Tindari (Borgo)
(Patti - Messina)

 

Su un promontorio che si affaccia sul mare a 230 metri di altitudine sorge Tindari, sede di uno dei santuari mariani più famosi di Sicilia e del quinto parco archeologico siciliano, istituito da pochissimo tempo.

L'odierna Tindari è una frazione di Patti e si trova in una posizione attigua all'antica area archeologica di Tyndaris, fondata nel 396 a.C. dal siracusano Dionisio il Vecchio, tiranno di Siracusa, dopo aver sconfitto i Cartaginesi. Il nome della città intendeva omaggiare il mitico Tindaro re di Sparta, padre putativo di Elena, Clitennestra, Castore e Polluce.

La città divenne subito un avamposto d'importanza strategica perché si affacciava direttamente sull'antica Mylae (Milazzo) e le isole Eolie, e il suo controllo era fondamentale per il monarca che voleva dominare lo Stretto di Messina e affermarsi nella Magna Grecia.

Tyndaris fu abitata dai Messeni provenienti dalla Laconia, regione del Peloponneso, arrivati in Sicilia in seguito alla guerra fra Sparta e Siracusa. I Messeni erano devotissimi ai Dioscuri Castore e Polluce, ma anche ad Hermes, Artemide, Zeus, Apollo, Poseidone e Dioniso e vivevano di pesca, caccia e agricoltura coltivando cereali, ulivi e vite.

La città servì fedelmente Siracusa e durante la prima guerra punica, nel 257 a.C., nelle sue acque si combatté una decisiva battaglia nella quale la flotta romana mise in fuga quella cartaginese. Successivamente passò nell'orbita romana insieme a Siracusa e nel 36 a.C., conquistata da Augusto e trasformata in una delle cinque colonie siciliane, la 'Colonia Augusta Tyndaritanorum', che fu citata da Marco Tullio Cicerone come una nobilissima civitas.

Nel I sec. d.C. cominciò un periodo buio di declino a causa di una grande frana che la danneggiò notevolmente e nel IV secolo fu soggetta a due distruttivi terremoti. Divenuta sede vescovile, fu conquistata dai bizantini nel 535 e dagli arabi che la distrussero nell'836. La tradizione tramanda che a queste catastrofi sopravvisse il santuario dedicato alla Madonna Nera di Tindari, che fu ingrandito nel 1979 perchè diventato incapace di accogliere i tanti pellegrini che qui arrivavano da ogni parte della Sicilia e non solo.

L'area archeologica racchiude i resti dell'antica città, organizzata secondo un ordinamento ortogonale impostato su tre decumani larghi fino a 8 metri in direzione est-ovest, intersecati dai cardines: oltre a resti delle mura di IV secolo a.C., poi restaurate nel III secolo d.C., spiccano il propileo monumentale, costruito dai Romani con grosse pietre arenarie, che fungeva da basilica per le pubbliche riunioni e da ginnasio per lo svolgimento di esercizi; l'Antiquarium, all'ingresso degli scavi, in cui sono esposti vari reperti, tra cui statue di personaggi togati e una statua dell'imperatore Augusto; i resti di due abitazioni a peristilio e delle terme cittadine; e, soprattutto, il celebre Teatro greco, risalente al IV secolo a.C. e poi riadattato in epoca romana per ospitare i giochi dei gladiatori, con la cavea scavata nella collina che poteva ospitare all'incirca 3000 spettatori.

Basilica papale minore o Santuario della Madonna del Tindari 

Il Santuario di Tindari, divenuto Basilica papale minore l'8 settembre 2018, si trova all'estremità orientale del promontorio, a strapiombo sul mare, in corrispondenza dell'antica acropoli, dove una piccola chiesa era stata costruita sui resti della città abbandonata.

L'edificio attuale identifica e ricopre l'area ove è documentata la primitiva fortezza o castello di Tindari. L'ipotesi dell'esistenza della fortezza o castello di Tindari è supportata dalla presenza di merli o coronature nei preesistenti edifici di culto che rafforzano la tesi di antiche chiese ricavate in primitivi edifici fortificati.

L'acropoli di Tindari occupa l'ampia parte sommitale costituita da un insieme di rocche tra loro raccordate. L'attuale area archeologica, l'antica colonia greca di Tyndaris, occupa la parte più pianeggiante sull'asse est - ovest costituita dalla "strada imperiale", esposta a settentrione e digradante in direzione Patti.

