Enna

 

Duomo  

Il duomo di Enna, dedicato a Maria Santissima della Visitazione, è la chiesa madre della città, nonchè monumento nazionale e luogo di pace dell'UNESCO dal 2008.

Il duomo sorge nel centro storico della città, salendo la storica via Roma e si trova a circa 500 metri dal castello di Lombardia. Esso si getta, con la sua maestosa facciata campanaria su una piccola piazza, definita Piazza Duomo, circondata dalla canonica e da altre architetture settecentesche e si affaccia su piazza Mazzini, della quale occupa interamente il lato nord.

È annoverata tra le maggiori espressioni artistiche della provincia, grazie alla grandezza, alla vastità e alla pregevolezza delle opere custodite, tra cui le pale d'altare del Borremans, di Filippo Paladini e di Vincenzo Roggeri, oltre che all'affascinante fondersi di stili diversi, come il portale laterale barocco. Il duomo è, infine, il culmine delle celebrazioni della suggestiva Settimana Santa di Enna e delle celebrazioni patronali della Madonna della Visitazione.  

Il duomo di Enna è uno dei maggiori esempi di architettura ecclesiastica medievale presenti in Sicilia: costruito nel Trecento e profondamente rinnovato circa due secoli dopo, presenta imponenti colonnati corinzi, tre navate e tre absidi, pregiate tele e lampadari, e una maestosa facciata con torre campanaria, che svetta su tutta la città, la cui campana è di mole impressionante in proporzione alla grandezza della città.

Storia - Intorno al V secolo sui resti del tempio pagano dedicato a Proserpina è edificata la chiesa di Santa Maria Maiuri. Il culto della dea delle messi Cerere, di cui Proserpina è figlia, fu accantonato dall'opera evangelizzatrice di San Pancrazio sostituendolo con la venerazione della Vergine Maria.

Il luogo di culto cattolico diede agli invasori musulmani, che avevano occupato Castrogiovanni nel contesto della dominazione araba, il pretesto per edificare la loro moschea "... di frunti at la prima chiesa di li cristiani, chiamata di Santa Maria Maiuri ...". L'area corrisponde al luogo ove oggi sorge la chiesa di San Michele Arcangelo. Contestualmente fu innalzato un minareto, più alto della stessa matrice cristiana, per dar modo al muezzin, alla stregua delle campane, di far risuonare in tutta la vallata le lodi di Allah e l'invito alla preghiera.

L'edificazione ha avvio nel 1307, per volere di Eleonora d'Angiò, moglie di Federico III d'Aragona e fervente devota della Madonna, per celebrare la nascita di Pietro, loro figlio. Il luogo scelto per la costruzione fu un piano appena fuori le mura del castello di Lombardia che di lì a poco verrà anch'esso restaurato, stessa area dove, secondo un'antica tradizione ennese, preesisteva un'antica chiesa della città chiamata Santa Maria Maiuri, in avanzato stato di degrado. Con questo pretesto si volle costruire un edificio con un'alta torre campanaria. La chiesa, intitolata alla Celeste Patrona della città, ingloba le rovine del Tempio di Proserpina, l'arcata centrale del tempio è inserita nella parte absidale esterna.

Originariamente dedicata alla Vergine Assunta, dal 1412 fu votata al titolo della Visitazione di Maria. Costruita in pure forme gotiche, nel 1446 un grave incendio la distrusse tranne un'abside e una parte del fianco destro. Papa Eugenio IV indisse un giubileo straordinario della durata di 7 anni per raccogliere i fondi necessari alla ricostruzione dell'importante edificio di culto. A causa dell'insufficienza di denaro raccolto, re Alfonso V d'Aragona vendette varie terre e con il ricavato riuscì a portare a compimento l'opera. Al 1447 risale l'apertura esterna al braccio del transetto meridionale denominata Porta Santa.

