Centro
storico
Le
case
del
centro
storico
di
Bronte
sono
caratterizzate
da antichi
portali
in
pietra
lavica
o
arenaria
e,
sopratutto,
da archi e
architravi scolpiti
con
maestria
dagli
antichi
scalpellini
brontesi.
In
genere
si
tratta
di
strutture
architettoniche
a
linea
curva
(con
arco
a
tutto
sesto,
ribassato
o
ellittico),
di
stile
e
fogge
diverse,
poggianti
su
due
piedritti
in
pietra
lavica,
con
capitelli
ornati
a
rilievo
e
con
una
pietra
curva
al
centro
dell'arco
(chiave)
scolpita
con
uno stemma,
un
simbolo
o
le
sembianze
di
un
viso
o
nume
tutelare a
protezione
e
a
difesa
della
casa.
Con
il
tempo,
fra
il
disinteresse
e
l'indifferenza,
molti
di
questi
portali
sono
andati
perduti,
perché
danneggiati,
fatti
a
pezzi
o
distrutti
ed
anche
rubati.
Esempio
tipico
il
bel
portale
dell'antica
chiesa
di
San
Michele nella
Placa
Baiana,
letteralmente
scippato
una
notte
di
qualche
decennio
fa
e
trafugato
da
ignoti.
Bronte
conserva
ancora
una
struttura
urbanistica
di
chiara
ispirazione
araba
con
antichi
cortili,
stretti
sottopassi,
portali
in
pietra
lavica
sulla
quale
si
sono
innestate
architetture
di
ispirazione
rinascimentale
e
barocca
con
stucchi
e
pietre
scolpite
di
grande
bellezza.
La
zona
antica
è
ricca
di
architetture
ispirate
a
grande
semplicità
tipiche
della
civiltà
contadina.
Molti
i
portali
abbelliti
da
simboli
di
carattere
religioso
o
professionale
o
decorazioni
floreali,
i
palazzi
che
conservano ancora
inalterati
le
antiche
ed
eleganti
membrature
e
gli
elementi
di
particolare
interesse
in
pietra
lavica
(il
materiale
usato
in
modo
prevalente
nei
secoli
dai
valenti
scalpellini
locali).
Palazzi
signorili,
abitazioni
di
piccoli
artigiani,
di
contadini
e
di
povera
gente:
tutti
portano
ancora
i
segni
estetici
di
un
antica
bellezza
e
di
una
semplicità
architettonica
quasi
dimenticata.
Fra
fregi
ed
ornamenti
di
vario
stile
la
chiave
dell'arco
o
l'architrave
di
molte
case
riporta
visi
di
satiri
o
di
leggiadre
fanciulle,
arnesi
da
lavoro,
simboli
vari
indicanti
il
tipo
di
attività
svolta
da
chi
vi
abitava,
l'immagine
del
proprietario
della
casa
o
simboli
indicanti
la
fede
religiosa
del
proprietario
(stella
di
Davide).
Edicole
votive
-
Un
particolare
aspetto
religioso
che,
come
in
molti
altri
paesi
dell’interno
della
Sicilia,
caratterizza le
stradine
del
centro
storico
e
la
profonda
tradizione
religiosa
dei
suoi
abitanti
è
l'edicola
votiva
o
il
tabernacolo
.
Libera
espressione
della
religiosità
e
della
pietà
popolare,
queste
edicole
rappresentano
un
patrimonio
iconografico
unico
e
spesso
dimenticato
o
poco
valorizzato
ma
comunque
sempre
oggetto
di
venerazione
testimoniata
dagli
abitanti
con
fiori
e
lumini
perenni
o
dal
segno
di
croce
quando
vi
si
passa
davanti.
S’intravedono
senza
particolari
difficoltà;
s’incontrano,
incastonate
dentro
muri
o
nelle
pareti
delle
case,
in
ogni
via,
quasi
ad
ogni
angolo
ed
in
ogni
crocicchio.
Fanno
quasi
parte
integrante
della
struttura
delle
case
e
dell'assetto
urbanistico
del
centro
storico.
Sono
piccole
composizioni
architettoniche
annesse
alle
case,
incassate
o
dipinte
nelle
pareti
esterne
o
sul
muro
di
una
strada;
piccoli
tempietti
costruiti
a
protezione
di
un'immagine
sacra,
di
una
statua
o
di
un’icona.
