Il nome
della città appare legato a quello del fiume Mela che, fino alla seconda
metà del Cinquecento, sfociava nel porto naturale e caratterizza tutta
l'idrologia della pianura alluvionale ai piedi del Monti
Peloritani. L'origine dell'idronimo è da ricercarsi nell'Accadico
“melu” o “milu”, col significato di “fiume che occasionalmente
esonda”. Analoga origine avrebbero “Mella” (fiume in provincia
di Brescia), “Melle” in prossimità di Oppido
Mamertina (RC), "Mili" (ME), e “Mala”, il nome ittita del
primo tratto dell'Eufrate.
“Mileto”
patria di Talete,
sommersa dalle piene del fiume Meandro, e “Mileto” (RC) in prossimità
del fiume Mesima, avrebbero analoga origine. Ellenizzata dai greci di Zancle (Messina),
Milazzo fu abitata già prima a partire dal 4000
a.C. (età
neolitica). Mylae si rese indipendente da Zancle sino
al 550
a.C.
Nel 427
a.C., fu assediata dall'ateniese Lachete.
Dopo successive e numerose vicende che la videro contesa, la città fu
sottratta ai Mamertini,
nel 270
a.C., dal siracusano Gerone
II uscito vittorioso da una difficile battaglia combattuta nei
“Campi Milesi”.
Nel 260
a.C. le acque di Mylae divennero nuovamente teatro di battaglie,
con lo scoppio della prima
guerra punica, in cui si verificò il trionfo navale di Caio
Duilio sull'armata dei Cartaginesi di Annibale
Barca. Ciò permise l'affermarsi dell'egemonia romana sul mare.
Nel 36
a.C. avvenne un'ulteriore battaglia decisiva, tra l'Imperatore
Ottaviano e Sesto
Pompeo. La città divenne importante base navale, tanto che l'Imperatore
romano concesse il riconoscimento civico con l'aquila e con il motto
“Aquila mari imposita– Sexto Pompeo superato”. Sotto il dominio dei Bizantini,
Milazzo fu una tra le prime sedi vescovili della Sicilia.

Con la sua
espugnazione avvenuta nell'843 da parte di Fadhl
Ibn Giafar, iniziò la dominazione
musulmana. Durante questo periodo fu messa a capo di una nuova
circoscrizione territoriale denominata "Vallo di Milazzo" e
divenne un florido centro agricolo e commerciale. È di questo periodo la
costruzione della grande torre del maschio, indicata come
"saracena" e l'introduzione della pesca del tonno che si svilupperà
nei secoli successivi con tecniche più moderne. Nell'888 un'incursione
navale da parte dei Bizantini si
concluse in modo fallimentare.
Nel 1101 fu occupata da Ruggero
I d'Altavilla o Il Normanno, fu incorporata nel demanio regio e
vide il potenziamento dell'importante Castello da parte di Federico
II di Svevia e di Alfonso
V d'Aragona, inserito fra i "castra exenta" sotto la diretta
giurisdizione reale. L'antico Vallo
di Milazzo assunse la denominazione di "Co
marca di Milazzo" con una potestà riservata ai magistrati civici,
militari e giudiziari che durò sino al XVIII secolo.
Nell'agosto
1268, al comando di Guido
Baccio da Pisa,
quaranta galee sbarcarono a Milazzo i partigiani di Corradino
di Svevia. Sconfitti gli angioini,
la città e il castello furono tenuti dai fedeli di Corradino sino
alla disfatta
di Tagliacozzo. Nella guerra
del Vespro del 1282 Milazzo venne alternativamente occupata dai due
sovrani contendenti Carlo
I d'Angiò e Pietro
d'Aragona.
Negli ultimi mesi del 1295 si tenne un’Assise del Real
Parlamento di Sicilia, allora itinerante, convocato da Federico
III d'Aragona, per valutare il tradimento del fratello Giacomo che si
era impegnato a cedere, dopo averne cacciato il fratello, l'intera isola a Carlo
I d'Angiò. Accresciuta d'importanza e nuovamente potenziata da
imponenti fortificazioni per opera degli spagnoli, ospitò più volte i Viceré e
i Luogotenenti di Sicilia.
Ebbe numerosi privilegi civili, militari ed economici grazie ai monarchi
spagnoli, ma già avuti in precedenza da Federico di Svevia, Federico
d'Aragona, Giacomo
II d'Aragona, Martino
II ed Alfonso
V.