Negli anni successivi subì il crollo del colonnato della navata centrale, altra occasione questa per rinnovare stilisticamente l'edificio, con l'intervento di Giandomenico Gagini, famoso maestro rinascimentale. Le due colonne ricostruite presentano la decorazione ricca di foglie d'acanto, maschere geminate, figure bicipite, grottesche, uccelli, animali fantastici e ancora putti, grifi, teste d'angelo, evangelisti, profeti e santi, simboli del Vangelo. In una nicchia ricavata lungo il corpo di una colonna è scolpito il Battesimo di Gesù sotto la protezione del Padre Eterno e dello Spirito Santo fra le insegne di Papa Pio IV, quelle della casa reale di Spagna nella figura di Filippo II di Spagna e della città di Castrogiovanni. Ulteriori interventi interessarono le restanti colonne per opera di Jacopo Salemi, nel 1570 i lavori culminarono col completamento di Porta Sottana arricchita col bassorilievo raffigurante San Martino a decoro del timpano.

La torre campanaria, inizialmente di faraoniche dimensioni, cedette nel 1619 e fu così di nuovo innalzata, slanciata e maestosa. Un secondo crollo si verificò nel 1676 causato dall'eccessivo appesantimento della struttura.

Nel 1700 è rivestita la Cappella dei Marmi, nel 1781 è conclusa la pavimentazione delle navate e la ristrutturazione della sacrestia.

Nel 1943, Il tempio è dichiarato monumento nazionale per volere di Vittorio Emanuele III.

Esterno - Il duomo di Enna appare dall'esterno come una grande chiesa a pianta di croce latina, con una facciata principale cui si accede da un'ampia gradinata, sormontata dall'imperiosa torre campanaria, quest'ultima su due alti livelli di forma quadrangolare, risalenti a fine Seicento, impreziositi da cornicioni e rilievi, con una enorme campana, detta "dei 101 quintali", grande come quella del duomo di Catania.

La facciata del duomo è stata realizzata seguendo canoni di dimensioni anomali rispetto alle tendenze dell'epoca: da una lunga scalinata si raggiunge un portico a tre portali, cinti da 6 colonne, mentre sopra la base si sviluppano altri due livelli della torre campanaria, con due finestre a tutto sesto ricche di fregi, decorazioni, volti umani, lesene e colonne in ordine dorico e corinzio.

Oltre al portico, della facciata centrale notevole è la Porta del Giubileo, oggi murata, sul fianco destro, che rappresenta un ottimo esemplare di gotico siciliano, con 6 colonne a capitelli decorati e un arco sovrastato dalla statua della Madonna con Gesù Bambino corniciata da un arco a tutto sesto e fregi a zig-zag che si alternano a motivi di foglie.

Altra porta laterale è la "Porta Sottana", che data 1447, recante due coppie di colonne corinzie sormontate da un timpano di coronamento e un bassorilievo marmoreo tardo-rinascimentale raffigurante San Martino che divide il suo mantello coi poveri.

Navata destra

Prima campata.

Seconda campata: Cappella del Transito. Altare con dipinto raffigurante il Transito della Vergine o Dormitio Virginis, olio su tela, opera di Vincenzo Roggeri del 1668.

Terza campata: Cappella dei Santi Lucilla e Giacinto. Altare con dipinto raffigurante i Santi Lucilla e Giacinto, olio su tela, opera di Damiano Basile del 1600.

Quarta campata. Ingresso laterale destro o Porta Sottana su piazza Mazzini.

Quinta campata: Cappella di Sant'Agata. Altare con dipinto raffigurante l'Apparizione di Sant'Agata a Santa Lucia, olio su tela, opera di Guglielmo Borremans, datato 1721.

Sesta campata: Cappella di San Giovanni Battista. Altare con dipinto raffigurante il Battesimo di Cristo, olio su tela, opera di Guglielmo Borremans del 1721. Varco uscita minore o Porta Soprana.

Navata sinistra

Prima campata. Salita al campanile. Battistero con fonte battesimale in stile rinascimentale del 1544, l'ambiente è delimitato da una recinzione in ferro batto.

Seconda campata: Cappella di San Martino. Altare con dipinto raffigurante San Martino di Tours, olio su tela, opera di Guglielmo Borremans datato 1722.

Terza campata. Nell'ambiente è custodita la Grande Nave d'oro utilizzata per i riti processionali.

Quarta campata. Varco laterale sinistro.

Quinta campata: Cappella della Madonna. Altare con dipinto raffigurante la Madonna con bambino sulla cassa, olio su tela di ignoto. Quadro raffigurante Madonna con bambino.

