Leonforte (Borgo)
(Enna)
  
 

   

Granfonte

Fatta costruire nel 1652 dal principe Placido Branciforti sui resti di una antica fontana araba chiamata “Fonte di Tavi”, costituiva il luogo abituale di riunione della popolazione e, con le sue ventiquattro cannelle, anche l’abbeveratoio pubblico.

La sua acqua alimentava anche le numerose fontane dell’Orto Botanico. Sembra che il suo disegno architettonico richiami un’analoga fontana che si troverebbe ad Amsterdam, in Olanda. Più verosimilmente l’opera, attribuibile all’architetto palermitano M. Smiriglio, si rifà alle numerose creazioni di artisti fiamminghi allora molto diffuse in Sicilia.

Questa maestosa fontana monumentale è di stile barocco; ha forma simmetrica e presenta una lunghezza di 24.60 metri, una profondità di 2.55 metri, 22 arcatelle aperte a tutto sesto che lasciano intravvedere il paesaggio agreste sottostante.

Da 24 cannelle di bronzo ogni giorno, tranne il Venerdì Santo in segno di lutto per la morte del Cristo, sgorga ininterrottamente limpidissima acqua che si raccoglie nella sottostante vasca rettangolare. Il prospetto con tre alzate timpanate decorate con bassorilievi è raccordato ai lati con due volute.

Monumento emblematico e significativo, “a brivatura” rappresenta la memoria storica e il cuore stesso della Città. Non c’è casa di leonfortese che non ne custodisca una riproduzione come a voler riaffermare un’insopprimibile continuità con le proprie radici.

Nel 1910 furono messe in opera le lastre di pietra lavica lungo la vasca per dare la possibilità di attingere più facilmente l’acqua; nel 1983è stato consolidato il prospetto posteriore; ad intervalli non troppo lunghi vengono programmati interventi di manutenzione e pulizia.

A ridosso della Granfonte, un canale delle acque di scolo della fontana assume la forma di lavatoio utilizzato a tale scopo fino alla metà del ‘900. Qui, entrando dalla attigua Porta Garibaldi, accorrevano le massaie che in tal modo avevano a disposizione acqua corrente in abbondanza, solidi “pilieri” di pietra e massi sui quali fare asciugare al sole gli indumenti.

Porta Palermo o Porta Garibaldi

Il Principe per proteggere i propri sudditi dalle rappresaglie di estranei e per difendere dalla peste scoppiata in Sicilia il borgo che aveva fondato, aveva fatto costruire nel 1624 una cinta muraria che lo delimitava con quattro porte d’accesso: Porta Crocifisso ad est, Porta S. Rocco ad ovest, Porta S. Filippo o “Pipituna” a nord (così chiamata per la presenza di due alti pilastri) e Porta Palermo a sud, sulla strada che da Enna portava a Leonforte. 

Di queste porte, le prime tre furono eliminate tra il 1875 e il 1877; la Porta Palermo, invece, continua a resistere alla inclemenza del tempo e degli uomini e dopo il passaggio di Garibaldi avvenuto il 15 agosto 1862, ha assunto l’odierna denominazione di Porta Garibaldi.

Di stile classicheggiante, fu costruita da maestranze locali. 

E’ una porta ad arco a tutto sesto affiancata dalla porta d’ingresso dell’Orto Botanico, con conci squadrati e trabeazione classica. Termina in alto con due merli a coda di rondine, di cui uno è andato perduto. 

La porta si affacciava sul “Piano S. Cristoforo” o “Piazza Sottana” delimitata dalla chiesa della Madonna del Carmelo e dalla Granfonte che ne chiudeva la cornice prospettica e che presentava altre due fontane dove poter attingere l’acqua. 

Queste fontane sono scomparse forse perché travolte e distrutte dal catastrofico alluvione del 1740 o del 1809. Oggi la piazza risulta molto modificata ed assomiglia più ad una via, essendo stato lo slargo inesorabilmente assorbito dalle case.

Nel 1989 fu avviata un’opera di radicale risanamento del quartiere protrattasi fino al 1993. In quella occasione, diverse Amministrazioni si avvalsero di un progetto redatto dall’architetto leonfortese Mario Pisciotta il quale, sulla scorta delle notizie storiche disponibili, fece anche il tentativo, ribassando la quota stradale, di ricostruire il piano della “Piazza Sottana”.

Restaurata nel 1796, anno in cui vi fu apposta una lapide che con molta probabilità è andata distrutta a seguito di una scossa tellurica. Più recentemente si è tentato di consolidare la trabeazione, ma senza ricavame risultati apprezzabili.

