Milazzo (Borgo)
(Messina)
  
  

 

Il nome della città appare legato a quello del fiume Mela che, fino alla seconda metà del Cinquecento, sfociava nel porto naturale e caratterizza tutta l'idrologia della pianura alluvionale ai piedi del Monti Peloritani. L'origine dell'idronimo è da ricercarsi nell'Accadico “melu” o “milu”, col significato di “fiume che occasionalmente esonda”. Analoga origine avrebbero “Mella” (fiume in provincia di Brescia), “Melle” in prossimità di Oppido Mamertina (RC), "Mili" (ME), e “Mala”, il nome ittita del primo tratto dell'Eufrate. “Mileto” patria di Talete, sommersa dalle piene del fiume Meandro, e “Mileto” (RC) in prossimità del fiume Mesima, avrebbero analoga origine. Ellenizzata dai greci di Zancle (Messina), Milazzo fu abitata già prima a partire dal 4000 a.C. (età neolitica). Mylae si rese indipendente da Zancle sino al 550 a.C. 

Nel 427 a.C., fu assediata dall'ateniese Lachete. Dopo successive e numerose vicende che la videro contesa, la città fu sottratta ai Mamertini, nel 270 a.C., dal siracusano Gerone II uscito vittorioso da una difficile battaglia combattuta nei “Campi Milesi”.

Nel 260 a.C. le acque di Mylae divennero nuovamente teatro di battaglie, con lo scoppio della prima guerra punica, in cui si verificò il trionfo navale di Caio Duilio sull'armata dei Cartaginesi di Annibale Barca. Ciò permise l'affermarsi dell'egemonia romana sul mare. 

Nel 36 a.C. avvenne un'ulteriore battaglia decisiva, tra l'Imperatore Ottaviano e Sesto Pompeo. La città divenne importante base navale, tanto che l'Imperatore romano concesse il riconoscimento civico con l'aquila e con il motto “Aquila mari imposita– Sexto Pompeo superato”. Sotto il dominio dei Bizantini, Milazzo fu una tra le prime sedi vescovili della Sicilia.

Con la sua espugnazione avvenuta nell'843 da parte di Fadhl Ibn Giafar, iniziò la dominazione musulmana. Durante questo periodo fu messa a capo di una nuova circoscrizione territoriale denominata "Vallo di Milazzo" e divenne un florido centro agricolo e commerciale. È di questo periodo la costruzione della grande torre del maschio, indicata come "saracena" e l'introduzione della pesca del tonno che si svilupperà nei secoli successivi con tecniche più moderne. Nell'888 un'incursione navale da parte dei Bizantini si concluse in modo fallimentare. 

Nel 1101 fu occupata da Ruggero I d'Altavilla o Il Normanno, fu incorporata nel demanio regio e vide il potenziamento dell'importante Castello da parte di Federico II di Svevia e di Alfonso V d'Aragona, inserito fra i "castra exenta" sotto la diretta giurisdizione reale. L'antico Vallo di Milazzo assunse la denominazione di "Co marca di Milazzo" con una potestà riservata ai magistrati civici, militari e giudiziari che durò sino al XVIII secolo.

Nell'agosto 1268, al comando di Guido Baccio da Pisa, quaranta galee sbarcarono a Milazzo i partigiani di Corradino di Svevia. Sconfitti gli angioini, la città e il castello furono tenuti dai fedeli di Corradino sino alla disfatta di Tagliacozzo. Nella guerra del Vespro del 1282 Milazzo venne alternativamente occupata dai due sovrani contendenti Carlo I d'Angiò e Pietro d'Aragona. 

Negli ultimi mesi del 1295 si tenne un’Assise del Real Parlamento di Sicilia, allora itinerante, convocato da Federico III d'Aragona, per valutare il tradimento del fratello Giacomo che si era impegnato a cedere, dopo averne cacciato il fratello, l'intera isola a Carlo I d'Angiò. Accresciuta d'importanza e nuovamente potenziata da imponenti fortificazioni per opera degli spagnoli, ospitò più volte i Viceré e i Luogotenenti di Sicilia. Ebbe numerosi privilegi civili, militari ed economici grazie ai monarchi spagnoli, ma già avuti in precedenza da Federico di Svevia, Federico d'Aragona, Giacomo II d'Aragona, Martino II ed Alfonso V.