Sesta campata: Cappella di San Costantino. Altare con dipinto raffigurante il Sonno di Costantino coi Santi Pietro e Paolo, olio su tela, opera di Guglielmo Borremans del 1722. Quadro raffigurante Madonna con bambino e Sant'Antonio, olio su tela di autore ignoto. Varco comunicante con la sacrestia.

Navata centrale

L'interno del tempio a pianta basilicale, con tre navate, colonnati in basalto nero con basi e i capitelli scolpiti da Giandomenico Gagini con figure mostruose, presenta un vasto soffitto ligneo a cassettoni, intagliato riccamente, sia nelle tre navate quanto nel transetto. L'ambiente presenta due grandi medaglioni di stucco in cui sono inserite due tele del pittore napoletano Giovanni Piccinelli.

La navata centrale custodisce:

Il palco della cantoria, con preziosi intarsi lignei sulla sinistra;

Il palco dell'organo sulla destra, posto di fronte al precedente, con splendide nicchie lignee contenenti icone di santi;

Il pulpito in stile classico-rinascimentale;

Il soffitto ligneo a cassettoni, uno dei più belli della regione.

Sul cornicione la teoria di 12 quadri raffiguranti santi dell'Ordine basiliano ennese, opera di Vincenzo RoggeriMartirio di Santa BarbaraMartirio di Sant'EliaMartirio di Sant'OrsolaSan Nicola di Bari, primitivo patrono di Enna; Sant'Elia il vecchio, basiliano ennese; San Daniele, basiliano ennese, discepolo del precedente; Sant'Elia il giovane, basiliano ennese; San Vitale abate, basiliano ennese; San Luca abate, basiliano ennese; Santa Caterina, suora basiliana, sorella di San Luca; Sant'Angelo, basiliano ennese, figlio di Santa Caterina; San Teodoro, basiliano ennese, figlio di Santa Caterina. Opere commissionate nel 1668, consegnate nel 1672 e inserite in monumentali cornici in stucco.

Degne di nota le prime due colonne della navata con basi e capitelli decorati da Giandomenico Gagini.

Transetto - Absidiola destra: Cappella della Vergine della Visitazione o Cappella dei Marmi. Ambiente con stucchi, colonne tortili e bellissima decorazione in marmi policromi realizzato da Andrea Amato, dal nipote Domenico Bevilacqua e Francesco Battaglia. La nicchia sull'altare custodisce il prezioso e veneratissimo simulacro della Celeste Patrona della città, acquistato a Venezia nel 1412. Protetto da ante con raffigurazione della Vergine della Natività (sul verso interno) e quella della Visitazione della Vergine (sul verso esterno), dipinti realizzati da Damiano Basile. Le sette chiavi che permettono l'apertura della custodia sono conservate nella chiesa di San Pietro, non molto distante dal duomo.

Braccio transetto destro: Cappella della Natività. Altare con dipinto raffigurante l'Adorazione dei Magi, olio su tela, opera di Vincenzo Roggeri del 1675. Esternamente si apre la primitiva Porta del Giubileo o Porta Santa.

Absidiola sinistra: Cappella del Santissimo Sacramento. Ambiente in stile gotico-catalane, uno dei più pregevoli esempi di arte gotica in Sicilia. Il manufatto marmoreo opera di Domenico Bevilacqua, gli stucchi delle nervature di Pietro Rosso.

Braccio transetto sinistro: Cappella della Madonna del Pilar. Sull'altare il quadro raffigurante la Madonna del Pilar, olio su tela di Guglielmo Borremans del 1733.

Abside - la volta del catino absidale presenta un altorilievo raffigurante l'Incoronazione di Maria Regina del Cielo da parte del Cristo e di Dio Padre;

cinque pale in olio su tela di Filippo Paladini, realizzate tra il 1612 e il 1613 raffiguranti da sinistra e in senso orario: Presentazione di Gesù al TempioImmacolata ConcezioneAssunzione di MariaPresentazione della Vergine al TempioVisitazione della Vergine Maria a Santa Elisabetta;

il coro ligneo detto dei canonici, in noce, opera scolpita a fine Cinquecento con pannelli raffiguranti scene bibliche;

il paliotto d'argento cesellato e sbalzato dall'artista palermitano Francesco Mancino;

il bellissimo crocifisso rappresentante il Cristus Patiens nella parte anteriore e il Cristus Triunphans in quella posteriore, opera attribuita a Pietro Ruzzolone.

