Palermo

 

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Un appagamento così intenso che avrebbe portato il primo psicoanalista a temere di “risvegliare l’invidia degli dèi”. Con un’immagine decisamente più cruda, Pippo Fava, il giornalista assassinato nel 1984, la definiva “sontuosa e oscena”, paragonandola a Nuova Delhi, “con le reggie favolose dei maharaja e i corpi agonizzanti dei paria ai marini dei viali”.

Ma cos’è realmente Palermo oggi? La città è dilagata da tempo oltre le mura e le porte antiche e ha quasi reciso il suo cordone ombelicale con il mare: il Tirreno sembra a portata di mano ma è quasi invisibile dal centro storico. Tutta raggomitolata tra i vicoli dei quattro mandamenti (Kalsa, Castellammare, Albergheria e Monte di Pietà) stupisce per l’audacia delle sue architetture e la ricchezza del patrimonio culturale, sconvolge per le macerie della guerra colorate dalla Street art, confonde con il suo continuo gioco tra realtà e finzione, stordisce nel barocco platealmente teatrale e negli scintillanti interni dei palazzi nobiliari, in un saliscendi tra paradiso e inferno. Palermo è un corpo con molti cuori che battono in luoghi diversi.

A Ballarò, per esempio, insieme a quello del Capo il mercato più esuberante, dove la proverbiale stratificazione culturale si fa materia viva sui banchi traboccanti sarde a beccafico e tranci di spada, ricotta calda e tuma, pani câ meusa (panino con la milza) e arancine di riso, mazzi di finocchietto selvatico, frutta candita e pistacchi, cibi africani e mediorientali. E dove le abbanniàte (le urla di richiamo dei venditori) evocano un souk, in un legame mai reciso con il mondo islamico.

Gli Arabi occuparono Palermo nell’831, trovandovi una città già vitale. Vi giunsero per primi i Fenici, nell’VIII secolo a.C., approfittando di una collocazione geografica eccezionale (a nord il monte Pellegrino, a est il monte Catalfano, alle spalle la fertile Conca d’Oro) e di un porto naturalmente conformato (per i Greci fu Panormos, “tutto porto”).

Più dei Romani e dei Bizantini, furono gli Arabi a marchiarla a fuoco: in due secoli e mezzo l’arricchirono di moschee e di giardini profumati di zagare e gelsomini e la resero la capitale di un emirato autonomo in grado di rivaleggiare, per abitanti e potenza, con altre metropoli del tempo come Cordoba e Costantinopoli.

Una volta preso il sopravvento (1072), non fu affatto semplice per i Normanni sradicare il substrato islamico. Giocarono perciò la carta del sincretismo: della cultura araba, di quella bizantina e di quella che portavano con sé dal Nord Europa. Un altro cuore di Palermo batte perciò nel complesso di monumenti che costellano il centro storico (Cattedrale, Palazzo Reale e Cappella Palatina e le tre chiese di San Giovanni degli Eremiti, San Cataldo e della Martorana) e le immediate vicinanze (la Zisa e il ponte dell’Ammiraglio), tutti protetti dall’Unesco. Un cuore multiculturale, si direbbe, in cui l’amalgama delle civiltà ha generato uno stile unico, quello arabo-normanno (anche se della magnificenza islamica oggi resta ben poco): metodi costruttivi arabi, iconografia occidentale, raffinatezze bizantine.

Nella lucentezza dei palazzi di famiglia (suo nonno era Ruggero II) crebbe anche un giovane Federico II (1194-1250), alla cui corte cosmopolita fiorì la Scuola poetica siciliana. E se gli Angioni vennero cacciati in malo modo nel 1282, furono gli spagnoli (Aragonesi prima, Castigliani dopo) a dominare la scena politica per quasi 450 anni. L’impronta da essi lasciata è tuttora palpabile, prima nella robustezza dei palazzi feudali, quindi nella radicale sistemazione urbanistica culminante nei Quattro Canti e nel gusto barocco che rivestì le chiese di preziosi intarsi marmorei e gli oratori di stucchi spumeggianti.

Altri colpi di scena Palermo li regala ai primi dell’Ottocento: la Palazzina cinese sembra davvero un sogno d’Oriente, mentre più tardi l’architetto Ernesto Basile si farà interprete delle esigenze dei Florio dando vita all’esplosione del Liberty.    

LA SFAVILLANTE PALERMO ARABO-NORMANNA - Mentre il dominio degli eredi carolingi sulla penisola presenta, dopo la morte di Carlo Magno, chiari segnali di crisi, la Sicilia vive l’inva­sione da parte degli arabi del Nord Africa che conquistano Palermo nell’831 e l’intera isola nel 935.

Un secolo dopo sono i normanni a sostituirsi alla dominazione araba, dichiarando Palermo (conquistata nel 1072) capitale del loro regno e ripristinandovi il culto cristiano.

La dominazione normanna, tuttavia, si rivela inizialmente tolle­rante con la minoranza araba, favorendo al contempo la ripopolazio­ne dell’isola da parte di genti nordeuropee (in particolare provenzali, normanni e bretoni). Si crea in questo modo un’incredibile conviven­za di lingue, culture e religioni diverse che lascerà dietro di sé una messe di capolavori dalle variegate influenze.

Proprio questa caratteristica è stata sottolineata dall’Unesco quan­do ha riconosciuto questi siti, nel 2015, Patrimonio dell’Umanità. Nel dossier si può infatti leggere: “L’insieme degli edifici costituenti il sito di ‘Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale’ rappresenta un esempio materiale di convivenza, interazione e interscambio tra diverse componenti culturali di provenienza storica e geografica eterogenea”.

L’elenco delle meraviglie arabo-normanne che impreziosiscono Palermo e i suoi dintorni è molto lungo e comprende il palazzo della Zisa, le chiese di San Giovanni degli Eremiti, della Martorana e di San Cataldo, la Cattedrale della Santa Vergine Maria Assunta, il pon­te dell’Ammiraglio e, soprattutto, i tesori di Palazzo dei Normanni.

Porta Nuova

La Porta Nuova, adiacente al Palazzo dei Normanni, è stata per secoli il più importante accesso a Palermo via terra. Da essa partono il Corso Vittorio Emanuele, o Cassaro, la principale arteria cittadina, e, all'esterno, il Corso Calatafimi, la strada verso Monreale.

Tommaso Fazello documenta l'apertura del primitivo varco nel 1460 denominato Porta dell'Aquila e la contestuale chiusura di un varco d'accesso inserito nella cinta muraria a meridione.

Costituita da un solo ordine di colonne e cornicione, il 13 settembre 1535, proveniente da Monreale, fece ingresso l'imperatore Carlo V reduce dalla Conquista di Tunisi.

Per la liberazione dal contagio di peste nel fu apposta un'immagine della Vergine Immacolata e l'iscrizione: «Virgini Immaculatæ Summo Urbis Præsidio, atque ornamento, Servati Clientes D. S.»

La Porta Nuova perfezionata su più livelli fu voluta nel 1583 dal viceré Marcantonio Colonna per celebrare la vittoria sulle armate turche e commemorare i trionfi del sovrano. Nonostante il Senato cittadino avesse imposto il nome di Porta Austriaca, mentre alcuni documentatori fanno riferimento a Porta Imperiale, il popolo palermitano continuò ad appellare il monumentale varco come Porta Nuova. Nel 1578 il viceré perpetuò l'esistenza di un corridoio meridionale sopraelevato comunicante col Palazzo Reale verosimilmente ricalcante la parte iniziale attraverso la Galca del primitivo percorso della Strada Coperta.

La costruzione subì la quasi totale distruzione il 20 dicembre 1667, quando esplosero i depositi di polvere da sparo a causa di un fulmine dovuto ad un temporale. Nel 1669 l'architetto Gaspare Guercio la ricostruì integralmente e pensò di porre a coronamento dell'edificio una copertura piramidale rivestita da piastrelle policrome maiolicate con le immagini di aquile ad ali spiegate.