Castello di Tavi o “Castiddazzu”

Questo rudere è situato sul pizzo Castellaccio a meno di 2 km. ad ovest dell’abitato di Leonforte, a m. 543 s.l.m., sulla sponda destra del ramo superiore del fiume Dittaino (torrente Crisa) ed è raggiungibile mediante la strada provinciale Leonforte – Calascibetta.

Forse esistente già nel periodo bizantino come avamposto fortificato della città di Henna, divenne in seguito un elemento di difesa sia per gli arabi che per i normanni.

La sua data di costruzione non è precisabile. Del castello, comunque, si ha qualche traccia per la prima volta attorno alla metà del XII secolo.

Nel 1497 prende investitura per Tavi Belladama, moglie di N. Melchiorre Branciforti e da questa data rimane feudo della famiglia fino all’abolizione della feudalità.

Con la fondazione di Leonforte, il castello andò incontro alla distruzione, in quanto perdette ogni importanza cedendo le sue prerogative al palazzo Branciforti edificato in città.

Di questo castello rimangono solo alcuni resti: una notevole cinta muraria che a tratti si confonde con la linea naturale delle rocce su cui il castello è ubicato, due grandi cisterne scavate nella roccia e un locale dalle medie dimensioni dotato di volta a botte lunettata.  

Castello di Bozzetta

Il castello sorgeva sulla Rocca Castellaccio di Bozzetta, nel Val di Noto a circa 3 km. ad ovest di Leonforte, a m. 614 s.l.m., sulla sponda destra dell’omonimo torrente Bozzetta.

Il castello è attestato per la prima volta nel 1326. Di origine bizantina, è in completo abbandono. Il paesaggio è collinare ed è posto su una sommità da dove si domina un ampio territorio.

Del castello restano solo pochi ruderi; in particolare è visibile un avanzo di mura con una grande apertura con arco a sesto ribassato che la tradizione identifica con il portone di accesso al complesso castrale. I resti fuori terra visibili non consentono una lettura ricostruttiva dell’impianto.

Una curiosità è rappresentata da una apertura praticata alla base del muro orientale nel locale di piano terra, dalla quale risulta pressoché impossibile vedere alcunché dall’interno verso l’esterno. Ritenuta erroneamente una finestra, è in realtà un “buco del gatto” o “gattaio” come veniva chiamato dai costruttori medioevali cioè una via di comunicazione con l’esterno o una via di scampo in extremis qualora il nemico avesse occupato il resto della fortezza.

Piazza Carella, Palazzo Carella e Piazza IV Novembre 

Le due piazze in passato venivano chiamate “U chianu a scola” (il Piano della scuola) poiché sin dalle origini del paese lo spiazzo costituiva il maneggio del principe N. Placido Branciforti, il posto ove si svolgevano gli esercizi di equitazione e le esercitazioni per domare ed educare alle briglie i puledri dei suoi allevamenti. Nel 1812 con l’abolizione dei diritti feudali, il Principe non ebbe più l’obbligo di assicurare il servizio d’ordine nel feudo e “U chianu” perse il fascino che gli davano le esercitazioni dei cavalieri. Tuttavia, continuò ad avere una qualche utilità e funzione pubblica, in quanto la presenza di una fontana costruita nel 1887 e sopravvissuta fino al 1933, assicurava a sufficienza acqua potabile a decine e decine di famiglie che abitavano nei paraggi. Anche per questo, per lungo tempo ancora le piazze furono il cuore pulsante della città. Dalla piazza Carella nel 1922 partirono i contadini per occupare le terre di Montagna d’Immenso e di Casuto.

Nella piazza 4 novembre il 18 dicembre 1935 i leonfortesi donarono le fedi nuziali e gli oggetti d’oro alla patria. In seguito, con l’espansione del paese vi si costruirono case e vie; tutt’intorno sorsero bar e negozi, circoli e persino un cinema. Ancora oggi costituiscono il centro cittadino su cui, notte e giorno, veglia una “Madonnina” posta in un punto panoramico facilmente visibile dalle vie e dalle case del centro urbano.

Palazzo Carella fu costruito sul “Piano della scuola” da Giovanni Carella dopo che nel 1734 ebbe il titolo di barone dei Rossi Sottani. Di stile settecentesco, è una costruzione lineare che conferisce una certa monumentalità alla piazza. Presenta un prospetto ampio, evidenziato da bugnato nella zona bassa, ad un solo piano sopraelevato con sette balconi marcati da archi e sobrie decorazioni di corone di foglie.

