Noto
(Siracusa)

 

Definita la "capitale del Barocco", nel 2002 il suo centro storico è stato dichiarato Patrimonio dell'Umanità da parte dell'UNESCO, insieme con le altre città tardo barocche del Val di Noto.

Il sito originario della città, Noto antica, si trova 8 km più a nord, sul monte Alveria. Qui si ritrovano i primi insediamenti umani, che risalgono all'età del Bronzo Antico o Castellucciana (2200-1450 a.C.), come testimoniato dai reperti archeologici rinvenuti. Secondo un'antica leggenda, Neas, che sarebbe stato il nome della Noto più antica, avrebbe dato i natali al condottiero siculo Ducezio, che nel V secolo a.C. avrebbe difeso la città dalle incursioni greche. Questi la trasferì dall'altura della Mendola al vicino monte Alveria, circondato da profonde valli, in una delle quali scorre la fiumara di Noto. Ben presto Neas o Neaton, ormai ellenizzata nei costumi, entrò a far parte della sfera d'influenza siracusana.

Secondo Polibio e Tito Livio, Neaton fu una colonia siracusana durante il regno di Gerone II, riconosciuta nel 263 a.C. dai Romani con un trattato di pace. Il Ginnasio, le mura megalitiche e gli Heroa ellenistici convalidano le ipotesi degli storici.

Nel 214 a.C. circa, Neaton aprì le sue porte all'esercito del console romano Marco Claudio Marcello, e venne così riconosciuta come città alleata dai Romani (che la chiamavano Netum) come Taormina e Messina. In quanto tale i Romani concessero ai netini un proprio senato, tanto che ancora oggi, nei palazzi e nei portali risulta presenta la scritta SPQN (Senatus PopulusQue Netinus). Subì, come le altre città isolane, le vessazioni di Verre, descritte da Marco Tullio Cicerone.

Durante il periodo tardo-romano nella sua zona fu costruita la Villa Romana del Tellaro (IV secolo). Dopo l'occupazione della Sicilia (535-555 circa) da parte delle legioni bizantine dell'Imperatore Giustiniano, il territorio di Noto fu arricchito di monumenti, come la basilica di Eloro e la Trigona di Cittadella dei Maccari, l'Oratorio della Falconara e la Cripta di S. Lorenzo Vecchio, il Cenobio di S. Marco, il Villaggio di contrada Arco. 

Nell'864 Noto fu occupata dagli Arabi del ras Khafaja ben Sufyan, che la fortificarono. Data l'importanza attribuita alla città dagli Arabi, Noto divenne, nel 903, capovalle e il suo territorio registrò la razionalizzazione dell'agricoltura e la promozione dei commerci. Fu insediata anche l'industria della seta, sfruttando la presenza di gelsi nel territorio.

Si registra a Noto, come in molte altre città siciliane delle stesso periodo, la presenza di una notevole comunità ebraica, attestata anche da alcune grotte quali, a Noto Antica, la Grotta del Carciofo.

Nel 1091 Noto fu occupata dal Gran Conte Ruggero d'Altavilla, e venne infeudata al figlio Giordano, che iniziò la costruzione del castello e delle chiese cristiane. Durante il regno dell'imperatore Federico II di Svevia, a Noto, governata dal conte Isinbardo Morengia, fu eretto il monastero cistercense di Santa Maria dell'Arco.

Durante il periodo angioino, il 2 aprile 1282, Noto partecipò all'insurrezione dei Vespri Siciliani. Nel 1299, durante la guerra per il possesso della Sicilia tra Federico III d'Aragona e Carlo II d'Angiò, il castellano di Noto Ugolino Callari (o di Callaro) si ribellò al primo passando dalla parte di quest'ultimo, e consegnò la città all'esercito di Roberto d'Angiò, figlio di Carlo II.

Tornata sotto il dominio aragonese, Noto fu poi governata da Guglielmo Calcerando. Sotto il regno di Alfonso V d'Aragona fu Viceré di Sicilia Niccolò Speciale, netino, che diede un importante contributo allo sviluppo della città, governata al tempo dal duca Pietro d'Aragona, fratello del re. 

