Bronte (Borgo)
(Catania)

 

Ducea dell'ammiraglio H. Nelson

CASTELLO - Il complesso denominato Ducea Nelson, si trova a circa 13 chilometri da Bronte, ubicato su un terreno pianeggiante di fondo valle sulla riva sinistra del torrente Saraceno. Comprende l'ala gentilizia, un tempo residenza dei Nelson (impropriamente detta il Castello) oggi trasformata in Museo, i resti dell’antica abbazia benedettina dedicata a Maria Santissima, fatta costruire da Guglielmo II° il Buono, la chiesetta di Santa Maria di Maniace ed un grande lussureggiante parco.

Sorse intorno al 1173, probabilmente sulle rovine di una preesistente costruzione basiliana, per volontà della Regina Margherita, per durevole memoria della battaglia vinta da Giorgio Maniace contro i Saraceni.

Come si usava all’epoca, il monastero venne dotato di castello o torre difensiva. Guglielmo di Blois fu il primo abate del monastero.

L’abbazia, in virtù dei privilegi concessi, aveva rendite ragguardevoli e, come tutti i feudi, contribuiva alle spese della Regia Curia. Molti i monaci, e di diverso Ordine, che lo abitarono nel corso dei secoli.

Nei secoli successivi alla fondazione conobbe però periodi difficili: venne ridotta in uno stato miserevole dai "commedatari" (l’ultimo abate "commendatario" fu il cardinale Rodrigo Borgia, il futuro papa Alessandro VI, "di nefanda ed infausta memoria"), ne furono dilapidati i patrimoni e lo stato malsano dei luoghi accelerò notevolmente lo spopolamento delle campagne circostanti.

Alla fine del XV secolo l’abbazia, con i suoi vasti terreni, divenne proprietà dell'Ospedale Grande e Nuovo di Palermo i cui rettori dal 1491 al 1799 (quando l'Abbazia e Bronte furono donati ad Orazio Nelson), con disinteresse, ingordigia e un'incredibile rapacità condizionarono per secoli la vita dei brontesi generando una lite che si trascinerà, con alterne fortune per il Comune, fino alla metà del 900.

Fra le migliaia di carte e documenti dell'Archivio storico Nelson, un analitico inventario del gennaio del 1608 elencava in modo minuzioso i beni e le ricche suppellettili della chiesa di Santa Maria, della sacrestia, della "cocina" e della dispensa del Monastero: il dormitorio dei monaci era costituito da sette camere con due letti per ognuno, solo una ne aveva tre.

Il terremoto che l’11 Gennaio 1693 colpì la Sicilia Orientale, abbatté anche molte parti del monastero. Il sisma colpì specialmente le strutture poste ad oriente e fece rovinare la grande torre di difesa adiacente l’abside della chiesa, abbattendo altre parti già fatiscenti.

(1) Ingresso; (2) Chiesa di Santa Maria; (3) Resti dell'abside della chiesa; (4) Museo Nelson; (5) Croce celtica in onore di H. Nelson; (6) Giardino inglese, voluto da Nelson; (7) Resti del Borgo Caracciolo; (8) Parco esterno con Museo di sculture in pietra lavica; (9) Torrente Saracena; (10) Antico granaio oggi trasformato in sala convegni.

I padri basiliani, che in quel periodo reggevano il monastero, furono costretti ad abbandonarlo ed a trasferirsi a Bronte (ospitati nella chiesa di San Blandano, con la facoltà di fabbricarvi intorno anche un piccolo monastero). Nei nuovi locali i monaci benedettini trasportarono i loro oggetti di culto, le loro reliquie e continuarono a chiamarsi di "Santa Maria di Maniace" (l’ultimo loro abate fu fra Giacomo Cimbali nel 1900-1904).

Nel 1799 l'antica Abbazia di Santa Maria di Maniace fu donata all’Ammiraglio Horatio Nelson da Ferdinando III in premio della soffocata repubblica partenopea.

Oggi dell’antico insediamento benedettino rimangono il Castello Nelson (con il relativo Museo, il giardino e il Parco), i resti della vecchia abbazia e la Chiesa di Santa Maria di Maniace.