* 396 a.C., Tyndaris colonia greca è fondata dal tiranno di Siracusa Dionisio il Vecchio per i profughi spartani alla fine della guerra del Peloponneso 404 a.C. La colonia e la città, insediamento da stanziamento di Locresi, Messeni e Medmei al servizio di Aristotele, mercenari greci originariamente alleati dei Tiranni di Siracusa nascono come concessione del territorio a titolo di risarcimento per la mancata corresponsione dell'ingaggio dopo l'allontanamento forzato del loro condottiero. I nuovi coloni particolarmente devoti ai Dioscuri, Castore e Polluce, secondo la leggenda figli di Giove e di Leda, già moglie di Tindaro re di Sparta. Popolazioni altrimenti note come Tìndaridi, da qui la denominazione della colonia in Tìndaride e della città chiamata Tindari. I Dioscuri furono eletti protettori pagani della città, circostanza attestata dalle riproduzioni raffigurate su monete rinvenute durante gli scavi archeologici. Le accezioni Týndaris, Tindari, Tindaro, Tyndaritano furono dunque estese alla diocesi e associate al particolare, sentito, diffuso culto cristiano della Vergine Maria. Nucleo cittadino costituito da: cinta muraria della città; anfiteatro greco - romano; basilica; domus imperiali, abitazioni e negozi; terme; mosaici; museo.

L'attuale fulcro religioso, pur inserito all'interno delle fortificazioni, occupa l'estremità orientale a picco sul mare. La posizione d'avvistamento strategica spazia sulla porzione del golfo di Patti compreso tra le Isole Eolie a nord, la penisola di Milazzo a est e l'intera catena dei Peloritani a sud.

* 535 - 836, Diocesi di Tindari o Dioecesis Tyndaritana. In epoca bizantina la città di Tindari è sede episcopale già dal V secolo. La Cattedrale fortezza occupa e ingloba l'area del tempio dedicato a Cerere posta sulla rocca di levante.

Nell'ultimo decennio del VI secolo, la corrispondenza personale di Papa Gregorio Magno fa riferimento a due vescovi: Eutichio e Benenato, che assieme ai due alti prelati Severino e Teodoro, costituiscono la cronotassi della primitiva diocesi di Tindari.

* VIII secolo ca., santuario primitivo, il simulacro è posto nell'area del tempio dedicato a Cerere.

* 836 - 837, Soppressione della diocesi di Tindari. La località è espugnata dall'armata di al-Fadl ibn Ya' qūb sostituito a settembre da un nuovo governatore, il principe aghlabide Abū l-Aghlab Ibrāhīm b. 'Abd Allāh b. al-Aghlab, cugino dell'emiro Ziyādat Allāh. La flotta musulmana, condotta da al-Fadl ibn Ya' qūb, devasta le Isole Eolie, espugna diverse fortezze sulla costa settentrionale della Sicilia, tra cui Tyndaris, come riferisce lo storico Michele Amari cultore orientalista di storia islamica. Per le ben note vicende piratesche e corsare, assieme alla soppressa diocesi di Taormina, Tindari è assorbita dalla diocesi di Messina. Anche la corte vescovile di quest'ultima, per i continui assalti nello Stretto, è costretta a riparare temporaneamente presso la protetta e interna diocesi di Troina.

Nell'anno 886 Teodoro metropolita siracusano documenta la celeberrima Diva Virgo in Castello Tyndaritano.

Il viaggiatore storiografo Idrisi al servizio della corte normanna di re Ruggero II di Sicilia dopo il 1145 documenta nell'opera Il libro di Ruggero l'esistenza dei seguenti luoghi di culto:

* 1110, nei pressi delle rovine dell'antica Tindari sorge il monastero di Sant'Elia di Scala o di Sant'Elia di Burracha di Oliveri, di rito greco.

* 1110, chiesa della Santa Genitrice di Dio o di Santa Maria de lo Plano di Oliveri, dipendenza del monastero di Santa Maria di Gala di Barcellona Pozzo di Gotto.

* 1178, chiesa di San Giovanni di Oliveri, edificata per volontà di Ruggero II di Sicilia.

Assieme alla fortificazione di Tindari:

* XII secolo, castello di Adelasia di Patti, della primitiva fortificazione araba costruita su una necropoli del neolitico, identificabile nel periodo normanno come la ricostruzione avvenuta per opera di Adelasia del Vasto terza moglie del gran conte Ruggero madre di Simone d'Altavilla e del re Ruggero II di Sicilia. Sull'area delimitata dai ruderi e col materiale parzialmente riutilizzato, oggi sorge la cattedrale di San Bartolomeo di Patti, una delle quattro della provincia di Messina edificate espressamente per volontà del gran conte Ruggero.

