autobus di linea extra urbani.

Durante il periodo fascista si volle realizzare il Palazzo delle Poste con la demolizione della Chiesa di Sant’Antonino, dotando così la città di funzionali uffici postali e di telegrafo. Il progetto del Palazzo, costruito nel 1931 e inaugurato il 29 ottobre del 1934, è dell’ingegnere G. Lombardo. Esso si sviluppa su tre piani, l’ultimo dei quali con funzioni di attico occupa solo la parte centrale.

L'esterno è costruito su un basamento di pietra bianca su cui si aprono finestre che illuminano il piano seminterrato, il piano rialzato ha un prospetto con pietra arenaria bugnata che gli conferisce una certa eleganza. I primi due piani sono caratterizzati da ampie finestre rettangolari sovrastate ognuna da un arco e dotate di cornici di tipo rinascimentale cosa che rende il complesso appartenente ad uno stile eclettico. All'esterno sono presenti inferriate sulle finestre del piano seminterrato e del primo piano.

All'interno il piano rialzato e una stanza del primo piano sono decorate completamente con gli affreschi di Gino Morici; gli arredi e la suddivisione degli interni testimoniano del gusto anche propagandistico del ventennio fascista.

Dopo circa un ventennio di abbandono, conseguente al trasferimento del Palazzo delle Poste in altra sede, il palazzo è stato acquistato nel 2004 dalla Banca del Nisseno che nel 2006 ha iniziato un prezioso e fedele restauro conservativo. Il restauro ha reso il palazzo nuovamente fruibile, infatti, il 29 ottobre 2010 lo stesso è stato riaperto al pubblico nonché per i propri compiti d'ufficio bancario. Inoltre, parte dell'edificio è occupato dalla sede della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Caltanissetta che dal 2005 occupa un'ampia porzione dell'edificio.

Abitualmente il palazzo è sede di importanti convegni e mostre cittadine.

La dirigenza della Banca del Nisseno, il 15 aprile 2015, presenta alla stampa il progetto Banca - Museo; con l'idea di creare una banca che ospiti attività museali parallele a quelle tradizionali dell'attività creditizie. Il progetto consiste nel rendere fruibile, ai cittadini nisseni e tutti i turisti, tutte le opere presenti nello storico palazzo di Eugenio Morici detto Gino, più altre opere che saranno acquisite in futuro dello stesso autore palermitano. Ciò facendo si fa si che la Banca venga riconosciuta ed inserita in un circuito facente parte della Carta regionale dei luoghi dell'identità e della memoria (LIM).

L'idea nasce dalla consapevolezza che gli affreschi di Gino Morici, artista palermitano di grande spessore presenti nelle pareti del salone, sono stati per decenni proprietà di tutta la città nissena, ma da troppo tempo essi erano dimenticati insieme all'artista poco noto in città.

Allegoria dell'Italia - Dipinto ad olio su tavola del 1939 di grandi dimensioni: 3,90 x 2,05 metri. Esso raffigura la metafora dell'Italia, una giovane donna, che regge con la mano sinistra un fascio littorio stilizzato, la figura è seduta su una roccia ed è circondata da altre figure, due uomini e una donna, sullo sfondo è raffigurato il mare con velieri che vanno al largo. Il dipinto era originariamente collocato nella sala del telegrafo poi negli anni ottanta venne spostato nei nuovi locali del palazzo delle Poste italiane di via Leone XIII. Oggi l'opera è tornata nella sua sede originaria dopo aver realizzato un protocollo d'intesa tra la banca e Poste italiane.  

