Santa
Domenica
Chiamata
anche « 'a cubula» dai locali, della cuba di Santa Domenica si è a
lungo pensato che fosse la più importante cuba
bizantina presente in Sicilia. Tuttavia la vicinanza strutturale
e concettuale con la chiesa
dei Santi Pietro e Paolo d'Agrò fa oggi ritenere che l'edificio
sia una riduzione nel quadrato dell'impianto basilicale, ipotesi avvalorata
dalla presenza di tre navate, un transetto e
cappellone absidale costituenti la tipica forma a "tau" delle
chiese longitudinali, secondo il rito latino, di fatto comunque costituente
un unicum non associabile ad alcuna tipologia architettonica ben
definita, come buona parte degli edifici di culto di età medioevale
presenti lungo la Valle dell'Alcantara.
Il
materiale con cui è costruita la chiesa è vario: roccia
calcarea e metamorfica,
blocchi lavici, malta e
materiali in cotto. Internamente doveva essere ricca di affreschi di
gusto bizantino, oggi perduti. Il tetto e la pavimentazione sarebbero stati
in cotto.
L'edificio,
rigidamente geometrico, è basato su forme essenzialmente cubiche in
cui sono racchiusi gli elementi tipici delle strutture longitudinali. Così
Santa Domenica si presenta a croce
latina con pianta quadrata, cupola e
una abside,
la cui luce proviene da ha una bifora rivolta
verso est affinché,
secondo tradizione, durante la veglia
pasquale la luce della luna piena
entrando nell'edificio attraverso l'apertura desse inizio alla Pasqua.
La facciata
a due ordini si presenta tripartita, con un corpo centrale maggiore il cui
aspetto piano odierno è frutto del restauro operato nel 1959, mentre i due
lati sono più bassi e chiusi a spiovente. Due possenti contrafforti animano
il primo primo ordine su cui si apre il portale d'accesso al corpo centrale.
Secondo alcuni accertamenti la facciata sarebbe stata preceduta da un
portico o nartece per
penitenti e catecumeni,
i contrafforti quindi sarebbero quindi quanto resta di esso.

Il portale
centrale presenta una tipologia edilizia arcaica, detta a «testa di chiodo»,
la cui lunetta venne murata in antico. Un altro ingresso di medesima
fattura, ma di più ridotte misure, si apre per l'accesso alla navata
settentrionale. Nel secondo ordine della facciata si apriva una trifora
romanica di dimensioni considerevoli ingentilita da una regolare alternanza
tra pietra lavica, mattoni in laterizio e pietra calcarea della medesima
fattura della bifora aperta sul cappellone orientale.
Verosimilmente
gli archetti della trifora erano retti da due esili fusti di colonnine
perdute in tempi ignoti. Quella di sinistra dovette spezzarsi in antico,
come dimostra un muretto troncoconico che altera la percezione dell'apertura
originale, su cui rimangono i resti di un basamento per reggere la colonna
ridottasi in altezza quasi della metà. Le navate laterali ricevevano luce
da due monofore piuttosto semplici e rozzamente realizzate.
Gli
ambienti interni si sviluppano intorno ad un unico corpo cubico quasi
centrale chiuso da una volta a pseudo-muqarnas,
sostenuta da un intreccio di vele, antesignano o ispirato alle volte
dell'architettura islamica, in parte coperte da minime tracce degli intonaci
originali che ne evidenziano le forme, che potrebbe aver giustificato il
nome locale di cubola, innestato, innestato su un corpo quadrangolare,
addossato alla facciata sul lato ovest e sostenuto da due possenti pilastri
sul lato opposto con capitello a modanatura semplice (toro)
pseudo-tuscanico.
Lungo le
pareti laterali si aprono due archi retti al centro da un pilastro, chiuso
dal consueto capitello, comunicanti con le navate laterali. Queste sono
costituite da tre campate per nave, con copertura a volta
a crociera, disposte irregolarmente rispetto agli archi di
connessione al corpo quadrangolare.
A est si
dispone un transetto tripartito, il cui corpo centrale è isolato
visivamente attraverso due possenti archi che sostengono una campata
trapezoidale con copertura a crociera, mentre i corpi laterali, più bassi,
sono chiusi da un semplice soffitto a botte.