Sacrestia - La sacrestia, restaurata nel 2006, è ricca di opere, alcune delle quali dislocate nell'antisacrestia:

- il magnifico casserizio ligneo in noce, enorme mobile scolpito, di notevole mole e grande validità artistica, raffigurante scene di vita di Gesù;

- cappella, altare e quadro di Sant'Andrea; due tele in alto rappresentanti il Martirio di S. Agata

- Soffitto della cappella con affresco ottocentesco di Saverio Marchese riproducente la Trasfigurazione di Raffaello

- il lavamano marmoreo bianco del 1648 di Giovanni Gallina;

- gli stucchi in cui sono inserite tele di Pietro Novelli e medaglioni con il Martirio di Sant'Agata e Martirio di Santa Caterina, opere di Giovanni Piccinelli del 1662;

- il meraviglioso pavimento in maiolica policroma, fresco di restauro, in cui sono pregevolmente illustrate le scene sacre Mosè che disseta gli Ebrei e Raccolta della Manna.

Sala del tesoro - Tesoro del duomo - Tesoro custodito nel museo Alessi, fra gioielli oggetto di donazioni, arredi e argenterie liturgici esso comprende:

- 1595Candelieri, in argento, opere giovanili di Annibale Gagini.

- Corona aurea con pietre preziose e smalti utilizzata per le feste patronali di Maria Santissima della Visitazione.

Sono custodite altresì collezioni di monete e di arte medievale.

Chiesa dello Spirito Santo

La chiesa dello Spirito Santo è parte di un antico complesso bizantino, dapprima restaurato nel 1320 ad opera dei frati Minori Conventuali dell'Ordine di San Francesco che vi risiedettero fino al 1393, quando si videro affidati i locali dei palazzi confiscati ai signori Andrea Chiaramonte e Scaloro degli Uberti, poi diventati chiesa e convento di San Francesco d'Assisi.

Essa è sempre stata annessa alla parrocchia di San Bartolomeo Apostolo nonostante agli inizi del Novecento fosse ancora in mani private. È stata riaperta al culto nel 2009 in seguito all'intervento del Comune di Enna e della Venerabile Confraternita dello Spirito Santo, della quale è sede.

Su una roccia vicino alla chiesa si trova un campanile a vela, mentre nella parte posteriore era posta anticamente una torre di avvistamento, data la posizione strategica per la difesa della città, sovrastante la vicina Porta di Janniscuru. La struttura fu parzialmente adattata dai frati minori per le esigenze del convento, costituendo probabilmente anche un refettorio, mentre le celle-dormitori vennero scavate nelle grotte accanto alla chiesa.

Entrando, a sinistra, si trova la cappella dello Spirito Santo, con l'effigie della Trinità portata in processione in diverse occasioni dalla confraternita. La cappella di destra accoglie una statua di Maria Addolorata mentre nella cappella del corridoio laterale destro è stata posta nel 2011 una statua raffigurante il "Cristo alla colonna". L'interno presenta una conformazione simile a quella della Santa Casa di Loreto, con una finestrella che volge lo sguardo verso l'altare maggiore, dove è collocata la Vergine Nera di Loreto. Vi si festeggiano il Triduo e la Solennità della Pentecoste e quella di Maria SS. Assunta il 15 agosto.

Santuario di Papardura

Il santuario di Papardura Superiore è una chiesa arroccata su un'area rocciosa ricca di grotte, alcune visitabili. Presenta un prospetto esterno austero, con rosone, ma all'interno la sua ricchezza decorativa è una notevole espressione del barocco della Sicilia centrale. Vi sono concentrati, un soffitto ligneo intarsiato, dodici statue degli Apostoli, numerose tele e affreschi del Borremans, pittore fiammingo, e stucchi del Seicento della scuola di Giacomo Serpotta.

Il nome della località “PAPARDURA” dà luogo a diverse interpretazioni: lo storico Littara di Noto fa derivare il nome dalle acque che nella  località sono abbondanti, pertanto Papardura  significa  “ località dalle acque perenni e cospicue”.