Le iscrizioni del 1668 recitano di provvedimenti e risarcimenti operati dal viceré di Sicilia Francesco Fernandez de La Cuevaduca di Alburquerque. Il terremoto del 16 giugno 1686 provocò dei danni. I lavori di restauro comportarono la realizzazione di scarpe o delfini di rinforzo sul fianco sinistro, interventi posti in essere dal viceré Giovan Francesco Pacechoduca di Uzeda.

Fino ai restauri eseguiti nel 1825 è documentato visibile un affresco raffigurante la Beata Vergine Maria contornata da angeli, ritratta con Sant'AgataSant'AgatoneSan Michele Arcangelo, opera realizzata da Pietro Novelli sulla parete interna di S - W.

Dal 1870 fa parte del complesso del distretto militare di Palermo.

Nel settembre 2015 si sono conclusi i lavori di restauro e messa in sicurezza del monumento.

La struttura ravvisabile in un vero e proprio arco trionfale con impianto realizzato in pietre d'intaglio, ornato di statue, busti, pigne, colonne, pilastri, cornicioni, balaustre, finestre, fregi, festoni, ghirlande, mascheroni, iscrizioni marmoree recanti i versi di Antonio Veneziano e un'aquila marmorea con armi reali, scultura pericolante, poi rimossa. La costruzione presenta due prospetti ripartiti su tre ordini, uno rivolto verso la città ricalcante gli schemi classici degli antichi archi di trionfo, quello esterno presenta un'architettura originale e bizzarra dominata dalla presenza spettacolare di paraste binate in bugnato terminanti con quattro telamoni, raffiguranti i Mori sconfitti da Carlo V, le due figure in posizione centrale mostrano gli arti mozzati in segno di sottomissione.

Il primo ordine è costituito dal basamento e dal varco carrozzabile, il secondo ordine consta di vani recanti finestre - balconi sull'affaccio verso Monreale e da busti di divinità collocati in oculi ovoidali sulla facciata del Cassaro (sculture raffiguranti rispettivamente Pace, Giustizia, VeritàAbbondanza). Un terzo ordine comprende le logge rivolte ad oriente e occidente realizzate in marmo bianco con 6 colonne che definiscono 5 archi abbelliti con altrettanti mascheroni scolpiti nelle chiavi di volta. Ad ogni campata corrisponde una porta sormontata da timpano ad arco arricchita da erma intermedia. Chiude la prospettiva la struttura piramidale coronata da balaustre, comprendente una balconata circondata dalla copertura maiolicata. Un terrazzino include la lanterna sommitale sormontata da pinnacolo e banderuola.

Le dimensioni di 190 palmi in altezza per 70 in larghezza e 70 di profondità sottintendono un varco di passaggio largo 19 palmi e alto 38. Due fonti documentate completavano il prospetto di Monreale nel 1674.

Palazzo dei Normanni e Cappella Palatina

Il Palazzo dei Normanni, noto anche come Palazzo Reale, è attualmente sede dell'Assemblea regionale siciliana. Il palazzo è la più antica residenza reale d'Europa, dimora dei sovrani del Regno di Sicilia, sede imperiale con Federico II e Corrado IV e dello storico Parlamento siciliano. Al primo piano del palazzo sorge la Cappella Palatina.

È uno dei monumenti più visitati nell'isola. I servizi aggiuntivi turistici sono curati dalla Fondazione Federico II; l'ingresso principale è su piazza del Parlamento, quello turistico e quello carraio sono su piazza Indipendenza.

Dal 3 luglio 2015 fa parte del Patrimonio dell'umanità (Unesco) nell'ambito del sito seriale "Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale".  

L'attuale palazzo ingloba nelle fondamenta stratificazioni dei primi insediamenti fortificati d'origine fenicio - punica databili fra l'VIII e il V secolo a.C., le cui tracce riemergono nelle campagne di studi nelle segrete e nei sotterranei. Queste fortificazioni costituivano il nucleo sociale e politico dei primitivi insediamenti che formavano la paleopolis, aggregato contrapposto alla zona sacra, destinata al culto pagano e alle sepolture, ubicata qualche centinaio di metri più a nord-est a ridosso del fiume Papireto. Quest'ultima area, futura neapolis, è oggi identificabile col piano della cattedrale, il campanile ravvisabile nell'alta torre di avvistamento incastonata nella cinta muraria della cittadella fortificata, nonché da una fitta rete di ambienti ipogei costituita da grotte, catacombe, cripte, cuniculi e spelonche, ubicati nelle immediate adiacenze.

Paleopolis e neapolis erano comprese su una lunga penisola delimitata a nord dal fiume Papireto e dal Kemonia a mezzogiorno, striscia di terra che all'epoca si estendeva lungo la direttrice configurabile con l'odierno Cassaro. Una vasta e ramificata insenatura permetteva l'approdo e il riparo delle imbarcazioni in entrambi i corsi d'acqua, proprio a ridosso del polo monumentale, peculiarità che influì a determinare il nome della località, in epoca greca Panormos ovvero Città tutto Porto. Nel 254 a.C. la roccaforte del castrum fu conquistata dai romani.  

Flavio Belisario conquistò la città e si impossessò della fortificazione nel 535, il dominio bizantino perdurò per quasi tre secoli. Sotto il regno di Costantino IX Monomaco, imperatore costantinopolitano e re di Sicilia, la fortificazione del kastron assunse il rango di palazzo con il prefetto Giorgio Maniace il quale lo abbellì facendo installare opere, manufatti e altro bottino di guerra.

I due arieti di bronzo, espressioni dell'arte greca e frutto di saccheggi,  in Sicilia adornarono temporaneamente il portale gotico della Fortezza Maniace di Siracusa per volere di Federico II di Svevia. Ma di Trastámara per servigi resi nella strenua difesa di Siracusa, li donò a Giovanni I Ventimiglia, pertanto i manufatti pervennero dapprima nel castello Ventimiglia di Castelbuono e in seguito posti a decoro del mausoleo di famiglia nella chiesa di San Francesco. Per contrasti con la casa regnante e la confisca dei beni, gli arieti dei Ventimiglia giunsero a Palermo. 

Gaspare Palermo documenta la loro presenza in epoche successive nel Palazzo Chiaramonte-Steri, nella fortezza di Castello a Mare, trafugati da un viceré di Sicilia a Napoli, riconsegnati alle sale di Palazzo Regio. Con la distruzione di un elemento della coppia durante la Rivoluzione siciliana del 1848, l'esemplare superstite, fu definitivamente trasferito nelle raccolte del Museo archeologico regionale «Antonio Salinas».

La prima costruzione con funzioni di residenza reale denominata 'al Qasr o Kasr (Alcassar, la dimora degli emiri), è attribuita al periodo della dominazione islamica, lasso di tempo di circa due secoli ove si avvicendarono numerosi governatori o emiri appartenenti, nell'ordine, alle dinastie degli Aghlabidi, Fatimidi, Kalbiti. Nell'831 dopo la conquista araba della città il governatore, supremo comandante e principe di Sicilia denominò la costruzione Castelnuovo che si contrapponeva all'edificio ubicato in marina denominato Castellammare e al Castello di Maredolce nel Parco della Favara, quest'ultima dimora prediletta insieme a tutte le residenze e le strutture arabe insediate nella vicina Kalsa.

Ibn Hawqal documenta due medine o città murate contrapposte: il Qasr e la Kalsa. In mezzo, tre borghi satelliti tra loro separati e contigui corrispondenti al futuro rabato (Albergheria, Seralcadio, Conceria), descritto da Muhammad al-Idrisi in epoca normanna.

La decisione di trasferire la sede del governatore posta nel cuore della città murata della civitas superior in un luogo più sicuro e protetto militarmente, è fornita dalla tumultuosa sommossa popolare contro il governatore fatimita Salīm Ibn Rashid Al Kutāni, sedata nell'autunno del 937 con l'intervento militare di Khalil ibn Ishaq. Il nucleo aghlabida è abbandonato dopo aver identificato nei pressi del porto, nelle adiacenze dell'arsenale, la nuova sede della cittadella fortificata degli emiri fatimidi, molto più difendibile nella civitas inferior perché parzialmente protetta dal mare.