Nel 1523 il
Viceré Ettore Pignatelli vi soffocò la congiura contro la corona
di Spagna promossa dai fratelli Imperatore; nel 1539 vi ritrovò
rifugio il viceré Ferdinando
Gonzaga dalla rivolta popolare di Messina.
Vanamente assalita nel luglio 1544 dall'armata barbaresca di Hajreddin
Barbarossa, nell'agosto 1571 fu scelta da Don
Giovanni d'Austria quale centro di raduno e d'imbarco del
contingente siculo-spagnolo aggregato all'armata cristiana alla fonda a
Messina e prossima a conseguire la vittoria sui turchi ottomani nella battaglia
di Lepanto.
Nella guerra franco-spagnola seguita alla Rivolta
antispagnola di Messina (1674-1678), Milazzo rimase a sostenere gli
spagnoli. Gli ultimi guizzi del dominio spagnolo si esaurirono nel 1713
quando, la sovranità della Sicilia passò a Vittorio
Amedeo II di Savoia.
Nel 1718-1719 si esaurì nel duro e vano assedio di
Milazzo - difesa degli austro-piemontesi - il piano
del Viceré spagnolo Marchese di Lede di riconquistare la Sicilia.
Durante tale assedio gravi furono i danneggiamenti o le distruzioni del
patrimonio storico e monumentale della città.
Nelle guerre
napoleoniche gli Inglesi la fecero loro piazza d'armi, e base del
sistema difensivo ed offensivo britannico nell'isola. Durante i moti
risorgimentali del 1848 Milazzo fu al centro degli avvenimenti
legati all'assedio e all'eroica difesa di Messina.
Il 20 luglio 1860, Giuseppe
Garibaldi, coronando con la cruenta battaglia campale vinta sui Borbone,
pose i presupposti per la liberazione di tutta l'Italia
meridionale e per il compimento dell'unità nazionale. Con
l'avvento del Regno
d'Italia, la città perse la sua importanza strategica - militare e il
Castello nel 1880, su ordine nazionale, venne declassato da piazzaforte
reale a carcere giudiziario.
Nella prima
guerra mondiale, Milazzo, divenne campo di prigionia per i militari
austro-ungarici, mentre nel periodo
fascista luogo di detenzione politica.
Durante la seconda
guerra mondiale, la città subì massicci e cruenti bombardamenti;
numerosi edifici furono rasi al suolo. Assieme a Catania, Augusta e Palermo,
fu anche individuata quale zona da sbarco nel piano inglese d'invasione
della Sicilia, denominato "Whipcord", che doveva effettuarsi il 9
dicembre 1941 ma annullato il 30 ottobre 1941.
Nel luglio 1943, quando
l'invasione attuata con lo sbarco
in Sicilia era in pieno svolgimento, il porto di Milazzo venne
potenziato notevolmente nelle sue difese quale importante centro marittimo,
ferroviario e militare. Il 14 agosto 1943 le truppe del 15º gruppo tattico
reggimentale della III divisione di fanteria americana occuparono Milazzo a
seguito del disimpegno del 71º reggimento di fanteria tedesca appartenente
alla 29ª divisione Panzergrenadier.
Il 3 giugno
1993, Milazzo fu teatro di una tragedia
avvenuta nella raffineria del paese. Un'esplosione all'interno
dell'impianto "Topping 4" causò la morte di sette operai.
- Duomo
antico
-
Secondo le
fonti la sua costruzione fu iniziata nel 1607 e nel 1617 entrò in funzione.
Nel 1860 il tempio fu profanato a seguito dei noti fatti bellici e iniziò
una lenta decadenza accompagnata da spoliazioni e ruberie. Soltanto di
recente l’edificio, ridotto alla nuda struttura architettonica con pochi
ricordi del prezioso patrimonio artistico e decorativo, è stato oggetto di
interventi di recupero.
Ignoto
rimane il progettista della chiesa. La costruzione fu, sicuramente,
condizionata dallo stato dei luoghi e, soprattutto, dalle esigenze dei
militari: essa sorge, infatti, all’ingresso della cittadella, a ridosso
della porta di S. Maria. Limiti rigorosi alla progettazione dovettero essere
imposti per non disturbare il tiro dei cannoni, e la particolare forma della
cupola, priva di tamburo e allungata, è dovuta alla necessità di non
intercettare, con effetti rovinosi, le cannonate che potevano provenire dal
soprastante castello.