Raramente
sono
collocate
al
centro
della
strada,
la
scelta
ricade
quasi
sempre
sulla
parete
esterna
dell'abitazione,
a
pochi
metri
da
terra
o
nei
piani
superiori;
piccole
opere
pittoriche
eseguite
in
affresco
o
su
supporto
mobile
(foglio
di
lamiera
zincata,
raramente
su
lastre
di
pietra
arenaria),
ornate
ed
illuminate
e
fornite
di
norma
di
una
semplice
mensola.
Molto
rare
le
sculture,
a
tutto
tondo
o
bassorilievi,
in
genere
commissionate
per
le
edicole
più
elaborate
da
una
committenza
facoltosa
o
culturalmente
più
elevata.
Si
rivolgono,
comunque,
sempre
allo
spazio
pubblico,
alla
strada
e
da
tempi
antichi,
come
ancor
oggi,
scaturiscono
da
un
culto
spontaneo,
dal
bisogno
di
un
rapporto
continuo
col
"divino"
che
possa
proteggere
e
rassicurare
chi
abita
in
quella
casa.
Continuano
a
trasmettere
la
certezza
del
loro
sapere
offrire
protezione.
Tolta
qualche
eccezione,
nulla
vi
è
di
rilevante
dal
punto
di
vista
artistico;
nella
loro
semplicità
costruttiva
e
pittorica
ben
poche
possono
definirsi
opere
d'arte.
Alcune
rivelano
però
notevole
buon
gusto,
una
particolare
raffinatezza
nel
disegno
e
originalità
nella
fattura
e
molte,
specie
nelle
stradine
del
centro
storico,
risalgono
ad
epoche
antichissime.
Tutte
ben
rappresentano
la
profonda
religiosità
ed
i
sentimenti
d'antica
devozione
che
legano
i
brontesi
alla
loro
protettrice
alla
quale
tante
volte
hanno
rivolto
preghiere
nei
momenti
più
difficili
della
loro
storia
in
special
modo
in
occasione
delle
frequenti
devastazioni
dell’Etna.
La
Madonna
Annunziata
è,
infatti,
il
tema
ricorrente
della
rappresentazione
sacra.
Nelle
stradine
del
centro
storico
brontese
hanno
una
diffusione
capillare,
sorgono
ovunque
e
testimoniano
il
bisogno
popolare
di
affidare
la
propria
sicurezza
al
soprannaturale.
Poste
a
protezione
della
casa
e
delle
famiglie
e
dei
piccoli
nuclei
che
le
circondano
servivano
al
loro
culto.
Sono
l'altare,
più
che
della
casa
e
della
famiglia,
del
vicinato,
della
piccola
comunità
che
vive
nelle
vie
adiacenti
ed
ogni
"cunnicella"
tramanda
una
propria
storia,
una
tradizione
o
una
testimonianza
storica.
Le
cappelle
votive
-
Di
sicuro
non
mancano
le chiese a
Bronte,
anzi.
Eppure
basta
entrare
nel
paese
nelle
tre
direttrici
principali
(da
via
Palermo
provenendo
da
Cesarò,
da
viale
Catania
provenendo
da
Adrano
o
da
via
Messina
da
Randazzo)
per
incontrare
altri
tempietti
o
scorrere
le
stradine
del
centro
storico
per
imbattersi
continuamente
in
piccole
costruzioni
contenenti
icone
od
immagini
sacre.
Questi
segni
nello
spazio
costruito
non
sono
mai
casuali
essendo
sempre
il
risultato
di
una
tradizione
religiosa
e
culturale,
di
esigenze
d’ordine
pratico
o
d'istanze
esistenziali.
Queste
piccole
cappelle
votive,
isolate
dalle
abitazioni,
edificate
a
protezione
di
una
statua
o
di
un’immagine
sacra,
sono
state
costruite
ad
inizio
e
conclusione
del
centro
abitato
in
quella
che
una
volta
era
l’estrema
periferia
di
Bronte.
Una
scelta
urbanistica
decentrata
a
difesa
ed
a
protezione
del
paese,
quasi
a
sacralizzare
il
territorio
sottraendolo
alle
forze
del
male.
Alcune
di
queste
Cappelle
votive
ripropongono
i
classici
altari
a
parete,
con
forme
molto
semplici,
tipicamente
popolari
e
materiali
poveri,
altre
sono
piccoli
monumenti
costituiti
da
una
base
in
pietrame
che
contiene
un'icona
o
sostiene
semplici
croci.