Sala dei telegrammi - La storia delle telecomunicazioni - Gli affreschi decorati con l'antica tecnica dell'encausto descrivono la storia delle telecomunicazioni dalla nascita dell'uomo sino al 1934, essi si snodano lungo le pareti senza soluzione di continuità, con ritmo narrativo e con eleganza e sicurezza segnica e cromatica, in cui è evidente la mano dell'artista libero e creativo, pur se imbrigliato qua e là in certa retorica propria del soggetto obbligato, presente in vari Palazzi delle Poste ed edifici pubblici del Regime.». le decorazioni geometriche del soffitto della Sala Telegrammi sono del pittore amico Gaetano Sparacino detto Tonino che collaborò con Maurici. I soggetti rappresentati sono: Mercurio il mitico dio messaggero dell'Olimpo, messaggi di fumo, l'uomo a cavallo, la nave, il treno postale, il telegrafo.

Salone del pubblico - I simboli delle comunicazioni - L'intero soffitto dell'ampio salone del pubblico è decorato con riquadri che sono riconducibili ad un certo avanguardismo dell'epoca. I decori floreali che collegano elegantemente le lunette a tema sono dell'amico Gaetano Sparacino. Riquadri centrali esagonali a sfondo blu: si ritrovano Angeli, Sirene, Mercuri, corridori a cavallo o su carro, navi, evidenti simbologismi della comunicazione postale; inoltre immagini astratte circondano le lunette.

Salone del dopolavoro - Memorie futuriste aeropittoriche e icone meccanomorfe - In questa sala il pittore è più libero di esprimere la sua poetica visiva, vi troviamo timoni, eliche, ruote dentate, aspetti e particolari della meccanica dell'epoca e dell'aviazione in successione tra loro. L'estro dell'artista si manifesta pienamente in questo insieme pittorico che mostra una realtà a lui coeva.

Teatro Margherita

Prima della nascita del teatro gli spettacoli venivano messi in scena in un teatrino allestito all'interno del palazzo Lanzirotti, sede dell'Intendenza. Si iniziò a parlare della costruzione di un teatro già nel 1859, durante l'epoca borbonica, e avrebbe dovuto essere dedicato alla principessa Sofia, ma la realizzazione slittò a causa dell'unità d'Italia.

La costruzione incominciò nel 1870, su progetto dell'architetto Alfonso Barbera, per volontà dell'allora sindaco Antonino Sillitti Bordonaro nell'area lasciata vuota dalla demolizione, a inizio secolo, della chiesa di San Giacomo, risalente al XIV secolo. Venne completato nel 1873 e intitolato all'allora principessa Margherita, consorte del futuro re Umberto I; fu inaugurato il 16 marzo 1875 con la rappresentazione del Macbeth di Giuseppe Verdi. Il Margherita quindi precede cronologicamente altri teatri siciliani tra cui il Teatro Massimo Bellini di Catania, il Teatro Massimo di Palermo e il Teatro Comunale di Siracusa, i quali furono realizzati successivamente (rispettivamente nel 1889, nel 1895 e nel 1897).

Sin dai primi anni il teatro funzionò in modo discontinuo. Nei primi decenni del XX secolo fu dato in gestione ai privati che riuscirono a tenere alta la qualità degli spettacoli; nel 1921 il teatro venne ristrutturato e dotato di nuove tecnologie, tra cui l'illuminazione elettrica e un cinematografo. Dopo gli anni trenta tuttavia il teatro entrò in una fase di declino: venne dapprima tentato di trasformarlo in cineteatro, con scarsi risultati; successivamente l'atrio fu affittato per farne un bar. Nel 1970 venne dichiarata l'inagibilità dell'edificio e chiuso; nel 1973 si intraprese un travagliato e complesso restauro che si protrasse per oltre vent'anni; fu tra l'altro necessario sostituire le vecchie strutture lignee di sostegno con strutture ignifughe di calcestruzzo. Il teatro venne riaperto nel 1997.

Si affaccia sulla centrale piazza Garibaldi e costituisce un prolungamento prospettico del contiguo palazzo del Carmine, sede del municipio. L'interno presenta quattro ordini di palchi ed è decorato in stile neoclassico con inserti barocchi, in stile ottocentesco; autori delle decorazioni e dei meccanismi scenici furoni i francesi Luigi e Fortunato Queriaux.  

