Lo
Mzab
o
M'zab,
(in
berbero
Aghlan
n
Mzab
"Paese
dello
Mzab"),
è
una
regione
situata
nel
nord
del
deserto
del
Sahara,
nella
provincia
algerina
di
Ghardaia,
a
circa
500
chilometri
a
sud
di
Algeri.
Una
parte
della
popolazione
ibadita
di
Tahert
si
stabilì
qui
dopo
essere
stata
sconfitta
dai
Fatimidi
agli
inizi
del
X
secolo.
In
precedenza
l'ibadismo
aveva
a
lungo
dominato
nell'Africa
settentrionale
durante
l'epoca
rustumide,
e
nello
Mzab
i
suoi
fedeli
trovarono
un
rifugio
facilmente
difendibile.
Lo
Mzab
venne
annesso
nel
1882
dalla
Francia
come
parte
delle
sue
colonie
nordafricane.
Dopo
l'indipendenza
algerina
del
1962
il
territorio
divenne
parte
dell'Algeria.
La
lingua
della
popolazione
che
vive
nello
Mzab
è
chiamata
tumzabt,
un
ramo
delle
lingue
berbere
Sugli
affioramenti
rocciosi
lungo
lo
uadi
M'Zab
si
trovano
5
villaggi
fortificati,
conosciuti
collettivamente
col
nome
di
Pentapoli.
Essi
sono
Ghardaia
(oggi
l'insediamento
principale),
Beni
Isguen,
Melia,
Bounoura,
ed
El-Ateuf.
Ad
esse
si
sono
poi
aggiunte
le
città
di
Berriane
e
Guerara,
per
formare
l'odierna
Ettapoli.
La
combinazione
fra
il
purismo
funzionale
della
fede
ibadita
con
lo
stile
di
vita
proprio
delle
oasi
ha
portato
ad
una
rigorosa
organizzazione
dello
spazio
e
del
territorio.
Ogni
città
possiede
una
moschea
costruita
sul
modello
delle
fortezze,
il
cui
minareto
fungeva
da
torre
di
guardia.
Intorno
alla
moschea
vennero
costruite
abitazioni
tutte
uguali,
a
cerchi
concentrici.
Questo
tipo
di
architettura
venne
sviluppato
per
scopi
ugualitari,
pur
rispettando
l'intimità
familiare.
Durante
l'estate
gli
abitanti
delle
città
migravano
verso
'città
estive',
situate
attorno
a
oasi
con
palmeti.
La
valle
dello
Mzab
è
stata
inserita
nel
1982
nell'elenco
dei
Patrimoni
dell'umanità
dell'UNESCO,
come
riconoscimento
di
un
esempio
intatto
di
un
tradizionale
habitat
umano
perfettamente
adattato
all'ambiente
circostante.
La
natura
stessa
della
cultura
ibadita
ha
fatto
sì
che
quest'area
si
conservasse
intatta,
e
gli
ibaditi
continuano
tutt'oggi
a
dominare
la
vita
sociale
della
regione.
LE
CINQUE
KSOUR A
sud
dell’oasi
di
Berriane,
inizia
la
regione
del
M’Zab,
un
territorio
all’apparenza
arido
ed
inospitale,
ma
che
racchiude
uno
dei
gruppi
etnici
più
interessanti
dell’Algeria
e
forse
del
Sahara,
i
mozabiti.
Sono
non
soltanto
una
stirpe
di
pura
razza
berbera,
ma
costituiscono
anche
una
stretta
comunità
religiosa,
seguace
della
setta
politico-religiosa,
fortemente
impregnata
di
puritanesimo
degli
ibaditi,
che
sono
gli
unici
discendenti
rimasti
della
setta
musulmana
eretica
dei
Kharigiti,
che
rifiutarono
l’autorità
di
Alì
genero
di
Maometto
colpevole
secondo
i
mozabiti,
di
essere
stato
abbastanza
mite
nel
non
punire
con
il
sangue
un
assassinio.
E
in
questi
luoghi
che
si
stabilirono
i
rifugiati
ibaditi.
Con
le
loro
mani
hanno
scavato
pozzi,
hanno
creato
dal
nulla
rigogliosi
palmeti
e,
una
dopo
l’altra,
edificato
le
cinque
città
del
M’Zab.
