Il duomo
di Enna, dedicato a Maria
Santissima della Visitazione, è la chiesa madre della città,
nonchè monumento
nazionale e luogo di pace dell'UNESCO dal
2008.
Il
duomo sorge nel centro storico della città, salendo la storica via
Roma e si trova a circa 500 metri dal castello
di Lombardia. Esso si getta, con la sua maestosa facciata
campanaria su una piccola piazza, definita Piazza Duomo, circondata
dalla canonica e da altre architetture settecentesche e si affaccia su
piazza Mazzini, della quale occupa interamente il lato nord.
È
annoverata tra le maggiori espressioni artistiche della provincia,
grazie alla grandezza, alla vastità e alla pregevolezza delle opere
custodite, tra cui le pale d'altare del Borremans,
di Filippo Paladini e di Vincenzo Roggeri, oltre che all'affascinante
fondersi di stili diversi, come il portale laterale barocco.
Il
duomo è, infine, il culmine delle celebrazioni della suggestiva
Settimana Santa di Enna e delle celebrazioni patronali della Madonna
della Visitazione.
Il
duomo di Enna è uno dei maggiori esempi di architettura ecclesiastica
medievale presenti in Sicilia: costruito nel Trecento e
profondamente rinnovato circa due secoli dopo, presenta imponenti colonnati
corinzi, tre navate e tre absidi, pregiate tele e lampadari, e
una maestosa facciata con torre campanaria, che svetta su tutta la
città, la cui campana è di mole impressionante in proporzione alla
grandezza della città.
Storia
- Intorno al V
secolo sui resti del tempio pagano dedicato a Proserpina è
edificata la chiesa di Santa Maria Maiuri. Il culto della dea delle
messi Cerere, di
cui Proserpina è figlia, fu accantonato dall'opera evangelizzatrice
di San Pancrazio sostituendolo
con la venerazione della Vergine Maria.
Il
luogo di culto cattolico diede agli invasori musulmani, che avevano
occupato Castrogiovanni nel contesto della dominazione
araba, il pretesto per edificare la loro moschea "... di
frunti at la prima chiesa di li cristiani, chiamata di Santa Maria
Maiuri ...". L'area corrisponde al luogo ove oggi sorge
la chiesa di San Michele
Arcangelo. Contestualmente fu innalzato un minareto, più alto
della stessa matrice cristiana,
per dar modo al muezzin,
alla stregua delle campane, di far risuonare in tutta la vallata le lodi
di Allah e l'invito alla preghiera.
L'edificazione
ha avvio nel 1307,
per volere di Eleonora
d'Angiò, moglie di Federico
III d'Aragona e fervente devota della Madonna,
per celebrare la nascita di Pietro,
loro figlio. Il luogo scelto per la costruzione fu un piano appena fuori
le mura del castello di
Lombardia che di lì a poco verrà anch'esso restaurato,
stessa area dove, secondo un'antica tradizione ennese, preesisteva
un'antica chiesa della città chiamata Santa Maria Maiuri, in avanzato
stato di degrado. Con questo pretesto si volle costruire un edificio con
un'alta torre campanaria. La chiesa, intitolata alla Celeste Patrona della
città, ingloba le rovine del Tempio di Proserpina,
l'arcata centrale del tempio è inserita nella parte absidale esterna.
Originariamente
dedicata alla Vergine Assunta, dal 1412 fu votata al titolo della
Visitazione di Maria. Costruita in pure forme gotiche, nel 1446 un
grave incendio la distrusse tranne un'abside e una parte del fianco
destro. Papa Eugenio IV
indisse un giubileo straordinario
della durata di 7 anni per raccogliere i fondi necessari alla
ricostruzione dell'importante edificio di culto. A causa
dell'insufficienza di denaro raccolto, re Alfonso
V d'Aragona vendette varie terre e con il ricavato riuscì a
portare a compimento l'opera. Al 1447 risale l'apertura esterna al
braccio del transetto meridionale denominata Porta Santa.