Palazzo Moncada

Sorse attorno al 1651 per volontà del principe Luigi Guglielmo I Moncada, feudatario anche della contea nissena, su progettazione dell'architetto palermitano Carlo D'Aprile. I lavori per la sua realizzazione iniziarono nel 1625, ma si interruppero a causa delle vicissitudini politiche siciliane che riguardarono lo stesso principe di Paternò.

Nel 1778 l'edificio divenne sede di un orfanotrofio, e dopo il 1892 ospitò la sede della Corte d'appello del Tribunale della città nissena.

Nel 1915 fu acquistato dalla principessa Maria Giovanna di Bauffremont, la quale lo privò del suo uso residenziale e vi fece costruire un'ampia sala con galleria in stile liberty, che fu adibita alla rappresentazione di spettacoli teatrali. Nel 1938 il palazzo fu acquistato dalla famiglia Trigona della Floresta ed in seguito adibito, con la costruzione di una sala all'interno del cortile, alla rappresentazione di spettacoli cinematografici e teatrali, con il nome di cineteatro "Trieste". Tuttora ottempera a questo ruolo, ma dal 2009 il nome di cineteatro "Bauffremont" è stato sostituito con multisala "Moncada".

Costruito in stile architettonico barocco con influssi rinascimentali, il palazzo ha pianta quadrangolare, è elevato su tre livelli ed occupa un ampio isolato. Il prospetto si presenta incompleto, in particolare nel piano nobile.

Una parte dell'edificio che si affaccia su largo Barile, passò sotto la proprietà del comune dopo gli anni settanta, ed ospita gli uffici comunali. Dal 2010 sono inoltre aperte nuove sale dell'edificio adibite a galleria d'arte, per ospitare mostre di vario genere ed eventi estemporanei. Qui sono presenti due mostre permanenti: una sugli antichi signori di Caltanissetta, i Moncada appunto, e l'altra dedicata al grande scultore nisseno Michele Tripisciano e al suo museo.

Palazzo Testasecca

La sontuosa costruzione, sita ai limite settentrionale dei quartiere Zìngari con la sua presenza determinò la variazione di denominazione del cosiddetto "stradone della Grazia", nel tratto che collegava l'Orfanotrofio Moncada con l'estremità meridionale della villa, il quale, nel 1901, fu intitolato al Conte Ignazio Testasecca. Quest'ultimo, ricco imprenditore minerario, fu insignito ne! 1893, dal re Umberto I dei titolo nobiliare, pare, per la generosa donazione pecuniaria, a sostegno del Regno, quale contributo per la copertura dei debiti contratti in seguito ai fallimento della Banca Romana, nonché per la costruzione del Ricovero dì Mendicità a Caltanissetta.

Il palazzo, abitazione principale di Ignazio Testasecca, nato a Caltanissetta il 9 marzo 1849 dal medico-fisico Gaetano e da Maria Curcuruto, esteriormente presenta una facciata eclettica, variamente articolata, realizzata alla fine del X!X secolo dall'lng. Luigi Greco, quasi certamente sovrapposta ad immobili preesistenti. La costruzione è caratterizzata, sul fronte principale, dal grande portale centrale, sormontato da un balcone monumentale con balaustra in pietra. Lesene giganti concluse da capitelli di ordine corinzio, partendo dai piano nobile, terminano a quota della copertura dell'ultimo livello con una cornice modanata, sopra la quale si eleva il cornicione sorretto da mensole. Gli elementi decorativi in rilievo, tutti in pietra bianca, risaltano sui fondi che riprendono il colore della pietra tufacea del basamento. A piano terra, sulle vie Palestra e Alaimo, alcune finestre conservano ancora la grata in ferro battuto decorata con la corona nobiliare del conte Testasecca. L'atrio del palazzo, corrispondente al vano retrostante l'imponente ingresso monumentale, ospitava in origine un grande scalone che collegava i vari livelli, demolito, quasi interamente, tra gli anni '60 e "70 dello scorso secolo. A quei tempo, frazionata ed alienata la proprietà, l'atrio d'ingresso e le scuderie collaterali, furono destinate ad attività commerciali e, per ottenere maggiore spazio destinato alla vendita, fu commesso uno scempio atroce: la demolizione dello scalone. Fu questa la ragione per la quale, da allora, l'accesso ai vari appartamenti risultanti dal frazionamento dei sontuoso immobile, avvìene attraverso la scala dei contiguo palazzo Cureuruto-LanzirottL