Il complesso edilizio è diventato proprietà del Comune di Bronte dal 4 Settembre 1981; è stato recentemente ristrutturato ed una parte adibita a museo (gli appartamenti del Duca) e come centro di studi e di congressi (gli antichi granai).

Lo schema planimetrico attuale è il risultato finale dell’opera di insediamento permanente dei Nelson, succedutesi dal 1799 al 1981.

La ristrutturazione, la  trasformazione e l'ampliamento dell’antica abbazia furono iniziate già da Horatio Nelson, (ne affidò l'incarico al suo primo amministratore, il giardiniere Andrea Graefer) che però non ebbe il tempo né la fortuna di mettere piedi nei possedimenti siciliani e di abitare a Bronte. Morì infatti nell'ottobre del 1805, pochi anni dopo l'ottenimento del titolo di Duca di Bronte. I suoi eredi, invece, ed i loro vari amminstratori, abitavano stabilmente fino a pochi decenni fa gli appartamenti, via via trasformati in residenze signoriliora destinati a Museo (la prima fu Charlotte Nelson-Bridport, figlia del rev. William fratello dell'Ammiraglio, sposata a Samuel Hood, visconte di Bridport).

Il complesso della Ducea è articolato su pianta anulare a perimetro quadrangolare con edifici con una e due elevazioni, allineati lungo i fronti perimetrali, che si affacciano sulla campagna, sul lussureggiante parco e sui due cortili interni a pianta rettangolare.

L’insieme nella sua semplicità ha un aspetto maestoso. Per due cancellate si accede al porticato d’ingresso e quindi ad un primo cortile dove è ubicata la croce in pietra lavica eretta in memoria di Orazio Nelson.

Lateralmente, a destra, si accede alla interessante chiesa tardo-normanna di Santa Maria ed al cortile quadrato con pozzo in pietra lavica, intorno al quale originariamente erano raccolti i piccoli laboratori, i magazzini, le stalle, il granaio. Sulla sinistra, al piano sopraelevato, erano gli appartamenti signorili dei Nelson, ora adibiti a museo.

All’esterno del complesso sono visibili i resti di due torrette facenti parte del sistema difensivo dell’abbazia.

Un grande parco, che si estende all'interno e all'esterno per circa quattro ettari, arricchisce il Castello.

Con accesso dal primo cortile è possibile visitare il giardino inglese, voluto dai Nelson. Si estende per circa cinquemila metri quadrati ed è caratterizzato dalla presenza di secolari piante nostrane ed esotiche (cipressi, palme, salici, frassini, ippocastani, magnolie), da un verde prato inglese contornato da glicini, rose e fiori e piante varie. I giardini sono stati ricreati con molta cura, con un formale labirinto e una vecchissima, enorme magnolia che è certamente l’orgoglio del luogo.

All'esterno, di fronte all’ingresso della Ducea, si estende un lussureggiante parco, diviso da un viale centrale che, in mezzo ai maestosi platani e agli eucaliptos, ospita un museo all’aperto di sculture in pietra lavica con opere di artisti di fama mondiale.

Nel parco si vedono ancora i resti del borgo contadino, denominato "Borgo Caracciolo" costruito dal 1941 al 1944 dallo stato italiano (la Ducea era stata sequestrata) e successivamente demolito nel 1964 dalle ruspe degli eredi Nelson.

Chiesa di Santa Maria di Maniace

La Chiesa di Santa Maria di Maniace, tipica chiesa basilicale, è inglobata nelle volumetrie del complesso della Ducea Nelson.

Sorse unitamente all'Abbazia benedettina intorno al 1173 sulle rovine di una preesistente costruzione basiliana, per volontà della Regina Margherita, per durevole memoria della battaglia vinta da Giorgio Maniace contro i Saraceni. Come si usava all’epoca, l'abbazia e la chiesa vennero dotati di castello o torre difensiva.

Si accede alla chiesa da un piccolo cortile intercluso fra la facciata principale e la porzione porticata della Ducea. Esternamente è visibile soltanto il prospetto sinistro nella parte mediana del perimetro.

I prospetti laterali sono caratterizzati da finestre ogivali con strombatura modellata in laterizio e da una smensolatura di elementi lavorati in pietra lavica. Sul prospetto posteriore sono visibili gli archi ogivali di collegamento con le parti absidali.