Il duca fece edificare nel 1431 la Torre Maestra del Castello di Noto Antica. Nel 1503, per intervento del vescovo Rinaldo Montuoro Landolina, il re Ferdinando II d'Aragona conferì conferì a Noto il titolo di "Città ingegnosa" per i tanti personaggi che nel Quattrocento si distinsero nel campo dell'Arte, delle Lettere e della Scienza, come Giovanni Aurispa, Antonio Cassarino, Antonio Corsetto, Andrea Barbazio e Matteo Carnalivari.

Nel 1542 il Viceré Ferrante Gonzaga fortificò le mura della città.  

Il terremoto del 1693 distrugge completamente la città. Per la ricostruzione viene scelto un luogo meno impervio e più vasto, che permetta la realizzazione di un impianto semplice, lineare, con intersezioni ad angolo retto e strade parallele ed ampli come vuole il nuovo gusto barocco. Tre le strade principali che corrono da est a ovest perché il sole le illumini sempre. 

Padre Angelo Italia posò il pennino e si passò le mani sul viso. Erano ore che disegnava corsi, vie, piazze, e i suoi occhi non erano più quelli di una volta. "D'altra parte", borbottò fra sé, "ho 72 anni, alla mia età non dovrei stare seduto così a lungo". Si alzò e andò alla finestra. 

Era una bella giornata di novembre, serena e brillante come lo sono spesso i giorni d'inverno in Sicilia. Doveva andare al cantiere della nuova Noto, ecco cosa doveva fare. Risoluto, raccolse intorno a sé le pieghe della lunga tonaca da gesuita e uscì dalla stanza, chiamando a gran voce il servitore, che gli facesse preparare la carrozza.

Quando giunse nel cuore di quella che sarebbe diventata una città, proprio di fronte all'abbozzo della futura cattedrale, vide l'ingegnere del re di Spagna, il generale Carlos de Grunenbergh, venirgli incontro con un sorriso soddisfatto: i lavori procedevano a dovere. Insieme entrarono nella baracca dove, su un tavolo, erano stesi i disegni a cui avevano lavorato, e padre Angelo li sfiorò appena con i polpastrelli: Noto, la sua creatura. "E di de Grunenbergh", soggiunse fra sé, pentendosi subito di quel moto di superbia.  

Il progetto era splendido, con la perfetta griglia di strade adagiata tra il pendio e il pianoro del Meti, il colle scelto per ricostruire la città distrutta dal terribile terremoto del 1693. Sulla carta lo sguardo poteva seguire le direttrici parallele e immaginare il susseguirsi di chiese e palazzi che le avrebbero rese preziose. E poi le piazze, da arredare con la vivace grammatica del barocco come fossero eleganti salotti, le vie minori e i vicoli a incorniciare la stretta ragnatela delle case del popolo. Al centro quasi geometrico di tutto, lungo il corso principale, il grande palcoscenico che avrebbe visto sorgere la chiesa madre, futura cattedrale, in vetta a un'ampia scalinata, il palazzo Vescovile, quello della famiglia Landolina e, proprio dirimpetto, palazzo Ducezio.  

Il duca Giuseppe Lanza, plenipotenziario del re di Spagna incaricato della ricostruzione del vai di Noto dopo il terremoto, aveva dato loro carta bianca, ordinando solo che Noto, la città più importante, risorgesse più bella di prima. Per questo padre Italia e il generale avevano lasciato che le scomposte rovine di Noto antica, sul monte Alveria, si ricoprissero d'erba e avevano scelto un altro sito per la nuova città, attingendo ai fondi stanziati dal re di Spagna. Il re stesso aveva dato l'incarico a de Grunenbergh e il fiammingo stava tutto il giorno al cantiere, dando addosso agli operai e agli scalpellini e litigando con gli architetti che disegnavano chiese, palazzi, conventi.

Noto cresceva elegante, regale, ricca di simbolismi eppure funzionale. Le sedi del potere religioso accanto a quelle del potere civile, le abitazioni aristocratiche immerse nel tessuto connettivo di quelle popolari: tutto perfettamente disposto, come in una scenografia teatrale, ben visibile fin da lontano a chiunque si approssimasse alla città. A dare colore era la splendida pietra calcarea color miele estratta dalle colline dei dintorni, docile ai capricci di quel barocco che gli architetti avevano deciso di declinare in maniera così particolare, unendo a canoni ben definiti elementi rinascimentali e spagnoleschi, alternando puri divertimenti decorativi a dotte citazioni tratte dai palazzi romani, dalle opere del Vignola e di Michelangelo. Di fatto, in questo modo si creò uno stile del tutto nuovo e unico, ornamentale ma non privo di richiami alla classicità.

