Leonforte
è situata al centro del sistema montuoso degli Erei a 600 metri s.l.m. e
dista 22 km. da Enna.
La
presenza dell’uomo sul territorio di Leonforte risale al paleolitico
superiore. Tracce del periodo neolitico si trovano sul monte Altesina, nella
zona Bozzetta o Guzzetta e in contrada Mongiafora.
Un
antichissimo insediamento umano sul monte Cernigliere è documentato da
grotte e da una necropoli. Tale insediamento nel IV secolo a.c. si spostò
più a valle presso le sorgenti del fiume Crysas dove, probabilmente, venne
fondata l’antica città sicula di Tabas o Tavaca. Essa può essere
considerata il nucleo primordiale su cui è sorta l’odierna Leonforte.
Durante
il dominio bizantino ed in seguito di quello arabo, poco lontano, fu
edificato un castello detto di Tavi, e si formò un casale nelle sue
vicinanze. Con la conquista normanna il feudo passò da un signorotto
all’altro fino a quando, durante la dominazione aragonese, a seguito della
estensione in Sicilia del diritto di ereditarietà dei feudi, Nicolò
Placido Branciforti, principe di Butera, conte di Raccuja, ricevette in
eredità il feudo di Tavi.
Sicuramente
l’abbondanza d’acqua, la fertilità dei campi ed il clima molto mite e
temperato furono tra gli elementi che indussero il principe a scegliere
questo luogo per fare sorgere un nuovo insediamento abitativo e popolarlo
con il nome di Leonforte.
Leonforte,
dunque, venne fondata con privilegio del vicerè e licenza della Regia Curia
il 30 ottobre 1610 dal barone di Tavi N. Placido Branciforti sul cui stemma
gentilizio troneggiava un leone coronato d’oro. Il nome Leonforte fu
scelto per eternare la stirpe dei Branciforti nella cui storia si racconta
di un tale Obizzo che nell’ anno 802, quando Carlo Magno guerreggiava
contro i Longobardi, si trovava nell’esercito carolingio in qualità di
alfiere porta bandiera. Nella battaglia fu assalito da tre nemici che gli
mozzarono le mani nell’intento di impossessarsi della bandiera, ma Obizzo
abbracciò con i moncherini la gloriosa insegna e resistette fino all’
arrivo dei soccorsi.
Carlo
Magno, ammirandone il coraggio, lo ricompensò ordinando che la famiglia di
lui, da brachiisfortibus, assumesse il nome di Branciforti e che lo stemma
gentilizio fosse un leone con una corona d’oro e due zampe mozze che con i
moncherini sostiene l’orifiamma spiegata con tre gigli.
Il
possedimento, il cui impianto urbanistico fu realizzato con avanzati criteri
culturali e precisi schemi rinascimentali, arricchito con molte chiese e
fontane di stile barocco, fu elevato a rango di principato il 24 luglio
1622. Per circa due secoli e mezzo i Branciforti governarono la città e vi
dimorarono sia pure stagionalmente.
Via
via la città si andò ingrandendo e si andò affermando una notevolissima
attività artigianale connessa alla produzione di manufatti in terracotta,
alla concia delle pelli, alla esistenza di una filanda e di alcune miniere
di zolfo.
Gradatamente, però, i Branciforti vennero affievolendo il loro legame con
la città finchè il 14 novembre 1852 Giuseppe, ottavo ed ultimo principe
della dinastia, volendosi stabilire definitivamente a Parigi, vendette la
città ed ogni suo bene immobile a Giovanni Calogero Li Destri, conte
Bonsignore.
Da
questo momento in poi Leonforte, come molti altri centri dell’ entroterra
siciliano, ha continuato a vivere e convivere con tutte le vicissitudini, le
tensioni, le contraddizioni e le passioni storiche e politiche
dell’universo concettuale moderno.