La
difficoltà di realizzare l’edificio religioso a ridosso delle
fortificazioni fu risolta con l’adozione della pianta a croce greca e il
sacrificio parziale della cupola. Comunque aggiunte e ripensamenti
sopravvennero in corso d’opera. Coppie di paraste abbinate definiscono la
facciata a due ordini divisi in senso orizzontale da un’elegante cornice:
le paraste del primo ordine, dai ricchi capitelli corinzi, inquadrano la
bella porta ad arco con semicolonne corinzie che reggono un attico, spezzato
per fare posto all’edicola con una Madonna col bambino rinascimentale. Ai
lati sono posati due angeli di fattura manieristica. Il secondo ordine
ripete le forme del primo, semplificandole: al centro si apre un finestrone
rettangolare affiancato da uno zodiaco e da una meridiana; le paraste
abbinate hanno semplici capitelli.
La cella
campanaria è crollata agli inizi del Novecento. Sulla mole della chiesa
poggia la cupola con quattro finestre rotonde, il cui interno presenta una
decorazione a spicchi su falso tamburo dipinto per ovviare
all’inconveniente esterno.
All’interno
il tempio è provvisto di un atrio che immette nel grande vano quadrato,
diviso da potenti archi su pilastri corinzi, formando quattro cappelle
angolari. Sulla destra, nella cappellina a cupola, restano pochi elementi di
un altare marmoreo intarsiato. Segue il grande altare del Crocifisso. Di
fronte invece è il vano rettangolare del coro che dà l’illusione di un
organismo a croce latina; è completamente vuoto: l’altare intarsiato è
stato, infatti, trasferito in S. Giacomo.
Ai lati
sono due profonde absidi semicircolari. Sul lato sinistro si trova
l’altare di S. Stefano che conserva la bella edicola intarsiata su colonne
in marmo grigio con capitelli corinzi, angioletti sul coronamento e il
paliotto intarsiato a girali che presenta uno scudo centrale con la figura
del Protomartire. Sulla parete di fondo affiorano resti di un dipinto a
tempera, precedente all’attuale sistemazione, con la Maddalena ai piedi di
Gesù.
L’altare
dell’abside di sinistra , dedicato al SS. Sacramento, è parzialmente
distrutto. Due scale a chiocciola, ricavate nel potente spessore dei muri,
ai lati della porta maggiore, conducono alla cella campanaria.
Una cripta
con sedili entro nicchie si trova sotto il coro e sepolture sono distribuite
sotto tutta la chiesa.
- Duomo di
Santo Stefano
Progettato
dall’architetto Francesco Valenti, la cui pianificazione venne in parte
modificata dagli ingegneri Mario Pagano e Giovanni Crinò, il Duomo venne
costruito su un’area ricavata dall’abbattimento del settecentesco Teatro
Comunale e della seicentesca Chiesa dell’Addolorata in sostituzione del
vecchio, il quale era stato chiuso al culto perché gravemente danneggiato
durante la sanguinosa battaglia del 20 luglio 1860 tra le truppe borboniche
e garibaldine.
Venne
inaugurato il 27 dicembre 1953 da Mons. Giudo Tonetti, Arcivescovo
coadiutore di Messina, che lo consacrò dedicandolo a Santo Stefano
Protomartire Patrono Principale della “Città Nobilissima”. Il culto di
questo Santo risale al 1481 quando alcuni preti Caldei di fede ortodossa,
traducendo una vecchia pergamena con caratteri orientali, svelarono come le
ossa di un braccio rinvenute venti anni prima dentro l’altare della
chiesetta bizantina di S. Maria del Boschetto appartenessero al Protomartire
e vi fossero state deposte in età medievale. Il popolo ed il clero di
Milazzo ottennero il consenso di venerare queste reliquie, così nel 1521
posero S. Stefano quale nuovo Protettore della città. La festività venne
fissata alla prima domenica di agosto per celebrare il 3 agosto 1461, giorno
della invenzione del Santo Braccio.
L’edificio
si presenta tripartito con le navate laterali suddivise da cinque arcate.
Sulla navata di destra è presente una grande pala d’altare di S. Andrea e
S. Pietro (1800), mentre l’altare di S. Giovanni Bosco precede la sezione
del transetto con al centro l’altare del Sacro Cuore di Gesù (1956) con
statua settecentesca in cartapesta.