I sovrani Normanni distinguevano il Castrum superius o Palatium novum posto sull'altura dal Castrum inferius o Palatium vetus ubicato a valle, insediandosi al loro arrivo presso quest'ultimo già dimora della corte araba. Il Parcus Vetus indicava l'insediamento del centro di potere arabo, l'aggettivo Vetus (vecchioanticoprimitivovetusto) si estendeva tanto all'area, quanto alla dimora del primitivo accampamento. Accampamento divenuto residenza degli emiri e oggetto di conquista da parte delle armate normanne, che nell'assedio di Palermo piantarono nelle immediate adiacenze il loro campo base prima di sferrare gli attacchi alla Kalsa e al Cassaro fortificato. Infatti, dalla pianura alluvionale sud - orientale della costa, porta d'accesso alla città provenendo da est, contraddistinta dal Dattereto prossimo al fiume Oreto e al Castello di Yahya, partì la riconquista della città. Negli anni ampliarono e trasformarono l'edificio dalle caratteristiche mediorientali in un centro complesso e polifunzionale che esprimeva tutta la potenza della monarchia, così realizzarono una struttura di edifici. Roberto il Guiscardo lo ingrandì dotandolo della Cappella di Gerusalemme, il gran Conte Ruggero edificò la Torre Greca, i quartieri per opifici e armigeri. Solo dopo la sua morte, la regina reggente Adelasia del Vasto e l'erede al trono si trasferirono da Messina, città che era servita da base ai Normanni per estendere il proprio dominio, a Palermo. Nella capitale gli Altavilla s'insediarono inizialmente nella residenza di Palazzo della Favara prima di trasferirsi nelle strutture del Palatium novum.  

Nel 1132 Ruggero II di Sicilia costruì la parte mediana del palazzo, l'ampissimo appartamento che oggi prende il suo nome, ovvero quella porzione d'edificio precedentemente destinato a opificio della seta, la Cappella Palatina e la Torre Joharia. Il luogo di culto dedicato a San Pietro Apostolo soppiantò la primitiva moschea edificata sulle carceri e segrete del palazzo. Da Guglielmo I e Guglielmo II di Sicilia furono aggiunte le ali destinate ai servizi degli eunuchi, secondo l'usanza araba, gli appartamenti delle dame di corte, matrone, fanciulle, servitori, l'harem e nella parte settentrionale fu aggregato il «serraglio degli schiavi», le torri Pisana o di Santa Ninfa e Chirimbi. Coeva è la realizzazione della "Via Coperta", un camminamento protetto che dalla Torre Pisana e la Sala Verde attraverso la contrada della Guilla conduceva al primitivo Palazzo Arcivescovile con meta finale la cattedrale metropolitana primaziale della Santa Vergine Maria Assunta.

In questo lungo processo di trasformazione, l'antico Palazzo degli Emiri assunse la denominazione di Palazzo dei Normanni solo in tempi recenti, polo destinato ben presto a diventare il centro della cultura e dell'arte europea tra il XII e il XIII secolo.  

In questi sontuosi e raffinati ambienti, infatti, si sviluppò la più importante cultura europea dell'epoca: qui gli imperatori radunavano i più grandi scienziati e poeti, musicisti e pittori del tempo. All'interno del palazzo furono mantenuti gli opifici e i laboratori tessili per produrre manufatti di rara bellezza mantenendo la tradizione, le conoscenze, la cultura e il sapere introdotto dai dominatori orientali, la Zecca, i laboratori di oreficeria ed il Tiraz, l'opificio per la manifattura di stoffe preziose. Adiacente al regio palazzo sorgeva la Galca (l'anello), il quartiere regio che si sviluppava verso est racchiuso fra mura, ospitava edifici di vario tipo legati alla funzionalità della reggia.

Muhammad al-Idrisi nel 1150, Ibn Jubayr nel 1184, Ugo Falcando descrivono nelle loro opere le magnificenze e le vicende legate al palazzo. Il più rilevante degli episodi avvenuto negli anni 1160 - 1161 vede il Palazzo Reale teatro della rivolta dei baroni maturata in seguito alla congiura ordita da Matteo Bonello, durante la quale le sale della reggia furono saccheggiate e date alle fiamme con la distruzione di un insostituibile patrimonio librario e artistico.  

Al 1194 risale il saccheggio della reggia voluto da Enrico VI di Svevia, il quale utilizzò cento muli per trasportare tutto l'oro e gli oggetti preziosi in essa custodita. Con gli Svevi fu sede delle Scienze e delle Lettere, elogiata da Dante Alighieri. Con Federico II di Svevia e il figlio Manfredi furono mantenute nel palazzo le attività di governo, amministrative e di cancelleria, mentre quelle letterarie furono distaccate a Palazzo della Favara, luogo deputato ad ospitare la scuola poetica siciliana.

Nel 1269 per il palazzo cominciò una fase di decadenza. Spoglio delle macchine da guerra, mostrò tutta la sua vulnerabilità durante i moti dei Vespri Siciliani culminati nel 1282 con le sommosse inserite nel contesto della Guerre del Vespro: il popolo palermitano in rivolta espugnò, depredandolo ancora una volta. Scacciati gli angioini, Pietro III d'Aragona si trasferì nel palazzo dimorandovi appena tre anni.

Dopo l'espulsione degli Angioini nel 1282, la dinastia aragonese propense nel dimorare allo Steri o Hosterium Magnum confiscato alla famiglia Chiaramonte. Fra gli aragonesi fu sede di Francesco II Ventimiglia, nominato signore perpetuo della capitale siciliana nel 1353. Il 16 febbraio 1361 s'insediò Federico IV d'Aragona, con i titoli di capitano e giustiziere, castellano del palazzo e di Castellammare.

Risalgono al 1340 le prime notizie di guasti dovuti ad un rovinoso crollo che determinarono il progressivo spopolamento della reggia. Il sito non suscitava più particolare interesse per motivi logistici e di sicurezza, ad essa si preferiva la residenza di Castellammare. Il lento abbandono avvenne a partire dagli inizi del XV secolo, periodo in cui Palazzo Regio e strutture limitrofe furono utilizzati come cava da cui trarre materiale edilizio utilizzato per la costruzione di luoghi di culto o cimiteri.

Nonostante la pressoché totale devastazione, la cimatura e demolizione di alcune torri, il Palazzo Reale, pur mantenendo solo il suo ruolo difensivo non rimase disabitato, ma fu sede del Tribunale della Santa Inquisizione tra il 1513 e il 1553. Nel 1549 Tommaso Fazello offre un descrizione della situazione disastrosa in cui versava al punto che era possibile scorgere la Cappella Palatina attraverso le rovine.

Il palazzo tornò a occupare un ruolo importante nella seconda metà del XVI secolo quando i viceré spagnoli lo elessero a propria residenza, abbandonando il Palazzo Chiaramonte-Steri o Hosterium Magnum. Per contro il Tribunale dell'Inquisizione si trasferì nelle strutture di Castellammare. Furono poste in essere iniziative che modificarono radicalmente l'aspetto originario del complesso:

- 1517 Con l'avvicendamento al trono del Regno di Sicilia tra Ferdinando II d'Aragona dei Trastámara e Carlo V d'Asburgo è Ettore Pignatelli, conte e duca di Monteleone, il primo viceré ad insediarsi nel sito.

- 1536, Ferrante I Gonzaga, nell'ambito delle opere di potenziamento dell'intero sistema difensivo della città convocò l'ingegnere bergamasco Antonio Ferramolino che si era già occupato delle fortificazioni del Palazzo, ma è nel 1553, dopo il trasferimento allo Steri del Tribunale della Santa Inquisizione, che si iniziarono le demolizioni e le nuove costruzioni.