* XII secolo, castello Liviri di Oliveri, costruzione edificata per opera del gran conte Ruggero.

* 1148, tonnara medievale di Oliveri.

* 1105, mulini ad acqua medievali di Furnari. Concessione della regina Adelasia del Vasto al monastero di Santa Maria di Gala.

* XII secolo, mulini ad acqua medievali di Patti. Concessione della regina Margherita di Navarra moglie di Guglielmo I di Sicilia al monastero del Santissimo Salvatore di San Marco del Casale di Palegre.

* 1282, Pietro III d'Aragona tramite il cronista Bartolomeo da Neocastro documentano la chiesa dedicata alla Vergine contemplandola da Argimusco nell'opera Historia sicula.

* XIV secolo, Pietro II d'Aragona affida le terre al cugino Bonifacio d'Aragona definito signore della rocca di Tindari.

* 1315, la custodia del castrum di Tindari è a carico della diocesi di Patti, re Federico IV d'Aragona ordina al vescovo di affidare terre a Oddone Mancuso castellano di Tindari.

* 1359, la città di Tindari è citata come castrum.

* 1360, il possedimento è assegnato a Vinciguerra d'Aragona barone di Militello regnante Federico IV di Sicilia.

* 1365, le capitanie e castellanie di Patti, Tindari, Alcara li Fusi e Sant'Angelo di Brolo sono concesse a vita a Vinciguerra d'Aragona.

* XV secolo prima metà, la fortificazione di Tindari è citata come castello.

* 1409, l'esistenza di una bombarda di metallo presso la fortezza consolida l'ipotesi di fortificazione a carattere difensivo.

* 1502 - 1504, scorrerie compiute da Khayr al-Din Barbarossa col fratello Aruj Barbarossa contro le località di tutte le coste della Sicilia.

* 1510 - 1512 - 1514, raffica di assalti compiuti da Elias insieme ai fratelli Khayr al-Din Barbarossa e Aruj Barbarossa con attacchi sistematici dei porti e delle località di Lipari e Tindari.

* 1544 luglio, l'assalto dell'armata corsara turco - ottomana capitanata dall'ammiraglio Khayr al-Din Barbarossa e dal comandante Rais Dragut futuro successore, insidia la costa tirrenica siciliana, devasta l'isola di Lipari. Le scorrerie s'inseriscono in un contesto molto ampio e comprendono il saccheggio della chiesa - fortezza di Tindari, la distruzione dell'abitato e cittadella fortificata di Patti, l'incendio della cattedrale di San Bartolomeo e l'espugnazione di Lipari, l'assedio dell'abitato protetto dal castello di Santa Lucia del Mela, la minaccia d'assalto alla cittadella fortificata di Milazzo.

Le continue incursioni s'inseriscono nel contesto delle dispute sul dominio nel Mediterraneo tra flotte turco-ottomane contro spagnoli, annosa questione risolta con la disfatta del fronte orientale nella battaglia navale di Lepanto del 1571.

* 1552 - 1598, santuario antico, ricostruzione del luogo di culto. Nel 1558 nel punto più alto della rocca, ove sorgeva la fortezza, lo storico, archeologo e teologo Tommaso Fazello documenta la chiesa di Santa Maria de Tindáro.

* 1578, i cartografi architetti Tiburzio Spannocchi e Camillo Camilliani documentano la chiesa del Tindaro come una fortezza merlata.

CULTO DELLA MADONNA NERA - Le origini della statua bizantina della Madonna nera del Tindari sono legate ad una leggenda, secondo la quale la scultura, trasportata per mare, impedì alla nave di ripartire dopo che si era rifugiata nella baia dei laghetti di Tindari per sfuggire alla tempesta. La statua aveva lasciato l'Oriente per sfuggire alla persecuzione iconoclasta.

I marinai, depositarono a terra via via il carico, pensando che fosse questo ad impedire il trasporto, e solo quando vi portarono anche la statua, la nave poté riprendere il mare. La statua è quindi stata portata sul colle soprastante, dentro una piccola chiesa che dovette in seguito essere più volte ampliata per accogliere i pellegrini, attratti dalla fama miracolosa del simulacro.