Dello splendido scalone, con balaustra marmorea, rimane soltanto il tratto che collega i! piano nobile con la superiore elevazione, isolata dai livelli sottostanti da un solaio calpestabile che copre interamente la superficie del grande vano, internamente, gli eleganti ambienti dei piano nobile e del terzo livello, mantengono ancora le antiche volte, prevalentemente affrescate e decorate con stucchi. Il palazzo, con decreto dell'Assessorato Regionale al Beni Culturali, nel 1599 è stato dichiarato di importante interesse storico-architettonico.

Descritto il palazzo nel suo aspetto attuale, andiamo indietro nel tempo ripercorrendo, in parte, la storia della famiglia Testasecca-Curcuruto. L'avvocato Ignazio Curcuruto, facoltoso notabile nisseno, figlio del notaio Nicolò, nella prima metà dell'Ottocento possedeva due immobili, di uguale consistenza, a due elevazioni, siti nell'area attualmente occupata dal palazzo Testasecca e dalla costruzione adiacente, con il fronte principale rivolto verso il corso Vittorio Emanuele; egli, presumibilmente, abitava in una delle due costruzioni poiché gli atti notarili del tempo lo indicano residente nella "strada Palermo", antica denominazione della prosecuzione della via dei Fondaci in direzione della Grazia. Ignazio, nato nel 1777, sposato con Maria Grazia Labso, figlia dei notaio Benedetto, morì a Caltanissetta nel 1856; dal matrimonio nacquero sei figli: Benedetto, Vincenzo, Nicolò, Anna Maria, Maria Paola e Teresa.

Dagli atti notarili risulta che alla sua morte, avvenuta nel 1856, le due case sopra citate, che possiamo immaginare come due distinte unità immobiliari facenti parte dì un medesimo corpo di fabbrica, furono ereditate da due figli, Nicolò, avvocato, celibe, deputato nel 1848 al parlamento siciliano, e Maria Paola, sposata con il cav. Giovanni Lanzirotti; ad Anna Maria andarono, invece, alcune case nell'immobile, prospiciente la via dei Fondachi, posto di fronte l'abitazione del padre. Tali proprietà si evincono dal "sommarione" de! 1875, il volume che contiene l'elenco dei proprietari di tutte le unità immobiliari della città, allegato alle antiche mappe catastasi urbane, consultabile presso l'Archivio di Stato di Caltanissetta.

Dallo stesso si apprende che la particella 5566, cioè quella corrispondente all'attuale palazzo Testasecca, sita in Via dei Fondaci ai numero 20, è una casa civile con rimessa e scuderia; si dice inoltre che la posizione del fabbricato è ottima e la consistenza è dì tre vani al piano terra, otto al primo piano, nove al secondo e con il terzo in costruzione.

Fu probabilmente quella l'epoca in cui, completata la costruzione del terzo piano, incaricò l'ìng. Greco, di realizzare la monumentale facciata che uniformò esteriormente il palazzo, costituito per le prime due elevazioni da una delle due case dì proprietà del nonno Ignazio Curcuruto e dalla terza realizzata nel 1878. Tale intervento caratterizzò fortemente l'immobile che divenne uno dei più eleganti del tempo, determinando una netta distinzione architettonica con il ben più modesto adiacente immobile degli zii Lanzirottì-Curcuruto dall'ingresso del quale, ai nostri giorni, si accede al palazzo Testasecca.