- 1550, Juan de Vega effettuò un primo restauro, fu predisposta la demolizione della Torre Rossa.

- 1560 Juan de la Cerda, IV duca di Medinaceli avviò i lavori per la costruzione del Salone del Parlamento, ambiente perfezionato da Francesco Ferdinando d'Avalos, VII marchese di Pescara.

- 1567, García Álvarez de Toledo y Osorio, predispose la risistemazione dei vani intorno alla chiesa, l'ampliamento delle scuderie, la costruzione di nuove stalle.

- 1580, Marcantonio Colonna, duca di Tagliacozzo (insediamento: 24 aprile 1577 - 1584), promosse la realizzazione del camminamento tra la reggia e Porta Nuova. Nel 1598, gli uffici per l'amministrazione della giustizia ordinaria Regia Magna Curia, furono trasferiti in questa sede provenienti da Palazzo Chiaramonte-Steri.

- 1600, Bernardino de Cardenas y Portugal, duca di Maqueda, realizzò il cortile porticato che ospitava la Deputazione del Regno istituita da Alfonso V d'Aragona.

- 1616, Juan Gaspar Fernández Pacheco y Zúñiga, V marchese di Vigliena, V duca d'Escalona definì la parte centrale dell'ala est dotandola di un elegante prospetto in stile rinascimentale e un patio interno.

- 1620 23 maggio, Francìsco Ruiz de Castro Andrade y Portugal, conte di Castro, VIII conte di Lemos e duca di Taurisano decretò la demolizione del tempio bizantino di Santa Maria dell'Itria detta «la Pinta» nel quadro di moderni sviluppi urbanistici e del potenziamento del sistema difensivo della reggia.

- 1637, Il presidente del Regno Luigi Moncada, duca di Montalto, adeguò l'antico deposito delle munizioni, trasformandolo in sala delle udienze estive del Parlamento, arricchendolo d'affreschi, opere dei più celebrati artisti dell'epoca come Vincenzo La Barbera, Giuseppe Costantino, Pietro Novelli e Gerardo Astorino. Per tale motivo gli ambienti comunicanti assunsero la denominazione di Sala Duca di Montalto. Il cortile colonnato noto col nome di Galleria con la sede principale per i giudici e i presidenti della Gran Corte Civile e Criminale.

- 1648, Per ordine del cardinale Teodoro Trivulzio viceré di Sicilia e presidente del Regno, la chiesa della Pinta insieme alla chiesa di Santa Barbara la Soprana e chiesa di San Giovanni la Calca, furono abbattute per fare posto a due grossi bastioni posti a difesa del Palazzo Reale. Bastioni di San Pietro.

- 1649, Il cardinale Teodoro Trivulzio in seguito ai tumulti causati dalla rivolta antispagnola aggiunse due baluardi muniti d'artiglieria perfezionati perfezionati da Giovanni d'Austria nel 1650.

- 1696, Pedro Manuel Colón de Portugal dispose la copertura del camminamento tra reggia e Porta Nuova.

Gli appartamenti reali subiscono una ulteriore rimodulazione nel 1735 con Carlo III di Borbone che edificò la Scala Rossa, una scala monumentale posta presso il cortile colonnato del Duca di Maqueda. Venute meno le esigenze difensive è compiuta la riduzione o demolizione dei bastioni orientali per l'adeguamento della piazza al livello del Cassaro e altrove, la loro trasformazione in Giardini Pensili.

Anche i Borboni delle Due Sicilie con Ferdinando III fecero ristrutturare il Palazzo dei Normanni che visse la stagione di maggiore operosità, dopo la fase cinquecentesca, in virtù della permanenza della Corte Borbonica: infatti i sovrani, fuggiti con la conquista di Napoli da parte di Napoleone Bonaparte, si rifugiarono a Palermo. Il Salone del Parlamento fu adibito all'esposizione della preziosa Quadreria di Capodimonte e il monarca decise di fare affrescare nuovamente le pareti e la volta della sala, affinché il salone presentasse "... uno stile più elegante e più grandioso". Il ciclo di affreschi raffigurante l'Apoteosi di Ercole di Giuseppe Velasco sostituì La Maestà Regia, protettrice delle Scienze e delle Belle Arti commissionato da Francesco d'Aquino, principe di Caramanico nel 1787.

Altri interventi decorativi abbellirono le sale di rappresentanza, i corridoi degli appartamenti del re e della regina al piano nobile durante la loro permanenza stabile dal 1806 al 1815. In occasione dei moti rivoluzionari del 1848 furono abbattuti dal popolo in tumulto i bastioni di Santa Maria e San Michele, la dimora fu saccheggiata e fu distrutta gran parte del mobilio, arredi velocemente ripristinati.  

Dopo l'Unità d'Italia fece parte dei beni del comando dei Corpi dell'Esercito e in occasione dell'esposizione nazionale del 1891 - 1892 furono rinnovati gli arredi degli appartamenti reali. Nel 1919 si delineò la possibilità di utilizzare il Palazzo come sede di accademie e nel 1923 fu destinato ad accogliere gli uffici della Soprintendenza ai monumenti, alcuni Istituti universitari, la Real Accademia di Scienze Lettere e Arti, la Biblioteca Filosofica, il Museo etnografico siciliano Giuseppe Pitrè, il Museo Nazionale e l'alloggio del Prefetto. Furono mantenuti per uso della casa reale alcuni appartamenti. Nel 1921 è stata acquisita la proprietà da parte del governo.

Negli anni '30 del '900 furono portati avanti dei restauri da parte del sovrintendente ai monumenti Francesco Valenti, poi proseguiti da Mario Guiotto, che hanno riportato in luce alcune strutture normanne. Nel 1943 fu requisito dalle truppe alleate. Poco dopo la fine della seconda guerra mondiale nel 1946, ebbero inizio i primi saggi archeologici volti a comprendere l'eventuali preesistenze al palazzo, ovvero le stratificazioni di manufatti e insediamenti anteriori agli interventi arabi.

Nel 1947 gli enti che lo occupavano furono trasferiti in altri immobili e fu denominato Palazzo dei Normanni. Nel 1947, divenne sede dell'Assemblea Regionale Siciliana. Dal 1976 al 1981 furono eseguiti lavori di trasformazione in alcuni piani del palazzo, curati da Rosario La Duca. Dopo il terremoto del 2002 che ha danneggiato alcuni interni, sono stati effettuati dei restauri sugli affreschi di Sala d'Ercole.

Attualmente è la sede del Parlamento di Sicilia e dell'Osservatorio astronomico di Palermo, mentre l'ala di collegamento a porta Nuova è sede del Comiliter, Comando militare territoriale della Sicilia.

Il Palazzo dei Normanni è la più antica residenza reale d’Europa e le sue origini affondano in epoche remote come quella fenicia-punica, le cui tracce sono state identificate dagli studiosi nelle segrete e nei sotterranei del palazzo.

In epoca greco-romana l’edificio viene usato come fortificazione, poi conquistata nel 535 dal generale bizantino Flavio Belisario. Ma è solo in epoca islamica che il palazzo diventa residenza reale e comincia a essere chiamato alcassar (residenza degli emiri).

Verrebbe da chiedersi perché, se ogni conquistatore della Sicilia vi ha lasciato le sue tracce inconfondibili, questo capolavoro è noto universalmente come Palazzo dei Normanni. Il fatto è che a questo popolo si devono la struttura attuale dell’edificio e gran parte della sua sfolgorante bellezza.

In particolare, è Ruggero II a ristrutturare completamente la parte centrale del palazzo. Collocandovi poi i suoi appartamenti in una sala che ancora oggi porta il suo nome (sala Re Ruggero). Il re ricava l’ampio salone nella parte più antica dell’edificio, ed erige la Torre Joharia, detta anche Torre del Tesoro per lo splendore delle sue decorazioni.