La chiesa è uno splendido esempio di architettura normanna, con un prezioso portale in calcare e tre navate sorrette da poderosi pilastri in pietra lavica.

All’interno contiene quadri di grande valore, tra i quali un trittico gotico.

La testimonianza più completa di come dovesse essere la chiesa fino al secolo XVII è di Giovanni Angelo De Cocchis che visitò il monastero intorno al 1741 e riprese alcune testimonianze fatte da altri visitatori nel 1579 prima del terribile terremoto del 1693. Il monastero aveva una grande torre ad oriente attaccata all’abside della chiesa. All’interno un transetto dava origine ad un grande arco al centro e a due più piccoli in corrispondenza delle due navate secondarie.

Il devastante terremoto del 1693 colpì specialmente la struttura del monastero posta ad oriente. Fece rovinare la grande torre di difesa attaccata all’abside della chiesa e l’abside stessa (le cui fondamenta sono oggi visibili, portati alla luce dagli scavi effettuati all’interno del granaio).

Dal 1693 fino ai primi anni dell’ottocento, quando fu ristrutturata e profondamente trasformata dagli eredi di Nelson, la chiesa rimase allo stato di rovina.

Degno di essere definito monumento nazionale, il portale di Santa Maria è opera di grande valore artistico risalente probabilmente ai primi anni della fondazione dell’abbazia.

La volumetria rientrata ogivale segue la nervosa modulazione dei piedritti su cui è impostata. La cornice è adornata di vari condoni, grossi e piccoli, vagamente sagomati e sporgenti. Tre delle modanature centrali riproducono grosse gomene marine. Due gruppi di colonnine laterali lisce e rotonde, costruite con pietra arenaria, marmo e granito, sorreggono il grande arco.

I capitelli che raccordano la struttura hanno un modulo stilistico che rimanda ad analoghe opere eseguite a Monreale, sede della giurisdizione vescovile. Le figure scolpite sono piccole cariatidi poggianti su splendidi catini ornati di foglie d’acanto lavorate a ricamo.

Raffigurano scene della creazione del mondo, ma anche scene la cui interpretazione rimane molto misteriosa (come i corpi di donna intrecciati con esseri mostruosi), mal­grado la precisa descrizione che ne fece lo storico brontese Benedetto Radice nelle sue Memorie storiche di Bronte. Sculture simili si ritrovano nelle chiese e nei monasteri benedettini sorti nel XII secolo in Sicilia. Sono in modo par­ticolare le inquietanti figure rappresentate nei capitelli di sinistra (per chi guarda) a porre l’interrogativo del significato complessivo di questa rappresentazione scultorea.

Ispirate ai "bestiari" medievali le figure descrivono esseri mostruosi, deformi, forse simboli dei vizi del genere umano. Narrano storie di lussuria viste attraverso l’intreccio del corpo femminile con satiri, dal ventre gonfio e dalle zampe pelose di grifo, e con serpenti avvolti alle membra. Scene disperate di dannati e scene raccapriccianti di corpi e volti deformi e d’ogni altra mostruosità fisica.

Le figure di capitelli di destra, simbolicamente composte, narrano invece le vicende del genere umano a partire dalla cacciata dal Paradiso Terrestre e dall’uccisione di Abele. Ogni capitello svolge un tema diverso: il lavoro dei campi, la caccia, la guerra.

Mentre i capitelli di destra raccontano, quelli di sinistra ne sono la logica contraddizione, la negazione di qualsiasi narrazione e della Storia stessa, l’allegoria del genere umano travolto dalle tentazioni e dal peccato.

Così lo storico B. Radice descrive il portale nelle sue Memorie storiche di Bronte: «Mirabile è il portale della chiesa il cui arco a sesto acuto adorno di vari cordoni grossi e piccini, sporgenti nella cornice ogivale, è sorretto da dieci colonnine: cinque per ogni lato, delle quali tre di marmo e una di porfido, e le altre di pietra arenaria giallognola, di media grossezza.  