Nel 1523 il Viceré Ettore Pignatelli vi soffocò la congiura contro la corona di Spagna promossa dai fratelli Imperatore; nel 1539 vi ritrovò rifugio il viceré Ferdinando Gonzaga dalla rivolta popolare di Messina. Vanamente assalita nel luglio 1544 dall'armata barbaresca di Hajreddin Barbarossa, nell'agosto 1571 fu scelta da Don Giovanni d'Austria quale centro di raduno e d'imbarco del contingente siculo-spagnolo aggregato all'armata cristiana alla fonda a Messina e prossima a conseguire la vittoria sui turchi ottomani nella battaglia di Lepanto. 

Nella guerra franco-spagnola seguita alla Rivolta antispagnola di Messina (1674-1678), Milazzo rimase a sostenere gli spagnoli. Gli ultimi guizzi del dominio spagnolo si esaurirono nel 1713 quando, la sovranità della Sicilia passò a Vittorio Amedeo II di Savoia. 

Nel 1718-1719 si esaurì nel duro e vano assedio di Milazzo - difesa degli austro-piemontesi - il piano del Viceré spagnolo Marchese di Lede di riconquistare la Sicilia. Durante tale assedio gravi furono i danneggiamenti o le distruzioni del patrimonio storico e monumentale della città.

Nelle guerre napoleoniche gli Inglesi la fecero loro piazza d'armi, e base del sistema difensivo ed offensivo britannico nell'isola. Durante i moti risorgimentali del 1848 Milazzo fu al centro degli avvenimenti legati all'assedio e all'eroica difesa di Messina. 

Il 20 luglio 1860, Giuseppe Garibaldi, coronando con la cruenta battaglia campale vinta sui Borbone, pose i presupposti per la liberazione di tutta l'Italia meridionale e per il compimento dell'unità nazionale. Con l'avvento del Regno d'Italia, la città perse la sua importanza strategica - militare e il Castello nel 1880, su ordine nazionale, venne declassato da piazzaforte reale a carcere giudiziario.

Nella prima guerra mondiale, Milazzo, divenne campo di prigionia per i militari austro-ungarici, mentre nel periodo fascista luogo di detenzione politica

Durante la seconda guerra mondiale, la città subì massicci e cruenti bombardamenti; numerosi edifici furono rasi al suolo. Assieme a Catania, Augusta e Palermo, fu anche individuata quale zona da sbarco nel piano inglese d'invasione della Sicilia, denominato "Whipcord", che doveva effettuarsi il 9 dicembre 1941 ma annullato il 30 ottobre 1941. 

Nel luglio 1943, quando l'invasione attuata con lo sbarco in Sicilia era in pieno svolgimento, il porto di Milazzo venne potenziato notevolmente nelle sue difese quale importante centro marittimo, ferroviario e militare. Il 14 agosto 1943 le truppe del 15º gruppo tattico reggimentale della III divisione di fanteria americana occuparono Milazzo a seguito del disimpegno del 71º reggimento di fanteria tedesca appartenente alla 29ª divisione Panzergrenadier.

Il 3 giugno 1993, Milazzo fu teatro di una tragedia avvenuta nella raffineria del paese. Un'esplosione all'interno dell'impianto "Topping 4" causò la morte di sette operai.

Duomo antico
 

Secondo le fonti la sua costruzione fu iniziata nel 1607 e nel 1617 entrò in funzione. Nel 1860 il tempio fu profanato a seguito dei noti fatti bellici e iniziò una lenta decadenza accompagnata da spoliazioni e ruberie. Soltanto di recente l’edificio, ridotto alla nuda struttura architettonica con pochi ricordi del prezioso patrimonio artistico e decorativo, è stato oggetto di interventi di recupero.

Ignoto rimane il progettista della chiesa. La costruzione fu, sicuramente, condizionata dallo stato dei luoghi e, soprattutto, dalle esigenze dei militari: essa sorge, infatti, all’ingresso della cittadella, a ridosso della porta di S. Maria. Limiti rigorosi alla progettazione dovettero essere imposti per non disturbare il tiro dei cannoni, e la particolare forma della cupola, priva di tamburo e allungata, è dovuta alla necessità di non intercettare, con effetti rovinosi, le cannonate che potevano provenire dal soprastante castello. 