Lo stile dei mosaici che decorano varie sale di questo palazzo presen­ta delle somiglianze con quello della cappella Palatina e della cattedrale di Monreale. I soggetti sono scene di caccia o motivi vegetali orientaleg­gianti, come piante di banani e palme. Le scene di caccia rappresentano un’allegoria della corte normanna raccontata attraverso animali meta­forici come cervi, pavoni e cigni, creature mitologiche come centauri e grifi o fiere esotiche. Il predominio dell’arte greco-bizantina è evidente per quanto venato da influenze del vicino Oriente persiano.

L'aggregato degli edifici assume la forma di una forcella capovolta, i due bracci meridionali della biforcazione intersecano i manufatti della Cappella Palatina che originano due grandi cortili interni. Molteplici stili si fondono sui svariati ordini e sulle numerose sfaccettature delle varie prospettive. Gli stili romanico, bizantino, arabo, normanno, neogotico, chiaramontano, rinascimentale, barocco, miscelano elementi come strombature, nervature, oculi, rilievi, archi, ogive, bugnato, monofore e finte bifore, tufo combinato con tarsie di lava, intrecci, pietra viva, modanature, merlature, marcapiani, archi, timpani dal forte impatto sensoriale ed emotivo.

Delle quattro torri normanne originarie: la Greca, la Chirimbi, la Pisana, la Joaria, oggi rimangono solo le ultime due, di forma quadrangolare coeve coeve alla Cappella Palatina. Sono presenti più cortili interni, due di essi provvisti di logge e portici: il Cortile Maqueda interamente porticato con due ordini di logge di stile rinascimentale, e il Cortile della Fontana posto ad un livello superiore rispetto al primo. I vari livelli sono collegati tra loro da scaloni monumentali. Il Cortile Maqueda è il crocevia dei principali ambienti, ali e manufatti:

- Sotto il livello del patio sono ricavate le Sale del duca di Montalto, oggi sedi di mostre ed esposizioni, da cui si accede a loro volta agli scavi sotterranei.

- Dal patio si accede alla chiesa di Santa Maria delle Grazie.

- Al primo livello è posto l'ingresso alla Cappella Palatina.

- Prospetto Nord. L'ala dell'edificio è delimitata da Porta Nuova, nuovo varco d'accesso costruito da Carlo V per celebrare la Conquista di Tunisi in sostituzione dell'antica porta denominata Bab ar ryad o Porta dei giardini. Via Vittorio Emanuele o Cassaro col prolungamento di Corso Calatafimi separa i due mandamenti, nello specifico distingue l'Albergaria dal Monte di Pietà o Seralcadi. Con la trasformazione graduale della Galca (Jalca), e la fusione di essa al resto della città, la chiesa di Santa Maria Maddalena, vicinissima a Porta Nuova, venne a trovarsi inglobata nel quartiere di San Giacomo dei Militari o degli Spagnoli, la cui vasta area estesa dal Cassaro al Papireto, fin dal 1622 era stata utilizzata dalle truppe spagnole di stanza in città per il presidio e la difesa della reggia.

- Prospetto Est. Il palazzo prospetta su Piazza del Parlamento, che a sua volta si fonde con Piazza Vittoria e il parco di Villa Bonanno, le tre aree costituivano il primitivo Piano di Palazzo. Sulla Torre Pisana si ammira l'originaria facciata del periodo normanno decorata con arcate strombate e cieche. Più a sud, la facciata in stile rinascimentale che occupa buona parte dell'intero prospetto. Al centro è un grande portale che costituisce l'ingresso principale. L'ala rinascimentale ospita al piano inferiore la Sala degli Armigeri e al piano superiore il cosiddetto Piano parlamentare ove sono ubicate la Sala d'Ercole, attuale aula parlamentare dell'Assemblea regionale siciliana, la Sala Gialla, la Sala Rossa, la Sala Verde e la Sala dei Viceré.

- Prospetto Sud. Su Via del Bastione e sul lato ovest di Piazza Indipendenza parti dell'edificio poggiano su possenti fondamenta sopra il livello della strada fronteggiando la ricostruita chiesa di Santa Maria dell'Itria detta «la Pinta».

- Prospetto Ovest. Su Piazza Indipendenza si apre l'accesso carraio e quello turistico, di fronte Palazzo d'Orleans, sede della presidenza della Regione siciliana.

La torre pisana, altrimenti noto come Torre Santa Ninfa era un costruzione destinata alla custodia dei tesori, manufatto edificato da Guglielmo II di Sicilia col contributo di maestranze pisane. Secondo la tradizione, in epoca sveva con Federico II, la torre era probabilmente uno dei luoghi di riunione della scuola poetica siciliana ed ambiente frequentato dallo stesso sovrano. Il vicerè Francesco d'Aquino di Caramanico fece realizzare nel 1790 l'osservatorio astronomico.

Esternamente appare priva di decorazioni, ma è lecito supporre dalle tracce visibili che, nelle zone in cui furono aggiunti dei soppalchi dagli spagnoli, fosse interamente mosaicata probabilmente con scene di battaglie, seguendo canoni che imponevano una forte simmetria tra le scene raffigurate. Comprendeva la Stanza dei Tesori, con doppia porta d'accesso, circondata da camminamenti di ronda coperti da volte maestose e le quattro giare murate nel pavimento che potevano contenere innumerevoli pezzi di monete d'oro.

La facciata orientale è il risultato di un importante intervento di restauro di ripristino neogotico dell'architetto Nicolò Puglia nel 1835. Lo stesso Puglia fu l'autore del progetto di decorazione neogotica dei prospetti occidentali intorno al 1842. Gli interni comprendono nel piano parlamentare la Sala di Federico, la Sala Cinese e la Sala Pompeiana, della prima metà dell'Ottocento, decorate con pitture di Giuseppe Patania e Giovanni Patricolo, ambienti che costituivano gli appartamenti privati della regina Marina Carolina di Borbone.

Torre Joharia o Torre Gioaria, conosciuta come Torre del Tesoro, eretta da Ruggero II di Sicilia. Presenta la maggior quantità di ornamenti, risplendente per la magnificenza delle più svariate decorazioni, il re era solito frequentare per gli abbandoni all'ozio e alla quiete. Il livello inferiore è occupato dalla Sala degli Armigeri. Al piano superiore è ubicata la Sala dei Venti, ad est si accede alla Sala di Ruggero.

Torre Chirimbi o Torre Carimbri, edificata da re Guglielmo I di Sicilia. Demolita.

Torre GrecaTorre Greca o Torre Rossa, detta anche Torre Kemonia per la posizione, costruzione fatta edificare in mattoni di laterizi da maestranze greche, da cui il nome, sul prospetto meridionale per volere del Gran Conte Ruggero. Nel 1550 il viceré di Sicilia Juan de Vega la demolì per effettuare un restauro.

Al secondo livello del Loggiato di Cortile Maqueda è permesso l'accesso al Piano Parlamentare che, attraverso il Corridoio Mattarella, consente il percorso fra gli ambienti degli appartamenti reali - secondo le note documentali, gli appartamenti della regina e del principe ereditario - ubicati nel plesso rinascimentale, mentre Sala dei Venti e Sala Ruggero sono dislocati nella Torre Joaria.

Corridoio Mattarella - Ambiente di collegamento degli ambienti della primitiva Galleria. All'ingresso è collocato il quadro, olio su tela, opera del pittore siciliano Giuseppe Sciuti del 1901 raffigurante l’Allegoria dell'agricoltura, dell'industria e dell'economia, lungo il percorso è presente una grande statua in bronzo raffigurante Archimede, opera dell'artista palermitano Benedetto Civiletti, eseguita nel 1893 su commissione di re Umberto I. Un altro acquisto del sovrano all'Esposizione Nazionale di Palermo del 1891 è un olio su tela raffigurante la Battaglia di Dogali, opera firmata dal pittore romano Cesare Biseo del 1887.