Altra spiegazione verosimile è nell’origine persiana della parola, “Papar-dura” è la traduzione di acqua sorgente e “dura” che è sinonimo di roccia. Gli arabi la chiamarono così per indicare la roccia dell’acqua sgorgante. 

Il maestro Salvatore Morgana, studioso delle vicende cristiane relative alla città di Enna, nel suo opuscolo, edito a cura della deputazione dei Massari del SS. Crocifisso di Papardura, narra che gli albori del cristianesimo i contadini e i pastori si riunivano nelle grotte delle pendici di Enna  per pregare la Misericordia  Divina ed accendevano nelle stesse grotte le caratteristiche lucerne ad olio.

Nell’opuscolo suddetto è riportato che nel 1546 un tale Angelo Lo Furco nei pressi di Papardura costruì dentro una grotta un oratorio e sulla parete fece dipingere una scena raffigurante  la Crocefissione. Nel tempo che seguì si persero le tracce della grotta, che fu coperta dai detriti che scendevano dalla parte soprastante.

La leggenda vuole che nel 1600 circa, alcune pie donne sognarono che nella parte più alta della sorgente di papardura vi era raffigurata l’immagine di Gesù crocifisso e che diverse persone che avevano pregato sul luogo sopra descritto erano state miracolate. Nel luogo indicato si procedette alla rimozione dei detriti che si erano accumulati nel tempo ed apparve la grotta con l’immagine di Gesù Crocifisso. Molti corsero a visitare la grotta e la voce dei miracoli che accadevano si sparse per tutta la Sicilia.

Sempre secondo il maestro Morgana nel 1696 con i contributi di una deputazione di procuratori detta dei “Massari”, fu costruito un ponte per l’edificazione della chiesa, con inglobamento della grotta nella cui parte e rappresentato il SS Crocifisso.

Si narra che dal Natale del 1742 al 30 novembre 1743, non si ebbero ne pioggia e nemmeno venti umidi. A questo seguì un altro duro inverno e i raccolti furono così scarsi che vi fu una considerevole carestia. In quella occasione nel 1746, si svolse una processione penitenziale fino al Santuario, quelli che vi parteciparono erano così descritti: “Erano tutti a piedi scalzi e sembravano usciti dalle sepolture, i capelli scarmigliati, la corda al collo, piangevano e pregavano.”

Giunti i penitenti nella Chiesa di Papardura il parroco della Chiesa di S. Cataldo, ebbe parole adatte alla circostanza e annunziò che i procuratori della Chiesa in omaggio a Gesù Crocifisso, ogni anno, per la festa avrebbero distribuito delle piccole “collorelle” (“CUDDUREDDE”) biscottate, benedette, a forma di delta greca (croce santa), costituite da impasto di pane azzimo. Le prepararono in quell’istante per onorare il SS. Crocifisso, con la speranza che tale gesto avrebbe dato un abbondante raccolto di grano.
Le Cudduredde, per fare fina alla carestia, furono divise a ruba.

Quell’anno la terra diede tanta abbondanza di grano che non bastarono i granai a contenerlo e ne fu anche conservato negli oratori delle Confraternite che erano ricolmi a disposizione di tutti.

Le Cudduredde sancirono una devozione che da allora e fino ai giorni nostri viene praticata nella festa del Crocifisso come atto di ringraziamento per la fine della terribile carestia.

Si racconta inoltre che un giorno nel 1699 ad un massaro cadde una vitella da un dirupo. Nella caduta l’animale riportò la frattura degli ossi del collo.

Il Massaro invocò la grazia del Crocifisso affinché la giovenca fosse salvata e volle che il cappellano della chiesa di S. Cataldo lo raggiungesse nel burrone, sotto la rupe di papardura  per benedire la giovenca agevolando così il compimento della grazia richiesta.
Il parroco andò e dopo la benedizione la giovenca da sola si rialzò come se nulla fosse accaduto.

Per la festa, il massaro, donò al Santuario una vitella per essere cucinata e mangiata ai procuratori e dai pellegrini più poveri con l’obbligo di inviare al parroco della Chiesa di S. Cataldo la testa e il collo dell’animale sino all’attaccatura del corpo.