Purtroppo, Angelo Italia non riuscì a vedere ultimata la sua creatura perché morì poco dopo aver consegnato gli ambiziosi progetti. D'altra parte, sarebbe stato comunque impossibile: ci vollero circa cento anni per costruire tutto quanto e via via che le opere venivano terminate, le precedenti cominciavano a dare segni di invecchiamento. 

Nell'Ottocento, con la nuova riforma amministrativa, Noto perse il ruolo di capovalle, che passò a Siracusa. Tuttavia nel 1837, a causa del moto carbonaro di Siracusa, Noto divenne capoluogo di provincia, e nel 1844 anche centro di una diocesi. Nel 1848 scoppiò la Rivoluzione siciliana indipendentista e Noto vi partecipò, la rivolta venne repressa l'anno successivo e il netino Matteo Raeli, ministro del governo rivoluzionario, andò in esilio a Malta.

Nel 1861 Noto, dopo la Spedizione dei Mille, entrò a far parte del Regno d'Italia, conservando inizialmente il titolo di capoluogo di provincia, poi trasferito a Siracusa nel 1865. Nel 1870 fu inaugurato il Teatro Comunale; l'esiliato Matteo Raeli fu nominato ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti della nuova nazione. Intorno al 1880 a Noto fu edificata la stazione ferroviaria.  

Dopo la seconda guerra mondiale iniziò il processo migratorio verso le regioni settentrionali d'Italia, la Germania, la Francia, il Belgio, l'Argentina, gli USA e il Canada e la città di Noto conosce qualche decennio di decadenza. Nel 1977 si tenne a Noto un convegno “Simposio sull'architettura di Noto”, organizzato da regista Corrado Sofia e dall'allora sindaco Alberto Frasca (PCI), tale simposio portò all'attenzione di vari studiosi, tra i quali André Chastel e Cesare Brandi, il problema del barocco netino, determinando un rinnovato interesse per la città e la sua storia millenaria.

Negli ultimi anni si è registrata una ripresa economica, dovuta alla sviluppo del turismo, che rappresenta la principale risorsa della città barocca. Il 13 marzo del 1996 la cupola della Cattedrale crolla a causa di un difetto di costruzione e del sovraccarico strutturale determinato dalla costruzione di un solaio in cemento sopra la navata centrale. La città è stata inserita nella lista dei siti patrimonio dell'umanità dall'UNESCO nel 2002. A conclusione di un lungo e complesso restauro, la chiesa è stata riaperta dopo undici anni di lavori 18 giugno 2007. 

Simboli - Antico simbolo della città era probabilmente il toro: ad avvalorare questa tesi, peraltro sostenuta da diversi studiosi siciliani, sarebbe un'antica medaglia raffigurante un toro ritto su due zampe con l'incisione S.P.Q.N., di cui si sono perse le tracce. Durante il regno di Ferdinando il Cattolico, insignita del titolo di urbs ingegnosa, la città ebbe il proprio stemma ufficiale, che consisteva in uno scudo crociato bianco e rosso/amaranto nei cui lati si trovava (su sfondo bianco) a volte l'incisione Netum · urbs · ingegnosa · et · vallis · caput, altre volte semplicemente S.P.Q.N. 

Il suddetto stemma rimase in vigore fino a pochi anni dopo l'unità d'Italia (tant'è che tutt'oggi possibile vederlo sui prospetti di diversi monumenti cittadini, come il municipio e la Cattedrale), quando, sulla scia di altri comuni siciliani e, in particolare, siracusani, fu adottato lo scudo sabaudo con l'aquila coronata, con l'antico scudo crociato (seppur modificato) posto sull'addome del rapace. Solo alla fine dell'XIX secolo, per volere del marchese del Castelluccio, fu aggiunta la dicitura S.P.Q.N. in ricordo degli antichi fasti.

Le vie della città sono intervallate da scenografiche piazze e imponenti scalinate che raccordano terrazze e dislivelli. L'unitaria ricostruzione produsse un tessuto urbano coerente e ricco di episodi architettonici. Venne utilizzata la tenera pietra locale, di colore tra il dorato e il rosato, riccamente intagliata. La ricostruzione avvenne unitariamente sotto la guida del Duca di Camastra, che rappresentava a Noto il Viceré spagnolo.

