- Real
collegio
Capizzi
Il
complesso
monumentale
del
Real
Collegio
Capizzi
(convitto
e
scuole),
iniziato
il
1°
Maggio
del
1774
ed
inaugurato
il
12
Ottobre
del
1778,
è
frutto
dell’iniziativa
e
della
perseveranza
dell’umile
sacerdote
brontese
Eustachio
Ignazio
Capizzi
che,
durante
i
quattordici
anni
trascorsi
nella
diocesi
di
Monreale,
maturò
una
straordinaria
esperienza
di
fondazione
e
di
costruzione
di
collegi.
Ignazio
Capizzi
avvertiva
il
movimento
di
studi
e
il
fervore
culturale
che
si
manifestava
nella
prima
metà
del
Settecento
anche
in
Sicilia.
Ma
avvertiva
altresì,
per
averlo
sperimentato
personalmente,
che
di
tale
fervore,
vivissimo
in
altri
centri
dell’Isola,
Bronte
era
condannata
a
non
ricevere
neppure
gli
echi
più
lontani.
Lui
stesso
era
stato
costretto
a
lasciare
il
suo
paese
natale
per
darsi
un'istruzione.
Il
paese
era
privo
di
scuole;
l’analfabetismo
dominava
incontrastato
tra
il
popolo
di
Bronte
(all’epoca
ancora
proprietà
feudale
dell’Ospedale
Grande
e
Nuovo
di
Palermo),
ed
agli
studi
potevano
accedere
solo
clero
e
nobiltà.
Da
qui
il
disegno
generoso
di
dotare
il
suo
paese
di
un’istituzione
che
consentisse
ai
brontesi
di
affinarsi
e
di
crescere
culturalmente
e,
a
ben
ragione,
ritenuta
la
più
importante
gloria
cittadina,
che
pone
Bronte,
almeno
negli
ultimi
due
secoli,
in
posizione
di
sicura
preminenza
sugli
altri
centri
della
Sicilia.
L'umile
sacerdote
lavorò
per
oltre
un
decennio
per
realizzare
il
suo
sogno,
affrontò
e
superò
grandi
difficoltà
e
ostracismi
ma
la
sua
tenacia,
il
suo
entusiasmo
e
la
sua
preparazione
erano
solidi:
iniziata
la
costruzione
(maggio
1774)
il
maestoso
Collegio
fu
portato
a
termine
in
pochissimo
tempo,
poco
più
di
quattro
anni
(ottobre
1778).
Il
25
giugno
1771,
in
una
lettera
al
sac.
Sinatra
di
Bronte,
Ignazio
Capizzi
stabilisce
il
luogo
dove
costruire
le
scuole:
al
quartiere
di
S.
Rocco
nel
centro
dell'abitato.
Due
anni
dopo,
nel
1773,
vengono
comprati
per
80
onze
il
terreno
ed
un
gruppo
di
case
di
proprietà
del
medico
Rosario
Stancanelli
e,
su
sua
iniziativa,
è
inviato
a
Bronte
da
Palermo
il
Sac.
Salvatore
Marvuglia,
architetto
del
Comune
di
Palermo,
per
visionare
il
luogo
dove
doveva
sorgere
l’Istituto
e
disegnarne
la
struttura.
Chiamato
il
capomastro
legnaiuolo
Giuseppe
Lupo,
consegnatogli
il
disegno,
si
pose
mano
all’opera.
La
realizzazione
dell'opera
non
fu
facile:
Ignazio
Capizzi
affrontò
e
superò
moltissimi
impedimenti,
ironie,
ostracismi,
contrasti
e
calunnie
d’ogni
genere;
elemosinò
le
risorse
necessarie
in
ogni
luogo.
Alla
fine
ebbe
l’appoggio
di
tutti.
Il
7
settembre
1777
Ferdinando
III
Re
delle
due
Sicilie,
accogliendo
la
supplica
del
Capizzi
di
quattro
anni
prima,
concedeva
200
onze
annue
in
perpetuo
a
spese
della
Mensa
Arcivescovile
di
Monreale
e
decretava
che
l’erezione
delle
scuole
pubbliche
di
Bronte
dovesse
comprendere
cinque
scuole:
di
aritmetica,
di
grammatica
inferiore
e
superiore,
di
filosofia
e
teologia.
Nel
mese
di
Settembre
dello
stesso
anno
erano
pronte
le
stanze
per
le
scuole,
il
refettorio,
la
cucina
ed
il
primo
piano
per
i
convittori
ed
i
superiori.
Ignazio
Capizzi,
approfittando
della
sua
esperienza
di
educatore
scrisse
anche
le
"Regole"
per
il
suo
Istituto:
ne
disciplinò
gli
studi,
l'elezione
del
direttore,
gli
stipendi
degli
insegnanti,
i
doveri
e
gli
obblighi
dei
maestri,
dei
convittori
e
degli
studenti.
L'umile
sacerdote
ben
poche
volte
ritornò
a
Bronte
dopo
l'inaugurazione
del
Collegio,
sicuro
com'era
di
averlo
affidato
ad
uomini
e
sacerdoti
brontesi,
non
solo
capaci,
onesti
e
istruiti,
ma
profondamente
impegnati
con
tutte
le
loro
energie
alla
sua
fioritura.
Dopo
appena
vent'anni,
nel
1796-97,
la
biblioteca
fu
rifornita
di
altri
libri
e
la
cappella
interna
di
arredi
sacri.
Furono
costruiti
pure
un
piccolo
teatrino,
andato
successivamente
perduto,
ed
altre
aule
per
la
scuola
e
per
i
dormitori.
Ai
convittori,
oltre
il
catechismo
e
la
messa
giornaliera,
non
venivano
suggerite
altre
pratiche
religiose.
Regole
ferree
ed
analitiche
disposizioni
regolavano
la
vita
del
collegiale.
L'inizio
delle
lezioni
era
fissato
al
15
ottobre
e
il
termine
al
31
agosto;
vacanza
il
giovedì
pomeriggio
e
dal
1
settembre
al
14
ottobre.
Dal
1805
al
1807
fu
costruita
la
quarta
ala
del
Collegio.
I
lavori
riprendono
dopo
la
parentesi
del
1820-21
per
la
costruzione
del
cortile.
Il
1
novembre
1846
viene
iniziata
la
nuova
cappella
con
la
spesa
di
onze
314
incluso
il
contributo
di
tarì
12
l'anno
chiesto
ad
ogni
collegiale.