Sala d'Ercole - Sala del Parlamento conosciuta come Sala d'Ercole perché vi si riunivano negli ultimi secoli i membri del Parlamento siciliano. Nel 1799 Giuseppe Velasco, pittore figurista, su committenza di Ferdinando III di Borbone decorò a tempera le pareti della sala con alcune tra le dodici Fatiche di Ercole. Sulla volta si ammirano: la Nascita di Ercole, la scena Ercole si dà la morte facendosi bruciare su una pira ardente e la monumentale Apoteosi dell'eroe mitologico greco. Le decorazioni a grottesca e le candelabra in stile neoclassico pompeiano furono dipinte dal pittore ornatista Benedetto Codardi. Nell'ambiente si riuniscono dal 1947 i deputati dell'Assemblea Regionale Siciliana, i quali costituiscono l'organo legislativo della regione.

Ha la funzione di anticamera al Salone d'Ercole la Sala di Archimede. La sala prende il nome dall'omonima statua, ed è ricavata negli antichi ambienti medievali che collegavano lo scalone d'onore alla cinquecentesca Sala dei Parlamenti.

Sala dei Viceré - Il nome dell'ambiente deriva dalla presenza di 21 ritratti collocati alle pareti raffiguranti rispettivamente: viceré di Sicilia, luogotenenti e presidenti del regno Borbone di Sicilia e delle Due Sicilie, primo sovrano Carlo III di Borbone. Altrimenti noto come Transatlantico. 

Alla stessa stregua delle raccolte di Palazzo Paço da Ribeira di Lisbona, del Monastero de las Descalzas Reales di Madrid, del Palacio del Real di Valencia, del Real Alcázar di Madrid, del monastero dell'Escorial di Madrid, di Palazzo Reale di El Pardo di Madrid, di Villa Gallia di Paolo Giovio a Borgovico, di Palazzo di Margherita d'Austria di Malines, della residenza di Binche, anche i viceré e i governatori della casa d'Asburgo iniziarono ad arredare, a partire dalla fine del XVI secolo le gallerie di palazzo reale di Milano, palazzo reale di Napoli e Palermo.

La disposizione dei ritratti all'interno della galleria operata dal Manuel de Benavides y Aragón, conte di Santisteban, risale ai tempi del Bernardino de Cardenas y Portugal, duca di Maqueda, e annoverava trentasette ritratti di viceré, da Fernando de Acuña y de Herrera, conte di Buendía, fino allo stesso Manuel de Benavides y Aragón.

Probabilmente fu sostituta l'originale decorazione degli inizi del XVII secolo, come ci suggerisce la descrizione della cerimonia per le nozze di donna Giovanna d'Austria, figlia di Giovanni d'Austria e nipote di Carlo V d'Asburgo, con Francesco Branciforte, principe di Pietraperzia. Più tardi nel 1640 l'ambiente presentava un ciclo di affreschi raffigurante le Storie della vita di San Francesco d'Assisi e Sant'Antonio di Padova, opere realizzate da Pietro Novelli, i cui frammenti superstiti, trasferiti su tela, sono custoditi nella Galleria regionale di Palazzo Abatellis. Fra le poche raffigurazioni d'epoca della Galleria, la tavola inserita nel codice illustrato "Teatro Geografico antiguo y moderno del Reyno de Sicilia", completato il 1 maggio del 1686 che mostra la sala della galleria ai tempi del viceré conte di Santisteban.

La cerimonia d'incoronazione di Carlo III di Borbone a Palermo del 1735 documentata da Antonio Mongitore, contempla nella Galleria i ritratti dei sovrani da Ruggero II a Carlo II, mentre relega i ritratti dei viceré asburgici nelle restanti sale del palazzo. Il nobile palermitano Francesco Maria Emanuele Gaetani, marchese di Villabianca, riporta che i ritratti delle anticamere sono gli originali raccolti da Manuel de Benavides y Aragón. Il presente ciclo della Galleria fu rinnovato nel 1738 da Carlo di Borbone che ne affidò il compito della realizzazione al pittore fiammingo Guglielmo Borremans. Fra i ritratti dei Governatori di Sicilia, facenti le veci del re che risiedeva a Napoli, si ammirano:

Domenico Caracciolo, marchese di Villamaina: nel 1782 soppresse l'inquisizione del Santo Ufficio, destinando le rendite di tale istituzione alla realizzazione di nuove cattedre universitarie.

Francesco d'Aquino di Caramanico: nel 1788 fece abolire le angherie, i lavori che i contadini a titolo gratuito dovevano prestare in favore dei feudatari. Prima che in Francia, fece abrogare le servitù personali nel 1789 e realizzare nel 1790 l'osservatorio astronomicoubicato sulla Torre Pisana.

Il fregio che segna il perimetro della sala in direzione della volta, fu realizzato nel 1901 da Salvatore Gregorietti ed evidenzia il simbolo della Sicilia, Trinacria e l'aquila del Senato Palermitano.

Sala di Federico. Nella Torre Pisana si trova la sala principale degli ex appartamenti reali. Sala delle udienze di Federico II, si ritiene fosse stata interamente coperta di mosaici. Non visitabile, dal 1947 è divenuta studio e ambiente di rappresentanza del Presidente dell’ARS.

Sala ex Presidenti. L'ambiente prospetta su piazza Indipendenza, attiguo a Sala d'Ercole, prende il nome per via dei ritratti collocati alle pareti, raffiguranti i primi sei presidenti dell'Assemblea regionale siciliana. I saggi effettuati, posteriori al terremoto di Palermo del 2002, hanno condotto alla scoperta di complesse realtà archeologiche relative a stratificazioni di differenti epoche: sono evidenti la costruzione originaria e gli interventi d'epoca borbonica, quando questa parte è stata adibita a saloni di residenza regia, seguendo i canoni del tempo.

Sala Pompeiana. Altrimenti conosciuta come Sala della Regina, fu voluta da Maria Carolina d'Asburgo-Lorena, principessa delle due Sicilie, moglie di Ferdinando IV di Borbone. Il raffinatissimo ambiente, dipinto da Giuseppe Patania (1807 - 1815), è un altro mirabile esempio di decorazioni neoclassiche influenzate dagli scavi di Ercolano e Pompei.  

Sala Gregorietti. Ambiente adibito a sala lettura per i parlamentari, sul soffitto l'affresco raffigurante l'Allegoria della Primavera decorato dal palermitano Salvatore Gregorietti.

Sala Cinese. Ambiente ispirata alle a mete orientali nel periodo coloniale quali la Cina, tipica della moda esotica in voga presso molte corti d'Europa, decorazione caratterizzata dalla presenza di ideogrammi riprodotti sugli architravi delle porte e finestre. Realizzata da Giuseppe Patricolo, questo genere di ambienti si prestavano a svariate funzioni, quali sale di rappresentanza o da semplici ambienti riservati al convivio.

Salottino Savoia.

Salottino del Monetario. L'ambiente consente la visione d'insieme di tutto il piano. La denominazione è dovuta alla presenza del pregevole, grande stipo monetiere in legno ebanizzato a due corpi, decorato con formelle in vetro dipinto con scene bibliche, tarsie in tartaruga di fiume, colonne tortili laccate in rosso finta tartaruga e decori in bronzo di fattura siciliana della fine del XVII secolo. L'olio su tela custodito raffigura il Piano Palazzo nel 1760, il disegno di Pietro Martorana su cartoncino ad acquarello e tempera evidenzia la Campagna palermitana ove fu costruita la casina dei Lombardo, ovvero la costruzione rilevata da Ferdinando di Borbone al suo arrivo da Napoli nel dicembre del 1798, edificio divenuto la Palazzina Cinese con la tenuta di caccia e il Reale Parco della Favorita.  

Salottino del Presidente.

Sala della Preghiera. Ambiente attiguo alla Sala Ruggero, altrimenti detto Cappella della Regina o Carolina, delizioso esempio del neogotico siciliano con stucchi bianchi e oro. La pala d'altare è un olio su tela raffigurante la Madonna con Gesù e San Giovanni di gradevole fattura siciliana della prima metà XIX secolo, opera di Pasquale Sarullo. Un Cristo in avorio risalta su una croce in tartaruga e la base impiallacciata in palissandro, d'artista siciliano di fine 1700. Completano le decorazioni due dipinti, olio su tela della scuola emiliana del XVIII secolo, raffiguranti rispettivamente Tobiolo e il padre cieco e Agar e l'angelo.