Ignazio, rimasto orfano di padre in giovane età, fu avviato dagli zii materni, Vincenzo e Nicolò Curcuruto, ambedue avvocati, agli studi legali. Laureatosi, non esercitò mai la professione forense perché ben presto si dedicò all'amministrazione dei beni di famiglia, prevalentemente materni, concretizzati nell'acquisto della zolfara juncio, che costituì il punto di partenza per la creazione dì un notevole patrimonio economico e finanziario. La famiglia Testasecca era originaria di Canicattì e quale sua sposa Ignazio scelse una giovane anch'essa proveniente dalla provincia agrigentina, Maria Longo, donna dalle grandi doti umanitarie, la quale lo indusse ad affiancare all'attività imprenditoriale anche opere filantropiche che gli attirarono le simpatie della popolazione nissena.

Ben presto iniziò l'attività politica che lo condusse a ricoprire, tra l'altro, la carica dì sindaco della cittadina nissena dal luglio del 15S5 al marzo del 1886 nonché presidente della Provincia, Consigliere della Camera dì Commercio ed infine Deputato al Parlamento nazionale per ben sette legislature, dal 1885 al 1911. L'attività parlamentare del Testasecca era mirata prevalentemente ad azioni a favore della sua regione e nel 1910 presentò anche una proposta, approvata nella seduta del 9 febbraio 1911, per l'istituzione di una "tombola telegrafica" a favore dell'Ospedale Vittorio Emanuele II di Caltanissetta.

Dal matrimonio di Ignazìo Testasecca e Maria Longo nacquero due figli, Dorotea andata in sposa al marchese Camillo Malvezzi Campeggi e Ignazio, ai quale fu trasmesso il titolo di Conte, coniugato con la nobiìe francese Clara Combes de Lestrade. Vincenzo, naturalmente deputato a seguire le orme del padre nell'attività imprenditoriale di famiglia, fu avviato agli studi a Roma dove viveva con la madre.

Il suo matrimonio con la bella francese però non fu felice come quello dei genitori e innanzi ad un tribunale cecoslovacco ne fu decretato l'annullamento. Alla sentenza dì nullità del matrimonio, seguì in Italia una controversa azione giudiziaria poiché, con sentenza della Corte d'Appello di Roma del 19 luglio 1938, non fu concesso il riconoscimento giuridico ad un atto emesso da un paese straniero nel quale nessuno dei due coniugi risiedeva relativo, peraltro, ad un matrimonio contratto in Italia.

Ma i problemi dì Vincenzo non furono solamente di carattere sentimentale, egli, infatti, subì le tragiche conseguenze derivanti dalle mutate condizioni politiche, sociali ed economiche dell'isola devastata, durante i suoi sessantanove anni di vita, da ben due conflitti mondiali. Chi ebbe modo di conoscerlo ricorda che in età avanzata, rientrato a Caltanissetta da Roma dove continuò ad abitare anche dopo la fine del matrimonio, non tornò a vivere nel sontuoso palazzo cittadino, preferendo la quiete della elegante villa di contrada Bagno nella quale morì nel 1949.

I suoi eredi, Maria, Gaetano e Ignazio, purtroppo, lontani fisicamente dalla città, non riuscirono a mantenere alcun legame con Caltanissetta ed alienarono definitivamente ciò che rimaneva del cospicuo patrimonio immobiliare di famiglia. Il sontuoso palazzo Testasecca, oggi alterato dalla presenza dei locali commerciali a piano terra e dalla mancanza del monumentale portone d'ingresso, la splendida villa di contrada Bagno ed il Ricovero di Mendicità, rimangono oggi le uniche testimonianza del potere economico e sociale di una grande famiglia, oggi non più presente nel territorio.

Palazzo Benintende

È stato il palazzo voluto dalla famiglia che nel 1862 ospitò Giuseppe Garibaldi nella casa Benintende in corso Umberto I.