Geograficamente
appartenente al territorio di Leonforte è Monte Altesina, alto 1192 metri,
che, nell’antichità, venne identificato con il “Monte Ereo”. Per la
sua posizione baricentrica fu preso come riferimento dagli arabi per
dividere la Sicilia in tre Valli. Ammantato da una rigogliosa vegetazione di
lecci e roverelle, relitto della primordiale foresta mediterranea, ospita
un’interessante fauna. Sulla cima della montagna si trovano i resti di un
villaggio preistorico, e, sulle pendici, i ruderi del
“Cummintazzu”, antico eremo di monaci denominato S.Maria di
l’Artisina. Recentemente è stata istituita la Riserva Naturale
“Monte Altesina” che consentirà di tutelare e valorizzare il peculiare
ambiente naturale.
Altri
rilievi di notevole bellezza selvaggia appartenenti ai “Monti Erei” sono
Montagna di Mezzo, Monte Scala e Monte Boscorotondo. Questi habitat naturali
presentano dei suggestivi ambienti rocciosi e un’intricata vegetazione
boschiva, costituita da querce da sughero, roverelle, lecci e ogliastri.
Sulle pendici di Montagna di Mezzo si trovano i ruderi della Masseria della
Principessa, antico opificio dedito alla produzione dell’olio. Sul
versante meridionale di Monte Scala sorge un antico abitato rupestre
denominato Grotte Formose. Ai piedi di Monte Boscorotondo, si riscontra il
Vallone dell’Inferno, ecosistema particolarmente suggestivo costituito da
una gola profonda su cui scorre l’alto corso del Fiume Crysa, nome del dio
fluviale venerato, in epoca classica, dalle popolazioni locali.
Un
habitat naturale particolarmente interessante è il Lago Nicoletti, nato
negli anni settanta come invaso artificiale, che ospita stagionalmente
numerosi uccelli migratori oltre ad altre specie legate all’ambiente
acquatico.
Arroccati
su una rupe sorgono i ruderi del Castello di Tavi, volgarmente detto “u
Castiddazzu”. La fortezza, di probabile origine bizantina, divenne in
seguito un elemento di difesa arabo e poi normanno fino a divenire sede
della “Baronia di Tavi”. A poca distanza si incontrano i ruderi del
Castello di Guzzetta che ebbe delle vicende storiche analoghe alla
fortezza di Tavi. Nel territorio insistono alcuni oratori rupestri di epoca
Bizantina tra cui la Grotta di S. Elena.
Lungo
la vallata del fiume Bozzetta è ubicata Villa Gussio, pregevole costruzione
patrizia dell’800. Di notevole interesse sono i reperti di archeologia
industriale tra cui la Filanda, la Miniera di Zolfo di Faccialavata, i
mulini ad acqua e i manufatti della vecchia linea ferroviaria
Dittaino-Nicosia. In Contrada Samperi esistono i ruderi della Chiesa
di S. Pietro, risalente al periodo medievale. Il territorio è costellato
inoltre da reperti archeologici di epoca preistorica tra cui numerose
escavazioni nella roccia visibili su Monte Cernigliere, a Mongiafara e a
Valle dei Ladroni.
Gli
ambienti naturali si alternano a un suggestivo paesaggio agrario costituito
da pascoli, da terreni seminativi coltivati a frumento e a fava, e da
colture arboree tra cui l’olivo, il mandorlo e, nelle vallate del
Crysa e del Bozzetta, l’arancio e il pesco. Il territorio, utilizzato da
tempo immemore per attività agricole, conserva ancora segni di un’antica
civiltà contadina che ha lasciato interessanti testimonianze costituite da
edifici rurali, muri in pietra e “pagghiari”, arcaiche costruzioni
realizzate con pietre e canne.
Per
salvaguardare e valorizzare lo splendido patrimonio naturale e
storico-culturale di quest’area geografica è stata proposta
l’istituzione del “Parco Regionale degli Erei” che abbraccia un vasto
comprensorio della Sicilia centrale. Nel territorio di Leonforte è stata
inoltre programmata la creazione del “Parco letterario John Henry
Newman” per celebrare i luoghi in cui avvenne la conversione spirituale
dell’illustre teologo.
Chiesa
Madre di San Giovanni Battista

Intitolata
a San Giovanni Battista, “A Matrici” sorge di fronte al Palazzo
Branciforti.
Fu
fatta erigere per devozione della principessa Caterina Avviati, moglie del
Principe Nicolò Placido Branciforti, nel 1611 sui ruderi di una piccola
chiesa dedicata allo stesso Santo. Inaugurata nel 1659 venne ultimata nel
1740 per volere di Ercole Branciforti, 4° principe di Leonforte.