A differenza di quanto accadde di solito nelle costruzioni barocche delle province del Sud Italia, come soprattutto a Lecce e, in Sicilia, a Catania, gli architetti che lavorarono a Noto non puntarono tutto sui motivi ornamentali, i quali restano sempre ben controllati, senza squilibri rispetto alle architetture nelle quali sono inseriti. Inoltre, gli architetti attivi a Noto, Rosario Gagliardi, Vincenzo Sinatra e Paolo Labisi, si impegnarono anche nella realizzazione di architetture elaborate, con l'impiego di facciate concave (come nella chiesa del Carmine o in quella di San Carlo Borromeo al Corso), convesse (come la chiesa di San Domenico) o addirittura curvilinee, come nella torre campanaria del seminario.

Il barocco di Noto pervade l'intera città: gli elementi barocchi non sono isolati all'interno di un contesto urbano caratterizzato da diversi stili, ma sono collegati tra di loro in modo da realizzare quella che è stata definita la "perfetta città barocca". A tal proposito Ugo Ojetti sostenne: «Noto ai primi del Settecento è una delle nostre città sorte d'un colpo, pel fatto sembra d'una volontà sola, immagine precisa del gusto d'un'epoca. A visitarla, palazzi, chiese, conventi, teatro pare un monumento unico, tutto costruito nello stesso tufo giallo, nello stesso barocco, come dice bene il Fichera, fiammeggiante, con una grandiosità senza pause e una regalità senza avarizia».

Dell'impegno degli architetti netini per la creazione di grandi scenografie, in un'ottica barocca pienamente consapevole e non provinciale, si accorse pure un maestro dell'immagine come Michelangelo Antonioni, il quale in una scena de L'Avventura, girata a Noto, fa dire al protagonista, interpretato da Gabriele Ferzetti, intento ad ammirare la città dalla terrazza del campanile della chiesa di San Carlo al Corso: «Ma guarda che fantasia, che movimento. Si preoccupavano degli effetti scenografici. Che libertà straordinaria!»

Perla del Barocco siciliano

La prima cosa che ci colpisce di Noto è la materia di cui è fatta, una pietra calcarea, tratta dai vicini monti Iblei, capace di assumere sfumature di colore diverse secondo la luce del giorno. E poi i numerosi conventi, le chiese, i palazzi nobiliari: camminare nel suo centro storico significa posare a ogni passo lo sguardo su architetture di rara bellezza e grazia. 

Partiamo dalla piazza centrale, in cui la grande cattedrale si contrappone alla leggera loggetta del Palazzo Ducezio, sede del Comune. Da lì, basta un breve cammino per incontrare due capolavori del grande architetto Rosario Gagliardi: l’intima bellezza della chiesa di Santa Chiara, con il suo zampillare di decorazioni delicate in un interno vestito da preziosi stucchi, frutto di un alto artigianato, e la chiesa di San Domenico che mostra una tra le più belle facciate di tutta la cultura architettonica tardo barocca.

Molti poi sono i palazzi che, magari per anni abbandonati a causa dei costi proibitivi della loro ristrutturazione, sono stati di recente restituiti a nuova vita. È il caso di Palazzo Nicolaci, residenza nobiliare urbana della famiglia omonima, risalente ai primi decenni del Settecento che, con i suoi novanta ambienti, è stato acquistato dal Comune di Noto.

Ancora una volta opera dell’architetto Gagliardi, Palazzo Nicolaci comincia a stupirci fin dall’esterno dove, sotto i balconi della facciata, domina una fila di mensole, sulle quali una serie di figure, scolpite in pietra, racconta, come in un grande spettacolo, storie con protagonisti fantastici o grotteschi come sirene, leoni, sfingi, ippogrifi, cavalli alati e angeli. Un vero racconto di avventura, immobile nei secoli eppure pieno di vita. Ancora più affascinante è il salone delle feste: se alziamo lo sguardo al soffitto, totalmente affrescato, possiamo “leggere” l’allegoria del carro di Apollo che insegue l’Aurora, una copia dell’originale del pittore e incisore italiano seicentesco Guido Reni.