L'immediata
affermazione
del
Collegio
(nel
giro
di
20
anni
i
37
convittori
iniziali
del
1778
passarono
a
195
nel
1797)
fu
anche
dovuta
alla
capacità
del
personale
direttivo
di
camminare,
in
campo
scolastico,
al
passo
coi
tempi,
aggiornando
e
aumentando
le
materie
di
insegnamento,
ossia
superando
i
vecchi
schemi
scolastici
così
usuali,
all'epoca,
nei
collegi
dei
Gesuiti.
Si
inizia
nel
1778,
come
da
decreto
di
Re
Ferdinando,
con
le
classi
di
leggere
e
scrivere,
umanità
e
retorica.
Nel
1782-83
la
retorica
viene
separata
dall'umanità
e
stabiliti
due
distinti
professori.
Nel
1808
le
materie
d'insegnamento
diventano
dieci:
leggere
e
scrivere,
2a
classe,
4a
minore
e
4a
maggiore,
umanità,
retorica,
filosofia,
teologia,
alle
quali
nel
1810
si
aggiunge
il
"canto
fermo".
Il
20
febbraio
del
1818
un
devastante
terremoto
colpì
il
versante
di
nord-ovest
dell'Etna.
Il
Real
Collegio
subì
gravissimi
danni
con
caduta
di
calcinacci
e
distaccamento
parziale
delle
pareti
verticali
nel
piano
abitato
dagli
alunni,
nei
dormitori
e
nei
corridoi.
Un
preventivo
redatto
a
marzo
dello
stesso
anno
dall'architetto
catanese
Carlo
Pulejo
quantificò
i
danni
in
onze
311
(centoundici
in
più
della
dotazione
annuale
concessa
quaranta
anni
prima,
il
18
aprile
1778,
ad
Ignazio
Capizzi
dal
re
Ferdinando
III).
Nel
1837,
il
Collegio
assunse
il
titolo
di
"Real
Collegio
Borbonico";
fu
introdotto
il
metodo
"normale",
e
la
classe,
di
leggere
e
scrivere
assume
il
nome
di
"scuola
dei
piccoli";
fu
aggiunto
l'insegnamento
della
lingua
italiana,
mentre
la
teologia
venne
divisa
in
dogmatica
e
morale.
Nel
1850
iniziò
lo
studio
della
letteratura
italiana,
eloquenza,
geografia,
lingua
francese.
Quattro
anni
dopo
il
diritto
ecclesiastico,
matematica,
calligrafia
e,
nel
1864,
la
fisica.
Nel
1852,
riferisce
la
relazione
statistica,
essendo
direttore
mons.
Biuso,
vi
erano
12
piazze
franche,
e
vi
insegnavano
19
sacerdoti.
Certo,
gli
avvenimenti,
che
in
quel
periodo
sconvolsero
l'Italia
e
l'Europa
e
la
donazione
fatta
da
Ferdinando
IV
nel
1799
del
territorio
brontese
all'ammiraglio
Horatio
Nelson,
influirono
negativamente
sulla
vita
del
Collegio:
le
condizioni
del
popolo
brontese
peggiorarono
e
il
Comune
si
dissanguò
in
una
serie
continua
di
cause
nei
tribunali
per
difendere
i
propri
diritti,
con
accentuazione
delle
contrapposizioni
interne
tra
ceto
borghese
e
popolo
contadino,
che
culminarono
nei
fatti
del
1848
e
del
1860.
Come
non
guardare
oggi
in
controluce
la
Ducea
di
Nelson
e
il
Collegio:
di
là
l'esclusivo
interesse
economico,
a
volte
vessatorio
ed
oppressivo,
di
qua
la
bandiera
della
cultura
e
dell'elevazione
sociale
del
popolo,
irradiate
fino
in
lontane
Terre.
Con
l'unità
d'Italia,
l'accentramento
dello
Stato
è
anche
causa
di
crisi
del
Collegio.
Nel
1863-64
i
convittori
scendono
a
134
e
la
retta
sale
a
onze
24,
nel
1883
l'Istituto
raggiunge
il
minimo
di
50
collegiali
anche
se
pochi
anni
prima,
il
22
novembre
1867,
l'Istituto
aveva
ottenuto
il
pareggiamento
del
suo
ginnasio.
Contro
il
rischio
di
veder
diminuito
il
numero
dei
convittori
il
Collegio
venne
dotato
di
scuole
tecniche
(non
se
ne
fece
poi
nulla)
e
gli
alunni
smisero
di
vestire
la
talare
sostituendola
con
una
divisa
militare
alla
marinara.
Anche
le
risorse
economiche
scarseggiano
ed
il
Comune
fa
fatica
a
concedere
finanziamenti.
Il
1883
fu
anno
di
vera
crisi
e
non
soltanto
di
natura
finanziaria.
Il
Collegio
vedeva
appannarsi
la
sua
prestigiosa
immagine
e
rischiava
la
chiusura.
Quell’anno
gli
studenti
che
lo
frequentavano
superarono
di
poco
il
numero
di
50.
La
Sicilia
vedeva
aumentare
di
anno
in
anno
il
numero
delle
scuole
pubbliche,
altri
istituti
nascevano
e
le
famiglie
non
sentivano
più
il
bisogno
di
mandare
a
Bronte
i
loro
figlioli.
Nello
stesso
anno
1883,
con
l'introduzione
della
illuminazione
a
petrolio,
furono
messi
nei
corridoi,
nel
refettorio
e
nelle
camerate
62
fanali
di
cristallo
e
viene
perfezionato
l'ultimo
quarto
del
Collegio
con
la
spese
di
onze
226.
Il
27
settembre
di
quell'anno
si
fecero
grandi
feste
per
ricordare
il
primo
centenario
della
morte
del
fondatore
ma
nemmeno
la
solenne
celebrazione
conseguì
gli
effetti
che
si
speravano:
una
più
vasta
conoscenza
dell'Istituto.
Nella
speranza
di
una
sua
rinascita
e
che
i
figli
di
Don
Bosco
potessero
rimettere
in
auge
il
vecchio
Istituto,
nel
1892,
il
Collegio
viene
affidato
ai
Salesiani
rimasti
fino
al
1914
(quando
si
dimisero).
Nello
stesso
anno
il
rettore
sac.
Giuseppe
Prestianni
faceva
restaurare
e
completare
l’edificio.
Il
Collegio
fu
rinnovato
negli
interni
e
nelle
strutture
esterne,
anche
mediante
modifiche
al
progetto
originario
del
fondatore
e
dell'architetto
palermitano
Marvuglia.
Con
la
speranza
di
far
risorgere
a
nuova
vita
l'Istituto
fu
rifatta
tutta
la
pavimentazione
"a
cemento"
e
sostituite
le
scale
"primordiali"
di
pietra
lavica
e
di
mattoni
con
il
marmo;
sorsero
ampie
aule
scolastiche,
vasti
dormitori.