La scultura lignea (in cedro del Libano) è orientaleggiante, bizantina, ed è databile tra la fine del secolo VIII e i primi decenni del secolo IX. La Madonna è nera, con un caratteristico e originale volto lungo non facilmente riscontrabile in altre statue religiose, ed è una Theotókos Odigitria rappresentata come Basilissa ossia come "Regina seduta in trono", mentre regge in grembo il Bambin Gesù tenendo la mano destra sollevata, benedicente. In capo regge una corona o un turbante di tipo orientale. Sotto il trono, la scritta "Nigra Sum Sed Formosa" riprende la frase del Cantico dei Cantici 1,5, e 1,6, e significa "Sono nera ma formosa" oppure, meno letteralmente "Sono bruna ma bella".

SANTUARIO ANTICO - Sono pochissimi i manufatti risparmiati dalla distruzione araba, alla devastazione non scampa la chiesa ove probabilmente, sarebbe già stata portata l'icona. Secondo la tradizione orale il simulacro approda a Oliveri ed è custodito a Tindari nel periodo in cui la città è dominata dai Bizantini 535 - 836, mentre in Oriente dilaga la persecuzione iconoclasta opera dell'imperatore Leone III Isaurico.

* 1544, il saccheggio perpetrato dall'ammiraglio Khayr al-Din Barbarossa e dal comandante Rais Dragut futuro successore, demolisce parzialmente il santuario del Tindari, lo priva delle campane ma risparmia la venerata immagine della Madonna bruna.

* 1552, Bartolomeo Sebastiani vescovo di Patti lo ricostruisce ampliandolo con l'aggiunta dei locali per l'alloggio del personale addetto al culto. Sulla bugna-chiave di volta del portale d'ingresso è scolpito l'anno di completamento 1598.

* 1890-1908, Giovanni Previtera, vescovo di Patti, incrementò il seminario, instituì ufficialmente il santuario di Tindari, e profuse somme ingenti per il restauro e l'ampliamento del Santuario di Tindari e del Palazzo Arcivescovile, trasformò il vecchio Monastero delle Clarisse nel moderno Istituto della Sacra Famiglia, si adoperò per l'istituzione di scuole umanistiche, religiose e professionali; fondò, per combattere l'usura, una Banca Cattolica, fece costruire oratori e ricreatori per la gioventù, promosse infine e diffuse con il giornale Il Tindari la stampa cattolica.

* 1925 - 1927, fotografie d'epoca illustrano l'antico santuario come un complesso fortificato, sulla spianata antistante sono documentate svariate cappelle votive.

Facciata - Il rilievo dell'arco del portale è realizzato in bugnato assieme alla superficie del primo ordine della parete esterna della facciata. Il secondo ordine è contraddistinto da un finestra circolare sovrastante l'ingresso. Un timpano triangolare con la dedica "AVE MARIA" costituisce il terzo ordine.

Semplici cornici abbelliscono gli ordini inferiori dei campanili. Stelle a otto punte, ricavate dalla sovrapposizione di quadrati sfalsati, ornano gli ordini centrali. Al terzo ordine a destra monofore su ogni lato arricchiscono la cella campanaria, a sinistra un oculo cieco ospita il quadrante dell'orologio. Cuspidi con base quadrata chiudono il quarto ordine delle torri, a sinistra è presente un incastellamento campanario esterno minore.

Sulla controfacciata sormonta il portale il dipinto raffigurante il Corteo processionale che accompagna il simulacro dalla spiaggia all'acropoli. É documentato un olio su tela raffigurante Santa Febronia, Patrona di Patti, condotta in cielo da un angelo, opera di Guglielmo Borremans.

Santa Febronia viene istituita Patrona di Patti dal vescovo Giovanni Previtera.

L'altare maggiore è dedicato al Sacro Cuore di Gesù. L'elevazione è costituita da una doppia coppia di colonne, quelle interne aggettanti sormontate da timpani a ricciolo simmetrici. Al centro lo stemma con fregi reca l'iscrizione "VENITE FILII, AVDITE ME, TIMORE DOMINI, DOCEBO VOS". Temporaneamente l'ambiente ha ospitato il simulacro della Madonna, oggi è presente la statua del Sacro Cuore di Gesù, al centro un ricco tabernacolo argenteo. Uno degli ultimi baluardi dei riti officiati ad orientem terminati con la realizzazione del moderno altare versus populum.

Nel presbiterio due quadroni raffigurano rispettivamente: Venerazione dell'icona raffigurante gli attimi successivi l'apertura della cassa contenente il simulacro; il recupero raffigurante il salvataggio della cassa con l'ausilio delle reti dei pescatori.

Navata destra - Volta e nicchia contenente la statua raffigurante San Giuseppe e Gesù fanciullo.