Negli
anni successivi subì il crollo del colonnato della navata centrale,
altra occasione questa per rinnovare stilisticamente l'edificio, con
l'intervento di Giandomenico
Gagini, famoso maestro rinascimentale. Le due colonne ricostruite
presentano la decorazione ricca di foglie d'acanto, maschere geminate,
figure bicipite, grottesche, uccelli, animali fantastici e ancora putti,
grifi, teste d'angelo, evangelisti, profeti e santi, simboli del
Vangelo. In una nicchia ricavata lungo il corpo di una colonna è
scolpito il Battesimo di Gesù sotto la protezione del
Padre Eterno e dello Spirito Santo fra le insegne di Papa
Pio IV, quelle della casa reale di Spagna nella figura di Filippo
II di Spagna e della città di Castrogiovanni. Ulteriori
interventi interessarono le restanti colonne per opera di Jacopo Salemi,
nel 1570 i lavori culminarono col completamento di Porta Sottana
arricchita col bassorilievo raffigurante San
Martino a decoro del timpano.
La
torre campanaria, inizialmente di faraoniche dimensioni, cedette
nel 1619 e fu
così di nuovo innalzata, slanciata e maestosa. Un secondo crollo si
verificò nel 1676 causato
dall'eccessivo appesantimento della struttura.
Nel
1700 è rivestita la Cappella dei Marmi, nel 1781 è
conclusa la pavimentazione delle navate e la ristrutturazione della
sacrestia.
Nel
1943, Il tempio è dichiarato monumento nazionale per volere
di Vittorio Emanuele III.
Esterno
- Il duomo di Enna appare dall'esterno come una grande chiesa a pianta
di croce latina,
con una facciata principale
cui si accede da un'ampia gradinata, sormontata dall'imperiosa torre
campanaria, quest'ultima su due alti livelli di forma
quadrangolare, risalenti a fine Seicento, impreziositi da cornicioni e
rilievi, con una enorme campana,
detta "dei 101 quintali", grande come quella del duomo di
Catania.
La
facciata del duomo è stata realizzata seguendo canoni di dimensioni
anomali rispetto alle tendenze dell'epoca: da una lunga scalinata si
raggiunge un portico a tre portali, cinti da 6 colonne, mentre sopra la
base si sviluppano altri due livelli della torre campanaria, con due
finestre a tutto sesto ricche di fregi, decorazioni, volti umani, lesene e colonne in ordine
dorico e corinzio.
Oltre
al portico, della
facciata centrale notevole è la Porta del Giubileo, oggi
murata, sul fianco destro, che rappresenta un ottimo esemplare di gotico siciliano,
con 6 colonne a capitelli decorati e un arco sovrastato
dalla statua della Madonna con Gesù Bambino
corniciata da un arco a tutto sesto e fregi a zig-zag che si alternano a
motivi di foglie.
Altra
porta laterale è la "Porta Sottana", che data 1447,
recante due coppie di colonne corinzie sormontate da un timpano di
coronamento e un bassorilievo marmoreo tardo-rinascimentale
raffigurante San Martino che
divide il suo mantello coi poveri.
Navata
destra
Prima
campata.
Seconda
campata: Cappella del Transito. Altare con dipinto
raffigurante il Transito della Vergine o Dormitio
Virginis, olio su tela, opera di Vincenzo
Roggeri del 1668.
Terza
campata: Cappella dei Santi Lucilla e Giacinto. Altare con
dipinto raffigurante i Santi Lucilla e Giacinto, olio su
tela, opera di Damiano
Basile del 1600.
Quarta
campata. Ingresso laterale destro o Porta Sottana su
piazza Mazzini.
Quinta
campata: Cappella di Sant'Agata. Altare con dipinto
raffigurante l'Apparizione di Sant'Agata a Santa Lucia, olio su
tela, opera di Guglielmo
Borremans, datato 1721.
Sesta
campata: Cappella di San Giovanni Battista. Altare con
dipinto raffigurante il Battesimo di Cristo, olio su tela,
opera di Guglielmo
Borremans del 1721.
Varco uscita minore o Porta Soprana.
Navata
sinistra
Prima
campata. Salita al campanile. Battistero con fonte
battesimale in stile rinascimentale del 1544, l'ambiente è
delimitato da una recinzione in ferro batto.
Seconda
campata: Cappella di San Martino. Altare con dipinto
raffigurante San
Martino di Tours, olio su tela, opera di Guglielmo
Borremans datato 1722.
Terza
campata. Nell'ambiente è custodita la Grande Nave d'oro utilizzata
per i riti processionali.
Quarta
campata. Varco laterale sinistro.
Quinta
campata: Cappella della Madonna. Altare con dipinto
raffigurante la Madonna con bambino sulla cassa, olio
su tela di ignoto.
Quadro raffigurante Madonna con bambino.