Lo
stile barocco classicheggiante è delineato dall’elegante facciata
decorata, con tre porte delimitate da colonne sormontate da semplici
sculture e da timpani spezzati. Chiusa in alto da due balconate balaustrate
e da un campanile quadrangolare, sopra il portale centrale, presenta
l’epigrafe in marmo con la dedica e la data di costruzione.
L’interno,
invece, decorato nella volta e negli altari con stucchi bianchi e
dorati è in stile neoclassico, a croce latina, con tre navate
delimitate da colonne in marmo sormontate da capitelli corinzi.
Uno
dei due altari, in marmo intarsiato, è l’originale altare di S.
Giovanni Battista della precedente chiesetta.
 All'interno
sono custodite le seguenti opere:
-
Tela ad olio raffigurante “La cacciata dal tempio” di Marco Antonio
Raimondi, discepolo di Giulio Romano (sacrestia).
-
Affreschi sulla vita di S. Giovanni (abside altare maggiore).
-
Pitture murali: “Il sacrificio di Isacco” e “La cena in Emmaus”, del
pittore leonfortese Angelo Baja che le realizzò nel 1949; “L’ultima
cena” di autore anonimo.
-
Organo, costruito da Donato Del Piano, di Napoli, restaurato nel 1999.
-
Statua della Madonna del Carmelo con il beato Simone Stock, scolpita da
Gaspare Lo Giudice di Lipari, e la bellissima “Vara” della Madonna
eseguita da Michele La Greca di Enna.
-
Fercolo col Cristo morto del 1650, posto su un altare della navata destra.
-
Scultura lignea del Cristo risorto, conservata nell’oratorio del SS. Sacramento
e attribuita al Quattrocchi.
-
Dipinto del “Cristo Salvatore nella realtà odierna” opera del pittore
leonfortese Gianni Pinna che lo realizzò nel 1999.
Anche
all’interno dell’oratorio e della sagrestia si custodiscono altre
preziose opere, come la scultura lignea del Cristo risorto, attribuita
al Quattrocchi e la tela ad olio raffigurante “La cacciata dal tempio”
di Marco Antonio Raimondi, discepolo di Giulio Romano.
La
leggenda narra che durante la peste scoppiata nel 1624, alcuni abitanti di
un paese vicino invidiosi della prosperità di Leonforte oppure degli untori
assoldati, depositarono una pietra appestata nell’acquasantiera per
diffondervi il contagio. Ma l’intervento della Madonna del Carmelo fece
prosciugare immediatamente l’acqua salvando cosÌ la popolazione dal
morbo.

Chiesa
di Santo Stefano Protomartire
Una
parte dell’edificio, più precisamente la cappella sacramentale di S.
Stefano Protomartire con annessa torre campanaria, con molta probabilità
esisteva prima che la città venisse fondata. Costruita nel 1657, fu
ampliata, restaurata e
modificata nel 1657 per iniziativa di Giovan Battista Falciglia, un ricco
mercante di Nicosia, fu dedicata alle anime del Purgatorio.
Di
stile settecentesco presenta una facciata, squadrata in pietra locale di S.
Giovanni, molto lineare con finestre e portali scolpiti a bassorilievo.
Il
campanile quadrangolare, di epoca più antica, presenta una copertura
conoidale, decorata con disegni geometrici a mosaico policromo.
La
torre campanaria e la cappella sacramentale affiancano l’edificio
centrale. Internamente, è a pianta ottagonale con luminosa volta divisa a
vele, decorata da Pietro D’Urso nel 1758 con finissimi stucchi bianchi e
dorati. In fondo si trova l’abside con l’altare maggiore che fa anche da
presbiterio.
Dal
1950 in poi, per l’impegno dei sacerdoti Antonino La Greca e Salvatore
Santangelo, si è provveduto a costruire la canonica, rifare il pavimento,
consolidare il tetto e sistemare sagrato e gradinata esterna.
All'interno
si possono ammirare un quadro manieristico ad olio raffigurante S. Agata,
proveniente dalla omonima chiesa di Via Pentolai ormai distrutta e un coro
in legno con pitture ad olio dei dodici apostoli.