Le colonne non sono né scanalate, né a spirale, ma lisce e rotonde. Le basi delle colonne sono tagliate e modellate e somigliano allo stile di transizione in Inghilterra. Tre delle modanature, ora sfaldate, riproducono la gomena normanna.

Bellissimi e variati i capitelli di carattere nordico, o meglio romanico dei neo-campani, la cui cimasa, ornata di foglie di acanto e di figure, ricorda alcuni dei più vecchi capitelli delle colonne del sontuoso chiostro di S. Maria Nova in Monreale.

Nei capitelli, a sinistra dello spettatore, sono scolpite figure di uomini, di animali, di uccelli con volti di scimmia, un serpente che si attorciglia e snoda e morde la bocca a un mascherone: sono piccole cariatidi che sostengono l’arco ogivale.

Le foglie dei cinque capitelli delle colonne di destra sono un lavoro di fine ricamo. Una figura di donna, fra due uccelli, è riprodotta nei primi due capitelli.

Negli altri è rappresentata la prima storia umana: l’angelo espelle Adamo ed Eva dal paradiso terrestre. Il lavoro è simboleggiato da una filatrice, da uno zappatore e da due opere, che abbicano covoni di grano.

Nel capitello centrale è scolpita la seminagione: un uomo sparge la semente, un altro colla zappa la copre e spiana le porche.

Nei due seguenti capitelli abbinati è la caccia, figurata da uno che suona il corno, da un cinghiale atterrato, mentre un altro cinghiale salta addosso a una donna. Due guerrieri imbraccianti lo scudo, scolpiti nell’ultimo capitello, simboleggiano la guerra, l’eterna guerra del genere umano.

L’insieme delle sagome, delle cimase, della cornice ogivale, con i capitelli variamente scolpiti, dà un aspetto solenne al nordico portale e alla facciata. Reputo essere l’opera della fine del secolo XII, coeva del famoso tempio e chiostro di Monreale.»

Questa l'interpretazione che delle figure scolpite nei capitelli del portale dava nel 1923 B. Radice. Ma il Radice era uno storico e certamente non un esperto d'arte medievale. Nella descrizione andò incontro quindi a qualche inesattezza.

L’interno della chiesa di Santa Maria di Maniace, illuminato da otto finestre ad arco poste sopra i colonnati è molto austero e seducente anche se senza il coro e l'abside crollati nel terremoto del 1693 la chiesa sembra strozzata.

Risultano evidenti le affinità spaziali di Santa Maria di Maniace con la cattedrale di Cefalù, eretta dal 1131 al 1148, e con il contemporaneo Duomo di Monreale. E' nell'anno 1173 che il re Guglielmo e la sua sposa Margherita determinano di costruire in Maniace una grande chiesa intitolata a S. Maria ed un annesso Monastero benedettino.

Un anno dopo, nel 1174, lo stesso re consacrava il Chiostro di Monreale, anch’esso, dell’ordine benedettino; Bronte e Maniace all'epoca appartenevano alla stessa diocesi dell’Arcivescovo di Monreale.

Santa Maria di Maniace si presenta a tre navate con soffitto in legno a capriate, con archi a sesto acuto in pietra bianca, poggianti su otto poderose colonne in pietra lavica esagonali e rotonde, alternativamente, tutte sormontate da capitelli dorici.

La copertura in legname è sostenuta da cavalletti, correnti e travi. È discretamente conservata ed è stata restaurata nel nell'aprile del 1862.

Sulla parete della navata destra spiccano tre tombe in marmo: sono di Samuel Grisley, di Filippo Thovez (commissario della marineria inglese e governatore generale della ducea) con la moglie Marianna e di Rosaria Fragalà, moglie di Guglielmo Thovez, altro amministratore.

Nella chiesa, sotto l'altare maggiore, sono conservati anche i resti del primo abate, il Beato Gugliemo, fratello di Pierre du Blois di Londra nei tempi di Re Stefano.

In fondo alla navata principale su una piatta parete troneggia l'altare maggiore sopra il quale sono poste prestigiose opere d'arte d'antica fattura.

Anche se ricca d’opere di straordinaria bellezza ed attrazione, la chiesa, così come si presenta, senza abside e il coro, sembra però tronca, priva di profondità.