La
chiesa
del
Sacro
Cuore,
progettata
dall’ing.
Caselli
e
classicamente
decorata
dall'artista
Sciuto
Patti,
eretta
al
posto
della
chiesa
S.
Rocco,
resta
l'opera
che
conclude
nel
modo
più
degno
l'attivo
rettorato
del
Prestianni.
Contro
il
parere
di
Caselli
che
voleva
ricomporre
l’unità
architettonica
del
Collegio,
fu
eretta
anche
una
nuova
costruzione
ad
uso
di
botteghe
e
case
da
affittare
addossate
al
monumentale
edificio.
Sotto
il
rettorato
del
sac.
Vincenzo
Portaro
(dal
1916
al
1936)
il
Collegio
Capizzi
riprese
a
crescere
con
un
graduale
aumento
del
numero
dei
convittori
che
vi
affluivano
da
tutti
gli
angoli
della
Sicilia
e
della
Calabria:
nell'anno
scolastico
1916-17
gli
alunni
interni
furono
130,
l'anno
successivo
138
fino
a
superare
nel
1920-21
il
numero
di
200.
La
scelta
di
nominare
il
Portaro,
già
professore
di
latino
e
greco
al
Regio
Liceo
Cutelli
di
Catania,
a
Rettore
del
Capizzi
apparve
subito
avveduta
e
felice.
Dopo
oltre
150
anni
dalla
fondazione,
apre
il
portone
del
Real
Collegio
Capizzi
anche
alle
ragazze
brontesi
e
non.
Fra
le
altre
iniziative
tese
a
dar
nuova
linfa
al
secolare
Istituto,
nel
1924,
il
Rettore
dotò
il
Convitto
di
un
ottimo
e
completo
Gabinetto
di
fisica
(la
spesa
fu
di
circa
20
mila
lire)
che
affiancò
a
quello
di
Scienze
naturali
e
Chimica.
Il
Real
Collegio
Capizzi
vedeva
però
in
lontananza
il
proprio
declino
e
si
cercava
in
tutti
i
modi
di
farlo
rinascere
a
nuova
vita
anche
perché
in
Sicilia
molti
altri
istituti
scolastici
nascevano
e
le
famiglie
non
sentivano
più
il
bisogno
di
mandare
a
Bronte
i
loro
figlioli
sostenendo
notevoli
spese.
In
quegli
anni
la
retta
per
l'anno
scolastico
(1
settembre
-
30
Giugno)
era
di
Lire
3.000
(1.000
in
più
del
1921),
una
somma
notevole
che
poche
privilegiate
famiglie
potevano
permettersi.
Le
spese
per
libri,
vestiario,
tasse
scolastiche,
visite
mediche
straordinarie,
medicine,
vitto
speciale,
ecc.,
erano
sempre
a
carico
del
convittore
e
venivano
conteggiate
a
fine
anno.
 Pochi
anni
dopo,
nel
luglio
del
1943,
il
Capizzi,
venne
parzialmente
danneggiato
dai
disastrosi
bombardamenti
degli
alleati
e
in
un
angolo
fatto
saltare
dai
tedeschi
con
le
mine.
Si
deve
all'impegno
ventennale
-
dal
1946
al
1966
-
del
nuovo
rettore,
il
sac.
Giuseppe
Calannae
del
suo
vice,
padre
Giuseppe
Zingale,
l'opera
di
risanamento e
di
rinnovamento.
Il
suo
rettorato,
che
è
proseguito
fino
a
pochi
anni
fa,
quando
per
le
mutate
condizioni
socio-culturali
vennero
chiuse
la
scuola
ed
il
convitto
d'istruzione
e
d'educazione,
rappresenta
più
di
un
quarto
della
lunga
e
fascinosa
storia
del
Collegio.
Ben
presto
i
convittori
dai
trenta
del
periodo
bellico
(51
nel
1945,
90
nel
1946
e
119
un
anno
dopo)
passarono
a
160.
Furono
ricostruite
le
parti
danneggiate
dai
bombardamenti,
ristrutturati
nuovi
locali
interni,
rinnovati
i
dormitori,
la
palestra,
le
cucine,
i
servizi
igienici,
rammodernati
il
refettorio
e
le
aule
scolastiche.
Ed
infine
il
Rettore
Calanna
ed
il
suo
vice,
padre
Zingale,
portarono
finalmente
a
compimento
un
antico
desiderio
di
tutti
i
brontesi:
la
traslazione,
a
211
anni
dalla
morte,
dei
resti
mortali
del
ven.
Ignazio
Capizzi
da
Palermo
a
Bronte
nel
suo
Collegio,
dove
riposano
dal
17
Aprile
1994.
Il
Capizzi
fu
edificato
dal
popolo
con
il
contributo
dei
sovrani
Borboni.
Per
questo
dall’iniziale
nome
di
Casa
di
Educazione
si
chiamò
Collegio
Borbonico.
Successivamente,
nel
1848,
su
iniziativa
dell’abate
Giuseppe
Castiglione,
pari
del
Regno,
il
Parlamento
siciliano
lo
denominò
"Collegio
Nazionale".
Dopo
l’unità
d’Italia
mutò
ancora
nome
in
quello
di
"Real
Collegio
Capizzi". E
tale
è
rimasto
fino
ad
oggi.
Oggi
le
mutate
condizioni
socio-culturali
hanno
fatto
chiudere
la
scuola
ed
il
convitto
d'istruzione
del
Collegio.
Struttura
architettonica
-
L’edificio,
a
pianta
quadrata
con
cortili
interni,
ha
grandi
dimensioni
ed
occupa
l’intero
perimetro
di
un
grande
isolato
delimitato
dalle
vie
Umberto,
Card.
De
Luca,
Attinà
e
Capizzi.
Sorge
nell’abitato
costruito
in
massima
parte
tra
la
fine
del
XVIII
e
l’inizio
del
XIX
secolo.
Le
mutate
volumetrie
urbane
hanno
cambiato
in
parte
il
rapporto
architettonico
con
le
costruzioni
adiacenti,
senza
però
alterare
i
punti
di
vista
e
le
prospettive.
La
visione
ravvicinata,
determinata
dalla
larghezza
della
sede
stradale,
consente
ancora
una
lettura
dettagliata
della
raffinata
decorazione
parietale.
La
parte
più
antica
del
complesso
ha
carattere
monumentale
ed
è
costruita
su
tre
livelli
di
cui
uno
seminterrato
(con
una
palestra
ginnica,
le
cucine,
la
lavanderia
e
le
stalle).