Cappella di Maria Santissima del Tindari altare dedicato alla Madonna del Tindari. Animati manufatti in stile barocco con baldacchino in altorilievo di stucco e colonne tortili. Una prima coppia di putti alati sorreggono il baldacchino coronato dal quale diparte un manto con motivi fitoformi che svela la nicchia centrale nella quale è custodita una riproduzione dell'icona realizzata da Salvatore Rizzuti nel 1997. Una seconda coppia di putti sostiene e tende il drappeggio allargato e ricadente in ricche pieghe esaltanti la frangia decorativa, che occupa tutta la parete creando un effetto scenografico di elevato impatto artistico e visivo. Sulla trabeazione un'altra coppia d'angioletti regge lo stemma coronato, sulle cimase del timpano a riccioli, altri putti si protendono verso il soffitto riproducente la volta celeste con l'enorme raggiera centrale. Un paliotto ad intarsi marmorei con tre scene abbellisce la mensa. Numerose teste di putto alate decorano i plinti e l'arco, frequente il tema della conchiglia allegoria del pellegrinaggio terreno.

Un varco sul lato sinistro conduce nell'ambiente con finestra sui laghetti, alle pareti numerosi ex-voto.

Navata sinistra - Volta e nicchia contenente la statua marmorea raffigurante Gesù battezzato da San Giovanni Battista nel fiume Giordano.

Cappella del Coro: coro e cenotafio.

È stato ripristinato come il primitivo altare meridionale lato catena peloritana-nebroidea con sguardo volto idealmente sul mar Tirreno.

Entrambi i santuari vantano il titolo di «chiese liberiane», appellativo che affonda le sue origini nei primi secoli della Chiesa ed è strettamente legato al sorgere della basilica di Santa Maria Maggiore in Roma considerata il più antico santuario mariano d'Occidente. Precisamente al IV secolo, sotto il pontificato di papa Liberio. Questa è la tradizione, anche se non comprovata da nessun documento; le chiese sotto il medesimo titolo sono dette "liberiane" dal nome del pontefice, dal popolo sono chiamate familiarmente ad Nives, della Neve.

SANTUARIO MODERNO - Il 22 gennaio 1943 le strutture del santuario furono requisite dal Regio Esercito Italiano per essere in seguito occupate dai soldati inglesi, i quali vi installarono un ospedale militare.

* 1953-1977, il santuario esistente è diventato insufficiente ad accogliere i pellegrini. È individuata la soluzione più idonea per la nuova costruzione senza compromettere l'esistenza dell'antica chiesetta.

* 1957 8 dicembre, posa della prima pietra proveniente dagli scavi archeologici e benedetta da papa Pio XII il 30 dicembre 1956.

* 1975 6 settembre, monsignor Giuseppe Pullano benedice l'interno del nuovo santuario, l'icona della Madonna è portata nel nuovo tempio e collocata sul monumentale altare.

* 1979 1º maggio, consacrazione e dedicazione del nuovo santuario da parte del cardinale Salvatore Pappalardo, assistito dal vescovo di Patti Carmelo Ferraro.

* 2018 30 luglio, con decreto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti n. 297/18, il Santuario è elevato a Basilica Pontificia Minore (la notizia è stata resa nota l'8 settembre dello stesso anno, in occasione dei tradizionali solenni festeggiamenti).

Il santuario ha pianta a sviluppo basilicale, a croce latina, a tre navate, con transetto quadrato e abside semicircolare. La chiesa è lunga 64 metri e larga 24. Il basamento è in marmo di billiemi, le falde della copertura sono rivestite di ceramiche azzurre. Sul fianco settentrionale, adiacente alla navata sinistra, è costruito un loggiato lungo 76 metri e largo 8, che permette di ammirare il panorama dei laghetti di Marinello. Sotto il loggiato è ricavato un ampio locale che, collegato alla cripta, forma la penitenzieria del santuario.

Facciata - La facciata con la parte centrale costituita da un corpo avanzato si innalza sulla piazza antistante rivolta a occidente, la sopraelevazione costituisce lo sviluppo della torre campanaria. Le porte sono in bronzo, ai lati del portone centrale sono collocate, in apposite nicchie, le statue raffiguranti San Pietro e San Paolo.

L'accesso al santuario è garantito da un atrio decorato da vetrate istoriate, in esse sono raffigurate le figure allegoriche delle virtù cardinali: Prudenza, Giustizia, Fortezza, Temperanza. Le virtù teologali sono riprodotte sui varchi d'accesso: Fede entrata sinistra, Carità varco centrale, Speranza ingresso destro.