Recenti scavi archeologici stanno però dando risposta esauriente circa la forma originaria: è stata infatti recuperata la parte basamentale di tre strutture murarie semicircolari di notevole spessore distanziate fra loro come quelle esistenti.

Costituiscono senza dubbio la fondazione di tre absidi di cui i grandi archi di accesso sono ben visibili sulla parte posteriore della chiesa.

Gli scavi sono visibili all’interno del vecchio granaio del Duca (oggi trasformato dal Comune di Bronte in un grande salone con un’unica copertura lignea sostenuta da "capriate composte alla palladiana" ed adibito a Centro Congressi).

Sull’altare maggiore sotto un trittico del XIV secolo, all'interno di una preziosa cornice in legno scolpito, si trova una splendida icona di Madonna nell'atto che allatta il Bambino (Santa Maria di Maniace, XII sec.).

La tradizione l'attribuisce a San Luca e racconta che sia stata lasciata sul posto dal generale bizantino Giorgio Maniace in ricordo della vittoriosa battaglia contro gli Arabi (1040).

L’icona della vergine che allatta il bambino è un prezioso dipinto di classica bellezza e si caratterizza per l’inequivocabile presenza di canoni figurativi bizantini, come la posizione dei corpi, il brillante e piatto fondo oro, le mani lunghe e affusolate della Vergine, il drappo rosso che avvolge il Bambino e le sigle in lettere greche.

Ma in questa opera, alle figure prive di volume della più classica tradizione figurativa bizantina, si sostituisce un uso della luce tale da rendere inconsueta pienezza e corposità ai volti e morbide ondulazioni ai panneggi.

Gli schemi iconografici sono rinnovati dalla diversa maniera pittorica che in volto usa il colore con profondi contrasti e dure lumeggiature, con figure piene, solenni, cariche di serena umanità ed una sapiente costruzione del disegno.

La figura acquista la sua corposità pittorica sul lucente brillare del fondo d’oro. Il velo racchiude il piccolo volto con il panneggio ritmato; le mani esili e bellissime sorreggono il lattante privo di peso avvolto nel fitto intreccio della veste.

Nel contesto estremamente composito della cultura siciliana del XII e XIII secolo, quest’opera assume una importanza particolare in quanto documenta la vitalità e la viva presenza dei canoni figurativi bizantini nel campo della pittura, proprio in quella fase di transizione artistica che perdurerà fino alle soglie del rinascimento nell’opera di artisti locali.

Il trittico, del XIV secolo, dipinto su tavola in stile gotico, è posto sull’altare maggiore sopra l'icona di santa Maria. Raffigura al centro la Madonna in trono che allatta il Bambino e sui pannelli laterali i padri del monachesimo occidentale ed orientale: a sinistra San Benedetto in cocolla, piviale, mitra pastorale e libro delle (con l'iscrizione Sanctus Benedictus) regole nella mano sinistra; a destra, è raffigurato San Basilio (per il Radice trattasi di S. Antonio abate) in abito monacale con cappuccio da cenobita e pastorale a Tau e un libro in mano.

Nel triangolo superiore, in alto nel fastigio centrale è la crocifissione di Cristo, con la Vergine e San Giovanni ai piedi della croce.

Nelle lunette laterali è rappresentato (a sinistra) in abiti pontificali alla maniera greca un vescovo, con pastorale e libro (San Nicola) e, a destra, un guerriero con corazza, scudo crociato e lancia (San Giorgio o Guglielmo II, il Buono).

Le figure dei pannelli spiccano su fondi dorati e dimostrano tratti realisticamente umani, pur conservando una forte carica simbolica.

Evidenti analogie stilistiche e compositiva suggeriscono l’ipotesti, che anche la pala posta sulla navata di sinistra, raffigurante Santa Lucia con gli attributi del suo martirio, e nelle lunetta l’Arcangelo Gabriele, appartenesse al polittico dell’altare maggiore.

La pala a forma piramidale (del XI secolo), facente parte originariamente di una composizione a più sezioni dipinte su tavola, rappresenta Santa Lucia con gli attributi del suo martirio e, nella parte triangolare in alto, l’arcangelo Gabriele con in mano un nastro portante il saluto Ave gratia plena ed alcune lettere dal significato indecifrabile (I.S.A.Q.H.Th.H.).