Convento
dei Padri Cappuccini
Per
decisione del principe Placido Branciforti, fu costruito a beneficio dei
“religiosi senza riposo”, degli “angeli della carità” come venivano
chiamati i frati minori cappuccini dell’ordine di S. Francesco i quali, in
completo spirito di servizio, durante la peste del 1624 – 1625, si erano
tanto prodigati a favore degli ammalati. Il 20 maggio 1627, i frati
piantarono la croce ed iniziarono la costruzione del convento che poteva
vantare, sin dalla sua formazione, una trentina di celle, una biblioteca
arricchita ogni anno con generose donazioni della principessa Beatrice,
moglie del principe Ercole Branciforti. Nel dicembre 1866, quando furono
soppressi i beni ecclesiastici, il governo lo incamerò per destinarlo a
caserma militare; ma il conte Calogero Li Destri impugnò il provvedimento e
dopo il persistere di un contenzioso che durò ben sedici anni, riuscì ad
avere partita vinta e concesse il convento nuovamente ai padri cappuccini i
quali lo riscattarono definitivamente comprandolo dagli eredi del conte
Bonsignore il 17 gennaio 1915 con tutte le relative pertinenze e
mantenendolo a tutt’oggi.
Nei
primissimi anni ’50, infine, funzionò presso il convento una mensa
pubblica dove i più bisognosi avevano la possibilità di consumare un pasto
caldo preparato sul posto.
Di
stile rustico, la struttura esterna completandosi con l’attigua chiesa, si
presenta semplice con aggiunte di recente fattura. Davanti al convento vi è
una piazza con aiuole e sedili; una statua in bronzo di S. Francesco, opera
dello scultore milanese Otello Montaguti, posta nel 1982 e voluta con
relativa epigrafe dal benemerito padre Cesare (al secolo Maria Alfonso
Montalto); e una grande croce di pietra che indica la presenza del convento
e porta incisa la data del 1792. All’interno, al piano terra, sul cortile
di forma quadrata con al centro una cisterna, si aprivano la cucina, la
cantina e il refettorio che oggi ospita la biblioteca comunale e i suoi
14837 volumi. A sinistra per una scala, si arriva al primo piano e alle
celle occupate fino a non molti anni fa dai frati.
Questi
locali oggi sono adibiti ad uffici del Settore Cultura del Comune.
Nel
1960 è stata aggiunta, sulla stessa linea prospettica della chiesa, una
nuova ala che ha offuscato lo stile rustico originario.
La
porta d’ingresso del refettorio è sormontata da uno stemma gentilizio dei
Branciforti riportante una iscrizione di ispirazione tardo – barocca che
si riferisce non al fondatore della città, bensÌ al quarto principe di
Leonforte, Ercole (1728 – 1781).

Chiesa
dei Padri Cappuccini
Attigua
al convento, di stile altrettanto rustico, fu costruita probabilmente nel
1630 ad
opera degli stessi frati. Il principe Placido Branciforti la scelse come
cappella funeraria di famiglia. E’ considerata il sacrario della memoria
storica e della identità culturale di Leonforte. Infatti ai piedi
dell’altare maggiore si trova la tomba del principe Placido Branciforti,
con lapide in bronzo, ove è indicata la data della sua morte avvenuta il 16
settembre 1661.
Nella
cripta, che oggi è possibile visitare, sono sepolti Giuseppe Branciforti
secondo, principe di Leonforte, la moglie Caterina e i figli Melchiorre e
Baldassarre. Nella navata laterale si trova il sarcofago, in marmo nero di
Lidia, della Principessa Caterina, moglie di N. Placido Branciforti, morta
nel 1634 a soli 42 anni di età.
Erano
patrimonio di questa chiesa un trittico in legno, attribuito al Beato
Angelico, raffigurante il “Giudizio Universale”, e un quadretto ad olio
rappresentante “La fuga in Egitto” di Raffaello, dono di nozze del Papa
Urbano VIII alla nipote Caterina Branciforti. Questi quadri, lasciati alla
chiesa dai Branciforti, furono prelevati dalla famiglia Li Destri che si
avvalse del patrimonio laicale, acquistato con ratto di compravendita del
1852. Un altro pregevole dipinto ad olio raffigurante “La Sacra
Famiglia” è stato trafugato da ignoti negli anni ’70.