Ai lati
dell’altare ci sono due tele di Scipione Manni: L’Adorazione dei Magi
(1755) e il Martirio di S. Sebastiano (1753). Sulla parete frontale troviamo
il Crocefisso in legno e stucco di autore ignoto, ridipinto nel 1961.
Nella
navata di sinistra è collocato un bassorilievo litico della Madonna col
Bambino di scuola fiorentina, l’acquasantiera invece è un’opera
gaginesca scolpita per la rinascimentale Chiesa dell’Annunziata al
Castello. Subito dopo troviamo la tavola della Natività, o Adorazione dei
Pastori, datata al 1573 e ancora l’altare dedicato a S. Rita (1964) che
accoglie la statua della Santa (1932). Segue il quadro dedicato al Martirio
di S. Stefano (1729) del messinese Letterio Paladino.
L’attiguo
altare, dedicato al Cuore Immacolato di Maria, è del 1957. Troviamo poi la
tela dei SS. Martiri Milazzesi (vittime, tra il 251 e il 257, della
persecuzione operata da Tertullo, governatore di Sicilia, su editto
dell’Imperatore Decio), opera di ignoto, commissionata nel 1622 dai
Giurati per il Duomo antico. Altre due opere di Scipione Manni sono presenti
all’interno della Chiesa Madre: nella parete frontale del transetto una
tela, la Madonna del Lume (1754), e il Velario Pasquale, utilizzato in
occasione della Settimana Santa.
Il fonte
battesimale rinascimentale proviene dal Duomo Antico, mentre l’altare
maggiore è un’opera neoclassica del tardo Settecento. Tra il 1991 ed il
1992 è stata realizzata la retrostante struttura atta ad ospitare la statua
di S. Stefano, realizzata nel 1784 dallo scultore Filippo Quattrocchi Romano
e ai cui lati sono poste due tavole di Antonello de Saliba datate 1531: S.
Pietro e S. Paolo.
Nel
presbiterio sono presenti altre tre opere di questo artista, al centro la
Natività e ai lati due piccoli dipinti rappresentanti S. Rocco e S.
Tommaso. In alto l’Annunciazione, attribuita al pittore messinese Antonio
Giuffrè così come, sul lato opposto, il S. Nicola in trono e storie della
sua vita (1485).
Nel tetto,
a cassettoni policromi e decorati, sono due affreschi che raffigurano
episodi della vita di S. Stefano Protomartire. Gli otto medaglioni sulle due
pareti della navata centrale raffigurano: S. Stefano, S. Francesco da Paola,
i Santi Martiri Milazzesi, il milazzese S. Leone II Papa, S. Gaetano, S.
Antonio da Padova, il Beato Annibale Maria di Francia e S. Eustochia
Smeralda Calafato.
La
sacrestia è arredata con mobili settecenteschi, mentre il campanile è
caratterizzato da cinque campane, quattro delle quali provengono dal Duomo
Antico. Il Tesoro è composto da un ostensorio in argento dorato del 1500,
donato probabilmente da un prelato inglese al tempo di Enrico VIII Tudor,
dal reliquiario del Braccio di S. Stefano in argento e argento dorato del
1688, da un altro reliquiario in argento con il legno della Santa Croce, da
due Corone in argento sbalzato del XVII secolo e dalla raggiera in argento
che adorna, nella solennità, il capo di S. Stefano.
La
statua di Santo Stefano - Nella
chiesetta di Santa Maria del Boschetto (contrada Parco) venne rinvenuta,
oltre cinque secoli fa, una cassetta di piombo nella quale vi era una
reliquia ed una antica pergamena scritta con caratteri non saputi decifrare.
Nell’anno
1481, come ha raccontato nel suo “Milazzo sacro” (1696) Padre Francesco
Perdichizzi, cappuccino, e nella trascrizione che l’ing. Domenico Ryolo
fece della copia redatta nell’800 da Giuseppe Piaggia, “passando per
Milazzo alcuni Preti Caldei e leggendo lo scritto lo trovarono proprio loro
linguaggio e riferirono che fra queste reliquie vi era il braccio di S.
Stefano Protomartire.”
“Non
diedero i Milazzesi a quei preti piena fede, ma ricorrendo all’arcivescovo
s’addossò questi la cura di far migliore diligenza con far di nuovo
riconoscere la scrittura.”