L’immagine della Santa, delimitata in alto da una cornice tribolata, risalta sul fondo d’oro brillante. La figura eretta, variamente mossa da un voluminoso manto che l’avvolge fino ai piedi, prende fisicità e forza nei tratti umani e ben modellati del volto.

Il dipinto, indicato di scuola bizantina, sembra eseguito con una certa autonomia artistica, specie nell’uso del colore: infatti, un’alta carica vitale ed un marcato spessore umano modificano qui gli schemi compositivi ed i modelli iconografici tradizionali. Evidenti analogie stilistiche e compositive suggeriscono l'ipotesi che anche questa pala appartenesse al polittico dell'altare maggiore.

Sulla parete di fondo, ai lati dell'altare, si trovano due piccole sculture in marmo bianco: sono il gruppo dell’Annunciazione ed i frammenti dell’originario altare maggiore, costituiti dal paliotto con al centro l’Agnus Dei e dal leggio, decorati a racemi.

Pregevole esempio di sculture romaniche del XII secolo, lavorate a bassorilievo, le due statue rappresentano l’Angelo Gabriele con un giglio in mano e la Vergine Annunziata.

Nelle ali dell'angelo, ma specialmente nel volto della Vergine e nel rigore geometrico della sua veste, che annulla qualsiasi senso di fisicità, accentuando la carica simbolica, si individuano tratti stilistici e figurativi tipici dell'arte medievale europea. Il corpo della Vergine, senza alcun accenno di fisicità sotto la veste che cade giù dritta, perde ogni importanza, annullato nel simbolo che rappresenta.

Sull’altare della navata destra è posto il dipinto della Vergine della Seggiola, su tavola di cm. 80x100 (probabilmente del XV secolo). Rappresenta la Vergine Maria seduta con il Bambino in braccio, ambedue in posizione dritta con lo sguardo in avanti. In alto due angeli che rimuovono una cortina.

Le figure ben disegnate hanno nel portamento solenne ed austero i segni della divina natura. I volti permeati di grande serenità risaltano sul disegno essenziale delle vesti avvolte nei colori scuri molto accentuati. Il portamento solenne delle due figure e la composizione assiale, che ne accentua la verticalità, sottolineano una dimensione spirituale, contraddetta dall’umanità dei volti.

Un altro dipinto, probabilmente del sec. XVI, ma che richiama la scuola raffaellesca, rappresenta una Madonna con Bambino. Il Bambino, nudo, stretto amorosamente al seno della madre, guarda con occhi piena di tenera gratitudine il volto di lei, porgendole un fiore. Nei femminei e delicati lineamenti della faccia della Vergine è soffusa una spirituale dolcezza, una celestialità soave che ricorda certe pitture dell’Italia centrale. L’ambientazione naturalistica dello sfondo completa l’armoniosa configurazione. 

La luminosità dei colori, la morbidezza dei lineamenti e dei paesaggi chiaroscurali, la sovrapposizione delle vesti e la notevole profondità del paesaggio, donano al quadro una rara bellezza e gli conferiscono una chiara identità stilistica e figurativa che conduce alle sessioni artisti­che dell’arte dell’Italia centro-settentrionale del ‘500.

ABBAZIA BENEDETTINA - Posto all’interno del Castello, l'Abbazia di Santa Maria di Maniace costituisce la maggior parte del complesso edilizio denominato Ducea o Castello Nelson.

L’antica abbazia, dedicata a Maria Santissima, fu fatta costruire da Guglielmo II° il Buono nel 1174, per espresso desiderio della madre, la regina Margherita di Navarra, a ricordo della sanguinosa battaglia vinta da Giorgio Maniace contro gli arabi nel 1040 sulla strada tra Randazzo e Troina.

Costruita su una rupe basaltica, è ubicata su terreno pianeggiante di fondo valle sulla riva sinistra del torrente Saraceno, luogo estremamente suggestivo ed anche di antiche origini e ricco di testimonianze archeologiche. A poca distanza, infatti, nell’Aprile del 1905 a seguito di lavori nei campi, furono scoperti ambienti con "bei mosaici romani del basso impero, istoriati di animali e figure umane" che, a detta dell'archeologo Paolo Orsi erano parte di una grande villa.