Sesta
campata: Cappella di San Costantino. Altare con dipinto
raffigurante il Sonno
di Costantino coi Santi Pietro e Paolo, olio su tela,
opera di Guglielmo
Borremans del 1722. Quadro
raffigurante Madonna con bambino e Sant'Antonio, olio su
tela di autore ignoto. Varco comunicante con la sacrestia.
Navata
centrale
L'interno
del tempio a pianta basilicale, con tre navate, colonnati in basalto nero
con basi e i capitelli scolpiti
da Giandomenico Gagini con
figure mostruose, presenta un vasto soffitto ligneo a cassettoni,
intagliato riccamente, sia nelle tre navate quanto nel transetto.
L'ambiente presenta due grandi medaglioni di stucco in cui sono inserite
due tele del pittore napoletano Giovanni
Piccinelli.
La
navata centrale custodisce:
Il
palco della cantoria,
con preziosi intarsi lignei sulla sinistra;
Il
palco dell'organo sulla
destra, posto di fronte al precedente, con splendide nicchie lignee
contenenti icone di santi;
Il pulpito in
stile classico-rinascimentale;
Il
soffitto ligneo a cassettoni, uno dei più belli della regione.
Sul cornicione la
teoria di 12 quadri raffiguranti santi dell'Ordine
basiliano ennese, opera di Vincenzo
Roggeri: Martirio di Santa Barbara; Martirio
di Sant'Elia; Martirio di Sant'Orsola; San
Nicola di Bari, primitivo patrono di Enna; Sant'Elia il
vecchio, basiliano ennese; San Daniele, basiliano
ennese, discepolo del precedente; Sant'Elia il giovane,
basiliano ennese; San Vitale abate, basiliano ennese; San
Luca abate, basiliano ennese; Santa Caterina, suora
basiliana, sorella di San Luca; Sant'Angelo, basiliano
ennese, figlio di Santa Caterina; San Teodoro, basiliano
ennese, figlio di Santa Caterina. Opere commissionate nel 1668,
consegnate nel 1672 e inserite in monumentali cornici in stucco.
Degne
di nota le prime due colonne della navata con basi e capitelli decorati
da Giandomenico Gagini.
Transetto
- Absidiola
destra: Cappella della Vergine della Visitazione o Cappella
dei Marmi. Ambiente con stucchi, colonne tortili e bellissima
decorazione in marmi policromi realizzato
da Andrea Amato,
dal nipote Domenico
Bevilacqua e Francesco
Battaglia. La nicchia sull'altare custodisce il prezioso e
veneratissimo simulacro della
Celeste Patrona della città, acquistato a Venezia nel 1412. Protetto da ante con raffigurazione della Vergine
della Natività (sul verso interno) e quella della Visitazione
della Vergine (sul verso esterno), dipinti realizzati da Damiano
Basile. Le sette chiavi che permettono l'apertura della custodia
sono conservate nella chiesa di San Pietro, non molto distante dal
duomo.
Braccio
transetto destro: Cappella della Natività. Altare con
dipinto raffigurante l'Adorazione dei Magi, olio su tela, opera
di Vincenzo Roggeri del 1675.
Esternamente si apre la primitiva Porta del Giubileo o Porta
Santa.
Absidiola
sinistra: Cappella del Santissimo Sacramento. Ambiente in
stile gotico-catalane,
uno dei più pregevoli esempi di arte gotica in Sicilia. Il manufatto
marmoreo opera di Domenico
Bevilacqua, gli stucchi delle nervature di Pietro
Rosso.
Braccio
transetto sinistro: Cappella della Madonna del Pilar.
Sull'altare il quadro raffigurante la Madonna
del Pilar, olio su tela di Guglielmo
Borremans del 1733.
Abside
- la
volta del catino absidale presenta un altorilievo raffigurante l'Incoronazione
di Maria Regina del Cielo da parte del Cristo e di Dio Padre;
cinque pale in olio su tela di Filippo
Paladini, realizzate tra il 1612 e
il 1613 raffiguranti
da sinistra e in senso orario: Presentazione
di Gesù al Tempio, Immacolata
Concezione, Assunzione
di Maria, Presentazione
della Vergine al Tempio, Visitazione
della Vergine Maria a Santa Elisabetta;
il coro ligneo detto
dei canonici, in noce,
opera scolpita a fine Cinquecento con
pannelli raffiguranti scene bibliche;
il paliotto d'argento cesellato e sbalzato dall'artista
palermitano Francesco
Mancino;
il
bellissimo crocifisso rappresentante il Cristus Patiens nella
parte anteriore e il Cristus Triunphans in quella
posteriore, opera attribuita a Pietro
Ruzzolone.