Così tanta arte in un piccolo spazio è giustificata dal desiderio di rinascita di una città, anzi di un’intera zona che sembrava in ginocchio: il devastante terremoto del 1693, infatti, rase al suolo circa sessanta centri urbani del sud-est siciliano provocando oltre cinquantamila vittime. Una tragedia cui seguì però una reazione altrettanto potente: le popolazioni colpite, abbandonate le vecchie strutture medievali, puntarono sul nuovo, sul moderno. E in quegli anni, il nuovo era proprio il barocco. Così, in Sicilia, passato e futuro si incontrano, si compenetrano, si danno a vicenda forza e magia.

Cattedrale

La cattedrale di San Nicolò è il luogo di culto cattolico più importante della città di Noto, nonché sede vescovile dell'omonima diocesi, in Sicilia. È ubicata sulla sommità di un'ampia scalinata, sul lato nord di piazza Municipio (area domus-ecclesiae), ed è dedicata a san Nicolò, vescovo di Mira.

La costruzione del tempio iniziò nel 1694, e fu completata nel 1703, anno in cui fu aperta al culto con la solenne dedicazione. Nel corso dei secoli, tuttavia, sia la facciata che l'interno hanno subito numerosi rimaneggiamenti, che le hanno conferito l'aspetto attuale solamente alla fine del XIX secolo, con l'erezione della nuova cupola, opera del netino Cassone.

L'interno, a tre navate, custodisce numerose opere d'arte, alcune delle quali provenienti da Noto Antica, fra le quali l'urna argentea contenente le spoglie mortali di san Corrado Confalonieri. Il disastroso crollo del 1996, tuttavia, ha causato la perdita dell'intero apparato iconografico, il cui rifacimento, tuttora in corso, fa del tempio uno degli ultimi grandi cantieri d'arte sacra contemporanea. Il 21 gennaio 2012 papa Benedetto XVI ha elevato la cattedrale a basilica minore.

La facciata risponde alla "tipologia con le due torri laterali" e presenta evidenti analogie con la parrocchiale di Versailles e le incisioni della chiesa di Saint Roch a Parigi. Essa è frutto di un corposo rimaneggiamento attuato da Vincenzo Sinatra nella seconda metà del '700 (su un campanile è riportata la data 1768) nella preesistente facciata incompiuta di Rosario Gagliardi, che a sua volta aveva rielaborato il progetto originario (forse opera di Fra Angelo Italia). La successiva aggiunta di nuovi elementi rende evidenti le incongruenze linguistiche tra i diversi elementi e l'eclettismo della composizione. 

Nella sopraelevazione delle due torri campanarie, ad esempio, le paraste non sono ripetute come alla base, mentre i timpani arricciati indicano un'influenza del Settecento catanese. Le porte principali sono inoltre di ispirazione neocinquecentesca (tratte da Vignola o Domenico Fontana). Il finestrone centrale con "orecchie" e timpano curvilineo è ripreso invece dal repertorio di Andrea Pozzo ed è vicino ad alcune realizzazioni netine di Francesco Paolo Labisi (chiesa del Carmine). 

Il tempio fu completato verosimilmente alla fine del XVIII secolo, anche se nel secolo successivo fu ricostruita la cupola, in stile neoclassico con tracce neobarocche, per sostituire la precedente (che non era quella originaria), crollata a causa dei terremoti.

Nel secolo scorso, intorno agli anni cinquanta, furono apportati vari rifacimenti e modifiche nell'apparato decorativo, non sempre ben riusciti, come il trompe-l'oeil delle strutture verticali e la decorazione a tempera delle volte da parte dei pittori Arduino e Baldinelli, le radicali modifiche dell'altare maggiore e dell'antico organo e inoltre la sostituzione dell'originaria copertura a falde (con struttura in legno) della navata centrale con un pesante solaio latero-cementizio che probabilmente fu una delle cause principali del crollo del 1996.

In seguito al terremoto del 13 dicembre 1990 la chiesa subì alcuni danni strutturali e già allora si pensò di chiuderla al culto e di sottoporla a restauri. Tuttavia non si fece in tempo a prendere tali provvedimenti. La sera del 13 marzo del 1996, a causa di un grave difetto costruttivo dei pilastri della navata centrale (riempiti "a sacco" con sassi di fiume anziché con conci in pietra squadrati), il primo dei piloni di destra che fa da sostegno alla cupola "per schiacciamento" rovinò al suolo, trascinando con sé nel crollo la cupola stessa e per effetto domino l'intera navata destra, la navata centrale e il transetto destro lasciando miracolosamente in piedi solo una piccola parte del tamburo. Fortunatamente non vi furono vittime, poiché a quell'ora la chiesa non era aperta al pubblico. L’area interessata dal crollo era di 1000 m², con un volume di circa 6000 m³. La richiesta ai progettisti incaricati fu un progetto “Com’era, dov’era”.