Un
bel
rinfaso
orizzontale
di
pietra
lavica
sottolinea
la
separazione
dei
livelli
frontestrada.
Il
ritmo
regolare
delle
aperture
è
alternato
alle
forme
ripetitive
e
geometriche
delle
decorazioni
parietali.
Il
coronamento
in
muratura
(finta
balaustrata)
chiude
la
facciata
in
alto
sopra
un
cornicione
in
aggetto.
Sulle
cornici
e
sulle
trabeazioni
delle
finestre
e
sulla
fascia
marcapiano
sono
scolpiti
motivi
ornamentali
a
bassorilievo
in
pietra
lavica
di
rara
finezza.
Ogni
finestra,
inquadrata
da
una
cornice
modanata,
è
sormontata
da
una
trabeazione
con
motivi
floreali
al
cui
centro
emergono
festoni
con
cartiglio
e
conchiglia
di
gusto
barocco.
Al
centro
degli
architravi
risaltano
alcune
figure
di
volti
umani.
Al
piano
seminterrato
dell’edificio
sono
collocati
i
servizi;
la
palestra
apre
su
uno
dei
grandi
cortili
interni;
le
aule
scolastiche
e
i
dormitori
sono
al
piano
terra
ed
al
primo
piano.
Due
cortili
interni
al
complesso
e
la
"villetta"
determinano
l’articolazione
delle
aule
e
dei
corridoi.
I
locali
a
piano
terra
prospettanti
su
via
Cardinale
De
Luca
ospitano
la
Pinacoteca
di
Bronte.
Biblioteca
-
La
biblioteca
del
Real
Collegio
Capizzi,
organizzata
come
Tempio
del
Sapere,
raccoglie
quasi
tutte
le
opere
che
costituivano
la
cultura
umanistica
del
secolo
XVIII.
Rimasta
chiusa
per
oltre
quarant’anni,
è
stata
riaperta
al
pubblico
da
alcuni
decenni.
Anche
questo
prezioso
patrimonio
è
opera
di
Ignazio
Capizzi,
fondatore
del
Collegio.
Quando
nel
1767,
per
ordine
di
Ferdinando
III,
i
Gesuiti
vennero
cacciati
dalla
Sicilia,
mentre
tutti
facevano
a
gara
per
impossessarsi
dei
loro
beni
demaniali,
il
Capizzi
ottenne
in
dono
numerosi
volumi
confiscati
nelle
biblioteche
palermitane
della
Compagnia,
preziosissimo
patrimonio
librario,
parte
del
quale
è
oggi
custodito
nella
biblioteca
del
suo
Collegio.
Col
passare
degli
anni
gli
scaffali
della
biblioteca
si
sono
arricchiti
con
libri,
in
particolare,
dell'800,
fra
cui
nel
1847
un
tomo
del
Cantù
e,
nel
1850,
la
Storia
ecclesiastica
in
12
volumi,
comprata
a
Napoli.
Nel
1864,
il
catalogo
composto
dal
bibliotecario,
sac.
Gaetano
Meli,
numera
7.622
volumi,
posti
in
due
stanze
in
scaffali
di
legno,
tuttora
esistenti.
Nel
1879
il
sindaco
di
Bronte,
Guglielmo
Leotta,
dona
61
volumi
provenienti
dai
soppressi
conventi
dei
padri
Cappuccini,
dei
Minori
Osservanti
e
dei
Basiliani
di
S.
Blandano.
Oggi
gli
scaffali,
colmi
di
oltre
21
mila
volumi,
tra
testi
scientifici,
letterari,
filosofici
e
teologici,
offrono
preziose
edizioni
di
grandissimo
interesse
rendendo
una
evidente
testimonianza
del
grado
di
cultura
raggiunto
nella
vita
del
Collegio.
Fra
le
opere
di
inestimabile
valore
giova
citare
un
Aristotele
del
1561,
cinque
grossi
volumi
su
Aristotele
pubblicati
dal
Didot,
un
raro
dizionario
del
Calepino
uscito
nel
1571
dalla
tipografia
dei
Manuzio,
uno
splendido
atlante
geografico
del
1692,
un
trattato
di
astronomia
del
1877,
una
Divina
Commedia
arricchita
di
raffinate
incisioni
stampata
a
Venezia
nel
1536.
Oltre
ad
un
archivio
storico
di
inestimabile
valore
unico
a
Bronte,
la
biblioteca
contiene
oltre
21
mila
volumi,
tra
libri
scientifici,
letterari,
filosofici
e
teologici,
con
testo
in
greco
e
latino,
oltre
che
in
italiano,
inglese,
spagnolo,
tedesco
e
francese.
Rende
evidente
l'altissimo
grado
di
cultura
raggiunto
nei
secoli
dal
Collegio
fondato
dal
ven.
Ignazio
Capizzi
ed
il
livello
di
formazione
scolastica
che
vi
si
impartiva.
Negli
scaffali
è
conservata
anche
una
copia
del
"Teatro
Italiano"
di
Luigi
Capuana
(Palermo
1879),
con
dedica
autografa
dello
scrittore.
Il
Capuana
aveva
studiato
nel
Collegio
Capizzi
negli
anni
1853-54
avendo,
fra
gli
altri,
come
professore
padre
Gesualdo
De
Luca.
Nel
1949
l'intera
biblioteca
già
appartenuta
agli
illustri
fratelli
De
Luca
(Antonino,
il
cardinale
e
Placido,
l'economista)
è
stata
regalata
dai
discendenti
al
Collegio.
Cappella
interna
-
Il
completamento
della
costruzione
della
cappella
posta
all’interno
dell’edificio
del
Real
Collegio
Capizzi
venne
iniziato
il
1
novembre 1846.
La
Cappella
per
oltre
un
secolo
fu
utilizzata
per
le
cerimonie
religiose,
in
forma
privata,
del
Collegio
(tutti
i
convittori,
infatti,
oltre
al
catechismo
erano
obbligati
ad
assistere
alla
messa
giornaliera
ed
alle
altre3
funzioni
religiose).
Il
fabbricato
fu
finito
ed
inaugurato
nel 1855 dal
Rettore
don
Gaetano
Rizzo
e
restaurato
nel 1892.
Un
ultimo
restauro
è
stato
fatto
nel 2009,
quando
ci
si
propose
di
trasformare
la
Cappella,
ormai
non
più
utilizzata
per
le
cerimonie
religiose,
nella
sede
della
biblioteca
del
Collegio.