Testimonianze
della
religiosità
popolare
ormai
quasi
prive
di
significato
e
fuori
del
contesto
che
le
ha
concepite;
oggi,
inglobate
in
mezzo
alle
case,
hanno
mutato
il
loro
originario
rapporto
di
confine
tra
l’urbano
e
la
campagna.
L'edicola
votiva
del
SS.
Cristo
-
Questo
tempietto
votivo
fu
costruito
a
metà
del
1800
a
testimonianza
e
ricordo
di
una
devastante colata
lavica fermatasi
proprio
alle
spalle
di
Bronte
in
località
SS.
Cristo.
E'
stato
eretto
sul
posto
dove
i
brontesi,
che
avevano
perso
ogni
speranza
di
veder
salvo
il
proprio
paese,
avevano
portato
in
processione
e
lì
lasciata
la
statua
della
loro
Patrona,
la
Madonna
Annunziata.
Nella
parte
rivolta
verso
l'Etna
un'edicola
votiva
è
dedicata
alla
Vergine
Annunziata
raffigurata
tradizionalmente
accanto
al
paese,
con
una
bandiera
in
mano
dalla
lunga
asta
che
uccide
un
drago;
nella
parte
rivolta
verso
Bronte
in
un'altra
edicola
è
raffigurato
il
Cristo
alla
colonna.
La
lava,
sgorgata
il
31
Ottobre
1832
da
Monte
Lepre
aveva
raggiunto
Bronte
lambendo
la
zona
di
Salice.
L'eruzione
gradatamente
si
estinse
il
22
novembre
ma
pochi
giorni
prima,
il
18
«...
il
Cappellano
della
Vergine,
...portò
in
processione
i
capelli
virginei
e
le
reliquie
della
Croce
ripetendo
le
preghiere
litaniche.
Al
calar
del
sole
il
fuoco
si
fermò
all'ordine
della
Vergine.
All'uscire
dal
tempio
della
Regina
e
divina
protettrice
degli
uomini
e
davanti
alle
preghiere
del
popolo
di
Bronte,
il
fuoco
cominciò
a
ritenere
la
propria
violenza».
Così
recita
la
lapide murata
nella
chiesa
dell'Annunziata,
a
testimonianza
dello
scampato
pericolo.
Ed
il
popolo
brontese,
riconoscente,
dieci
giorni
dopo
la
fine
dell'eruzione,
proclamava
l'Annunziata
Protettrice
e
Patrona
di
Bronte.
La
Madonna
del
Lume
-
Contrariamente
alla
tradizionale
iconografia
brontese che
nelle
edicole
votive
vuole
l'immagine
della
Vergine
Annunziata
rappresentata
con
una
bandiera
in
mano
dalla
lunga
asta
che
uccide
un
drago
dalle
sette
teste,
questa
di
via
Cavallotti
rappresenta
quasi
fedelmente
l'iconografia
classica
della
Madonna
del
Lume.
Il
delizioso
dipinto
raffigura,
infatti,
la
Madonna,
vestita
da
una
lunga
veste
bianca
con
una
fascia
tempestata
di
gemme
preziose
che
le
cinge
con
i
fianchi
ed
un
manto
azzurro,
che
regge
in
grembo
Gesù
Bambino
sorridente
e,
con
la
mano
destra,
un'anima
peccatrice
nell'atto
di
precipitare
all'inferno.
Alla
sua
sinistra
un
angelo
in
ginocchio
sorregge
un
canestrino
pieno
di
cuori
e
li
presenta
a
Lei,
mentre
il
Gesù
Bambino
li
prende
ad
uno
ad
uno.
L'originale
restaurato
è
ora
conservato
a
cura
di
un
privato,
nell'edicola
è
stato
sostituito
da
una
copia
fotografica.
Il
culto
alla
Madonna
del
Lume
risale
alla
fine
del
1700
e
nella
stessa
epoca
si
è
diffuso
anche
a
Bronte
quando
probabilmente
è
stata
costruita
l'edicola
votiva.
A
Bronte,
alla
Madonna
del
Lume
è
dedicato
l'altare
maggiore
della
Chiesa
di
San
Giovanni con
una
leggiadra
statua.