La difficoltà di realizzare l’edificio religioso a ridosso delle fortificazioni fu risolta con l’adozione della pianta a croce greca e il sacrificio parziale della cupola. Comunque aggiunte e ripensamenti sopravvennero in corso d’opera. Coppie di paraste abbinate definiscono la facciata a due ordini divisi in senso orizzontale da un’elegante cornice: le paraste del primo ordine, dai ricchi capitelli corinzi, inquadrano la bella porta ad arco con semicolonne corinzie che reggono un attico, spezzato per fare posto all’edicola con una Madonna col bambino rinascimentale. Ai lati sono posati due angeli di fattura manieristica. Il secondo ordine ripete le forme del primo, semplificandole: al centro si apre un finestrone rettangolare affiancato da uno zodiaco e da una meridiana; le paraste abbinate hanno semplici capitelli. 

La cella campanaria è crollata agli inizi del Novecento. Sulla mole della chiesa poggia la cupola con quattro finestre rotonde, il cui interno presenta una decorazione a spicchi su falso tamburo dipinto per ovviare all’inconveniente esterno. 

All’interno il tempio è provvisto di un atrio che immette nel grande vano quadrato, diviso da potenti archi su pilastri corinzi, formando quattro cappelle angolari. Sulla destra, nella cappellina a cupola, restano pochi elementi di un altare marmoreo intarsiato. Segue il grande altare del Crocifisso. Di fronte invece è il vano rettangolare del coro che dà l’illusione di un organismo a croce latina; è completamente vuoto: l’altare intarsiato è stato, infatti, trasferito in S. Giacomo. 

Ai lati sono due profonde absidi semicircolari. Sul lato sinistro si trova l’altare di S. Stefano che conserva la bella edicola intarsiata su colonne in marmo grigio con capitelli corinzi, angioletti sul coronamento e il paliotto intarsiato a girali che presenta uno scudo centrale con la figura del Protomartire. Sulla parete di fondo affiorano resti di un dipinto a tempera, precedente all’attuale sistemazione, con la Maddalena ai piedi di Gesù. 

L’altare dell’abside di sinistra , dedicato al SS. Sacramento, è parzialmente distrutto. Due scale a chiocciola, ricavate nel potente spessore dei muri, ai lati della porta maggiore, conducono alla cella campanaria. 

Una cripta con sedili entro nicchie si trova sotto il coro e sepolture sono distribuite sotto tutta la chiesa.

Duomo di Santo Stefano

Progettato dall’architetto Francesco Valenti, la cui pianificazione venne in parte modificata dagli ingegneri Mario Pagano e Giovanni Crinò, il Duomo venne costruito su un’area ricavata dall’abbattimento del settecentesco Teatro Comunale e della seicentesca Chiesa dell’Addolorata in sostituzione del vecchio, il quale era stato chiuso al culto perché gravemente danneggiato durante la sanguinosa battaglia del 20 luglio 1860 tra le truppe borboniche e garibaldine.

Venne inaugurato il 27 dicembre 1953 da Mons. Giudo Tonetti, Arcivescovo coadiutore di Messina, che lo consacrò dedicandolo a Santo Stefano Protomartire Patrono Principale della “Città Nobilissima”. Il culto di questo Santo risale al 1481 quando alcuni preti Caldei di fede ortodossa, traducendo una vecchia pergamena con caratteri orientali, svelarono come le ossa di un braccio rinvenute venti anni prima dentro l’altare della chiesetta bizantina di S. Maria del Boschetto appartenessero al Protomartire e vi fossero state deposte in età medievale. Il popolo ed il clero di Milazzo ottennero il consenso di venerare queste reliquie, così nel 1521 posero S. Stefano quale nuovo Protettore della città. La festività venne fissata alla prima domenica di agosto per celebrare il 3 agosto 1461, giorno della invenzione del Santo Braccio.

L’edificio si presenta tripartito con le navate laterali suddivise da cinque arcate. Sulla navata di destra è presente una grande pala d’altare di S. Andrea e S. Pietro (1800), mentre l’altare di S. Giovanni Bosco precede la sezione del transetto con al centro l’altare del Sacro Cuore di Gesù (1956) con statua settecentesca in cartapesta. 