Della
esistenza
di
questa
piccola
cappella
interna
si
hanno
notizie,
fin
dalla
costruzione
dell’Istituto
e
sembra
sia
stata
disegnata
ed
edificata
dal
capomastro
Giuseppe
Lupo.
L’accesso
alla
cappella avviene
soltanto
dai
locali
del
primo
piano
del
Collegio;
ha
anche
un
ingresso
secondario,
attraverso
un
piccolo
corridoio
situato
dietro
l’altare
maggiore
della
Chiesa
del
Sacro
Cuore.
Quattro
pilastri
con
semicolonne
addossate
disimpegnano
l’ingresso;
al
di
sopra
una
piccola
cantoria
con
ringhiera
in
ferro
battuto.
La
cappella,
che
riceve
luce
soltanto
dal
lato
destro,
ha
uno
stile
semplice
con graziosi
affreschi
sulla
volta che
raffigurano
il
Sacrificio
di
Abramo
che,
per
divino
comando,
offre
in
olocausto
il
figlio
Isacco,
Gesù
disputante
in
mezzo
ai
dottori,
Gesù
che
benedice
i
bambini
e
in
orazione
nell’orto
degli
ulivi.
Sulle
pareti
verticali
leggere
lesene
con
capitelli
sorreggono
una
bianca
cornice
sopra
la
quale
risalta
il
semplice
cromatismo
delle
decorazioni
sulle
fasce
e
nei
riquadri.
Chiesa
del
Sacro
Cuore
-
La chiesa
del
Sacro
Cuore,
è
posta
sul
Corso
Umberto
al
centro
del
prospetto
del
Collegio
Capizzi
fra
l’ala
antica
settecentesca
(progettata
dal
Marvuglia
e
realizzata
del
ven.
Ignazio
Capizzi)
e
quella
neoclassica
costruita
nei
primi
anni
del
1900.
Fu
voluta
dal
Rettore
del
Collegio Giuseppe
Prestianni ed
eretta
in
gran
parte
sull’area
dell’antica
Cappella
di
San
Rocco,
mensionata
nel
corso
della
visita
pastorale
a
Bronte
dell'arcivescovo
di
Monreale,
Mons.
Torres,
del
1574
e
della
quale
si
hanno
anche
notizie
dai
riveli
del
1580
e
dai
registri
matrimoniali
del
1589.
La
costruzione
del
Sacro
Cuore
iniziò
nel 1907 e
la
chiesa
fu
aperta
solennemente
al
pubblico,
il
15
Novembre
1914,
con
la
benedizione
dell’Arcivescovo
Mons.
Emilio
Ferraris.
La
struttura
e
la
composizione
architettonica
è
opera
dell’Arch.
Leandro
Caselli,
lo
stesso
architetto che
negli
stessi
anni
progetto
l'Ospedale
Castiglione-Prestianni.
Le
decorazioni
del
prospetto
e
quelle
interne,
di
stile
barocco-rinascimentale,
furono
realizzate
dal
catanese
Giuseppe
D'Arrigo
su
disegno
dell’ing.
Sciuto
Patti.
Le
statue
del
Sacro
Cuore,
di
Sant'Eligio
e
di
San
Rocco
furono
realizzate
dalla
romana
Ditta
Zanazio.
La
stile
compositivo
e
la
maggiore
altezza
della
Chiesa
rispetto
al
Collegio,
la
rendono
visivamente
autonoma
ed
emergente
rispetto
alle
volumetrie
dell’isolato.
Nella
facciata,
alla
scansione
libera
e
moderna
di
superfici
piane
alternate
a
superfici
a
bugnato
finto,
si
contrappongono
elementi
decorativi
di
chiaro
gusto
classico.
Due
colonne
in
pietra
lavica
impostate
su
piedistalli
prismatici,
con
capitello
in
pietra
bianca,
delimitano
il
portale
d'ingresso
nel
cui
centro
su
una
lastra
di
marmo
bianco
è
scolpita
la
frase
"Ad
mite
cor
accedite".
Le
due
colonne,
possenti
e
ben
delineate,
sono
raccordate
attraverso
un
fregio
in
pietra
lavica
decorato
da
putti
in
pietra
bianca,
ad
un
architrave
triangolare
dalle
linee
spezzate,
che
fa
bella
mostra,
attraverso
la
tonalità
scura
della
pietra,
nella
chiara
tonalità
del
prospetto.
Una
cornice
modanata
separa
il
primo
ordine
dal
secondo,
dove,
nello
spazio
delimitato
dalle
due
paraste,
con
massiccia
base
in
pietra
lavica
che
racchiudono
il
portale,
trova
posizione
un
rosone
a
ventaglio
in
ferro
e
vetro
colorato,
inquadrato
da
una
fascia
bombata,
che
filtra
la
luce
all’interno
della
chiesa.
Al
di
sopra
del
rosone
il
disegno
dell’architrave
è
ripreso
nel
cornicione
che
chiude
la
elegante
composizione
architettonica.
Nell’interno,
a
forma
rettangolare
con
aula
absidale,
la
navata
unica
è
segnata
da
due
grosse
lesene
riprese
da
grandi
fasce
anche
sulla
volta.
Risaltano
le
decorazioni
per
la
ridondanza
di
stucchi
dorati
di
ispirazione
barocca
con
elementi
rinascimentali
e
classici.
La
chiesa
ha
cinque
altari in
marmi
policromi,
opera
dell'artigiano
marmista
Domenico
Spampinato.
Il
primo
altare,
a
destra
entrando,
è
dedicato
a
S.
Giuseppe
con
un
quadro
sovrastante
dipinto
dall'adranita
prof.
La
Naia.
Il
secondo,
quello
più
bello,
è
dedicato
alla
martire
fanciulla Santa
Caritosa con
un
quadro
della
Santa
che,
genuflessa
dinnanzi
alla
Madonna
con
Bambino,
circondati
da
angeli,
angioletti,
cherubini,
intercede
per
Bronte.
Il
quadro,
un
olio
su
tela,
misura
m.
2,86
per
una
larghezza
di
1,72
è
opera
del
famoso
pittore
catanese
Alessandro
Abate
(1867-1953,
un
altro
quadro
di
Abate
è
posto
nel
prospiciente
altare
di
S.
Antonio
ed
altre
sue
opere
sono
anche
nella Pinacoteca
N.
Sciavarrello).
Il
corpo
della
Santa,
custodito
sotto
l’altare,
fu
donato
a
Bronte
dal
filosofo Nicola
Spedalieri.
La
statua
che
racchiude
il
corpo
di
Santa
Caritosa
è
opera
dello
scultore
e
cartapestaio
leccese
Luigi
Guacci
(1871
–1934),
uno
dei
più
noti
nella
storia
della
cartapesta.