Sacrestia
- La sacrestia,
restaurata nel 2006,
è ricca di opere, alcune delle quali dislocate nell'antisacrestia:
- il
magnifico casserizio ligneo
in noce, enorme mobile scolpito, di notevole mole e grande validità
artistica, raffigurante scene di vita di Gesù;
-
cappella, altare e quadro di Sant'Andrea; due tele in alto
rappresentanti il Martirio di S. Agata
-
Soffitto della cappella con affresco ottocentesco di Saverio Marchese
riproducente la Trasfigurazione di Raffaello
- il
lavamano marmoreo bianco del 1648 di
Giovanni Gallina;
- gli
stucchi in cui sono inserite tele di Pietro
Novelli e medaglioni con il Martirio di Sant'Agata e Martirio
di Santa Caterina, opere di Giovanni
Piccinelli del 1662;
- il
meraviglioso pavimento in maiolica policroma,
fresco di restauro, in cui sono pregevolmente illustrate le scene
sacre Mosè che disseta gli Ebrei e Raccolta
della Manna.
Sala
del tesoro - Tesoro
del duomo - Tesoro
custodito nel museo
Alessi, fra gioielli oggetto di donazioni, arredi e
argenterie liturgici esso comprende:
-
1595, Candelieri, in argento, opere giovanili
di Annibale Gagini.
- Corona aurea
con pietre preziose e smalti utilizzata per le feste patronali di Maria
Santissima della Visitazione.
Sono
custodite altresì collezioni di monete e di arte medievale.
Chiesa
dello Spirito Santo

La
chiesa dello Spirito Santo è parte di un antico complesso bizantino,
dapprima restaurato nel 1320 ad opera dei frati Minori Conventuali
dell'Ordine di San Francesco che vi risiedettero fino al 1393, quando si
videro affidati i locali dei palazzi confiscati ai signori Andrea
Chiaramonte e Scaloro degli Uberti, poi diventati chiesa e convento di
San Francesco d'Assisi.
Essa
è sempre stata annessa alla parrocchia di San Bartolomeo Apostolo
nonostante agli inizi del Novecento fosse ancora in mani private. È
stata riaperta al culto nel 2009 in seguito all'intervento del Comune di
Enna e della Venerabile Confraternita dello Spirito Santo, della quale
è sede.
Su una
roccia vicino alla chiesa si trova un campanile a vela, mentre nella
parte posteriore era posta anticamente una torre di avvistamento, data
la posizione strategica per la difesa della città, sovrastante la
vicina Porta
di Janniscuru. La struttura fu parzialmente adattata dai frati minori
per le esigenze del convento, costituendo probabilmente anche un
refettorio, mentre le celle-dormitori vennero scavate nelle grotte
accanto alla chiesa.
Entrando,
a sinistra, si trova la cappella dello Spirito Santo, con l'effigie
della Trinità portata in processione in diverse occasioni dalla
confraternita. La cappella di destra accoglie una statua di Maria
Addolorata mentre nella cappella del corridoio laterale destro è stata
posta nel 2011 una statua raffigurante il "Cristo alla
colonna". L'interno presenta una conformazione simile a quella
della Santa Casa di Loreto, con una finestrella che volge lo sguardo
verso l'altare maggiore, dove è collocata la Vergine Nera di Loreto. Vi
si festeggiano il Triduo e la Solennità della Pentecoste e quella di
Maria SS. Assunta il 15 agosto.
Santuario
di Papardura
Il
santuario di Papardura Superiore è una chiesa arroccata su un'area
rocciosa ricca di grotte, alcune visitabili. Presenta un prospetto
esterno austero, con rosone,
ma all'interno la sua ricchezza decorativa è una notevole espressione
del barocco della Sicilia centrale. Vi sono concentrati,
un soffitto ligneo intarsiato,
dodici statue degli Apostoli, numerose tele e affreschi
del Borremans, pittore fiammingo, e stucchi
del Seicento della scuola di Giacomo Serpotta.
Il
nome della località “PAPARDURA” dà luogo a diverse
interpretazioni: lo
storico Littara di Noto fa derivare il nome dalle acque che nella
località sono abbondanti, pertanto Papardura significa “
località dalle acque perenni e cospicue”.