Ai lati dell’altare ci sono due tele di Scipione Manni: L’Adorazione dei Magi (1755) e il Martirio di S. Sebastiano (1753). Sulla parete frontale troviamo il Crocefisso in legno e stucco di autore ignoto, ridipinto nel 1961. 

Nella navata di sinistra è collocato un bassorilievo litico della Madonna col Bambino di scuola fiorentina, l’acquasantiera invece è un’opera gaginesca scolpita per la rinascimentale Chiesa dell’Annunziata al Castello. Subito dopo troviamo la tavola della Natività, o Adorazione dei Pastori, datata al 1573 e ancora l’altare dedicato a S. Rita (1964) che accoglie la statua della Santa (1932). Segue il quadro dedicato al Martirio di S. Stefano (1729) del messinese Letterio Paladino. 

L’attiguo altare, dedicato al Cuore Immacolato di Maria, è del 1957. Troviamo poi la tela dei SS. Martiri Milazzesi (vittime, tra il 251 e il 257, della persecuzione operata da Tertullo, governatore di Sicilia, su editto dell’Imperatore Decio), opera di ignoto, commissionata nel 1622 dai Giurati per il Duomo antico. Altre due opere di Scipione Manni sono presenti all’interno della Chiesa Madre: nella parete frontale del transetto una tela, la Madonna del Lume (1754), e il Velario Pasquale, utilizzato in occasione della Settimana Santa. 

Il fonte battesimale rinascimentale proviene dal Duomo Antico, mentre l’altare maggiore è un’opera neoclassica del tardo Settecento. Tra il 1991 ed il 1992 è stata realizzata la retrostante struttura atta ad ospitare la statua di S. Stefano, realizzata nel 1784 dallo scultore Filippo Quattrocchi Romano e ai cui lati sono poste due tavole di Antonello de Saliba datate 1531: S. Pietro e S. Paolo. 

Nel presbiterio sono presenti altre tre opere di questo artista, al centro la Natività e ai lati due piccoli dipinti rappresentanti S. Rocco e S. Tommaso. In alto l’Annunciazione, attribuita al pittore messinese Antonio Giuffrè così come, sul lato opposto, il S. Nicola in trono e storie della sua vita (1485). 

Nel tetto, a cassettoni policromi e decorati, sono due affreschi che raffigurano episodi della vita di S. Stefano Protomartire. Gli otto medaglioni sulle due pareti della navata centrale raffigurano: S. Stefano, S. Francesco da Paola, i Santi Martiri Milazzesi, il milazzese S. Leone II Papa, S. Gaetano, S. Antonio da Padova, il Beato Annibale Maria di Francia e S. Eustochia Smeralda Calafato. 

La sacrestia è arredata con mobili settecenteschi, mentre il campanile è caratterizzato da cinque campane, quattro delle quali provengono dal Duomo Antico. Il Tesoro è composto da un ostensorio in argento dorato del 1500, donato probabilmente da un prelato inglese al tempo di Enrico VIII Tudor, dal reliquiario del Braccio di S. Stefano in argento e argento dorato del 1688, da un altro reliquiario in argento con il legno della Santa Croce, da due Corone in argento sbalzato del XVII secolo e dalla raggiera in argento che adorna, nella solennità, il capo di S. Stefano.

La statua di Santo Stefano - Nella chiesetta di Santa Maria del Boschetto (contrada Parco) venne rinvenuta, oltre cinque secoli fa, una cassetta di piombo nella quale vi era una reliquia ed una antica pergamena scritta con caratteri non saputi decifrare.

Nell’anno 1481, come ha raccontato nel suo “Milazzo sacro” (1696) Padre Francesco Perdichizzi, cappuccino, e nella trascrizione che l’ing. Domenico Ryolo fece della copia redatta nell’800 da Giuseppe Piaggia, “passando per Milazzo alcuni Preti Caldei e leggendo lo scritto lo trovarono proprio loro linguaggio e riferirono che fra queste reliquie vi era il braccio di S. Stefano Protomartire.”

“Non diedero i Milazzesi a quei preti piena fede, ma ricorrendo all’arcivescovo s’addossò questi la cura di far migliore diligenza con far di nuovo riconoscere la scrittura.”