Il corpo centrale del transetto
- più alto delle navate laterali, ma più basso del cappellone centrale -
è illuminato da due monofore nei lati sud e nord, mentre a est da una
lunetta ribassata, molto simile alle finestre presenti nella Cuba di Malvagna o
nella Cappella
Bonajuto di Catania. Vi si addossa il cappellone dell'unica
abside a est. Nello spessore murario delle pareti nord e sud del transetto
sono ricavate rispettivamente due piccole nicchie a circa un metro da terra,
con evidente funzione di altari laterali.
Dopo
anni di degrado la chiesa è stata oggetto di restauro in diverse campagne.
Dopo i restauri della fine degli anni
1990 sono stati rinvenuti due scheletri di
incerta datazione, che farebbe supporre la presenza di un attiguo cimitero rurale,
certamente relativo ad una modesta comunità presente nel territorio.
Chiesa
di San Nicola

E'
una delle più antiche e suggestive di Castiglione. Essa s'innalza proprio
sulle sponde del fiume Alcantara, accanto all'antica strada regia che
collegava Messina a Palermo attraverso l'interno dell'isola. Sorta in epoca
normanna, fu cappella del monastero dei monaci cassinesi che ivi si erano
stabiliti.
La
facciata si presenta con un portaletto avente l'arco a sesto acuto, i cui
piedritti in arenaria sono consumati dal tempo, in alto un campanile a
vela, sotto questo, al posto della finestrella cruciforme, tipica del Romanico,
è stato inserito, forse in un restauro, un rosone con
all'interno un motivo cruciforme.
Sul
retro, l'abside semicilindrico on finestrella; ai lati due portaletti,
quello sinistro con arco a sesto
acuto è ben conservato, quello destro, angusto e poco visibile;
ognuno dei due portaletti è sormontato da finestrelle in arenaria, ben
conservate e altrettanto ben sagomate.
All'interno
sono stati scoperti nell'abside anche degli affreschi bizantineggianti d'un
certo rilievo: un Cristo Pantocratore con i dodici apostoli e, sulle pareti
laterali, un'immagine della Madonna che tiene in braccio il bambino Gesù.
L'affresco è molto simile a quello della Madonna del Pileri di Randazzo
(sec. XI) che si trova nella Chiesa di Santa Maria, con la differenza che
l'una tiene il bambino col braccio destro l'altra col sinistro.
Basilica
madonna della catena
La
sua costruzione ebbe inizio nel 1655, in seguito ad una frana che interessò
l'antica chiesa dedicata allo stesso Santo e posta appena fuori paese lungo
il torrente di San Giacomo, all'interno della quale fin dal XI secolo era
fiorita la devozione della Madonna della Catena, giunta a Castiglione quasi
subito dopo il miracolo avvenuto a Palermo nel 1392. Ma fu solo a partire
dal 1612, in seguito al miracoloso sudore della statua, verificatosi mentre
i cittadini si prodigavano per il riscatto del mero e misto impero, che la
sua devozione si consolidò.
La
sua piccola costruzione venne, tra la fine del XVII secolo e la metà di
quello successivo, ampliata ed abbellita con una monumentale facciata
barocca, realizzata da Baldassarre Greco, cui si deve anche la statua di San
Filippo del 1744,, collocata nella nicchia destra. La statua di San Giacomo
invece, sulla sinistra, è dovuta a Tommaso Amato, che la realizzò nel 1709
poco prima dei mosaici di S. Antonio Abate.
Tra
il 1860 e il 1880 l'unica navata della chiesa è stata trasformata a croce
latina e coronata da un'ampia ed imponente cupola. Agli inizi di questo
secolo, però, è stata ancora modificata e ingrandita, assumendo l'attuale
forma a croce greca. Data la grande rilevanza che essa ha assunto da più
secoli per la popolare devozione verso la Madonna, nel 1986 viene elevata a
basilica minore, per cui tanto si prodigò l'arciprete don Gaetano Cannavò
e soprattutto mons. Gaetano Alibrandi, nunzio apostolico d'Irlanda.