Organo - Nella tribuna interna ricavata in prossimità dell'atrio è installato un grande organo a canne.

Navata centrale - La navata centrale è delimitata da colonne ottagonali con basi di marmo bianco, sulla volta è incollata una tela di 75 m² raffigurante Il trionfo della Madonna opera del pittore Fausto Conti. Ai vertici della volta della navata centrale angeli sorreggono dei cartigli con le frasi salienti tratte dal cantico del Magnificat: MAGNIFICAT ANIMA MEA DOMINUM - BEATAM ME DICENT OMNES GENERATIONES - QVIA FECIT MIHI MAGNA, QVI POTENS EST - ....

Dello stesso autore l'affresco della cupola. Sulle pareti esterne delle campate delle navate laterali, realizzati in grandi mosaici su cartoni del pittore romano Fausto Conti, sono rappresentati i Misteri del Rosario. 

Il tondo mosaico dell'arcata d'ingresso raffigura San Michele Arcangelo. Nelle vetrate è raffigurata l'allegoria della Carità attorniata da schiere d'angeli. 

Altare - Il grande altare al centro del transetto, poggia su stipiti di marmo giallo, sotto la mensa è posta una scultura in marmo bianco raffigurante l'Ultima Cena. Sotto la cupola troneggia il dinamico e artistico altare su cui è collocata l'immagine della Madonna del Tindari in trono. Collocati su basi di bronzo raffiguranti nuvole, si ergono quattro maestosi angeli bronzei in posizione eretta con mani protese, sorreggono una bussola in cristallo contenente il simulacro della Madonna. Un'altra coppia in posizione più avanzata regge il tabernacolo, l'angelo di destra è genuflesso.

Dietro il colonnato dell'abside, costituito da un ampio emiciclo, le cui pareti sono decorate da mosaici (realizzati dalla scuola del mosaico di Montepulciano su cartoni del pittore Fausto Conti) raffiguranti i momenti più salienti della storia del santuario:

* Naufragio dell'imbarcazione e il recupero dell'icona, evento documentato nel IX secolo.

* Intronizzazione della statua nel primitivo tempio pagano.

* Statua della Madonna indenne dopo l'assalto dei pirati, episodio del 1544.

* Consegna delle chiavi da parte dei giurati della città di Patti, evento del 1669.

* Incoronazione della Vergine, una delle tre incoronazioni documentate nel 1886, nel 1901 e nel 1940.

* Processione nella diocesi.

 

Area archeologica

I resti della città antica si trovano nella zona archeologica, in discreto stato di conservazione, per lo scarso interesse di un reimpiego dei blocchi di pietra arenaria di cui erano costituiti.

I primi scavi si datano al 1838-1839 e furono ripresi tra il 1960 e il 1964 dalla Soprintendenza archeologica di Siracusa e ancora nel 1993, 1996 e 1998 dalla Soprintendenza di Messina, sezione dei beni archeologici. Sono stati rinvenuti mosaici, sculture e ceramiche, conservati in parte presso il museo locale e in parte presso il Museo archeologico regionale di Palermo.

L'impianto urbanistico, risalente probabilmente all'epoca della fondazione della città, presentava un tracciato regolare a scacchiera. Si articolava su tre decumani, strade principali (larghezza di 8 m), correvano in direzione sud-est - nord-ovest, ciascuno ad una quota diversa, e si incrociavano ad angolo retto e a distanze regolari con i cardini, strade secondarie e in pendenza (larghezza 3 m). Sotto i cardini correva il sistema fognario della città, a cui si raccordavano le canalizzazioni provenienti dalle singole abitazioni. Gli isolati delimitati dalle vie avevano un'ampiezza di circa 30 m e una lunghezza di 77 o 78 m.

Uno dei decumani rinvenuti nello scavo, quello superiore doveva essere la strada principale della città: costeggia ad una estremità il teatro, situato più a monte e scavato nelle pendici dell'altura, e all'altra estremità sfocia nell'agorà, oltre la quale, nella zona più elevata, occupata oggi dal Santuario della Madonna Nera, doveva trovarsi l'acropoli.

Le mura di cinta - Le mura cittadine, i cui resti attualmente visibili sono dovuti ad una ricostruzione del III secolo a.C. che ripercorre una cinta precedente, probabilmente coeva alla fondazione, venne completata sul lato verso il mare e rimaneggiata in epoca tardo imperiale e bizantina.