La storia del palazzo è invece abbastanza recente: il barone Filippo Benintende, nella prima metà dell’800, incarica l’architetto Giuseppe Di Bartolo di riqualificare la sua proprietà.

Le mura ad ovest sono state danneggiate da schegge di granata, nell’ultima guerra. La facciata neoclassica, il piano terra e l’ ammezzato sono inclusi in un basamento in pietra da taglio locale, ad effetto bugnato, in cui si apre un portone ad arco a tutto sesto.

L’androne si estende per tutta la lunghezza della struttura così da permettere l’accesso sia da Corso Vittorio Emanuele II che dall’antico Mercato della Strata ‘a Foglia.  

Alla fine degli anni Novanta il palazzo si è svuotato dei residenti, soltanto uno studio notarile è rimasto ma lo ha conservato inalterato. Oggi è tornato al suo antico splendore grazie ad un impegno di tutti i condomini.
 

Palazzo Tumminelli-Paternò

L'immobile costruito nel secolo XVIII, nasce dall'accorpamento di diverse unità immobiliari preesistenti; ha una sola elevazione. I lati del prospetto sono in pietra nuda e presenta balconi con ballatoi in pietra sostenuti da mensole scolpite. I balconi si caratterizzano per le tipiche ringhiere in ferro battuto sagomate “alla Spagnola”.

L'immobile, ha una sola elevazione e nasce dall'accorpamento di diverse unità immobiliari preesistenti. Tra i proprietari, da dati risalenti al dopo unità di Italia, risulta di proprietà della sig.ra Francesca Tumminelli, moglie dell'avvocato Francesco Paolo Scarlata.

Il palazzetto nel giugno 2015 è stato oggetto di una ricognizione e di uno studio di restauro conservativo da parte di studenti di architettura dell'Università Kore di Enna.

Il palazzetto è posto al confine tra il rione Cozzarello o della Saccara e il rione di Santa Venera di Caltanissetta, all'altezza dell'incrocio tra via Maida e via San Calogero, circoscritto tra via Magrì e via Mussomeli dove ha il portone di ingresso al numero 6. Di fronte sull'angolo di via Maida v'è il coevo palazzetto Loria-Giunta.

I tre lati del prospetto sono in pietra nuda (pietra sugliata). Il palazzetto si caratterizza per la presenza di sette balconi con ballatoi in pietra sostenuti da mensole scolpite in pietra arenaria locale (pietra di Sabucina), insieme ad una terrazza con balconi in ferro che sovrasta il portone di ingresso. In epoca passata un balcone, presente sul lato di destra del palazzetto in via Mussomeli, è stato trasformato in una finestra. In origine i balconi con mensole erano otto, quattro su via San Calogero e quattro su via Mussomeli, più la balconata in ferro battuto della terrazza sopra il portone.

Alcuni balconi, quattro su via di San Calogero e uno su via Mussomeli, si caratterizzano per le tipiche ringhiere d'epoca barocca, in ferro battuto, sagomate “alla Spagnola”; gli altri tre balconi sono anch'essi in ferro battuto ma di epoca successiva. Ogni balcone è sostenuto da tre mensole decorate con motivi floreali.

Caratteristico il portone in legno con architravi sagomate in pietra di Sabucina. Il portone chiude un cortile interno ed è sovrastato da una terrazza che si affaccia sullo stesso cortile e sulla via con due balconate in ferro battuto. Sono anche caratteristiche le aperture ad occhio centrate sull'asse delle sottostanti aperture dei balconi; queste sono disposte all'altezza del piano di sottotetto che illuminano ed arieggiano.

Il palazzetto consta di varie unita immobiliari, per un totale di oltre 20 vani, alle quali si accede grazie ad una breve scala che si divide in due rampe; inoltre, sul piano strada vi sono in totale quattro ingressi che portano a vari locali magazzino.

I vani delle abitazioni non presentano elementi di decoro particolare.  

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