Nel gennaio del 2000, dopo una prima fase di sgombero delle macerie, hanno avuto inizio i lavori di ricostruzione e di restauro, eseguiti da maestranze locali, addestrate per l'occasione nell'utilizzo della pietra calcarea e delle tecnologie antiche. Inizialmente sono stati riedificati con conci squadrati in pietra e senza alcun uso del calcestruzzo armato i nuovi pilastri di destra, che conservano la forma e le fattezze di quelli originari, ma senza il difetto costruttivo che aveva causato il crollo della basilica. Quindi si è passati alla demolizione e alla successiva ricostruzione dei pilastri della navata sinistra, che riportavano le stesse gravi imperfezioni di quelli crollati. Successivamente sono ritornate all'antico splendore la navata centrale, la navata destra, i cupolini di destra, i contrafforti, gli archi trasversali e longitudinali. 

Ultimo capitolo della ricostruzione della cattedrale è stato l'elevazione della nuova cupola, pressoché identica all'originale: da essa differisce solo per piccole correzioni, come l'ispessimento di pochi millimetri della base del tamburo. La nuova struttura di copertura della chiesa non è di tipo latero-cementizio (come il solaio crollato risalente agli anni cinquanta), ma è stata ricostruita come era originariamente con capriate in legno e manto in coppi siciliani, mentre le volte sono realizzate con il tradizionale incannucciato e gesso. Una volta completati i lavori di ricostruzione in muratura, sono stati ripristinati infine gli apparati decorativi in stucco, come capitelli, trabeazione e cornici.

La ricostruzione è stata dunque eseguita con gli stessi materiali e con le tecniche del Settecento, all'interno di un cantiere in cui si è coniugato tradizione e innovazione. Sono state utilizzate pietre locali come la pietra calcarea bianca per le strutture verticali, l'arenaria per le strutture archivoltate e la pietra di Modica per la pavimentazione, assemblate però con moderni metodi antisismici. Proprio per migliorare la resistenza ai forti terremoti si è fatto ricorso infatti a materiali come la fibra di carbonio.

A conclusione di questo lungo e complesso lavoro di ricostruzione e di restauro dell'esistente, dopo undici anni dal crollo, il 18 giugno 2007, la chiesa è stata riaperta al culto. Alla cerimonia erano presenti gli allora presidente del Consiglio Romano Prodi e capo della protezione civile Guido Bertolaso e gran parte delle autorità civili e religiose regionali e nazionali.

Una nuova decorazione pittorica è iniziata nell'estate 2009 dai pennacchi della cupola. Nella cerimonia tenutasi domenica 13 febbraio 2011 e presieduta dal vescovo di Noto Antonio Staglianò alla presenza delle autorità civili, tra le quali il commissario Vittorio Sgarbi e il ministro Stefania Prestigiacomo, è stato inaugurato il grande affresco della cupola, raffigurante "La Pentecoste", e dei pennacchi, con i quattro evangelisti, del pittore russo Oleg Supereko. Nella stessa occasione sono state inaugurate le vetrate del tamburo, realizzate dall'artista toscano Francesco Mori, già autore della copia della fenestra rotunda magna di Duccio di Buoninsegna nel coro del duomo di Siena, e sono stati benedetti il nuovo altare, la croce e l'ambone in bronzo argentato di ispirazione berniniana dello scultore romano Giuseppe Ducrot.

L'8 aprile 2016 il presidente della Repubblica Sergio Mattarella visita ufficialmente la cattedrale assieme a Vittorio Sgarbi.

Esterno - La facciata in pietra calcarea tenera è un esempio di stile tardo barocco, cui non mancano elementi eclettici ed una marcata aspirazione neoclassicista. Si erge sulla sommità di una scenografica scalinata composta da tre rampe risalenti al Settecento ma ristrutturate agli inizi dell'Ottocento. 