La
facciata della chiesa si presenta rustica con cantonali e porta in pietra
squadrata. In alto è situata un’alzata che fa da campanile, in
sostituzione di quello originario andato distrutto. L’interno si presenta
a due navate divise da arcate, con cappella laterale e altare maggiore in
legno intarsiato.
Più
volte restaurata ed abbellita in epoche diverse, (1784 – 1890 – 1910),
è durante gli anni compresi tra il 1960 – 1970 che la chiesa è stata
trasformata al suo interno ed è diventata come la vediamo oggi ovvero con
la sovrapposizione del campanile, il restauro della cappella laterale e
della cripta. Quasi tutto è stato rimaneggiato e rimodernato per volontà
dei vari priori che hanno tentato, anche se con esiti non sempre felici, di
sottrarre la chiesa all’inclemenza del tempo e dei ladri.
All'interno
dell'edificio si possono ammirare:
-
Altare maggiore con custodia in legno intarsiato di madreperla, avorio e
tartaruga, riproducente, in piccolo, il prospetto di una cattedrale barocca
eseguita da frate Angelo di Mazzarino.
-
Quadro del pittore monrealese Pietro Novelli (scuola caravaggesca)
raffigurante “L’Elezione di S. Mattia ad apostolo” realizzato in data
anteriore al 1632.
-
Tomba di N. Placido Branciforti, protetta da una lastra di vetro ornata da
un bordo di rame che riporta lo stemma della famiglia.
-
Due statue di S. Francesco e S. Giuseppe attribuite alla scuola del Gagini.
-
Mobile della sacrestia per paramenti datato 1759, intarsiato con riquadro
dipinto a smalto su metallo raffigurante l’immagine dell’Addolorata.
-
Portale in pietra scolpito a bassorilievo nella navata laterale con stemma
gentilizio dei Branciforti, datato 1647.
-
Crocifisso in legno attribuito a padre Umile di Petralia.
-
Tela ad olio raffigurante la “Vergine col bambino e S. Lorenzo da
Brindisi”
-
Ostensorio in argento, dono del principe Branciforti.
-
Via Crucis ad olio su tela databile intorno al 1740, offerta alla chiesa
dalla devozione di una tale Serafina Stasuzzi.
-
Cappella sotterranea di Giuseppe, secondo Principe Branciforti, della moglie
e dei figli, alla quale si accede per una scala a chiocciola in ferro
battuto.
Collegio
di Santa Maria
Fatto
costruire dal principe Ercole Branciforti nel 1727, nel luogo in cui esisteva un antico
monastero di clausura dedicato a Santa Caterina. Fu fondato allo scopo di
impartire una discreta istruzione alle fanciulle del paese e di educarle
alla dottrina cristiana.
Successivamente con i decreti del 21 maggio 1871 e
del 22 giugno 1883, in considerazione che l’istituto non corrispondeva
più allo scopo per cui era stato fondato, fu riconosciuto quale istituto
femminile d’istruzione e di educazione, dipendente dal Ministero della
Pubblica Istruzione e le classi del collegio furono tenute e ordinate come
scuole elementari del Regno.
Retto
sin dal 1935 dalle suore figlie di Maria Ausiliatrice, salesiane di Don
Bosco, in esso funzionavano fino a poco tempo fa una scuola materna privata,
una scuola elementare parificata, una scuola di ricamo, e attraverso una
associazione sportiva denominata “Ever Glad” è stata praticata una
discreta attività amatoriale.
Nell’agosto 2004 le ultime suore rimaste
sono state trasferite altrove e il convento è stato abbandonato. Oggiè
sede di una scuola materna e di un nuovo, embrionale asilo.
Le
suore di clausura del monastero di S. Caterina per dare qualche sbirciatina
sul mondo, ottennero locali che davano sulla Piazza Branciforti e che erano
collegati al monastero da una struttura a volta che faceva ponte sulla
strada sottostante. Il ponte venne chiamato “Arco della Batìa” e dal
1893, sotto l’amministrazione del sindaco barone Domenico Cantarero, il
locale sotto stante fu adibito a pescheria comunale.