L'imponente altare
maggiore,
in
marmo
bianco,
è
sovrastato
dalla
statua
del
Sacro
Cuore
di
Cesù;
spiccano
le
figure
in
bronzo
lavorato
a
bassorilievo
dei
quattro
evangelisti
e
in
basso,
nel
paliotto,
le
due
statuine
di
San
Pietro
e
San
Paolo.
In
alto
sotto
il
cornicione,
sono
rappresentate
le
teste
dei
dieci
apostoli.
Una
piccola
curiosità:
per
raffigurare
il
volto
del
Padre
Eterno,
sul
bassorilievo
posto
sulla
volta
sopra
l’altare
maggiore,
l'artista
ha
avuto
come
modello
uno
dei
capostipite
della famiglia
Barbaria:
Don
Emanuele,
nato
nel
1833.
Sulla
sinistra
davanti
all'altare
con
il
quadro
di
Maria
Ausiliatrice,
opera
di
un
pittore
torinese,
trovasi il
monumento-sarcofago,
realizzato
da
Ivo
Celesti
nel
1993,
che
contiene
le
spoglie
del
ven.
Ignazio
Capizzi
e
di
seguito
l'altare
di
Sant'Antonio
di
Padova,
con
un
dipinto
di
Alessandro
Abate
raffigurante
l'apparizione
di
Gesù
Bambino
a
Sant'Antonio
da
Padova.
Anche
questo
quadro,
un
olio
su
tela
di
m.
2,60
per
1,50
di
larghezza,
è
stato
dipinto
da
Alessandro
Abate
nei
primi
anni
del
1900.
A
completamento
dell'interno
da
vedere
le
vetrate
istoriate
e
la
cantoria
sorretta
da
due
colonnine
sottili
in
ghisa.
Santuario
della
Madonna
Annunziata
Il
Santuario
di
Maria
SS.
Annunziata, Patrona
con
San
Biagio
di
Bronte,
è
uno
dei
più
antichi
monumenti
religiosi
della
Città.
Sorge
al
margine
ovest
del
paese,
nella
parte
inferiore
del
antico
centro
storico,
delimitato
ora
dal
tracciato
della
circonvallazione
che
scende
verso
la
contrada
Sciarotta.
Unisce
in
un’unica
mirabile
immagine
la
solida
espressività
del
complesso
e
la
forza
innovativa
degli
elementi
architettonici
d’ispirazione
rinascimentale.
L'inizio
della
costruzione
della
chiesa
risale
sicuramente
a
molto
prima
della
riunione
dei
Casali
(voluta
da
Carlo
V
nel
1535):
la
campana
grande,
infatti,
riporta
la
data
del 1535,
e
la
chiesa
già
appare
nei
registri
matrimoniali
del 1505.
Nel
periodo
di
trasferimento
e
di
unificazione
dei
Casali
(1535
-
1548),
la
chiesa
fu
rifatta
e
ingrandita
e,
dopo
l’arrivo
della
statua
dell’Annunziata verso
il 1543, la
nascente
nuova
città
fu
messa
sotto
la
protezione
della
Madonna
Annunziata,
dando
agli
abitanti
dei
vecchi
casali
una
comune
nuova
identità.
Quasi
cinquant'anni
dopo,
nel 1625,
fu
costruito,
il campanile.
La facciata del
Santuario
fu
completata
nel 1631,
e
pochi
anni
dopo
(nel
1651)
fu
compiuta
la
travatura
della
tettoia,
come
si
legge
sulla
trave
vicina
al
coro.
Il
coro
e
la
cupola
furono
aggiunti
nel 1811.
Sulla facciata
principale risaltano
il
portale
e
la
finestra
con
timpano,
che
sotto
il
davanzale
porta
la
data
del
1631
(forse
ne
indica
il
compimento).
Gli
stipiti
ed
il
frontone
in
pietra
arenaria
della
porta,
sebbene
sfaldati
dal
tempo,
presentano
ancora
con
chiarezza
il
semplice
disegno
del
fiorame
e
le
figure
di
puttini
e
di
demoni
a
rilievo
che
l'adornano.
La
scena
raffigurata
nella lunetta sopra
porta
ricorda
il
trasporto
e
l'arrivo
sul
piazzale
della
chiesa
delle
due
statue
del
Gagini
su
un
carro
trainato
da
buoi.
Intorno
alla
lunetta
è
riportata
la
scritta
"B.M.V.
hujus
civitatis
Patronae
principalis
restauratum
vetustissimum
monumentum
mirae
traslationis
simulacri".
Di
particolare
bellezza
è
il campanile,
del
1625,
cuspidato
e
di
proporzioni
massicce,
che
dà
slancio
all’insieme
ed
è
caratterizzato
dalle
vistose
parastre
bugnate
e
dal
coronamento
merlato.
La
chiesa
costruita
in
muratura
in
pietrame
lavico,
ha
una
cupola
emisferica
a
sesto
acuto
con
lanterna
e
il
tetto
a
capanna
con
capriate
in
legno.
Nei
rilievi
in
bronzo
della
porta
sono
riportati
i
nomi
di
tutte
le
contrade
e
dei 24
Casali che
dal
1535
al
1548 si
riunirono per
ordine
di
Carlo
V
nell'antica
Bronte
e
che
nella
Madonna
Annunziata, loro
protettrice,
ritrovarono
una
nuova
"comune
identità". La
porta
è
opera
è
dello
scultore
brontese Mimmo
Girbino.
La
chiesa,
a
navata
unica
rettangolare,
ha
otto
altari
e
due
Cappelle,
l'una
dirimpetto
all'altra,
un
presbiterio
quadrato
ante
coro,
e
in
fondo
al
coro
uno
stupendo
arco
(della
stessa
pietra
arenaria
della
porta
d'ingresso)
che
racchiude
le
due
statue
della
Madonna
e
dell'angelo.
Nella
chiesa
sono
custoditi capolavori
d’inestimabile
valore:
opere
di
gusto
rinascimentale
degne
di
essere
segnalate
fra
le
espressioni
artistiche
più
belle
della
Sicilia.
La navata,
con
soffitto
a
cassettoni
policromi
con
dorature,
è
interrotta
dagli
ingressi
di
due
cappelle
dedicate
al
Cristo
alla
Colonna
e
a
San
Giuseppe.
Il transetto a
pianta
quadrata
che
precede
il
coro
è
sormontato
da
un
tamburo
circolare
finestrato
su
cui
si
erge
la
cupola.
I
grandi
archi
delle
cappelle
e
degli
altari,
che
simmetricamente
adornano
le
pareti,
sono
ricchi
di
plastici
ornamenti
e
racchiudono
preziosi
quadri.