La tipologia della facciata è a torri laterali ed è riferibile ad alcune composizioni francesi del Settecento, cui si ispiravano gli architetti del tempo. È coronata da quattro statue tardo settecentesche (eseguite nel 1796 dallo scultore Giuseppe Orlando e raffiguranti gli evangelisti) e presenta nel primo ordine, fiancheggiati da slanciate colonne corinzie, tre maestosi portali: quello centrale è in bronzo e rappresenta episodi della vita di san Corrado Confalonieri da Piacenza, opera dello scultore siciliano Giuseppe Pirrone (1982).

Interno - L'interno, a croce latina con tre navate, delle quali quella centrale più grande delle due laterali, ha subito numerosi rimaneggiamenti, raggiungendo le attuali sembianze solamente nel 1899, quando fu costruita la cappella del SS. Sacramento. Quasi completamente disadorno fino alla metà del secolo scorso, fu affrescato dal torinese Nicola Arduino e dal bolognese Armando Baldinelli, fra il 1950 e il 1956, a seguito di un voto fatto dal sindaco della città a san Corrado Confalonieri durante la guerra. La ricostruzione in seguito al crollo del 1996 e alla conseguente perdita dell'apparato iconografico ha restituito l'interno all'originario candore.

Nell'abside sono posti due troni vescovili con relativi sgabelli in legno scolpito e dorato (secc. XVIII-XIX), un coro ligneo, lo stemma in marmo del vescovo Angelo Calabretta al centro della pavimentazione, l'altare maggiore in marmo policromo con alle spalle il trittico del maestro Arduino (la cui cornice proviene dall'antico organo) raffigurante san Nicolò al centro, san Corrado a sinistra, e san Guglielmo a destra.

Nelle navate laterali è possibile ammirare le opere preesistenti restaurate che sono scampate al crollo.

Nella navata destra si trovano le seguenti opere:  

Fonte battesimale in marmi policromi, Immacolata con Santi Martiri, dipinto olio su tela (sec. XVIII);

Adorazione dei pastori, dipinto olio su tela di Giovanni Bonomo (1783); accanto all'ingresso laterale è stato ricomposto un mausoleo in marmo policromo del preposito Giovanni Di Lorenzo;

Madonna delle Grazie, bassorilievo in marmo dipinto (sec. XVI), decorazioni in stucco e sculture in stucco di Santa Lucia e Sant'Agata, Assenza (1924);

Consegna delle chiavi a San Pietro, dipinto olio su tela di Giuseppe Patania (1827). Sull'altare del transetto destro è collocata una statua lignea dorata e policromata raffigurante San Nicolò (sec. XVIII). La cappella di fondo della navata destra custodisce la preziosa arca cinquecentesca in legno rivestito in lamina d'argento, finemente lavorata a sbalzo e cesello, contenente le spoglie di San Corrado Confalonieri, patrono della città e della Diocesi di Noto (visibile solo in occasione delle festività dedicate al santo nei mesi di febbraio ed agosto).

Nella navata sinistra si trovano le seguenti opere:

Miracolo di San Francesco di Paola, dipinto olio su tela, attr. Costantino Carasi (sec. XVIII);

Spasimo di Sicilia, dipinto olio su tela, Raffaele Politi (1809);

Sacro Cuore, scultura lignea policroma (sec. XIX);

Madonna e anime purganti, attr. Costantino Carasi (sec. XVIII), San Michele, scultura in marmo di scuola gaginiana (sec. XVI). Sull'altare del transetto sinistro è collocato un Crocifisso, in legno policromo, proveniente dalla Chiesa della SS. Provvidenza in Noto Antica. La cappella di fondo della navata sinistra è dedicata al SS. Sacramento ed è ornata da stucchi realizzati nel 1899 dagli scultori Giuliano da Palazzolo e Senia da Noto.

Le opere d'arte contemporanea - Nella volta della navata centrale, dove prima del crollo campeggiava la tempera con la "Gloria di San Corrado" dell'Arduino, è collocata una tela polilobata di 110 m² raffigurante l'Assunzione della Madonna e le quattro virtù cardinali. Nei pennacchi sono raffigurati i quattro evangelisti, mentre sulla superficie della cupola è rappresentata la Pentecoste, del russo Oleg Supereko (2011). 