La cinta si sviluppava per una lunghezza di circa 3 km ed era della tipologia "a doppia cortina, con due muri paralleli (circa 0,70 m di spessore) in opera quadrata di arenaria con disposizione isodoma, separati da uno spazio, in origine riempito con terra o sassi (2,10 m di spessore), raggiungendo un'altezza di 6,85 m. A distante diseguali si innalzavano torri quadrate: una di queste (spazio interno di 6,5 x 5,15 m e con muri larghi 0,43 m e lunghi 0,87 m) conserva un tratto della scala che portava alla sommità delle mura.

La porta principale, sul lato sud-occidentale, era fiancheggiata da due torri e protetta da un'antiporta a tenaglia di forma semicircolare, con l'area interna lastricata con ciottoli. Altri piccoli passaggi si aprivano a fianco delle torri della porta maggiore e venivano utilizzate per le sortite dei difensori.

Il teatro - Il teatro venne costruito in forme greche alla fine del IV secolo a.C. e in seguito rimaneggiato in epoca romana, con una nuova decorazione e l'adattamento a sede per i giochi dell'Anfiteatro.

Rimasto a lungo in abbandono e conosciuto solo per le illustrazioni del XIX secolo era appoggiato alla naturale conformazione a conca della collina, nella quale furono scavate le gradinate dei sedili (0,40 m di altezza e 0,70 m di profondità) della cavea, che doveva raggiungere una capienza di circa 3000 posti. In età romana vi si aggiunse un portico in opera laterizia e la ricostruzione della scena, di cui restano solo le fondazioni e un'arcata, restaurata nel 1939. L'orchestra venne trasformata in un'arena, circondando la cavea con un muro e sopprimendone i quattro gradini inferiori.

Dal 1956 vi ha sede un festival artistico che annovera tra le manifestazioni danza, musica, e ovviamente teatro.

Isolato romano - Nell'area urbana è stata scavata, tra il 1949 ed il 1964, un isolato completo (insula IV), delimitato dai tratti dei due decumani scavati e da due strade secondarie. A causa della pendenza del terreno, i diversi edifici che la compongono erano costruiti su terrazze a diversi livelli.

Sul decumano inferiore si aprivano sei tabernae, o ambienti per il commercio, tre delle quali erano dotate di retrobottega. Su queste poggiava un'ampia domus (casa B) con peristilio a dodici colonne in pietra con capitelli dorici. Il tablinium, o salone (lunghezza 8 m e larghezza 4,60 m). Al livello più alto una seconda domus, "casa C", con peristilio simile alla precedente, presenta l'accesso al tablinio inquadrato da colonne con capitelli corinzi italici in terracotta e basi realizzate con mattoni di forma rotonda.

Le due case vennero costruite nel I secolo a.C., su precedenti fasi abitative e furono soggette a restauri e rimaneggiamenti: in particolare nella parte superiore si impiantarono delle piccole terme e gli originali pavimenti scutulati (scutulata con inserimento di piccole lastre di marmi colorati) o in signino con inserimento di tessere di mosaico bianche, o ancora con mosaici policromi, si sostituirono mosaici in bianco e nero con figure.

Basilica - La cosiddetta "Basilica", in passato identificata anche con un ginnasio, è un propileo di accesso all'agorà, situato nel punto in cui vi entra il decumano massimo, la via principale della città. Si tratta di un edificio a due piani, datato al IV secolo costruito in opera quadrata di arenaria che presenta un ampio passaggio centrale con volta a botte ripartito da nove arcate. Ai lati altri archi scavalcano degli accessi secondari.

Statua di Mercurio - Statua collocata nel Ginnasio e citata nell'orazione di Cicerone "... l'Africano ti aveva voluto nel ginnasio di Tindari, come protettore e custode della sua gioventù ...".

La statua donata da Scipione l'Africano, sottratta dai Cartaginesi e restituita alla città da Scipione Emiliano per essere ricollocata nella primitiva sede, è oggetto di reiterati bottini di guerra, come del resto numerosi altri capolavori d'arte sparsi nei vari centri dell'isola.

Il propretore Gaio Licinio Verre la fece asportare durante il suo mandato dal 73 al 71 a.C. per adornare la sua dimora a Messina. Il funzionario artefice di innumerevoli ingiustizie, bramoso di potere, avido di possesso, mirò ad accrescere le sue ricchezze personali. Compì concussioni, saccheggi e ruberie, pratiche piuttosto comuni nel periodo, per le quali, accusato di corruzione e illeciti arricchimenti, fu denunciato dai siciliani. Non bastò l'illecito sopruso, come aggravante fece bastonare il magistrato Sopatro che si opponeva all'atto illegale. La popolazione tindaritana reclamò allora direttamente a Roma, chiamando in causa Marco Tullio Cicerone quale difensore pubblico, che pronunciò contro Verre una delle sue orazioni più famose (Verrine), tanto che questi fu costretto, per sentenza del senato a lasciare l'isola e la carica di pretore.