Altra
spiegazione verosimile è nell’origine persiana della parola,
“Papar-dura” è la traduzione di acqua sorgente e “dura” che è
sinonimo di roccia. Gli arabi la chiamarono così per indicare la roccia
dell’acqua sgorgante.
Il
maestro Salvatore Morgana, studioso delle vicende cristiane relative
alla città di Enna, nel suo opuscolo, edito a cura della deputazione
dei Massari del SS. Crocifisso di Papardura, narra che gli albori del
cristianesimo i contadini e i pastori si riunivano nelle grotte delle
pendici di Enna per pregare la Misericordia Divina ed
accendevano nelle stesse grotte le caratteristiche lucerne ad olio.
Nell’opuscolo
suddetto è riportato che nel 1546 un tale Angelo Lo Furco nei pressi di
Papardura costruì dentro una grotta un oratorio e sulla parete fece
dipingere una scena raffigurante la Crocefissione. Nel tempo che
seguì si persero le tracce della grotta, che fu coperta dai detriti che
scendevano dalla parte soprastante.
La
leggenda vuole che nel 1600 circa, alcune pie donne sognarono che nella
parte più alta della sorgente di papardura vi era raffigurata
l’immagine di Gesù crocifisso e che diverse persone che avevano
pregato sul luogo sopra descritto erano state miracolate. Nel
luogo indicato si procedette alla rimozione dei detriti che si erano
accumulati nel tempo ed apparve la grotta con l’immagine di Gesù
Crocifisso. Molti corsero a visitare la grotta e la voce dei miracoli
che accadevano si sparse per tutta la Sicilia.
Sempre
secondo il maestro Morgana nel 1696 con i contributi di una deputazione
di procuratori detta dei “Massari”, fu costruito un ponte per
l’edificazione della chiesa, con inglobamento della grotta nella cui
parte e rappresentato il SS Crocifisso.

Si
narra che dal Natale del 1742 al 30 novembre 1743, non si ebbero ne
pioggia e nemmeno venti umidi. A questo seguì un altro duro inverno e i
raccolti furono così scarsi che vi fu una considerevole carestia. In
quella occasione nel 1746, si svolse una processione penitenziale fino
al Santuario, quelli che vi parteciparono erano così descritti:
“Erano tutti a piedi scalzi e sembravano usciti dalle sepolture, i
capelli scarmigliati, la corda al collo, piangevano e pregavano.”
Giunti
i penitenti nella Chiesa di Papardura il parroco della Chiesa di S.
Cataldo, ebbe parole adatte alla circostanza e annunziò che i
procuratori della Chiesa in omaggio a Gesù Crocifisso, ogni anno, per
la festa avrebbero distribuito delle piccole “collorelle” (“CUDDUREDDE”)
biscottate, benedette, a forma di delta greca (croce santa), costituite
da impasto di pane azzimo. Le prepararono in quell’istante per onorare
il SS. Crocifisso, con la speranza che tale gesto avrebbe dato un
abbondante raccolto di grano.
Le Cudduredde, per fare fina alla carestia, furono divise a ruba.
Quell’anno
la terra diede tanta abbondanza di grano che non bastarono i granai a
contenerlo e ne fu anche conservato negli oratori delle Confraternite
che erano ricolmi a disposizione di tutti.
Le
Cudduredde sancirono una devozione che da allora e fino ai giorni nostri
viene praticata nella festa del Crocifisso come atto di ringraziamento
per la fine della terribile carestia.
Si
racconta inoltre che un giorno nel 1699 ad un massaro cadde una vitella
da un dirupo. Nella caduta l’animale riportò la frattura degli ossi
del collo.
Il
Massaro invocò la grazia del Crocifisso affinché la giovenca fosse
salvata e volle che il cappellano della chiesa di S. Cataldo lo
raggiungesse nel burrone, sotto la rupe di papardura per benedire
la giovenca agevolando così il compimento della grazia richiesta.
Il parroco andò e dopo la benedizione la giovenca da sola si rialzò
come se nulla fosse accaduto.
Per
la festa, il massaro, donò al Santuario una vitella per essere cucinata
e mangiata ai procuratori e dai pellegrini più poveri con l’obbligo
di inviare al parroco della Chiesa di S. Cataldo la testa e il collo
dell’animale sino all’attaccatura del corpo.