Sala dei Paesaggi Siciliani. L'ambiente in epoca normanna faceva parte dell'appartamento privato del sovrano. Nella prima metà dell'Ottocento fu anticamera dell'appartamento utilizzato dai sovrani Borboni. Al tempo dei Savoia fu utilizzata come salotto e vi furono collocati le due grandi tele raffiguranti paesaggi siciliani: i Ruderi del Tempio di Giove a Siracusa di Ettore De Maria Bergler e le Mura fenicie di Erice di Michele Gordigiani ora in sala della preghiera. I dipinti furono acquistati da re Umberto I in occasione dell'esposizione Nazionale di Palermo nel 1891.

Sala Bianca. Ambiente altrimenti noto come Sala Stampa caratterizzata dal riquadro affrescato raffigurante l'Allegoria della prosperità e delle arti di Giuseppe Velasco che lavorò a palazzo durante la permanenza dei Borboni in Sicilia.

Sala dei Venti - Antica cappella di Santa Maria Superiore fatta edificare da Roberto il Guiscardo e Ruggero I di Sicilia nel 1071, convertita ad uso profano nel 1520. Restauri della Sala delle Quattro Colonna, così denominata nel XVI secolo quando fu decorata con vetrate colorate da Simone de Wobreck, autore nel 1560 del dipinto Pittura dell'isola di Sicilia, opera documentata nella reggia.

Dopo l'insediamento nel 1713, Vittorio Amedeo II di Savoia ne fa scoperchiare il tetto sistemando al centro della volta lignea a lucernario la Rosa dei venti. In epoca borbonica vi sono documentati l'Appartamento delli marmi e quello di S.A.R. il principe ereditario.

Ambiente interno tra i più suggestivi ed affascinanti del Palazzo. Inglobato nella Torre Joharia è coevo, adiacente e comunicante con la Stanza di Ruggero, sintesi del passaggio di più culture. Proprio la collocazione ne determinò i lievi interventi successivi. Alle pareti è collocato un olio su tela raffigurante la Negazione di Pietro, opera firmata e datata di Filippo Paladini nel 1613.

Sala Ruggero - Voluta da Ruggero II d'Altavilla fu ricavata nella Torre Pisana, l'ala più antica del palazzo con accesso dalla Sala dei Venti. Le stupende decorazioni parietali furono commissionate dal figlio Guglielmo I d'Altavilla detto il Malo o il Cattivo, verosimilmente coeve agli ornamenti delle navate laterali della Cappella Palatina e improntate allo stesso stile riscontrabile nei cicli musivi della chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio detta «la Martorana» e della cattedrale di Santa Maria Nuova di Monreale.

Colonnine angolari delimitano alti rivestimenti in marmo sovrastati da ampie superfici a mosaico di grande pregio raffiguranti elementi vegetali (palme e banani) e scene di carattere aulico e venatorio, simboli del potere normanno. Sono raccontate con grande dedizione nell'esecuzione battute di caccia con arcieri e cervi, rappresentati pavoni, cigni, oltre i mitologici centauri, grifi e altri animali esotici tra cui leopardi e tigri fra lussureggiante vegetazione, sottile allusione al Parco del Genoardo, tutto nel tentativo di mostrare un'allegoria della corte normanna. 

Caratteristica le figure a coppie simmetriche e speculari, arabeschi e girali dall'effetto caleidoscopico immersi in motivi fitomorfi e zoomorfi. Le raffinate rappresentazioni dai canoni sontuosi ma con accenti di rigidità, delineano la chiarissima matrice greco-bizantina dell'opera combinata con l'influenza pittorica dell'Oriente persiano.

La decorazione centrale della volta della sala risale invece al periodo successivo di Federico II, come testimoniato dalla rappresentazione dell'aquila sveva.

Sala Rossa - Era parte dell'originaria Galleria del Palazzo. Sulla volta, l'opera attribuita a Benedetto Codardi raffigurante: l'Apoteosi del lavoro, dell'agricoltura, delle arti e delle scienze. La sala era usata per le udienze dei Viceré e al tempo dei re borboni diventò la Sala del Trono. Oggi è ambiente istituzionale spesso utilizzato per le riunioni dei capigruppo.

Sala Gialla - Altra sezione dell'antica Galleria adibita a Sala da ballo dai Borboni e dai Savoia altrimenti nota come Sala degli Specchi, deve il nome alle pareti rivestite di damasco giallo. In epoca spagnola era utilizzata come sala delle feste, dei ricevimenti e dei balli.

Le opere della volta furono realizzate nella prima metà dell'Ottocento da Giuseppe Patania con La consegna della Città da parte dei Musulmani, da Giuseppe Patricolo con La presa di Palermo da parte dei Normanni, da Vincenzo Riolocon Il ritorno di Nicodemo al soglio vescovile di Palermo, per rispetto e riconoscimento dei valori della cultura araba non sono rappresentati eventi sanguinosi, ma incontri pacifici. Dieci bassorilievi in gesso, eseguiti probabilmente dal siciliano Nunzio Morello, raffiguranti la conquista e l'ingresso vittorioso in città del conte Ruggero, completano le decorazioni. La sala è oggi sede di importanti incontri culturali.

Sala Verde - Altra sala del piano parlamentare, confinante con la sala Gialla. Durante il 1283 si ha la prima attestazione di Ramon Muntaner della Sala Verde ubicata dal lato della «Porta di San Michele», ambiente destinato agli spettacoli pubblici ubicato ove verosimilmente in epoca romana sorgeva l'anfiteatro. È utilizzata come sede di commissione.

Cappella Palatina - Con accesso dalla loggia del primo livello del Cortile Maqueda, si presenta la Cappella Palatina. Basilica a tre navate dedicata ai Santi Pietro e Paolo, luogo di culto edificato per volere di Ruggero II, consacrato il 28 aprile 1140, con funzioni di cappella privata della famiglia reale.  

Non è facile descrivere il senso di vertigine che si prova entrando nella cappella Palatina, gioiello incastonato nel palazzo dei Normanni di Palermo. Si possono prendere a prestito le parole di scrittori famosi come Oscar Wilde o Guy de Maupassant, che ne furono incantati. Oppure specchiarsi nei visi di coloro che entrano, un po’ ammirati, un po’ increduli, in questa chiesa piccina ma talmente ricolma di ornamenti che non si sa dove posare lo sguardo.

Dopo gli interventi di restauro, la chiesa è tornata al suo fulgore, quasi come dovette ammirarla, poco meno di 900 anni fa, il sovrano che la fece costruire, Ruggero II. Già prima dell’incoronazione a re di Sicilia (nel 1130), Ruggero aveva ordinato l’edificazione di una chiesa nella sua residenza, l’odierno palazzo dei Normanni. Doveva essere la casa di Dio, ma anche un luogo celebrativo della potenza del sovrano e delle molteplici radici dei suoi sudditi. In altre parole, doveva proporre espressioni artistiche riconducibili a ciascuna delle componenti culturali della Sicilia normanna: latina, greca e araba.

Originariamente, l’edificio svettava al di sopra delle costruzioni del palazzo poi, nel ’500, quando vennero sopraelevati i cortili, la cappella fu come risucchiata nella struttura.

Colori e luce che comunque sono ancora la principale bellezza della cappella e piovono sui visitatori dal vasto manto di mosaici che orna tutta la parte superiore delle pareti e l’abside. Sono capolavori dell’arte bizantina, realizzati da artisti ignoti. Si caratterizzano per l’eleganza delle figure e per la brillantezza del fondo, ottenuta incollando una lamina d’oro su tesserine di vetro. Fra le immagini più belle ci sono quelle del Cristo Pantocratore nell’abside e nella cupola sopra il presbiterio, ma nel corso dei secoli i mosaici sono stati integrati e in parte sostituiti: ecco perché sotto al Pantocratore sfila una serie di figure di gusto rococò. Tuttavia, gli interventi successivi non hanno scalfito l’eleganza e la spiritualità dell’insieme.