Nell'area del presbiterio sono posti l'altare, l'ambone e la croce in bronzo argentato con basi in diaspro di Sicilia realizzati da Giuseppe Ducrot. Nel catino absidale è stato dipinto dal marchigiano Bruno d'Arcevia l'affresco del Cristo Pantocratore: la figura centrale del Cristo trionfante sulla morte è affiancata alla destra da San Giovanni Battista, il precursore, e alla sinistra dalla Vergine Maria. Sopra di essi una fiamma con la colomba simbolo dello Spirito Santo e la figura dell'Eterno Padre. Nei riquadri sottostanti, come a partecipare della Gloria del Pantocrator, l'artista marchigiano ha dipinto i dottori della chiesa, con al centro Sant'Agostino e Sant'Ambrogio (2013). 

Lo stesso Bruno D'Arcevia ha ricevuto l'incarico di affrescare "L'attesa del Giudizio Universale" o "Etimasia" nella volta del presbiterio, tra il catino absidale e la cupola, a raccordo delle due superfici pittoriche di diversa ascendenza artistica, dove ha posto un trono vuoto con le insegne di Cristo: un cuscino con il mantello da giudice, un libro chiuso (il Libro della Legge), la Croce e gli strumenti della Passione, come la corona di spine, con la lancia e la canna con la spugna, ed inoltre i sette sigilli, la colomba dello Spirito Santo e ai piedi del trono un vasetto nel quale sono contenuti i quattro chiodi della crocifissione.

Sono diciassette in tutto le nuove vetrate di Francesco Mori: nove nella navata centrale raffiguranti i Santi Patroni delle città della Diocesi (tutte rifatte per coerenza, in quanto quelle esistenti sulla destra andarono distrutte durante il crollo), sei nei due transetti e due (ovali) nell'abside, mentre sopra il portone centrale è stata ricollocata, dopo un restauro, la vetrata preesistente al crollo che ritrae San Corrado.

Nel luglio 2013 viene ultimata la posa in opera, all'interno delle nicchie delle navate laterali, delle dodici sculture in gesso bianco (come quelle del Serpotta), alte un metro e ottanta centimetri, alle quali si aggiungono i due Santi Patroni d'Italia, che sono collocati ai lati dell'ingresso principale. Filippo Dobrilla ha realizzato San Mattia; Livio Scarpella, San Bartolomeo e Sant'Andrea; Demetrio Spina, San Taddeo e San Simone; Vito Cipolla, San Filippo e San Giacomo minore; Tullio Cattaneo, San Matteo e San Giacomo maggiore; Giuseppe Ducrot, San Pietro e San Tommaso; Giuseppe Bergomi, San Giovanni e Santa Caterina; Gaspare da Brescia, San Francesco. 

L'ispirazione del barocco emerge con forza, soprattutto nelle opere di Cattaneo e Scarpella, costruite su contrapposti, torsioni e ricchezza dei panneggi, mentre nella Santa Caterina e nel San Giovanni Bergomi ha insistito sui tagli decisi nel blocco plastico del volume, che creano ombre profonde, e su dettagli espressivi come le mani e il libro che si aprono come un fiore. Sulle pareti delle navate laterali sono poste le tele raffiguranti le stazioni della Via Crucis di Roberto Ferri.

La scelta delle opere del nuovo apparato iconografico e decorativo - Una commissione di consulta per l'eccellenza estetica, istituita dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e nominata dal Dipartimento nazionale di protezione civile, ha dato incarico ad artisti contemporanei di fama nazionale ed internazionale per la esecuzione degli affreschi sulla cupola, dei bozzetti per la realizzazione delle tele ad olio destinate agli altari del transetto e delle sculture da collocare nelle nicchie delle navate laterali.

Ventisei artisti di chiara fama hanno concorso alle nuove decorazioni. Obbligatori, per partecipare al concorso per la decorazione del catino absidale, alcuni elementi da tenere in considerazione, relativi al contesto sacro e messi a punto a suo tempo da Monsignor Carlo Chenis: la presenza centrale del Cristo Pantocratore, dei quattro dottori della chiesa, i santi Ambrogio, Crisostomo, Agostino, Gregorio Magno, la presenza della Madonna Scala del Paradiso, co-patrona di Noto, e ancora san Corrado Confalonieri. I bozzetti sono stati esposti dal 30 settembre al 27 novembre 2011 a Palazzo Grimani a Venezia in occasione della 54ª edizione della Biennale in una mostra curata da Vittorio Sgarbi. Alcuni progetti tra quelli selezionati sono stati realizzati, mentre non è stato possibile realizzare altre opere importanti, come le grandi tele del transetto per la scomparsa dell'ottantaseienne maestro Ottavio Mazzonis.  

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Agosto 2019