Il balcone centrale è fregiato dallo stemma baronale della famiglia Carella. Le aperture sono evidenziate con conci di pietra e con arcate decorate e conchiglie intagliate. Il portale centrale è affiancato da due colonne. Internamente è a pianta quadrata con cortile interno di forma rettangolare. Gli ambienti, in parte adibiti ad uffici, in parte di proprietà privata, non hanno più i mobili e i salotti originari. Tuttavia si possono ammirare gli stucchi dei soffitti e le decorazioni pittoriche delle sale di rappresentanza che denotano una certa sensibilità di mano e di gusto. Il 22 ottobre 1809 una pioggia torrenziale alimentò una fiumara d’acqua che invase il paese, causando 132 morti e distruggendo numerose abitazioni; in quella occasione, il “don Rosario Carella” vi fece rifugiare molti abitanti del paese salvandoli da sicura morte.

Un fenomeno simile si registrò nel 1951 quando un diluvio di ampie proporzioni provocò l’allagamento del vicino palazzo municipale. In quel frangente più di 200 famiglie dovettero abbandonare le proprie abitazioni, ma fortunatamente non si registrarono morti.

Di forma rettangolare, parallele, una è denominata “Piazza Carella” perché antistante all’omonimo palazzo; l’altra, chiamata “4 novembre”, è delimitata da spazi verdi con alte palme e sedili. Al centro, quest’ultima, presenta il Monumento ai Caduti della prima guerra mondiale costruito nel 1932, le cui pareti sono impreziosite da solenni epigrafi e ai lati, in modo simmetrico, vi sono due fontane con sculture ad imitazione classica.

Piazza Margherita o “Tornachiazza” - 

Costituì sin dall’inizio della sua costruzione il nucleo centrale delle locali attività commerciali tanto da essere chiamata “Piazza del mercato”. Solamente alla fine del IS00 prese, in onore della regina Margherita, l’odierna denominazione. Anche se non si conosce il progetti sta, fu ideata e voluta dal principe Placido Branciforti e dal figlio Giuseppe; nel 1741 fu modificata dal principe Ercole che commissionò l’abbellimento della “Piazza Rotonda” (come veniva anche chiamata) allo scultore palermitano La Marca, secondo il disegno redatto dal noto ingegnere militare M. Blasco. 

Originariamente la piazza era circondata da sedici botteghe di vario genere; successivamente queste costruzioni vennero ristrutturate con l’aggiunta di abitazioni sulle botteghe in modo tale da fare corrispondere sopra di queste sedici balconi balaustrati in pietra intagliata di uguale disegno. Gli edifici infine terminavano in alto con un cornicione e una balaustra scolpita, analoga ai balconi. La piazza risultava divisa in quattro quarti di cerchio, marcati da pilastri che formavano quattro cantoni.

Al centro e fino alla fine dell’8OO vi era anche una fontana, considerata come elemento di servizio per gli operatori commerciali e per gli abitanti del borgo. Vero e proprio centro della vita politico – sociale della collettività leonfortese per tre interi secoli e almeno fino agli anni ’60, con il continuo espandersi del paese verso nord, ha finito per perdere molta parte della sua importanza e vitalità.

Villa Bonsignore

Adibita a residenza estiva del conte Bonsignore Giovan Calogero Li Destri, era circondata da un giardino in parte all’inglese e in parte all’italiana, ricco di piante e fiori con annesso un parco con pineta e viali di bosso e di cipresso. Comprendeva anche la casa per il “massaro”, una grande cisterna, la carretteria e le stalle. Il parco originarioè stato in buona parte lottizzato e venduto a privati. Nel 1982, la residua porzione di 5000 mq., è stata acquistata dal Comune per destinarla a sede di attività culturali e giardino pubblico. 

Classica villa fuoriporta dell’800 con elementi liberty rapportabile ad un moderno chalet di caccia, è una palazzina a due piani ed un piano attico direttamente collegato con l’esterno per mezzo di una scala a chiocciola in ferro e con ingresso principale dal giardino.

Al piano interrato vi sono le cantine, mentre al piano rialzato si possono ammirare ampie sale con salone centrale, decorate con stucchi e pitture.

Al primo piano troviamo le sale private; il piano attico, invece, con terrazze laterali simmetriche, era adibito ai servizi: cucine, forno, dispense e lavanderia.