All'interno
vi si trovano pregevoli opere d'arte. Prima fra tutte spicca la statua della
Madonna della catena, in marmo bianco, del peso di circa sette quintali.
Incerto è l'autore, ma appartiene con sicurezza alla scuola dei Gagini. I
documenti e la ipotesi vertono tutti su Giacomo e Antonio, figli di
Antonello. La grazia singolare dell'opera, la raffinatezza dei volti della
madre e del bambino e la corposità del manto, fanno presumere un'influenza
michelangiolesca. Giacomo Gagini, infatti, fu p0er alcuni anni discepolo del
grande artista fiorentino.
In
onore della Madonna si svolge ogni anno una sontuosa festa, che è tra le più
sentite nell'alta valle Alcantara. Nel XVII e XVIII secolo essa si svolgeva
il giorno successivo a quella di San Giacomo, cioè il 26 luglio, mentre dal
1784 si celebra la seconda domenica d'agosto. Nel 1809, in seguito ad una
colata lavica che devastò parte del territorio comunale, dopo un voto
pubblico che prevedeva un digiuno annuale, nacque invece la cosiddetta festa
votiva, che si doveva celebrare la prima domenica dopo la Pasqua, ma che a
partire dal 1848, non sappiamo per quali motivi, venne spostata alla prima
domenica di maggio.
Tra
le altre opere d'arte che la chiesa conserva sono da ricordare un Crocifisso
ligneo del XVIII secolo, una S. Margherita Maria Alacoque del 1890 di Pietro
Vanni, un San Marco Evangelista e una Pentecoste realizzata nel 1779 da
Francesco Gramignani.
Pregevoli
sono anche gli stucchi, dovuti a Giovanni Pannucci di Bronte che li realizzò
tra il 1886 e il 1889.
Chiesa
di San Vincenzo

Incerta
è l'epoca della istituzione dell'ordine Cassinese in Castiglione sotto il
titolo di Priorato e poi in Abbazia della SS. Trinità.
Pare scontato però che la prima abitazione dei Cassinesi sia stata intorno
al 750, in quel sito, in riva al mare, dove sorge il monumento di San
Nicola.
I
monaci, presto abbandonarono quel sito ed intorno il 1400 li troviamo
alloggiati in una parte della Chiesa di San Pietro, che durante la loro
dimora chiamarono Convento dei PP. Di San Benedetto.
Pensarono
conseguentemente alla creazione di un'altra abbazia che avesse avuto
carattere di maggiore stabilità scegliendo l'ex Cittadella, nella quale vi
si trasferirono definitivamente nel 1439. La Chiesetta dedicata a San
Vincenzo Ferreri, è la sola fabbrica che rimane di tutto il corpo
dell'edificio, che formò l'Abbazia della Trinità, ultima abitazione dei
Cassinesi in Castiglione.
Essa
è attualmente proprietà privata insieme al fondo su cui sorge, questo
tempietto in atto ha dato il nome ad un nuovo quartiere di Castiglione
sorretto da un ventennio a questa parte, per l'accrescimento continuo di
questa popolazione.
Chiesa
e Monastero di San Benedetto
Accanto
alla chiesa di San Pietro sorge quella di San Benedetto aggregata
all'edificio monacale. All'interno si può ammirare una splendida Madonna
col Bambino, tela di Vito d'Anna.
L'annesso
Monastero venne fondato da una pia vedova, ma dopo circa due secoli di vita
fu soppresso (1590) e le monache passarono a Messina.
L'attuale
edificio, che per la sua ampiezza e la maestosa severità della costruzione
è tra i più importanti che esistono a Castiglione, fu opera del sacerdote
Giuseppe Coniglio, il quale, con le sue larghe vedute e fiducioso che un
locale più ampio potesse definire l'autorità ecclesiastica, ingrandì e
migliorò il ristretto impianto conventuale che esisteva.
Si
ammira nel suo interno un bolo in legno, generale scultura di un dilettante
cappuccino, fatta eseguire nel 1750 pr espresso volere dell'Abbadessa
Gioeni.