Entrando,
da
destra si
trovano
- il
dipinto
della Madonna
degli
Angeli (n.
14).
Raffigura
la
Vergine,
seduta
su
una
nube
ed
incoronata
dagli
angeli,
che
tiene
ritto
sulla
gamba
sinistra
il
Bambino
benedicente.
Inferiormente,
vestiti
del
saio
francescano
i
due
santi
di
Assisi:
S.
Francesco
e
Santa
Chiara
(raffigurata
anche
in
un
bassorilievo
della
cappella
di
S.
Giuseppe)
e,
in
basso
al
centro,
uno
scorcio
del
paese
di
Bronte
miracolosamente
salvato
dalla
furia
dell'Etna.
La
tela
misura
276
cm
x
170
ed
è
opera
del
pittore
Giuseppe
Tommasi
(1610-1672)
da
Tortorici.
- Subito
dopo,
nella
parete
laterale
(dove
un
tempo
era
la
porta
del
campanile)
si
trova
l’altare
della Natività
di
Gesù con
l'omonimo
quadro
(n.
12);
- l'altare
di San
Martino
di
Tours (n.
8)
con
un
bellissimo
dipinto
di
San
Martino
(raffigurato
ai
piedi
della
Madonna
tra
San
Giacinto
e
Santa
Barbara).
- la cappella
del
Cristo
alla
Colonna (n.
6
della
mappa)
- l’altare
di S.
Ignazio
di
Lojola (n.
4),
racchiuso
dentro
un
pregevole
arco
di
gusto
rinascimentale,
con
la
statua
settecentesca.
Degna
di
nota
l'artistica
testa
del
Santo:
rappresenta,
particolarmente
negli
occhi,
un
mirabile
esempio
di
perfezione
raffigurativa.
- Il
quadro,
appeso
in
una
nicchia
subito
dopo
l'altare
di
S.
Ignazio,
rappresenta Santa
Apollonia,
la
Patrona
dei
dentisti
e
di
coloro
che
soffrono
di
mal
di
denti.
Proviene,
probabilmente,
dalla
ormai
scomparsa
chiesa
di S.
Maria
della
Venia
o
della
Vina,
un
piccolo
santuario,
posto
un
po'
più
su
del
cimitero,
dove
esisteva
un
altare
dedicato
a
Santa
Apollonia.
E'
opera,
come
si
legge,
in
basso
al
centro,
di
Sebastianus
Calanna.
A
sinistra
della
navata si
vedono
- L'altare
con
il
quadro
di Sant'Orsola del
1580
(posto
nella
parete
accanto
alla
porta,
n.
13);
la
Santa,
attorniata
dalle
sue
compagne
e
da
Papa
Ciriaco,
secondo
l'iconografia
tradizionale
è
rappresentata
come
una
principessa,
in
abiti
regali,
con
la
corona
in
testa
e
con
un
vessillo
bianco
con
croce
rossa,
come
segno
di
vittoria
sulla
morte
per
mezzo
del
martirio;
nella
parte
destra
in
basso
il
pittore
(Sebastiano
De
Torres
per
p.
G.
De
Luca)
ha
dipinto
il
suo
autoritratto
nell'atto
di
pregare.
- L’altare
della Madonna
della
Grazie (primo
altare
a
sinistra,
n.
11):
molto
bello
il
quadro,
del
1646,
attribuito
a
Giuseppe
Tomasio;
raffigura
la
Madonna
con,
ai
suoi
piedi,
a
sinistra
Sant'Andrea
apostolo
e
S.
Benigno
di
Digione,
prete
e
martire,
e,
a
destra,
S.
Domenico
e
S.
Francesco.
In
basso
a
sinistra
il
pittore
ha
dipinto
ai
piedi
di
Sant'Andrea
il
ritratto
del
procuratore
della
chiesa
e
committente
del
quadro,
Francesco
Lazzaro.
- L'altare
di Gesù
e
Maria (n.
7)
con
l'omonimo
dipinto
che
simboleggia
la
Redenzione
(vi
sono
riprodotti
tutti
i
simboli
della
Passione
di
Cristo).
- la Cappella
di
San
Giuseppe (n.
5):
i
due
bassorilievi,
alla
base
delle
colonne
laterali,
rappresentano
a
sinistra
Sant'Agnese
(raffigurata
iconograficamente
con
la
palma
del
suo
martirio
e
un
agnello
in
braccio
)
e
a
destra
Santa
Chiara,
che
nella
mano
sinistra
tiene
una
lanterna
(il
suo
simbolo)
e
con
la
destra
mostra
tre
dita
a
simboleggiare
la
Santa
Trinità
(Santa
Chiara
è
anche
raffigurata
con
S.
Francesco
nel quadro
della Madonna
degli
Angeli);
da
ammirare
nella
parte
frontale
dell'altare
un
delizioso
bassorilievo
raffigurante
la
"fuga
in
Egitto".
- L’altare
di
San
Michele
Arcangelo (n.
3)
con
un
pregevole
arco
d’elegante
stile
barocco;
i
due
bassorilievi,
alla
base
delle
colonne
laterali,
rappresentano, sorretti
da
due
angeli,
S.
Ignazio
vescovo
di
Antiochia
(a
destra),
e
S.
Policarpo
vescovo
di
Smirne
(a
sinistra).
- subito
dopo
l'altare
di
S.
Michele
Arcangelo
trovasi
la
porta
d'ingresso
della
sacrestia
(n.
2).
In
fondo
al
coro
si
erge
l’altare
maggiore
dedicato
all’Annunziata
(n.
1).

La Cappella
del
Cristo
alla
colonna (n.
6),
detta
prima
la
cappella
della
disciplina
o dei
flagellanti,
un
tempo
si
apriva
con
il
prezioso
arco
di
travertino
che
oggi,
smontato
e
rimontato
nell'altare
maggiore
tra
la
fine
degli
anni
80
e
gli
inizi
degli
anni
90,
fa
da
cornice
al
gruppo
marmoreo
dell'Annunciazione.
Nella
nicchia
dell'altare
si
trova
la
bella
statua
del
Cristo
alla
colonna,
secondo
alcuni
proveniente
dalla
chiesa
del
SS.
Cristo,
sopra
San
Vito,
sepolta
dalla
lava.
La
tradizione
dice
che
sia
opera
di
un
pastore
brontese.
La
statua
mostra
in
grandezza
naturale
il
Cristo
con
le
mani
legate
dietro
la
schiena
ad
una
colonna,
il
corpo
piagato
e
sanguinante
ed
il
viso
pieno
di
umana
sofferenza.