Una prima ristrutturazione con fondi dell’ Assessorato regionale per i BB.CC.AA., si è avuta nel giugno del 1994 con il recupero statico antisismico dell’ immobile e il restauro delle strutture murarie, degli infissi esterni e dell’impiantistica di base. Recentemente (dicembre 2004) sono stati ristrutturati e restaurati in modo funzionale i piani terreno e rialzato. I lavori di progettazione e di restauro sono stati svolti sotto la direzione dell’architetto leonfortese Antonino Mazzucchelli. La realizzazione definitiva del progetto di recupero prevede il completamento dei piani primo e secondo, la sistemazione del parco e la riannessione della dismessa stazione di rifornimento.

Piazza Branciforti o Caddivarizza, Palazzo Branciforti

La “Piazza Soprana”, ubicata tra il palazzo, la scuderia ed altre abitazioni di famiglie nobili, nei primi secoli di Leonforte rappresentò, a dire così, l’angolo aristocratico del borgo. Era chiamata anche “Caddivarizza” perché continuamente animata da carrozze e cavalieri e cornice di feste ed addobbi sfarzosi. Epicentro reale del potere dei Branciforti prima e della mondanità della famiglia Li Destri dopo, presentava davanti al palazzo una fontana, oggi andata distrutta.

Realizzata da maestranze romane e palermitane sotto la direzione del capomastro Vincenzo Gianguzzo, la piazza, armoniosa nelle proporzioni, è rettangolare e con una sistemazione scenografica data dai prospetti del palazzo e della scuderia. Vi si svolgono concerti e manifestazioni musicali; ogni martedì mattina ospita il mercato settimanale.  

Il palazzo fu fatto costruire e completato dal principe fondatore Placido Branciforti nel giro di quasi cinquant’anni con l’ausilio di maestranze romane e palermitane sotto la direzione di tre capomastri ennesi: Gianguzzo, Inglese e Calì. 

Adibito ad abitazione privata non solo dello stesso Principe ma anche dei suoi discendenti, nel 1842 fu venduto a Giovanni Calogero Li Destri, conte Bonsignore. 

Domina la zona bassa del paese, con una mole inconsueta e stupefacente. Ha subìto manomissioni sia all’interno che nei prospetti; un crollo avvenuto nel 1958 ha irrimediabilmente cancellato l’ala ovest. 

E’ stato sede di fastose mondanità documentate in testamenti ed altre scritture e ha ospitato illustri personalità: valgano per tutte, Giuseppe Garibaldi che tra il 15 e il 16 agosto 1862, da uno dei balconi parlò al popolo di Leonforte e Amedeo diASavoia, duca di Aosta, che nel 1923 si trovava a Leonforte per una battuta di caccia, ospite dell’amico Giovanni Scelfo ufficiale di artiglieria.

Oggi, la parte ancora abitabile è di proprietà privata.

Di stile seicentesco è una costruzione quadrangolare a due piani con cortile interno. Presenta una fila di finestre nel piano bas.so e balconi simmetrici nel piano superiore con mensole scolpite. Al centro presenta un bellissimo portale con bugne e decorazioni di pennacchi a bassorilievo.

Sul balcone centrale sono scolpite armi e trofei di guerra, opera dello scultore romano Fabio Salviati. Dal lato sud presenta due bastioni di fortificazione circoscriventi una villetta comunale che si affaccia sulla via Garibaldi e che offre al visitatore l’originalissimo scenario rappresentato dalle abitazioni del centro storico. Questa villetta è stata realizzata nel 1878 a spese del Comune.

La facciata principale del palazzo, invece, si affaccia sulla piazza Branciforti. Internamente è presente un ampio cortile quadrangolare con al centro una profonda cisterna. Ai lati si aprono i magazzini, l’arsenale e altri ambienti. Sull’ ala centrale, in corrispondenza del portone d’ingresso, si erge uno scalone di accesso ai due piani superiori del palazzo che costituivano la residenza del principe. Le sale di rappresentanza, di cui una che poteva accogliere circa 400 persone, sono ,decorate con pregevoli stucchi. I sotterranei infine erano adibiti a magazzini per conservare l’olio e a carcere. Quest’ultimo nel 1867 fu trasferito in un vicino locale del quartiere di San Rocco.  

Nel 1980 si è provveduto al consolidamento del tetto, mentre nel 1988 è stato pavimentato il cortile interno con cotto a taglio.