Chiesa
di S. Antonio da Padova
Realizzata
per volontà della principessa Caterina, fu fatta costruire da Placido
Branciforti nel 1634. Attigua al palazzo principesco, serviva come cappella palatina
e la famiglia vi accedeva per mezzo di un collegamento sopraelevato che
immetteva nella cantoria. Questo corridoio coperto è stato demolito per
fare posto all’attuale edificio scolastico.
La
prima costruzione, forse perché eseguita male, crollò. La chiesa fu
riedificata nel 1636. Nel 1881 un incendio distrusse l’altare maggiore in
legno, rovinando anche il volto della bellissima statua della Vergine, che
fu restaurato a Palermo.
Di
stile barocco, piccola e ad una navata, presenta una facciata movimentata
dai rilievi delle modanature con un ricco portale sovrastato da una preziosa
edicola contenente una lapide marmorea. Nella nicchia incastonata al centro
dell’architrave del timpano è collocata una statuetta in alabastro del
Santo padovano, opera dello scultore ennese Gallina. Completa la chiesa uno
slanciato campanile caratterizzato da un’ elegante guglia a fasce di
maiolica policroma.
Nel
1881, subito dopo l’incendio, fu rifatta sul lato esterno che dà sulla
via Sott’Arco: sono infatti visibili ampie cornici il cui vano di apertura
è stato murato. Nel 1955 è stata nuovamente restaurata.
All'interno
•
Via Crucis dipinta su tela.
• Statua della Madonna Immacolata del ‘600.
Chiesa
di
San Giuseppe
Costruita
fu 1757 dal sacerdote Tommaso Crimì sul luogo dove sorgeva una specie di centro di
smistamento e pernottamento dei frati cappuccini che passavano da un
convento all’altro. Guglielmo Borremans, celebre pittore fiammingo, la
decorò con personaggi dell’antico e del nuovo testamento.
Nel 1771 fu
riparata la volta che stava per crollare e vennero aggiunti sei pilastri
esterni come rinforzo delle mura; tuttavia gli affreschi rimasero rovinati.
Nel 1802 il sacerdote Giuseppe Napoli la adornò di puttini e stucchi e fece
riordinare la volta da Vincenzo Scillia di Castrogiovanni. Nel 1870 il
sindaco Antonio Longo fece installare nel campanile della chiesa un orologio
con quadrante di vetro trasparente acquistato da una ditta di Novara per
3500 lire che andò distrutto per un incendio. L’orologio fu restaurato
nel gennaio del 1917. Allo stato attuale funziona ad intermittenza.
Di
stile settecentesco, forse progettata e costruita da maestranze locali,
presenta un portale ed una finestra rettangolare riccamente intagliati,
cornicioni e cantonali in pietra locale. Chiudono il prospetto tre loggette
campanarie e l’orologio.
E’ a pianta rettangolare, ad unica navata con
abside decorata da stucchi. Le conferiscono grandiosità le proporzioni e le
decorazioni pittoriche della volta e dell’ abside.
Per
iniziativa del sacerdote Sinardi prima (1942) e del sacerdote Lo Castro dopo
(1981 e 1988), sono stati rifatti 1’altare maggiore, il tetto, il
pavimento, le finestre e portata a nudo la facciata. Durante gli ultimi
lavori si è scoperta una interessante cripta sotterranea con ossario che,
dopo essere stata sistemata, può essere visitata.
All'interno:
-
Cripta
sotterranea con ossario.
-
Organo
del 1866 costruito da Sebastiano Calceraro.
-
Via
Crucis ad altorilievo in gesso policromo del 1900.
-
Croce
russa in argento.
-
Affreschi
dell’abside del pittore fiammingo G. Borremans: “Il sogno di San
Giuseppe” e “La fuga in Egitto”.
-
Pitture
della volta di Vincenzo Scillia di Castrogiovanni.

Chiesa
della Madonna della Mercede
Fu
edificata nel 1689 per opera della Congregazione di Maria SS. degli Agonizzanti per
raccogliere le elemosine e riscattare i prigionieri cristiani fatti schiavi
dai turchi. Lasciata prima grezza, venne fatta rifinire e decorare con
pregevoli stucchi da alcuni benemeriti fedeli tra cui Silvestro e Giovanni
Taccetta, Antonio Madonia, Carmelo Cipolla. Nel 1901 fu nuovamente abbellita
da pitture e fu rifatto il pavimento.