Nel
corso dei secoli e fino ai giorni nostri, il Santuario che è sotto la
giurisdizione della parrocchia Mater Ecclesiae, è stato ed è
amministrato da una deputazione di procuratori detta dei “Massari”
che ogni due anni elegge un presidente, un depositario, due consiglieri
e un segretario.
Chiesa
di San Leonardo Abate
La
chiesa di S. Leonardo abate, conosciuta come "A Chisa 'a
Passioni" risale al 1400 come si rileva dagli atti. L'interno ad
unica navata è molto semplice ed è costituito da un altare maggiore e
da quattro nicchie laterali; in esse si trovano i simulacri dei Santi
Cosma e Damiano, della Madonna del Giglio, di San Leonardo Abate e della
vergine di Fatima.
Nella
più importante è contenuto il simulacro dell'Ecce homo, fulcro
essenziale per la settimana Santa; in tale periodo è meta di
pellegrinaggio. Un campanile medievale sovrasta la struttura. Vi si
celebrano le festività dell'Ecce Homo (Domenica delle
Palme) e la festa della Madonna di Fatima (13 maggio).
Rocca
di Cerere
La
rocca di Cerere rappresenta insieme al Castello
di Lombardia e la Torre
di Federico uno dei simboli più rappresentativi della
città di Enna,
tappa d'obbligo per meglio capire perché qui nasce e si evolve la
storia millenaria del centro della Sicilia.
Il monte su cui si erge Enna è caratterizzato da tre emergenze rocciose
che dominano la città e per questo costituivano la parte centrale del
sistema difensivo della città. Su due di questi rilievi troviamo il
Castello di Lombardia e la Rocca di Cerere separati da un’insenatura
chiamata Contrada Santa Ninfa, nell'altra la terza fu
costruita (probabilmente dagli arabi) la torre ottagonale, riedificata
in seguito da Federico II di Svevia.
Nei
primi del Novecento la zona fu oggetto di studio e ricerca da parte
dell'archeologo siracusano Paolo Orsi, che eseguì alcuni scavi
nella valle e nei pressi della Rocca dove fu portata alla luce una tomba
a fossa di età ellenistica (III secolo a.C.), che posava su uno
strato archeologico datato all'antica età del
Bronzo (2300-1600 a.C.). Intorno agli anni Ottanta altre
esplorazioni confermarono la frequentazione dell'area in epoca
preistorica.
Sul
lato occidentale della rocca si trovano alcuni habitat rupestri, nelle
vicinanze dei quali si conservano i resti di due torri, parte del
sistema di fortificazione di età medievale collegato al castello. Sul
versante meridionale della Rocca si trovano poi diversi ipogei scavati
nella roccia con i resti di una cisterna a campana di età greca
(V- IV secolo a.C.) e, in un altro, di deposizioni funerarie
di età tardo-antica (111-V secolo d.C.). La mitologia latina narra
che Cerere, dea delle messi, abbia abitato le pendici di Enna e che
facesse dono ai mortali del pane, ricavato dalle spighe di grano. Gli
ennesi, volendo ringraziare la Dea per il nuovo alimento creato per
sfamarli, eressero in suo onore un tempio diventato famoso in tutta
la Magna Grecia, Cicerone, nelle sue Verrine ne
parla come del grandioso Santuario di Demetra.
Il
percorso verso il tempio era cadenzato da sacelli rupestri, statue di
divinità colossali e santuari satelliti. Testimonianze sulla
grandiosità del luogo suscitarono il vivo interesse dei viaggiatori
stranieri, che fra Sette e Ottocento suffragarono,
la presenza sulla Rocca di Cerere di un altare situato al centro della
sommità, raggiungibile percorrendo una rampa scavata nella roccia, oggi
non più esistente. Sempre secondo la mitologia latina, Cerere si
mostrò agli uomini sempre benigna e generosa, dispensatrice di ogni
bene, sino a quando Plutone, dio degli Inferi,
rapì Proserpina, diletta e unica figlia della Dea.
Fu
allora che Cerere volle vendicarsi di tutti gli uomini, incendiando e
rovinando puntualmente tutti i raccolti. Fu così, che per placare
l’ira della Dea, cominciarono i sacrifici che venivano compiuti sulla
roccia, la Rocca di Cerere appunto, dai sacerdoti che sacrificavano
animali pregando e sperando che il raccolto non fosse distrutto dall'ira
della dea.

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