Nella
stessa
chiesa
è
esposto
un
bellissimo
quadro della
Madonna
del
Lume,
recentemente
ritrovato
e
restaurato,
che
si
presume
sia
stato
portato
da
Palermo
a
Bronte
dal
Venerabile
Ignazio
Capizzi
(intorno
al
1760)
in
occasione
di
una
visita
alla
madre
morente.
Castelli
di
Bolo
e
Torremuzza
Nella
valle
di
Bolo,
fra
Bronte
e
Troina,
interessanti
sono
i
ruderi
degli
antichi
castelli
di Bolo e
di Torremuzza.
I
due
castelli,
inaccessibili
roccaforti,
posizionati
in
siti
strategici,
furono
costruiti
sulla
vetta
di
ripidissime
scoscese
cime
(rispettivamente
a
circa
923
e
900
metri)
e
vigilavano
sulla
sicurezza
dei
viaggiatori
e
del
commercio.
Sono
ritenuti
un
esempio
di
architettura
militare
del
medioevo.
Eserciti,
folle
di
pellegrini
e
commercianti,
corrieri
postali
che
dalla
normanna
capitale
Troina
o
da
Palermo
volevano
recarsi
alla
costa
di Catania
o
Messina,
erano
costretti
a
passare
nell'ampia
vallata
di
Bolo
transitando
anche
lungo quell'antico
ponte
normanno
di
contrada
Serravalle ancora
esistente.
Era
una
strada
obbligata,
oggi
come
un
tempo,
e
la
principale
via
di
collegamento
tra
la
costa
ionica
e
l'interno
della
Sicilia.
Il
primo
accenno
dell’esistenza
del
Casale
di
Bolo
è
del 1139.
Nel 1392 un
Diploma
reale
prescriveva
che
i
suoi
abitanti
dovevano
rivolgersi
per
le
loro
cause
al
Capitano
Giustiziere
di
Randazzo.
Successivamente,
nel 1535,
i
due
Casali
di
Bolo
e
Cattaino
furono
abbandonati
dagli
abitanti
obbligati
da
Carlo
V
a riunirsi,
assieme
agli
altri
casali,
per
formare
un
unico
popolo
in
Bronte.
Durante
il
periodo
borbonico,
la
rocca
di
contrada
Cattaino
ed
il
suo
Castello
(Torremuzza)
furono
trasformati
in
carcere
e
vi
venivano
custoditi
i
detenuti.
Su
di
un
alto
sperone
roccioso,
a
strapiombo
sull'ansa
del
fiume
di
Troina
o
Serravalle,
al
centro
di
un
paesaggio
particolarmente
impervio
e
brullo,
sotto
le
balze
di
Cesarò,
in
territorio
di
Bronte,
c'è
il
Castello,
o
quel
che
ne
rimane,
di
Torremuzza,
nell'ex
feudo
e
casale
di
Cattaino.
Lo
stato
di
conservazione,
è
alquanto
intatto
nelle
sue
strutture
murarie
esterne,
nelle
fortificazioni,
nel
sistema
di
difesa
e
rappresenta
un
modello
di
architettura
militare
minore,
diffusa
nell'interno
della
Sicilia,
nel
secoli
XII
e
XIII.
Il
castello
dominava
il
casale
del
Cattaino,
nel
cui
sito
già
nei
tempi
antichi
c'era
stata
la
presenza
umana,
attestata
da
ritrovamenti
del
IV
-
III
secolo
a.C.,
probabilmente
del
periodo
greco
e
greco-ellenistico,
convalidati
dalla
esistenza
del
più
consistente
vicino
sito
archeologico
di
Bolo.
Era
sottoposto
al
mero
e
misto
impero
di
Randazzo,
cioè
alla
giurisdizione
civile
e
penale,
in
virtù
del
privilegio
del
1348
del
re
Federico
III
d'Aragona,
con
altri
undici
casali
della
zona,
cioè:
Spanò,
Carcaci,
Bolo,
Cutò,
Pulicello,
Santa
Lucia,
Floresta,
S.
Teodoro,
Cesarò,
Maniace
e
Bronte.
Come
feudo,
invece,
appartenne
a
diverse
famiglie
baronali:
nel
1296
ai
De
Manna,
baroni
di
Santa
Lucia
e
di
San
Pietro;
nel
1408
ai
Crisafi;
nel
1453
ai
Sant'Angelo;
nel
1500
ai
Tornabene;
dal
1789
agli
Ugo
delle
Favare.