Fu infine
riconosciuta la traduzione dei preti Caldei prima del 1521 e da allora si
ripose la reliquia nella Chiesa Maggiore e si incominciò a festeggiare con
speciale devozione il Santo Protomartire.
Chiesa
di San Rocco
Innalzata
nel 1575, in seguito al voto fatto dalla città nel corso di una lunga
pestilenza, è cinta su tre lati da una merlatura ghibellina ed addossata ai
resti della cinta muraria del 1292 di Giacomo d'Aragona. Apparteneva ad una
confraternita di marinai della Marina Mercantile.
La chiesa
è a navata unica con abside semicircolare coperta da cupoletta,
secondo una diffusa tipologia rinascimentale.
Esternamente
si caratterizza per uno stile architettonico medioevale originale, vista la
caratteristica merlatura a coda di rondine che la corona.
Al suo
interno, al quale si accede attraverso un pronao, è da ricordare il
settecentesco altare ligneo sul quale si trova la statua policroma del tardo
Cinquecento di San Rocco e ai cui lati erano collocate due tele, San Giacomo
e L'Addolorata, rubate nel 1987 così come altre opere.
Da
ricordare anche un monumento marmoreo di un marinaio della Marina Mercantile
risalente al 1876.
Nel luglio
del 1743 questa chiesa fu protagonista di un evento prodigioso: durante la
processione della Madonna del Carmine, mentre a Messina vi era una
pestilenza, all'altezza di san Rocco, si aprirono le porte della chiesa e la
figura del Santo benedicente si stagliò sopra la cupola come segno di
protezione per la città.

Chiesa
dell'Immacolata
Venne
edificata nel 1640 su iniziativa della Congregazione della Concezione che
aveva sede nella vicina chiesa di San Leonardo, ormai distrutta.
Tra il 1889
e il 1892 fu ingrandita ed, annesso, vi sorse il nuovo Convento dei Padri
Cappuccini, mentre nel 1935 venne costruito il campanile.
La chiesa,
a navata unica, ha al suo interno soltanto due paliotti marmorei intarsiati,
risalenti al Settecento, le statue policrome dell'Immacolata e di
Sant'Antonio da Padova e due dipinti ovali del Settecento raffiguranti
Sant'Anna e San Gioacchino con Maria bambina.
Un
interessante presepe, opera di Luigi Maniscalco, è sistemato in un vano
nella parete sinistra.
Nel
monastero, in stile neogotico, si conserva una statuetta settecentesca in
alabastro dell'Immacolata.
- Santuario
San Francesco di Paola
Venne
costruito dallo stesso Santo nel sito di un’antica chiesetta di S. Biagio
dei Ragusei, durante la sua dimora a Milazzo a partire dal Gennaio del 1465
e dedicato a Gesù
e Maria. L’attuale prospetto è il risultato di
ristrutturazioni successive, soprattutto in seguito all’assedio del 1718.
La
facciata, in pietra rosata di Siracusa, è di stile barocco e due colonne
con capitelli corinzi sostengono la balconata in ferro battuto. Sulla sommità
di essa un grande stemma Charitas
con raggi. Ai lati si aprono finestre dai fantasiosi ornati rococò. Fu
radicalmente restaurata nel XVIII secolo con una scenografica scalinata dove
troviamo la statua di S.
Francesco di Paola, realizzata nel 1760. Il convento, adiacente
al santuario, è stato in parte adibito a scuola, negli anni passati, e, in
parte, ancora oggi, alla sede dei Carabinieri. L’ingesso nord (verso il
Castello) è del 1600 con decorazioni del 1700; quello verso est (a Levante)
immette nel piano terra del chiostro, antico quanto la chiesa.
L’edificio
interno è ad ampia navata unica, con abside semicircolare e dodici finestre
istoriate che lo illuminano. A destra dell’ingresso principale è la Cappella
del Crocefisso che vede riposare il corpo imbalsamato della Beata
Candida, vergine milazzese discepola di S. Francesco da Paola,
morta in fama di santità nel 1470. Il primo altare di destra è dedicato a
tre Sante Siciliane Martiri: Lucia,
Agata e Apollonia. Segue l’altare dedicato a S. Biagio Vescovo
Martire con un quadro ad olio del 1924.
I due
altari di sinistra invece vedono il primo caratterizzato da una pala
d’altare centinata del ‘700 che raffigura S.