Le pitture sono oggi scomparse a
seguito di una nuova imbiancatura avvenuta non si sa quando.Di stile barocco
– classicheggiante che si uniforma per decorazione e pietre
all’architettura monumentale del paese antico, presenta una facciata
decorata e ben proporzionata. Il portale, con gradinata, è sovrastato da un
fregio con lapide e da una finestra rettangolare anch’ essa finemente
intagliata.
A pianta rettangolare, è ad una sola navata con abside, decorata da
bellissimi stucchi. Interessante
è l’arco della cantoria.
Altre
opere di interesse artistico sono:
-
Statua
lignea di S. Michele Arcangelo, attribuita allo sculto re Stefano Li Volsi
di Nicosia che la scolpì nella seconda metà del 600.
-
Gruppo
scultoreo in gesso policromo della Madonna della Mercede con i santi Pietro
Nolasco e Raimondo di Penafort che sovrasta l’arco dell’abside. Questi
sono chiamati mercedari in quanto appartengono all’ordine della Vergine
della Mercede per il riscatto degli schiavi, fondato nel 1218 a Barcellona.
Altri
edifici religiosi
Chiesa
di Santa Croce - Posta
in posizione dominante su un’altura del monte Cernigliere è punto di
osservazione di tutto il centro storico. Non si conosce esattamente l’anno
della fondazione. Sicuramente nel 1727 il sacerdote Vincenzo Basilotta la
donò alla omonima confraternita.
A
partire dal 1776 fu affidata al sacerdote Stefano Costantino che fece
costruire la volta, la navata e varie decorazioni con stucchi.
Restaurata in
seguito al crollo della volta, nel 1846 i padri Liquorini venuti a Leonforte
per fare gli esercizi spirituali, convinsero i fedeli ad innalzare, a
rappresentazione del Golgota, tre croci.
Per molti anni rimase in stato di
abbandono fino a quando fu ricostruita per volontà di Santo Puleo cosicché
il 16 luglio 1858 fu nuovamente restituita al culto.
Presenta una lineare
facciata in pietra, movimentata dal portale d’ingresso di stile barocco
dotato di due eleganti colonne tortili e dalla loggetta campanaria inglobata
nella facciata stessa.
È ad una navata, a pianta rettangolare con abside e
cappella laterale.
La sua posizione e la via Calvario fanno da luogo
deputato naturalmente alla processione del Venerdì Santo e della Passio, e
all’allestimento del Santo Sepolcro.
Chiesa
di Maria SS. della Carità - Fondata
dal principe Giuseppe Branciforti nel 1670, faceva parte del monastero di Santa
Caterina, antico monastero di clausura.
A partire dal 1756, il principe Ercole Branciforti la fece abbellire e
adornare con pregevoli stucchi realizzati da Pietro D’Urso. Annessa al
collegio, presenta un prospetto molto semplice e una loggetta campanaria. Ad
una navata, contiene una cantoria gradevolmente decorata con stucchi. Nel
1960 è stato rifatto il pavimento e l’altare maggiore.
All'interno
-
Quadro
raffigurante S. Gioacchino che insegna a leggere a Maria Vergine,
attribuibile a Gaspare Serenario.
-
Teca
con crocifisso in legno.
-
Tela
ad olio raffigurante la Vergine, il Bambino e Santo Spiridione, di autore
anonimo.
-
Altare
di stile barocco in oro zecchino.
Chiesa
di San Francesco di Paola - Eretta,
come si può rilevare dall’architrave della porta d’ingresso, per
contribuzione dei fedeli.
Nel 1774 è stata decorata dal sacerdote Paolo
Gagliano che fece costruire anche la sacrestia.
Chiesetta
ad una navata a pianta rettangolare con piccolo sagrato antistante chiuso da
cancellata e loggetta campanaria inglobata nella facciata.
All’interno
sono presenti poche decorazioni pittoriche di recente fattura.