Durante
la
guerra
del
Vespro,
a
seguito
della
richiesta
del
re
Pietro
d'Aragona,
giunto
a
Randazzo
nel
mese
di
settembre
1282
per
soccorrere
Messina
assediata
dagli
angioini,
il
casale
Cattaino,
soggetto
alla
servitù
militare,
invia
arcieri,
fanti
e
vettovaglie
agli
aragonesi.
Probabilmente,
il
casale
scomparve
per
qualche
evento
naturale
o
per
il
venire
meno
di
adeguate
condizioni
economiche
e
sociali
nel
corso
dei
secoli
XV
o
XVI,
come
avvenne
per
Maniace
e
per
altri
casali
della
zona.
I
baroni
del
Cattaino
abitavano
per
lo
più
in
Randazzo,
soggiornando
anche
nel
castello
di
Torremuzza,
che
venne
ingrandito
e
fortificato
a
più
riprese.
Il
nome
"Cattaino"
potrebbe
derivare
dalla
voce
araba
"Calat",
che
significa
castello
o
fortezza
munita
da
natura
anziché
dall'opera
dell'uomo.
Ed
infatti
l'alta
ed
impervia
rocca
su
cui
sorge
potrebbe
dare
credito
a
tale
ipotesi.
Inaccessibile
da
tre
lati,
sia
per
la
presenza
del
fiume,
che
della
parete
rocciosa
verticale,
consente
l'accesso
solo
dal
lato
ove
è
ubicato
l'ingresso,
a
sua
volta
protetto
da
una
duplice
cortina
muraria,
dotata
di
feritoie
angolate
per
dirigere
il
tiro
delle
balestre
in
direzione
della
porta
di
accesso.
Il
castello
è
detto
di
"Torremuzza",
perché
la
torre
originaria,
di
probabile
epoca
bizantina
o
araba,
venne
spaccata
in
due
da
un
fulmine,
e
quel
che
oggi
resta,
è
una
metà
di
essa.
Durante
il
periodo
normanno-
svevo-aragonese,
attorno
alla
torre
fu
costruita
una
prima
cinta
muraria,
dotata
di
merlatura
e
caditoie.
In
questo
periodo
la
torre
faceva
parte
di
quella
catena
di
torri
e
fortificazioni
interne
della
Sicilia
che
servivano
per
la
trasmissione
delle
notizie
mediante
segnalazioni
ottiche
o
con
fuochi,
nonchè
per
la
vigilanza
della
regia
trazzera
Giardini-Termini
che
passava
nelle
vicinanze.
In
questo
tratto,
verosimilmente,
avevano
la
stessa
funzione
il
castello
di
Bolo,
e
quello
di
Maletto
detto
"la
torre
del
Fano".
In
seguito,
sotto
gli
spagnoli,
mancando
il
casale,
il
castello
probabilmente,
trasformato
in
una
masseria
fortificata,
con
la
costruzione
della
seconda
cinta
muraria.
Successivamente
fu
trasformato
in
un
tetro
carcere
del
comune
di
Bronte,
divenendo
luogo
di
orribile
detenzione
anche
per
prigionieri
politici.
Oggi
i
resti
del
Castello,
completamente
abbandonati
a
se
stessi,
sono
preda
delle
intemperie,
recinto
per
le
mandrie
bovine
ed
ovine,
nonché
luogo
di
appostamento
per
i
cacciatori.
Dal
castello
di
Torremuzza,
guardando
verso
Bronte
e
l'Etna,
si
scorgono
i
ruderi
del
castello
di
Bolo,
più
importante,
non
tanto
per
i
resti,
quanto
per
la
funzione
e
posizione,
posto
alla
sommità
dell'omonima
collina
e
contrada,
a
vedetta
dell'ampia
vallata
situata
tra
Bronte,
Maniace
e
la
Placa.
Questo
castello
ebbe
una
funzione
primaria
e
centrale
per
l'economia
dell'intera
zona.
Sorvegliando
dall'alto
la
strada
consolare
sottostante,
dominava
anche
il ponte
normanno detto
dagli
arabi
della
"Cantera",
fatto
costruire
nell'anno
1121
dal
re
Ruggero
II
in
memoria
della
madre,
la
contessa
Adelasia,
punto
strategico
di
attraversamento
del
Simeto,
nei
pressi
del
quale
ancora
esiste
un
mulino
ad
acqua
del
periodo
medioevale.

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