Nel corso dei secoli e fino ai giorni nostri, il Santuario che è sotto la giurisdizione della parrocchia Mater Ecclesiae, è stato ed è amministrato da una deputazione di procuratori detta dei “Massari” che ogni due anni elegge un presidente, un depositario, due consiglieri e un segretario.  

Chiesa di San Leonardo Abate

La chiesa di S. Leonardo abate, conosciuta come "A Chisa 'a Passioni" risale al 1400 come si rileva dagli atti. L'interno ad unica navata è molto semplice ed è costituito da un altare maggiore e da quattro nicchie laterali; in esse si trovano i simulacri dei Santi Cosma e Damiano, della Madonna del Giglio, di San Leonardo Abate e della vergine di Fatima. 

Nella più importante è contenuto il simulacro dell'Ecce homo, fulcro essenziale per la settimana Santa; in tale periodo è meta di pellegrinaggio. Un campanile medievale sovrasta la struttura. Vi si celebrano le festività dell'Ecce Homo (Domenica delle Palme) e la festa della Madonna di Fatima (13 maggio).

Rocca di Cerere

La rocca di Cerere rappresenta insieme al Castello di Lombardia e la Torre di Federico uno dei simboli più rappresentativi della città di Enna, tappa d'obbligo per meglio capire perché qui nasce e si evolve la storia millenaria del centro della Sicilia. Il monte su cui si erge Enna è caratterizzato da tre emergenze rocciose che dominano la città e per questo costituivano la parte centrale del sistema difensivo della città. Su due di questi rilievi troviamo il Castello di Lombardia e la Rocca di Cerere separati da un’insenatura chiamata Contrada Santa Ninfa, nell'altra la terza fu costruita (probabilmente dagli arabi) la torre ottagonale, riedificata in seguito da Federico II di Svevia.

Nei primi del Novecento la zona fu oggetto di studio e ricerca da parte dell'archeologo siracusano Paolo Orsi, che eseguì alcuni scavi nella valle e nei pressi della Rocca dove fu portata alla luce una tomba a fossa di età ellenistica (III secolo a.C.), che posava su uno strato archeologico datato all'antica età del Bronzo (2300-1600 a.C.). Intorno agli anni Ottanta altre esplorazioni confermarono la frequentazione dell'area in epoca preistorica.

Sul lato occidentale della rocca si trovano alcuni habitat rupestri, nelle vicinanze dei quali si conservano i resti di due torri, parte del sistema di fortificazione di età medievale collegato al castello. Sul versante meridionale della Rocca si trovano poi diversi ipogei scavati nella roccia con i resti di una cisterna a campana di età greca (V- IV secolo a.C.) e, in un altro, di deposizioni funerarie di età tardo-antica (111-V secolo d.C.). La mitologia latina narra che Cerere, dea delle messi, abbia abitato le pendici di Enna e che facesse dono ai mortali del pane, ricavato dalle spighe di grano. Gli ennesi, volendo ringraziare la Dea per il nuovo alimento creato per sfamarli, eressero in suo onore un tempio diventato famoso in tutta la Magna Grecia, Cicerone, nelle sue Verrine ne parla come del grandioso Santuario di Demetra.

Il percorso verso il tempio era cadenzato da sacelli rupestri, statue di divinità colossali e santuari satelliti. Testimonianze sulla grandiosità del luogo suscitarono il vivo interesse dei viaggiatori stranieri, che fra Sette e Ottocento suffragarono, la presenza sulla Rocca di Cerere di un altare situato al centro della sommità, raggiungibile percorrendo una rampa scavata nella roccia, oggi non più esistente. Sempre secondo la mitologia latina, Cerere si mostrò agli uomini sempre benigna e generosa, dispensatrice di ogni bene, sino a quando Plutone, dio degli Inferi, rapì Proserpina, diletta e unica figlia della Dea.

Fu allora che Cerere volle vendicarsi di tutti gli uomini, incendiando e rovinando puntualmente tutti i raccolti. Fu così, che per placare l’ira della Dea, cominciarono i sacrifici che venivano compiuti sulla roccia, la Rocca di Cerere appunto, dai sacerdoti che sacrificavano animali pregando e sperando che il raccolto non fosse distrutto dall'ira della dea.

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