Dopo
la soppressione delle corporazioni religiose l'immenso fabbricato
conventuale rimase vuoto, sorse nella parte inferiore di esso un
orfanotrofio femminile, il quale venne affidato alle suore di Sant'Anna.
Chiesa
di Sant'Antonio
Sorge
in uno dei quartieri più caratteristici e più antichi di Castiglione,
quello dei Cameni. Essa venne cominciata a costruire nel 1601, quando la
vecchia chiesa, che sorgeva nei pressi del torrente san Giacomo, era stata
rovinata da una frana. Mancando i mezzi per realizzarla, i rettori pensarono
di ricorrere ai contributi di persone devote e soprattutto dei componenti
della confraternita delle Anime Sante del Purgatorio, che era stata fondata
il 20 ottobre del 1605 con un privilegio dell'arcivescovo di Messina F.
Bonaventura, patriarca di Costantinopoli. Ma la confraternita detta anche
dei Bianchi o dei Trentatré perché poteva avere solo un tale numero di
associati scelti tra l'aristocrazia, venne ben presto sciolta e costituita
da quella di Sant' Antonio abate.
Alla
fine del 1600 la chiesa fu abbellita ed arricchita soprattutto con marmi a
mosaico eseguiti da Tommaso Amato e con tele del Tuccari, pittore messinese.
La
concava facciata, nobilitata da modanature classiche, dà a tutto l'insieme
un tocco armonioso di linee e forme che non risentono degli eccessi del
barocco, forse perché dovuta a maestranze locali che si sono avvalsi di
modelli romani. Il campanile, delimitato nelle strutture architettoniche
della pietra lavica, spicca con la sua cupola a bulbo rispetto al resto
della chiesa, molto bene adeguato ai frontespizi dei palazzi che circondano
la pazza, dà la complesso architettonico leggerezza e grazia.
L'interno
della chiesa, ad una sola navata, con una cappella laterale offre una
globale visione serena, luminosa ed armonica. Tra i policromi mosaici, bello
ed espressivo è l'altare maggiore, nel quale spiccano il medaglione del
paliotto che raffigura sant' Antonio abate, lo stupendo tabernacolo, le
colonne tortili e le lesene laterali, oltre alle due piccole mensole
collocate ai suoi lati che tratteggiano, quella di sinistra un pappagallo
che divora dei frutti, quella di destra una scena di caccia.
Alcune,
tele, rappresentano la vita del santo anacoreta. Nella prima di sinistra,
sant'Antonio e san Paolo eremita appaiono seduti all'ingresso d'una tomba
scavata nella roccia, nella seconda è raffigurato il Santo tentato dal
demoniache compare sotto forma di donna, nella terza la Madonna protegge il
viaggio di due frati. Altre due tele raffigurano San Michele Arcangelo che
sconfigge Satana e un angelo custode che tiene per mano un bambino.
Tra
le altre opere d'arte degna di rilievo è sicuramente la statua in legno di
sant'Antonio, dovuta a Nicolò Bagnano. Pregevole è anche il pulpito
confessionale in legno ornato con molti fregi ed incisioni.
Chiesa
San Giuseppe

La
chiesa parrocchiale domina la piazza intitolata a San Giuseppe, patrono
della cittadina. La chiesa originaria venne eretta nel XVIII secolo, quando
fungeva da filiale della Matrice San Teodoro di Gallodoro. Distrutta in
seguito al violento terremoto del 1908, la chiesa fu momentaneamente accolta
in una struttura in legno costruita dove oggi sorge l'Istituto comprensivo.
Il nuovo edificio fu inaugurato solennemente il 19 marzo 1931, giorno della
festa di san Giuseppe. Di pregiata fattura gli affreschi che adornano il
tetto.
I
mosaici, eseguiti dalla ditta Eredi di Michele Mellini, rappresentano
nell'abside centrale Cristo risorto tra Maria e Giuseppe (1981), i Sette
Sacramenti (1992) e la Pentecoste (1996). All'interno della chiesa sono
custoditi L'agonia di San Giuseppe (un dipinto, olio su tela, di Franciamore
del 1878 donato alla chiesa dal prof. Francesco Durante, restaurato nel
2005) ed un dipinto del '700 raffigurante La Pietà.