Francesco Saverio con la Madonna, S.
Onofrio e S.
Giovanni Nepomuceno, il secondo una Cappella dedicata a Gesù
e Maria interamente rivestita da decorazione rococò di legno
intagliato e dorato su specchi che ha, al suo interno, una nicchia nella
quale è collocata una piccola scultura in alabastro della Madonna
con Bambino. A essi si alternano riquadri marmorei contenenti
sei tele raffiguranti episodi della vita del Santo.
L’altare
maggiore, commissionato nel 1751 dal Barone Paolo Lucifero (il cui stemma
gentilizio è posto ai due estremi dell’altare), è ornato da due sculture
marmoree allegoriche: la Speranza
e la Fede.
La nicchia
superiore, che racchiude l’effige di S. Francesco, è opera del 1916 di
Gaetano Recupero ed occupa il posto del dipinto del Santo, andato distrutto
nell’incendio del 10 maggio 1908, dove andarono perdute anche alte opere
che arricchivano il santuario. I quattordici stalli del coro in noce che
avvolge l’altare maggiore rimontano al 1759-60. Imponente la cantoria,
realizzata nel 1760, entro la quale trova posto l’organo e sovrastata
dalla famosa trave
del miracolo.
La
sacrestia custodisce un bellissimo mobile barocco in noce del 1693, un
lavabo in marmi policromi di elegante fattura e un Crocefisso in legno del
Seicento. Nel tesoro del santuario: un reliquiario del 1772 con la
Berrettella del Santo, donata nel 1518 dal francese Padre Francesco Cerdonis,
V Generale dei Minimi; un reliquiario con un brano del mantello di S.
Francesco (XVIII secolo); calici, ostensorio ed incensiere della stessa
fattura; cinque paliotti ricamati in oro e pianete del Seicento e del
Settecento e due Crocifissi in legno. Importanti anche i numerosi monumenti
sepolcrali alle pareti e la cripta con altare a stucco dove furono riposte
le spoglie di Padre Francesco Cerdonis (1518), prima citato, e di Angela
Leonte (1559), vergine Terziaria morta in fama di santità.
Da
ricordare il convento attiguo che diede ospitalità ad eminenti personaggi
tra cui il Vicerè Ettore Pignatelli (primi anni Venti del ‘500), il
Principe Emanuele Filiberto di Savoia, il Vicerè Filippo II di Spagna
(1622) e, nel 1678, Ludovico Fernandez Portocarrero, Cardinale, Arcivescovo
di Toledo; in una delle stanze a piano terra del già citato convento è
stato rinvenuto, negli anni Trenta del secolo scorso, un importante mosaico
di epoca ellenistico – romana (II sec. a.C.), testimonianza
dell’esistenza in quella zona di un edificio pubblico o di una villa
patrizia di un certo pregio.
L’edificio
odierno è il frutto di una serie di ristrutturazioni attuate a partire dal
1718, a seguito dell’assedio spagnolo. Nel 1765, invece, fu chiuso
l’antico ingresso principale, a Ovest, e venne costruita la monumentale
facciata a Est. Un tempo, sul colle San Biagio, area su cui sorge appunto il
Santuario, esisteva una chiesa medievale che venne poi demolita per far
spazio alla nuova costruzione. Secondo la
tradizione, il Santuario fu fondato e costruito ad opera dello stesso S.
Francesco intorno al 1464-1467. In realtà, è più probabile che la
fondazione sia avvenuta qualche anno più tardi, tra il 1479 e il 1482, poco
prima della partenza del Santo di Paola alla volta della Francia.
- Chiesa del
Rosario

I
lavori per la sua edificazione iniziarono nel 1538 dopo aver abbattuto la
quattrocentesca Chiesa di S. Leonardo. Chiesa e convento subirono importanti
modifiche nell’avanzato Settecento.
Nella
semplice facciata si erge il portale, che poggia su due semicolonne con
capitelli corinzi. In alto si apriva un grande oculo poi sostituito, nel
1705, da un’elegante finestra rettangolare.
Il
campanile a vela è sistemato sul retro. L’interno ha un impianto
rinascimentale a tre navate con cinque archi a tutto sesto che poggiano su
colonne, con abside quadrangolare e senza transetto. Il soffitto di ciascuna
navata è ripartito in cinque crociere settecentesche.