Esternamente l'Abbazia si presenta come costruzione bassa con tetto alla siciliana, le finestre rettangolari e le porte incorniciate in pietra lavica. Il complesso degli edifici, nello stato in cui ci è pervenuto, da solo una vaga idea di quella che era la struttura originaria della chiesa abbaziale, della sala capitolare, della foresteria e del chiostro del monastero. Le notizie relative ai crolli dovuti ai frequenti terremoti (fra i quali quello devastante del 1693) ci fanno supporre che ciò che noi vediamo corrisponda in minima parte alla situazione iniziale.

E’ altrettanto probabile che la volumetria più consistente del monastero – denominata Ducea Nelson - sia quella arrivata fino a noi in migliori condizioni in quanto, una volta passata ai Nelson, fu risanata ed adibita a residenza permanente. Tutte le altre strutture invece rimasero legate alla conduzione del vastissimo fondo agricolo.

Gli ambienti, organizzati intorno ad un cortile centrale, furono adibite dai Nelson a deposito, cantine, stalle e granaio. Al centro del cortile è ubicato un pozzo a pianta ottagonale in muratura con elementi decorativi di coronamento in pietra, perimetrato da una pedana ottagonale con cordolo.

Nel lungo ed ampio granaio dei Nelson, recentemente trasformato in un grande salone con un’unica copertura lignea sostenuta da "capriate composte alla palladiana", sono stati portati alla luce interessanti resti dell’antica chiesetta di Santa Maria (tra i quali l'abside).

Lo schema planimetrico dei locali ed alcuni elementi architettonici del cortile fanno pensare che l’abbazia era organizzata su pianta anulare, intorno ad un cortile centrale (al quale si accede dal cortile principale d’ingresso alla Ducea).

E’ evidente anche che gli antichi torrioni d’epoca normanna che proteggevano l’abbazia, ed ancora visibili, fecero parte di un complesso edilizio di notevoli proporzioni ed importanza.

Dei torrioni, quello accanto al prospetto principale è forse l’unico risalente al periodo originario; ha struttura solida e compatta con fessure verticali d’avvistamento e difesa ed è forse il resto più consistente della robusta fortificazione andata in gran parte distrutta dal terremoto del 1693.  

Le due torrette di guardia sul fiume a nord-ovest e a nord-est risalgono, invece, nella veste a noi pervenuta, ad epoca più recente. Hanno volumetria cilindrica con muratura grezza di grosso spessore coronata da una merlatura leggermente in aggetto su una cornice d’elementi in cotto. 

Il torrione di nord-ovest è stato utilizzato fino a tempi recenti come stazione meteorologica permanente. Questi torrioni, che insieme al portale della chiesa di Santa Maria ricor­dano il passato medievale del monumento, han fatto sì che perdurasse la denominazione impropria di "Castello" pervicacemente data per secoli all'abazia benedettina.

Il Complesso del Castello Nelson presenta una consistenza complessiva di oltre 3.000 mq. di superficie utile (di questi circa 350 mq. sono occupati dalla chiesa e circa 520 mq. dal museo Nelson che occupa tutto il primo piano dell'ala Ovest). Inoltre il complesso è servito da oltre 1.600 mq. di superficie scoperta (cortili di stretta pertinenza ai fabbricati) e di circa 4.200 di giardino e da un parco che supera i 12 ettari. 

Museo Nelson

L’ala gentilizia della Ducea che oggi ospita il Museo era la residenza brontese dei discendenti di Horatio Nelson (il Castello) ed ancora oggi rimane una perfetta documentazione storica di vita inglese.

Gli ambienti che la compongono è probabile che rappresentino la volumetria più consistente del vecchio monastero benedettino. Sicuramente sono quelli arrivati fino a noi in migliori condizioni in quanto, una volta trasferiti per dono regale ai Nelson, furono ristrutturati ed adibiti a residenza permanente.