Fu infine riconosciuta la traduzione dei preti Caldei prima del 1521 e da allora si ripose la reliquia nella Chiesa Maggiore e si incominciò a festeggiare con speciale devozione il Santo Protomartire.

Chiesa di San Rocco

Innalzata nel 1575, in seguito al voto fatto dalla città nel corso di una lunga pestilenza, è cinta su tre lati da una merlatura ghibellina ed addossata ai resti della cinta muraria del 1292 di Giacomo d'Aragona. Apparteneva ad una confraternita di marinai della Marina Mercantile.

La chiesa è a navata  unica con abside semicircolare coperta da cupoletta, secondo una diffusa tipologia rinascimentale.

Esternamente si caratterizza per uno stile architettonico medioevale originale, vista la caratteristica merlatura a coda di rondine che la corona.

Al suo interno, al quale si accede attraverso un pronao, è da ricordare il settecentesco altare ligneo sul quale si trova la statua policroma del tardo Cinquecento di San Rocco e ai cui lati erano collocate due tele, San Giacomo e L'Addolorata, rubate nel 1987 così come altre opere.

Da ricordare anche un monumento marmoreo di un marinaio della Marina Mercantile risalente al 1876.

Nel luglio del 1743 questa chiesa fu protagonista di un evento prodigioso: durante la processione della Madonna del Carmine, mentre a Messina vi era una pestilenza, all'altezza di san Rocco, si aprirono le porte della chiesa e la figura del Santo benedicente si stagliò sopra la cupola come segno di protezione per la città.

Chiesa dell'Immacolata

Venne edificata nel 1640 su iniziativa della Congregazione della Concezione che aveva sede nella vicina chiesa di San Leonardo, ormai distrutta.

Tra il 1889 e il 1892 fu ingrandita ed, annesso, vi sorse il nuovo Convento dei Padri Cappuccini, mentre nel 1935 venne costruito il campanile.

La chiesa, a navata unica, ha al suo interno soltanto due paliotti marmorei intarsiati, risalenti al Settecento, le statue policrome dell'Immacolata e di Sant'Antonio da Padova e due dipinti ovali del Settecento raffiguranti Sant'Anna e San Gioacchino con Maria bambina.

Un interessante presepe, opera di Luigi Maniscalco, è sistemato in un vano nella parete sinistra.

Nel monastero, in stile neogotico, si conserva una statuetta settecentesca in alabastro dell'Immacolata.

Santuario San Francesco di Paola

Venne costruito dallo stesso Santo nel sito di un’antica chiesetta di S. Biagio dei Ragusei, durante la sua dimora a Milazzo a partire dal Gennaio del 1465 e dedicato a Gesù e Maria. L’attuale prospetto è il risultato di ristrutturazioni successive, soprattutto in seguito all’assedio del 1718.

La facciata, in pietra rosata di Siracusa, è di stile barocco e due colonne con capitelli corinzi sostengono la balconata in ferro battuto. Sulla sommità di essa un grande stemma Charitas con raggi. Ai lati si aprono finestre dai fantasiosi ornati rococò. Fu radicalmente restaurata nel XVIII secolo con una scenografica scalinata dove troviamo la statua di S. Francesco di Paola, realizzata nel 1760. Il convento, adiacente al santuario, è stato in parte adibito a scuola, negli anni passati, e, in parte, ancora oggi, alla sede dei Carabinieri. L’ingesso nord (verso il Castello) è del 1600 con decorazioni del 1700; quello verso est (a Levante) immette nel piano terra del chiostro, antico quanto la chiesa.

L’edificio interno è ad ampia navata unica, con abside semicircolare e dodici finestre istoriate che lo illuminano. A destra dell’ingresso principale è la Cappella del Crocefisso che vede riposare il corpo imbalsamato della Beata Candida, vergine milazzese discepola di S. Francesco da Paola, morta in fama di santità nel 1470. Il primo altare di destra è dedicato a tre Sante Siciliane Martiri: Lucia, Agata e Apollonia. Segue l’altare dedicato a S. Biagio Vescovo Martire con un quadro ad olio del 1924.