Qui si incontrano tutte le culture del Mediterraneo. La latinità è espressa dalle colonne romane e dai dischi di porfido rosso sulle pareti, usati nei secoli dagli imperatori romani come simbolo del loro potere.

Il pavimento, con i suoi capolavori geometrici realizzati con tasselli di marmo pregiato, è invece testimonianza dell’influenza araba che si esprime, magistralmente, anche nel soffitto. Se alziamo gli occhi alla volta possiamo infatti ammirare la rivestitura di legno dipinto, realizzata da artisti maghrebini. I personaggi lì immortalati sono l’unica testimonianza di figure umane dipinte da artisti islamici all’interno di un luogo di culto. Secondo alcuni studiosi raffigurerebbero la vita quotidiana in una corte araba, per altri, invece, sarebbero una rappresentazione del paradiso islamico.

Le opere marmoree della cappella si rifanno invece alla tradizione occidentale. Il pavimento a lastroni di marmo, levigati da secoli di passi, è un capolavoro d’arte latina, decorato con mosaici di pietre dure a motivi geometrici che salgono sulle pareti. E lo sono anche il pulpito, egualmente ornato da intarsi a mosaico di porfido e malachite, con belle sculture a reggere il leggio, e il candelabro pasquale, un candido, esile fusto alto quattro metri e mezzo ricoperto di sculture. Opera di autore ignoto, riporta, fra le altre figure, quella di un uomo dalla testa coronata, verosimilmente lo stesso Ruggero.

Infine l’arte islamica: agli artisti invitati dalla Persia venne riservata la realizzazione del soffitto ligneo, per il quale fu scelto lo stile islamico a muqamas, cioè ad alveoli. Quel che lo rende eccezionale è la presenza di figure umane, una circostanza rara se si considera la riluttanza della tradizione islamica all’uso delle raffigurazioni antropomorfe. Il soffitto è molto alto, ma con un binocolo si distinguono uomini a dorso di cammello e portatrici d’acqua, gente che beve e mangia, odalische, tutti circondati da una profusione di motivi geometrici, intricati fogliami, figure di animali e uccelli, eleganti scritte in caratteri cufici inneggianti al re.  

All'inizio della navata è collocato l'imponente trono reale rivestito di mosaici, vicino al santuario sulla destra il ricco ambone mosaicato e sostenuto da colonne striate, un superbo candelabro pasquale (alto m. 4.50), intagliato a foglie d'acanto con figure e animali, tutte opere del XII secolo combinazioni di elementi romanici, arabi e bizantini. Il soffitto in legno della navata centrale e le travature delle navi minori sono decorate con intagli e dipinti di stile arabo. In ogni spicchio sono presenti stelle lignee con rappresentazioni di animali, danzatori e scene di vita della corte islamica. 

La cupola, le pareti del transetto e le absidi sono interamente decorate nella parte superiore da mosaici bizantini, tra i più importanti della Sicilia, raffiguranti il Cristo Pantocratore, gli evangelisti e scene bibliche varie. I mosaici di datazione più antica sono quelli della cupola, risalenti alla costruzione originaria del 1143. Accanto al Cristo Pantocratore sono raffigurati le gerarchie di angeli ed arcangeli, profeti, santi e gli evangelisti. Sulle arcate del presbiterio, le raffigurazioni dell'Annunciazione, della Presentazione al Tempio, nel catino dell'abside il Cristo benedicente. Di epoca posteriore (1154-66 circa) sono i mosaici recanti le iscrizioni latine che ornano la navata centrale, rappresentazioni di episodi tratti dal Vecchio Testamento, più tardi quelli delle navatelle, con le Storie di San Pietro e San Paolo.

Sale Duca di Montalto - Formate da molteplici ambienti, che si trovano nel seminterrato, a fianco e sotto il Cortile Maqueda. Nel 1553 i viceré spagnoli decisero di trasferire la propria residenza dal Castello a Mare al Palazzo Reale dove si realizzarono grandi opere di ristrutturazione. Il piano seminterrato fu destinato a deposito per le munizioni. 

Nel 1637 il presidente del regno don Luigi Moncada, duca di Montalto, fece affrescare ai più valenti artisti del tempo Vincenzo La Barbera, Giuseppe Costantino, Gerardo Astorino e Pietro Novelli, l'antico deposito delle munizioni, trasformandolo in sala delle udienze estive del Parlamento siciliano. Il grande ambiente subì un ulteriore modifica dopo il 1798, quando sotto Ferdinando di Borbone divenne sede delle scuderie. 

Fra le opere superstiti, meraviglioso, eseguito dal Novelli assieme a figure allegoriche, l'affresco effigiante Pietro Moncada, avo del duca di Montalto, i cui frammenti superstiti staccati, trasferiti su tela e restaurati si possono ammirare nella Galleria regionale di Palazzo Abatellis.

Nel 1788 le Sale furono trasformate in scuderie, per volere del Re Ferdinando di Borbone. Oggi ospitano mostre d'arte.

Innumerevoli sono gli ambienti ricavati nei vari livelli dei numerosi corpi di fabbrica. Un breve elenco fra i più interessanti:

Ala Moncada.

Cortile della Fontana, realizzato da Camillo Camilliani (1581 - 1584) sull'area dell'ex Torre Chirimbi, sopraelevato rispetto al Cortile Maqueda e di qualche decennio anteriore.

Cortile Maqueda: struttura con portico intero e due elevazioni di logge: 

livello interrato, depositi trasformati in Sale Duca di Montaldo; 

livello terra con accesso alla chiesa di Santa Maria delle Grazie, Scalone d'onore

1º livello loggia con accesso alla Cappella Palatina, passaggio al Cortile della Fontana;

2º livello loggia con accesso ai Parlamenti generali del Regno.

Mura Puniche - Le mura puniche databili intorno al V secolo a.C. sono state rinvenute nel 1984, esse rappresentano la più antica sezione stratigrafica di tutta l'area occupata dal Palazzo dei Normanni. Interessante è la postierla perfettamente conservata ed utilizzata nell'antichità per gestire gli accessi all'interno della paleapolis.

Porta di San Michele.

Sala degli Armigeri.

Segrete - Le segrete o Prigioni Politiche ubicate allo stesso livello della chiesa inferiore sottostante la Cappella Palatina e come essa in origine di fase arabo-normanna, si articolano sotto il Cortile della Fontana. La sala rettangolare, la più vasta di tali ambienti, è quella dalla quale deriva il nome di segrete, visto il ritrovamento negli anni ottanta di taluni graffiti, raffiguranti navi stilisticamente di gusto medievale.

Stanza dei Tesori.

Scala Bianca.

Scala Rossa.

Scalone d'onore.

Via Coperta. Antica Ruga Magna Coperta d'epoca normanna, il cui percorso protetto, seguiva lo sviluppo delle primitive fortificazioni puniche.  

Oltre a dipinti e quadri che nel corso dei secoli hanno adornato la stanze del palazzo, dal 1947 a oggi l'Ars ha periodicamente acquistato delle opere d'arte con cui ha arredato i propri uffici. Nel 2010, per la catalogazione, conservazione e restauro di questo patrimonio, è stata istituita una "fabbriceria". Tra le opere ottocentesche vi sono quadri di Francesco Lojacono, Antonino Leto e Ettore De Maria Bergler, tra quelle del '900 vi sono litografie di Joan Miró e Henri Matisse e dipinti di Renato Guttuso, Croce Taravella e Bruno Caruso.  

L'ala ovest del palazzo, insieme alla Porta Nuova, è assegnata all'Esercito Italiano. Sede dal 1870 del Distretto militare, oggi ospita il Centro Documentale di Palermo.  

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Agosto 2018