Molte strutture e locali che compongono il complesso edilizio furono costruiti nella prima metà dell’ottocento, quando fu risanato ed inglobato quello che restava dell’antica abbazia benedettina; furono ristrutturati soprattutto gli ambienti che si dipartivano dalla destra del portale della Chiesa e circondavano il piccolo chiostro.

Una particolareggiata descrizione degli ambienti, dei quadri e delle suppellettili ci è stata lasciata dal V° Duca, Alexander Nelson Hood, nel suo libro "La Ducea di Bronte", memorie scritte per la famiglia" nel 1924.

L’ala gentilizia, posta al piano superiore oggi destinato a Museo, si affaccia sul giardino botanico e sul cortile principale del complesso al centro del quale sorge, in onore dell'ammiraglio Nelson, la grande croce celtica voluta nel 1888 dal suo discendente, il IV Duca di Bronte Lord Alexander Nelson Hood, barone Bridport.

Un lungo corridoio disimpegna tutte le stanze, esposte a ponente sul giardino inglese, nelle quali si trovano la maggior parte degli arredi lasciati dagli eredi della famiglia Nelson. Assume l'aspetto di un vero e proprio percorso museale ricco di cimeli, reperti archeologici, con le pareti coperte di quadri e marine giganti che descrivono le vittorie di Nelson.

Un ritratto, a figura intera, di Nelson e Wellington, l’uno a fianco dell’altro, è, a detta di tutti, l’unico in cui erano stati ritratti insieme.

Nel corridoio sono esposti quadri e stampe raffi­guranti l'ammiraglio inglese ed i suoi discendenti, lettere autografe dei reali inglesi, medaglie e piani di battaglia navali, ordini militari, sarcofagi, anfore romane e reperti archeologici ritrovati durante i recenti scavi eseguiti per la ristruttura­zione della Ducea.

Il Museo è storicamente interessante ma anche ricco di straordinario fascino e di bellezza. Sulla sinistra del lungo corridoio si aprono i sontuosi appartamenti dei duchi inglesi ancora ornati delle suppellettili originarie (le camere da letto, lo studio, la sala da pranzo, i servizi, i bagni etc.) e in parte piastrellati con pavimenti originali di maiolica del secolo XVIII.

Le stanze stesse sono state pure restaurate. Repliche delle originali mattonelle da pavimento sono state fatte, per ogni camera, e una sezione delle vecchie mattonelle è stata lasciata nel posto come paragone.

Oltre alle stanze, ai servizi ed alle cucine, rigorosamente ammobiliati con mobili e suppellettili dell'epoca, altri numerosi oggetti d'arte sono con­servati nel Castello.

Gli ambienti conservano preziosi cimeli, oggetti di uso comune e numerose opere d'arte appartenuti ai Nelson: ritratti di Lady Hamilton o della Regina Vittoria col principe consorte Alberto, lettere autografe dei reali d'Inghilterra, arredi e mobili di grande pregio e di vario stile, vasi ed orologi dell'ottocento, cassapanche di pregevole fattura, maioliche calatine del XVIII secolo, stampe e dipinti di autori inglesi (Luny, Paton, Spencer, Elliot), porcellane napoletane e gli stemmi dei Nelson.  

Nelle stanze dei Nelson non si vedono più i maggiordomi o la numerosa servitù, le cucine, le stufe e i caminetti sono spenti e tutto è immobile, ma in un grande silenzio affiorano alla memoria la storia e la magia del luogo rimasta immutata ma anche le sofferenze del povero popolo brontese espropriato per secoli delle sue ricchezze.

La mobilia è un miscuglio di stili: parte di essa è stata portata dall’Inghilterra, parte, come il tavolo da refettorio del VI secolo, si crede sia parte dell’originale mobilia del convento. Altri pezzi erano stati comprati localmente dai Bridports ed includono alcuni magnifici esempi d’artigianato siciliano. La casa è in vari modi un monumento a Horatio Nelson, con ricordi della sua vita e delle sue vittorie dappertutto. 

Purtroppo il museo, appena tre anni dopo l’acquisto da parte del Comune, ha subito nel 1984 un gravissimo furto di una ventina di preziose opere (fra dipinti e mobili d'epoca) che ancora non sono state recuperate e che difficilmente potremo un giorno vedere esposte ed ammirare nel Museo Nelson. 

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