Fontana delle Ninfe o Fonte di Crisa

Ubicata dentro l’omonimo giardino era sicuramente alimentata dalle sorgenti del monte Tavi. Celebra il mito del dio fluviale Crysa. Fu fatta erigere nel 1636 dal principe Placido Branciforti sul modello di quella che papa Paolo V aveva fatto costruire a Roma.

Costituisce la prima monumentale fontana di Leonforte. Progettata da scultori romani, di stile barocco classicheggiante, risulta ben equilibrata nella struttura architettonica. 

Rappresenta un arco trionfale che sormonta una roccia artificiale da cui sgorgava l’acqua che, passando dalla bocca di un leone, andava a yersarsi dentro una vasca poligonale rivestita con piastrelle in maiolica smaltata dai colori bianco e azzurro. 

E’ abbellita da due nicchie laterali: la prima contiene una scultura in marmo di figura femminile che rappresenta Artemide dea della caccia o Demetra dea delle messi (in questo caso i pareri degli studiosi sono discordi); la seconda, ora vuota, conteneva la figura nuda di una divinità fluviale con cornucopia, denominata dal popolo “U santu misiru”, raffigurante probabilmente il dio Crysa. Quest’ultima è collocata attualmente nella sala consiliare del Municipio. Faceva parte della fontana anche l’ampio giardino che, trasformato in agrumeto, è oggi di proprietà privata.  

Nel 1986 è stata ripulita e resa visibile al pubblico. Nel mese di settembre 2004 è stato finanziato il recupero del sito che prevede tra l’altro la messa in funzione della fontana.  

Secondo le testimonianze di qualche studioso che ha indagato il monumento, sull’arcata centrale della fontana avrebbe dovuto trovarsi un altorilievo raffigurante la simbolica fenice in mezzo ai suoi pulcini; l’uccello che, bruciato, ha la peculiarità di risorgere dalle proprie ceneri. Tuttavia non è stato possibile riscontrare alcuna traccia visiva né del rilievo né della iscrizione che lo avrebbe dovuto accompagnare.  

Fonte dei “Malati”

E’ situata in una stradina secondaria nella zona a sud dell’ abitato proprio di fronte alla fontana delle Ninfe. Un cunicolo oltre lo stradale lungo il tombino sotterraneo conduce a varie scaturigini, tra cui questa dei “malati”.

Da questa sorgente che a dire il vero doveva essere alimentata da una vena non molto ricca, sgorgava acqua che avrebbe avuto, secondo le credenze popolari, qualità medicali e taumaturgiche. Tanti leonfortesi vi hanno attinto acqua convinti di trovare in essa un aiuto ai loro malanni. In realtà si trattava di un’acqua più limpida e più leggera delle altre acque potabili esistenti nel territorio circostante.

Di questa fontana rimane soltanto qualche approssimato rudere a stento visibile. Lungo il muro che costeggia la Fontana delle Ninfe è possibile osservare ancora un piccolo cunicolo all’estremità del quale veniva collocata una paletta di ferro per attingere più facilmente l’acqua che andava a riversarsi in una piccola vasca circolare in discreto stato di conservazione.

Fontana della Morte

Vicinissima alla Chiesa di Santo Stefano Protomartire, è costituita da una scaturigine detta appunto della “morte” dove affiorano acque alle quali si attribuiscono memorie vaticinanti e prodigiose: per esempio, quella di avere, assieme ad altre sorgenti compresa quella del Fonte di Tavi, riversato sangue a presagio del massacro dei coloni arabi da parte dell’esercito normanno. Più scientificamente questo fenomeno troverebbe spiegazione nella struttura geologica del terreno circostante ricco di argilla rossa detta “taiu” che, sciolta e trascinata dalle acque sotterranee, avrebbe dato la sensazione visiva del sangue.

Piccola sorgente che tramite due cannelle riversa acqua in una vasca rettangolare costruita in pietra. Si trova sul terreno di proprietà di Campagna Maurizio che ne assicura la fruibilità. Il cancello d’ingresso viene aperto al pubblico solo durante il giorno e fino al tramonto. Si tratta infatti della sopravvivenza di un antico uso civico di cui la collettività usufruisce in base a concessioni risalenti a norme di tipo feudale.

Originariamente l’acqua che alimenta la fontana scorreva a fior di terra. Nel 1887, l’Amministrazione apportò delle modifiche, facendo costruire un recipiente a forma di fontanella e due canaletti di rame da cui attingere più facilmente l’acqua.

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Fonte
https://www.comune.leonforte.en.it/
https://it.wikipedia.org