Chiesa
di Maria SS. Annunziata - Costruita
con molta probabilità da maestranze locali prima del 1707, fu completata
per volontà testamentaria della signora Rosalia Leggio Vitale. In seguito a
diroccamento, nel 1758 fu riedificata dal sacerdote Nunzio Fiorenza.
Passata
ai Padri del Terzo Ordine di S. Francesco, dopo il 1815 fu ingrandita
secondo le proporzioni attuali.
Nel 1884 ad opera del parroco Salvatore
Parano, fu del tutto completata, ornata di stucchi e costituita in
parrocchia.
Nel 1891 fu abbellita la facciata e vi fu posto l’orologio al
centro del timpano di coronamento, acquistato da una ditta di Novara per
2.500 lire.
Si
accede alla chiesa con una ripida gradinata in pietra lavica ed un piccolo
sagrato. Di stile settecentesco, la facciata è marcata da lesene e culmina
con un timpano triangolare ai cui lati sono due loggette campanarie.
Internamente
è a pianta rettangolare con unica navata e abside, decorata con stucchi e
pitture.
Per iniziativa del parroco Angelo Signorelli, mediante cospicui
finanziamenti regionali e generose offerte dei fedeli, è stata totalmente
restaurata nel 1983 sotto la direzione dell’architetto leonfortese
Salvatore Lo Gioco. Gli interventi hanno riguardato la copertura esterna, la
volta, la pavimentazione, l’intonacatura interna e i vari elementi sacri.
All'interno:
-
Gruppo policromo dell’ Annunziata (scultura in gesso).
- Statua della Maddalena del ‘700 (in cartapesta).
- Affreschi della volta ridipinti da Giuseppe Emma di S. Cataldo.
- Tabernacolo in onice del Pakistan, internamente decorato con simboli in
oro zecchino.
- Moderna Via
Crucis in legno.
Chiesa
SS. Salvatore “vecchio” - Fu
costruita nel 1912 come cappella rurale ad opera del sacerdote Salvatore Varveri che la
ingrandì nel 1924 lasciando a futura memoria di questa intraprendente
volontà un riquadro ligneo inserito nel soffitto del locale preposto, a mò
di vestibolo, alla chiesetta vera e propria. Nel 1959, in considerazione di
nuovi insediamenti abitativi nella zona circostante, fu elevata a
parrocchia. Piccola chiesa a pianta quadrata con sagrato antistante chiuso.
E’ l’ultimo degli edifici sacri storici della città.
Chiesa
SS. Salvatore “nuovo” - E’
stata edificata nel 1959, poco distante dalla primitiva chiesetta, mediante
l’utilizzazione di cospicui fondi regionali, per l’instancabile opera
del parroco Antonino La Giglia.
Progettata
dall’architetto Ludovico Martellucci, presenta una struttura
architettonica moderna, senza navate, dall’ampia facciata a vetri, con
ampie scalinate laterali ed uno slanciato campanile.
Gli
arredi sono di linea moderna. Fino a poco tempo fa era presente un’antica
Via Crucis dipinta ad olio proveniente dalla chiesa di S. Agata che sorgeva
in via Pentolai, poi diroccatasi e mai più ricostruita. Ignoti ladri
l’hanno rubata. La stessa è stata sostituita da una serie di pitture
realizzate da artisti locali.
La chiesa è sede
della radio parrocchiale “Onda Libera”.
Chiesa
Santa Maria della Catena - Eretta
per iniziativa di Francesco Catanzariti, un devoto casellante ferroviario di
origini calabresi, di fronte alla casa cantoniera dove preesisteva una
piccola edicola detta del “Signiruzzu”. Fu realizzata in collaborazione
con il sacerdote Ferdinando Laneri, la contribuzione di altri fedeli e la
generosità del cav. Costanzo il quale concesse gratuitamente il suolo dove
venne edificata.
E’
stata elevata a parrocchia nel 1970.Piccola chiesa a pianta rettangolare con
facciata lineare, loggetta campanaria e caratteri prettamente rurali.
Ampliata
attorno al 1935 dal maestro muratore Dieli Crimì. Nei primissimi anni ’70
è stata restaurata dal parroco Nunzio Maita che ha acquistato altri locali
adibendoli a sagrestia, oratorio e scuola materna.
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