I due altari di sinistra invece vedono il primo caratterizzato da una pala d’altare centinata del ‘700 che raffigura S. Francesco Saverio con la Madonna, S. Onofrio e S. Giovanni Nepomuceno, il secondo una Cappella dedicata a Gesù e Maria interamente rivestita da decorazione rococò di legno intagliato e dorato su specchi che ha, al suo interno, una nicchia nella quale è collocata una piccola scultura in alabastro della Madonna con Bambino. A essi si alternano riquadri marmorei contenenti sei tele raffiguranti episodi della vita del Santo.

L’altare maggiore, commissionato nel 1751 dal Barone Paolo Lucifero (il cui stemma gentilizio è posto ai due estremi dell’altare), è ornato da due sculture marmoree allegoriche: la Speranza e la Fede.

La nicchia superiore, che racchiude l’effige di S. Francesco, è opera del 1916 di Gaetano Recupero ed occupa il posto del dipinto del Santo, andato distrutto nell’incendio del 10 maggio 1908, dove andarono perdute anche alte opere che arricchivano il santuario. I quattordici stalli del coro in noce che avvolge l’altare maggiore rimontano al 1759-60. Imponente la cantoria, realizzata nel 1760, entro la quale trova posto l’organo e sovrastata dalla famosa trave del miracolo.

La sacrestia custodisce un bellissimo mobile barocco in noce del 1693, un lavabo in marmi policromi di elegante fattura e un Crocefisso in legno del Seicento. Nel tesoro del santuario: un reliquiario del 1772 con la Berrettella del Santo, donata nel 1518 dal francese Padre Francesco Cerdonis, V Generale dei Minimi; un reliquiario con un brano del mantello di S. Francesco (XVIII secolo); calici, ostensorio ed incensiere della stessa fattura; cinque paliotti ricamati in oro e pianete del Seicento e del Settecento e due Crocifissi in legno. Importanti anche i numerosi monumenti sepolcrali alle pareti e la cripta con altare a stucco dove furono riposte le spoglie di Padre Francesco Cerdonis (1518), prima citato, e di Angela Leonte (1559), vergine Terziaria morta in fama di santità.

Da ricordare il convento attiguo che diede ospitalità ad eminenti personaggi tra cui il Vicerè Ettore Pignatelli (primi anni Venti del ‘500), il Principe Emanuele Filiberto di Savoia, il Vicerè Filippo II di Spagna (1622) e, nel 1678, Ludovico Fernandez Portocarrero, Cardinale, Arcivescovo di Toledo; in una delle stanze a piano terra del già citato convento è stato rinvenuto, negli anni Trenta del secolo scorso, un importante mosaico di epoca ellenistico – romana (II sec. a.C.), testimonianza dell’esistenza in quella zona di un edificio pubblico o di una villa patrizia di un certo pregio.  

L’edificio odierno è il frutto di una serie di ristrutturazioni attuate a partire dal 1718, a seguito dell’assedio spagnolo. Nel 1765, invece, fu chiuso l’antico ingresso principale, a Ovest, e venne costruita la monumentale facciata a Est. Un tempo, sul colle San Biagio, area su cui sorge appunto il Santuario, esisteva una chiesa medievale che venne poi demolita per far spazio alla nuova costruzione. Secondo la tradizione, il Santuario fu fondato e costruito ad opera dello stesso S. Francesco intorno al 1464-1467. In realtà, è più probabile che la fondazione sia avvenuta qualche anno più tardi, tra il 1479 e il 1482, poco prima della partenza del Santo di Paola alla volta della Francia.

Chiesa del Rosario

I lavori per la sua edificazione iniziarono nel 1538 dopo aver abbattuto la quattrocentesca Chiesa di S. Leonardo. Chiesa e convento subirono importanti modifiche nell’avanzato Settecento. 

Nella semplice facciata si erge il portale, che poggia su due semicolonne con capitelli corinzi. In alto si apriva un grande oculo poi sostituito, nel 1705, da un’elegante finestra rettangolare. 

Il campanile a vela è sistemato sul retro. L’interno ha un impianto rinascimentale a tre navate con cinque archi a tutto sesto che poggiano su colonne, con abside quadrangolare e senza transetto. Il soffitto di ciascuna navata è ripartito in cinque crociere settecentesche. 