Otto
gli altari distribuiti nelle due navate laterali. A destra, il primo è
dedicato a S. Vincenzo Ferreri (con statua policroma attribuita a Filippo
Quattrocchi); il secondo alla Madonna e Santi Domenicani (con tela
settecentesca attribuita a Filippo Jannelli); il terzo dedicato alla Madonna
coi Santi Caterina e Tommaso (con tela settecentesca); l’ultimo altare era
dedicato a S. Domenico con un paliotto ligneo dorato di particolare pregio;
all’ultima colonna è sistemato il pulpito ligneo con baldacchino retto da
colonnine di gusto già neoclassico.
Sulla
parete di fondo c’è una piccola vara lignea policroma ornata sulla quale
è posta l’effige di Gesù Bambino; in alto invece un dipinto di S.
Antonio da Padova. A sinistra: il sepolcro gentilizio in marmo e stucco
della famiglia di Nicola Cumbo precede il primo altare del Crocefisso con un
antico simulacro policromo e poveri marmi; segue l’altare ligneo del tardo
Seicento che raffigura la Gloria di S. Domenico; il terzo altare reca una
tela raffigurante S. Girolamo (1694); il quarto presenta una tela della
Madonna del Rosario, S. Domenico, S. Caterina, S. Vincenzo Ferreri e due
fedeli. I quindici quadretti ovali in bronzo riproducono i Misteri del
Rosario. Sul fronte della navata si trova la prestigiosa Custodia cappuccina
qui trasferita dall’antica Chiesa dei Cappuccini.
L’altare
maggiore, in marmo policromo e bassorilievi in bianco di Carrara, è di
stile neoclassico e fu eretto nel 1809 in sostituzione di un altare ligneo
del 1596. Infine un grande quadro sulla parete rappresenta Gesù che
guarisce un paralitico (1789), mentre nell’abside è collocato il dipinto
della Madonna dell’Itria o Odigitria. Il soffitto della navata centrale è
caratterizzato da affreschi del messinese Domenico Giordano, databili al
1789: Gloria di S. Domenico, S. Domenico che brucia i libri degli eretici,
S. Domenico con i Santi Pietro e Paolo.
Chiesa
del Santissimo Salvatore
Il
monastero fu fondato nel 1616 nella Città Murata, dove ne sopravvivono i
ruderi, e soltanto dopo il 1718 fu trasferito nel sito attuale, dove sorgeva
una chiesetta di S. Caterina d’Alessandria edificata nel 1622 al posto di
una chiesa di S. Sebastiano del 1348.
La chiesa
presenta caratteri rococò mentre la parte superstite del convento presenta
caratteri più rustici. Abolito il monastero, dopo l’Unità, lo stabile è
stato adibito nel 1923 a sede dell’orfanotrofio Regina Margherita. Nel
1959 un crollo ha travolto parte della volta della chiesa provocando seri
danni agli arredi artistici.
La chiesa
presenta una navata unica con abside semicircolare. Il prospetto, a ordine
unico, ha un aspetto verticale e la porta, sovrastata da un alto finestrone,
è raccordata da eleganti finestre ovali. Nella zona dell’attico
importante è la porta dal timpano spezzato, ornata da cherubini e motivi
floreali di gusto rococò, e completata dallo stemma dell’ordine e da una
nicchia con la statua di S. Benedetto. Un corpo laterale reggeva il
campanile a vela, ora demolito.
Sul fianco
settentrionale si apre una porta architravata settecentesca, adiacente a un
corpo aggiunto coevo. Al suo interno una grande aula con volta a tutto
centro lunettata. Alla parete dell’abside, privo dell’antico e ligneo
altare maggiore, l’Ascensione, di autore ignoto del XVIII secolo. Lo
fiancheggiavano quattro dipinti ovali con scene della vita di Gesù. Rimosse
anche due tele mistilinee: La fuga in Egitto e Madonna con S. Michele
Arcangelo. Sulla parete di sinistra i due altari erano sormontati da due
pale, Battesimo di Gesù e S. Benedetto, mentre a destra la Natività e S.
Scolastica.
Nel catino
absidale si conserva l’affresco della Maddalena che lava i piedi a Gesù
di Scipio Manni. All’altare maggiore rimane la Trasfigurazione entro
cornice riccamente scolpita e dorata. L’ambiente è avvolto da una
scenografica decorazione in stucco a motivi vegetali e puttini, animata da
grandi finestre che inondano di luce.
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