Evoca
con
grande
realismo
il
dramma
della
passione;
ogni
anno,
nella processione
del
Venerdì
Santo viene
portata
a
spalla,
su
un
pesantissimo
fercolo
in
legno;
precede
le
altre
statue
statue
del
Crocifisso,
del
Cristo
morto
e
dell’Addolorata.
Accanto
alla
cappella
si
trova
un
balconcino
ligneo
rettangolare
sostenuto
da
grossi
mensoloni
all’altare
e,
sulla
sinistra,
un
pulpito
ligneo
con
baldacchino.
All’interno
della
chiesa,
sull'altare
maggiore
(n.
1),
sormontato
da
un arco
di
travertino dal
1549,
è
posta
l’Annunciazione (gruppo
marmoreo
della
Vergine
Annunziata,
dell’Angelo
Gabriele
e
di
un
inginocchiatoio,
opera
dello
scultore
palermitano
Antonio
Gagini),
alla
quale
il
popolo
brontese
è
devotamente
legato
da
sentimenti
di
comune
identità
e
d’antica
e
profonda
religiosità.
Recentemente
la
zona
intorno
all'altare
maggiore
riservata
al
clero
(il
presbiterio) è
stata
risistemata con
l'aggiunta
di
nuovi
elementi
architettonici:
un
altare
centrale,
l'ambòne
(un
piccolo
pulpito
destinato
al
predicatore
o
alla
lettura),
una
sedia
e
due
lunghe
panche
laterali.
Il
tutto
realizzato
con
marmi
pregiati
variamente
colorati.
Il
bellissimo
arco
rinascimentale
di
travertino
del
1500
che
caratterizza
l'altare
maggiore,
fino
al
1980
era
montato
nel
vano
dell’entrata
della
Cappella
del
Cristo
alla
Colonna.
E'
tutto
costruito
con
pregevoli
bassorilievi,
ornati
e
figure,
indorati
e
variamente
colorati,
col
classico
frontone
sormontato
da
tre
guglie
lavorate
a
fiorami.
Vasi
con
vari
fregi,
zampilli
d'acqua
e
fiori
adornano
le
colonne:
quelle
della
base
a
destra
sono
sostenute
da
leoni
alati,
quelli
a
sinistra
da
animali
col
volto
più
di
sfingi
che
di
leoni.
Figure
di
profeti
o
re,
con
turbanti
in
capo,
dei
quali
è
scomparso
il
nome,
che
prima
si
leggeva
negli
svolazzi,
sono
al
centro
delle
colonne
ed
accanto
ai
capitelli
con
foglie
d’acanto.
In
alto,
sotto
la
cornice
del
frontone,
c’è
un
mascherone
con
ai
lati
due
delfini
dal
volto
umano.
Nel
frontone
piramidale
è
rappresentato
lo
Spirito
Santo,
a
forma
di
colomba,
circondato
da
due
angeli.
Dodici
volti
di
angeli,
sei
da
un
lato
e
sei
dall’altro,
e
lo
Spirito
Santo
in
mezzo,
abbelliscono
l’interno
della
centinatura.
L’Annunciazione
del
Gagini
è opera
di
grande
pregio
e
bellezza:
s’inserisce
in
quel
filone
artistico
rinascimentale
che
nella
scuola
gaginiana
si
fuse
con
le
forme
nuove
del
manierismo
toscano
e
romano.
Le
figure
della
Vergine
e
dell'angelo
annunciatore
ed
il
piccolo
inginocchiatoio
compongono
un
insieme
armonico
animato
dalla
bellezza
dei
volti
e
delle
modalità
espressive
e
da
una
viva
tensione
spirituale.
I
corpi
alti
e
di
squisite
proporzioni
delle
due
statue
vibrano
dentro
le
vesti
dal
fluente
panneggiamento
riccamente
decorato
nell’essenzialità
dei
loro
movimenti.
Il
viso
di
giovinetta
della
Vergine
esprime
riverenza
e
turbamento,
con
la
destra
sembra
allontanare
l'immane
peso
di
ciò
che
ascolta;
mentre
Gabriele,
leggermente
genuflesso,
con
le
mani
appoggiate
sul
petto,
guarda
l’eletta
con
deferenza
ed
occhi
pieni
di
ammirazione
e
di
rispetto.
Le
statue
furono
commissionate
da
Niccolò
Spitaleri,
per
conto
dei
cittadini
brontesi,
allo
scultore
palermitano
Antonio
Gagini, per
pubblico
atto
rogato
dal
Notaio
Dimitri di
Palermo
del
21
Gennaio 1540.
Il
gruppo
marmoreo costò
48
onze (circa
100
mila
euro
di
oggi)
e
fu
consegnato
ai
Brontesi
pochi
anni
dopo,
nel
1543.
Fu
portato
per
mare
da
Palermo
fino
alla
marina
di
San
Marco
e
da
qui
a
Bronte
attraverso
i
boschi
dell'Etna
su
un
carro
trainato
da
buoi.
L'oratorio
di
Gesù
e
Maria
-
L'Oratorio
di
Gesù
e
Maria,
costruito
adiacente
alla
parte
sinistra
del
prospetto
della
chiesa,
ed
ad
essa
annesso,
è
ancora
oggi
la
sede
dell'omonima
Confraternita,
fondata
del
XVI
secolo,
ed
un
tempo
una
delle
più
importanti
ed
organizzate associazioni
brontesi
di
questo
tipo.
L'esterno
dell'oratorio
è
poco
significativo
sovrastato
com'è
dal
maestoso
prospetto
del
Santuario
nel
quale
si
confonde
e
si
integra.
Basta
attraversare
però
la
piccola
porta
per
trovarsi
in
un
luogo
delizioso:
una
piccola
chiesa,
a
navata
unica,
semplice
e
lineare,
ricca
di
documentazioni
e
di
opere
d'arte,
dimostrazione
della
profonda
religiosità
che
animava
un
tempo
la
vita
delle
confraternite.
Di
particolare
interesse
gli
affreschi
centinati
raffiguranti
Gesù
Cristo
e
vari
santi
quasi
tutti
dipinti
nella
prima
metà
del
XIX
secolo
che
coprono
le
pareti
che
il
Radice
stranamente
definisce
"grossolani".
Quasi
tutti
sono
opera
di
artisti
brontesi;
rappresentano
figure
di
di
santi
e,
in
un
angolo
della
parte
bassa,
riportano
le
sembianze
dei
tesorieri
della
Confraternita
che
a
proprie
spese
fecero
eseguire
le
pitture.
Pag.
3
Pag.
5
|