Otto gli altari distribuiti nelle due navate laterali. A destra, il primo è dedicato a S. Vincenzo Ferreri (con statua policroma attribuita a Filippo Quattrocchi); il secondo alla Madonna e Santi Domenicani (con tela settecentesca attribuita a Filippo Jannelli); il terzo dedicato alla Madonna coi Santi Caterina e Tommaso (con tela settecentesca); l’ultimo altare era dedicato a S. Domenico con un paliotto ligneo dorato di particolare pregio; all’ultima colonna è sistemato il pulpito ligneo con baldacchino retto da colonnine di gusto già neoclassico. 

Sulla parete di fondo c’è una piccola vara lignea policroma ornata sulla quale è posta l’effige di Gesù Bambino; in alto invece un dipinto di S. Antonio da Padova. A sinistra: il sepolcro gentilizio in marmo e stucco della famiglia di Nicola Cumbo precede il primo altare del Crocefisso con un antico simulacro policromo e poveri marmi; segue l’altare ligneo del tardo Seicento che raffigura la Gloria di S. Domenico; il terzo altare reca una tela raffigurante S. Girolamo (1694); il quarto presenta una tela della Madonna del Rosario, S. Domenico, S. Caterina, S. Vincenzo Ferreri e due fedeli. I quindici quadretti ovali in bronzo riproducono i Misteri del Rosario. Sul fronte della navata si trova la prestigiosa Custodia cappuccina qui trasferita dall’antica Chiesa dei Cappuccini. 

L’altare maggiore, in marmo policromo e bassorilievi in bianco di Carrara, è di stile neoclassico e fu eretto nel 1809 in sostituzione di un altare ligneo del 1596. Infine un grande quadro sulla parete rappresenta Gesù che guarisce un paralitico (1789), mentre nell’abside è collocato il dipinto della Madonna dell’Itria o Odigitria. Il soffitto della navata centrale è caratterizzato da affreschi del messinese Domenico Giordano, databili al 1789: Gloria di S. Domenico, S. Domenico che brucia i libri degli eretici, S. Domenico con i Santi Pietro e Paolo.

Chiesa del Santissimo Salvatore

Il monastero fu fondato nel 1616 nella Città Murata, dove ne sopravvivono i ruderi, e soltanto dopo il 1718 fu trasferito nel sito attuale, dove sorgeva una chiesetta di S. Caterina d’Alessandria edificata nel 1622 al posto di una chiesa di S. Sebastiano del 1348. 

La chiesa presenta caratteri rococò mentre la parte superstite del convento presenta caratteri più rustici. Abolito il monastero, dopo l’Unità, lo stabile è stato adibito nel 1923 a sede dell’orfanotrofio Regina Margherita. Nel 1959 un crollo ha travolto parte della volta della chiesa provocando seri danni agli arredi artistici. 

La chiesa presenta una navata unica con abside semicircolare. Il prospetto, a ordine unico, ha un aspetto verticale e la porta, sovrastata da un alto finestrone, è raccordata da eleganti finestre ovali. Nella zona dell’attico importante è la porta dal timpano spezzato, ornata da cherubini e motivi floreali di gusto rococò, e completata dallo stemma dell’ordine e da una nicchia con la statua di S. Benedetto. Un corpo laterale reggeva il campanile a vela, ora demolito. 

Sul fianco settentrionale si apre una porta architravata settecentesca, adiacente a un corpo aggiunto coevo. Al suo interno una grande aula con volta a tutto centro lunettata. Alla parete dell’abside, privo dell’antico e ligneo altare maggiore, l’Ascensione, di autore ignoto del XVIII secolo. Lo fiancheggiavano quattro dipinti ovali con scene della vita di Gesù. Rimosse anche due tele mistilinee: La fuga in Egitto e Madonna con S. Michele Arcangelo. Sulla parete di sinistra i due altari erano sormontati da due pale, Battesimo di Gesù e S. Benedetto, mentre a destra la Natività e S. Scolastica. 

Nel catino absidale si conserva l’affresco della Maddalena che lava i piedi a Gesù di Scipio Manni. All’altare maggiore rimane la Trasfigurazione entro cornice riccamente scolpita e dorata. L’ambiente è avvolto da una scenografica decorazione in stucco a motivi vegetali e puttini, animata da grandi finestre che inondano di luce.

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