Il console Cicerone, durante la sua visita a Tindari, effettuata per indagare sulle malefatte di Verre, giudicò la città così prospera e bella che le diede l'appellativo di "nobilissima civitas".

Tempio di Venere Ericina - Al termine delle guerre puniche Tindari è fra le 17 città siciliane alleate e fedeli a Roma autorizzate a portare una corona a Venere Ericina.

Erice figlio di Bute, uno degli argonauti di Giasone, e di Afrodite, fondò la città di Erice e in essa edificò un tempio dedicato alla madre. Il culto della Venere ericina, praticato dai marinai di passaggio, la cui devozione era fondata sulle bellissime ierodule, giovani prostitute sacre alla dea dispensatrice di voluttà. Infatti nella elima Erice, ancora prima che i Fenici innalzassero un tempio ad Astarte, era noto il culto ed il tempio dedicato a Venere Ericina, altrimenti noto come il luogo della dea dell'amore. La fama e la ricchezza della colonia ericina crebbero in funzione della diffusione del culto praticato a Roma ed esteso in molte colonie dell'impero.

Patti 

Tuttavia il fascino pur innegabile di Tindari non può offuscare quello della vicina Patti, che viene attestata per la prima volta in un documento del 1094, quando Ruggero I di Sicilia vi fondò il monastero dedicato al Santissimo Salvatore, affidato ai monaci benedettini, l'attuale Cattedrale di San Bartolomeo: il sarcofago della regina Adelasia del Vasto (1074-1118), moglie di Ruggero, è ospitata nella Cappella in marmo policromo di Santa Febronia. 

La Basilica, con il prospetto di origine normanna, derivò dall'ampliamento di una precedente abbazia bizantina. A testimoniare le origini più antiche del centro sono però diversi ritrovamenti archeologici, tra cui in particolare quello effettuato nel 1973, durante i lavori di costruzione di un tratto di autostrada: ne emerse la Villa Romana di Patti, databile al IV secolo, una delle testimonianze antiche più interessanti di questa parte di Sicilia.

Nonostante questa abbondanza di ricchezze storiche e artistiche, è innegabile che la notorietà di Patti e Tindari sia legata in larga parte alle bellezze naturalistiche della zona. Lungo la costa, punteggiata di grotte, faraglioni e ampie spiagge balneabili, si trovano infatti, tra gli altri, i 400 splendidi ettari della Riserva naturale orientata Laghi di Marinello.

Alla base del promontorio si trova una zona sabbiosa con una serie di piccoli specchi d'acqua, la cui conformazione si modifica in seguito ai movimenti della sabbia, spinta dalle mareggiate. La spiaggia è conosciuta con il nome di Marinello o il mare secco e vi sono legate diverse leggende.

Secondo una di esse la spiaggia si sarebbe formata miracolosamente in seguito alla caduta di una bimba dalla terrazza del santuario, ritrovata poi sana e salva sulla spiaggia appena creatasi per il ritiro del mare. La madre della bambina, una pellegrina giunta da lontano, in seguito al miracolo, si sarebbe ricreduta sulla vera natura miracolosa della scultura, della quale aveva dubitato a causa dell'incarnato scuro della Vergine.

Un'altra leggenda narra della morte, avvenuta proprio su questa spiaggia di papa Eusebio, il 17 agosto del 310, pochi mesi dopo la sua elezione, avvenuta il 18 aprile, che sarebbe stato esiliato in Sicilia da Massenzio.

I laghetti di Marinello sono parte del magnifico panorama che ispirò a Salvatore Quasimodo la celebre Vento a Tindari. Originatisi tra il 1865 e il 1895 per l'azione combinata di mare, agenti atmosferici e processi tettonici, rappresentano uno dei pochi ambienti salmastri giunti al giorni nostri della Sicilia nordorientale e dal 1998 sono Riserva naturale. 

Secondo la leggenda, nella Grotta di Donna Villa, splendida cavità naturale a picco sul mare in prossimità dei laghi, viveva una maga che attirava col suo canto i marinai e poi li divorava, se le sfuggivano, si sfogava artigliando le pareti: le impronte sarebbero ancora visibili.