Un
silenzio, lungo circa duecento anni, ha avvolto la cripta, ma oggi si riapre
all’interesse degli studiosi, che mirano a definirne con maggiore
precisione la natura, ed agli appassionati di arte e cultura, che possono
visitarla ed osservarne le particolarità.
La
cripta, posta al di sotto dell’ex chiesa di San Giuseppe a Castiglione di
Sicilia, torna a raccontare la sua storia, attraverso ciò che nel suo
interno è ancora visibile all’occhio, e a suscitare l’interesse nei
confronti di una categoria di siti molto particolare, quella in cui venivano
trattati i cadaveri nei luoghi sotterranei. Un’attenzione rivoltale dalla
parrocchia dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, con il parroco don Maurizio
Guarrera, dalla sezione castiglionese di SiciliAntica, presieduta da
Salvatore Verduci, e dal Comune, con il sindaco Antonino Camarda, che ne
hanno concretizzato l’apertura e la fruibilità al pubblico. Risalente al
X-XI sec., era in origine una chiesetta, probabilmente dedicata a S.
Leonardo, ritratto nell’affresco sulla parte destra dell’abside.
Successivamente,
tra il XVI e XVII sec., divenne cripta, con la realizzazione dell’attuale
chiesa sovrastante di San Giuseppe. Nel corso del tempo fu utilizzata per la
“conservazione” dei corpi e delle reliquie di uomini appartenenti al
clero e poi anche di esponenti del ceto nobile o, comunque, di grado
illustre. L’impegno del sacerdote Giuseppe Badolato (1655- 1714) vi portò
alla realizzazione di un oratorio dedicato a San Filippo Neri ed alla sua
regola, nonché alla fondazione di una scuola di grammatica, filosofia e
teologia. La morte improvvisa di Badolato, assassinato dinnanzi alla chiesa,
vide la dispersione della scuola e della Congregazione. Negli anni seguenti
le vicende della cripta si offuscano fino al silenzio.
I
rinvenimenti nel suo interno danno adito ad un alone di mistero che
stimolano l’interesse e la scoperta. “Qui dentro è tutto da studiare.
Ogni sua testimonianza è preziosa, dalla scalinata d’accesso, che pare
volesse indicare la necessità di un doveroso inchino da compiere prima di
entrarvi, agli affreschi, di cui bisogna capire con precisione il
contenuto”, ha spiegato il presidente Verduci. È stato proprio lui, che
osservando attraverso un buco visibile al livello della strada, ha
intravisto gli affreschi e ha compreso l’importanza di riportarli alla
luce. Da lì sono stati avviati i necessari lavori di pulitura ed è stata
data al sito la degna attenzione.
La
cripta castiglionese ricalca, in parte, le linee generali delle strutture di
questo tipo, destinate al disseccamento dei cadaveri tramite la loro
“scolatura” e la successiva esposizione in nicchie. Se ne enumerano
quattordici laterali ed una centrale. Quest’ultima è ben visibile nella
cripta. “Nella nicchia centrale veniva trasportato il cadavere, che lì
era lasciato ad asciugare. Dopo questa fase, era rivestito e veniva esposto
in quelle laterali”, ha spiegato il presidente Verduci. Sulla sinistra
della scalinata di accesso al luogo vi è il piccolo ambiente del colatoio.
Il corpo, riposto in esso, perdeva progressivamente i liquidi, che finivano
in una vasca.
Oltre
a quello già citato, dell’iconografia riguardante S. Leonardo, è
visibile l’affresco della volta centrale, datato 1780, ritraente “Il
transito di San Giuseppe”, del pittore Antonio Santagati. “A parte
l’importanza storica, la bellezza degli affreschi, il fascino, vi è del
mistero legato a questo luogo. Ci sono quasi duecento anni di buio. Inoltre,
i crani che vi sono stati rinvenuti erano di bambini e di donne. Bisogna
capire di che estrazione sociale si trattava, se gli uni e le altre
appartenevano ai ceti abbienti castiglionesi o anche provenienti da fuori.
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