La
pentapoli
mozabita,
della
quale
fanno
parte
Ghardaia
che
è
la
capitale,
Beni
Isguen
la
città
santa,
Melika
la
regina,
Bou
Noura
la
luminosa
e
El
Atteuf
la
decana,
è
famosa
per
l’armoniosa
combinazione
di
semplicità
delle
forme
e
degli
stili,
dei
materiali
e
delle
tecniche
usati
all’insegna
di
un
rigore
insito
nello
stile
di
vita
dei
mozabiti,
che
invitano
alla
dolcezza
di
vivere. Per
gli
urbanisti
del
mondo
intero
la
pentapoli
rappresenta
la
sintesi
culturale
di
questo
popolo
austero
e
puro,
ogni
elemento
costruttivo
è
collegato
alla
quotidianità
del
vivere,
ed
è
da
questo
che
il
grande
Le
Corbusier
ha
tratto
l’ispirazione
per
realizzare
alcune
delle
sue
opere
architettoniche
in
Francia.
Città–fortezze,
furono
erette
all’interno
di
grosse
mura
di
cinta
diventando
dei
villaggi
grandi
il
giusto
per
poter
ascoltare
da
qualsiasi
punto,
il
richiamo
del
muezzin.
Alla
sommità
si
ergeva
la
moschea
che,
oltre
ad
essere
centro
religioso,
servì
come
centro
culturale,
sociale
e
da
ultimo,
come
fortezza
e
deposito
di
armi. Appena
sotto,
il
quartiere
dei
"tolba",
i
maestri
del
corano
e,
scendendo,
il
quartiere
dei
commercianti
e
i
contatti
con
il
mondo
esterno.
Un
tempo
delle
enormi
catene
sbarravano
la
strada
agli
estranei
rendendo
ancora
più
chiaro
la
voglia
e
forse
anche
il
bisogno
di
isolarsi,
di
mantenersi
puri.
Viste
dal
basso
tutte
le
strade
confluiscono
verso
la
moschea,
la
cui
vita
intima
e
spirituale
è
nascosta
agli
sguardi
indiscreti,
solo
gli
scambi
commerciali
e
la
vita
pubblica
si
svolgono
al
di
fuori,
sulla
piazza
del
mercato.
Ogni
città
ha
una
propria
oasi,
luogo
di
riposo,
di
ritiro
e
di
svago
per
le
famiglie
mozabite
durante
la
stagione
calda.
I
vicoli
e
la
folta
vegetazione
delle
palme
e
degli
alberi
da
frutta,
proteggono
con
l’ombra
i
ricchi
giardini.
Le
abitazioni
tutte
uguali
(l’ostentazione
e
il
lusso
sono
banditi
dai
mozabiti)
sono
chiuse,
cieche
ed
impenetrabili,
solo
una
fessura
sopra
la
porta
permette
di
vedere
chi
bussa. Le
strade
strette
conducono
nel
punto
più
alto
della
città
dove
svetta
la
moschea
con
il
tipico
minareto
ibadita,
da
dove
è
possibile
ammirare
al
di
là
del
muro
di
cinta,
la
varietà
dei
colori
delicatamente
combinati
alla
luce
del
sole.
Al
mercato
di
Ghardaia,
nella
bella
piazza
contornata
da
portici
ricchi
di
negozi
e
bancarelle,
si
respirano
gli
odori
e
i
profumi
di
una
terra
dove
le
dimensioni
dell’uomo,
spirituale
e
carnale,
restano
chiuse
come
in
uno
scrigno.
Questo
è
il
posto
ideale
per
procurarsi
oltre
ai
prodotti
artigianali
del
M’Zab,
oggetti
che
provengono
da
un
po’
tutto
il
Sahara;
già
in
passato
gli
astuti
mozabiti
erano
riusciti
a
deviare
il
traffico
carovaniero
verso
la
pentapoli. Oggi
i
potenti
camion
riforniscono
le
botteghe
e
il
mercato.
Beni
Isguen,
la
città
santa
del
M’Zab,
ha
conservato
immutata
la
sua
antica
struttura
con
il
quartiere
dei
"tolba"
ai
piedi
della
moschea.
Il
suo
nome
significa
"i
figli
di
coloro
che
detengono
la
fede".
Un
singolare
cartello
all’ingresso
della
città
invita
lo
straniero
ad
astenersi
di
fumare,
fotografare
le
persone
e
ad
avere
un
abbigliamento
che
non
offenda
i
puri
mozabiti.
A
nessun
arabo,
e
a
maggior
ragione
neanche
allo
straniero,
è
permesso
di
penetrarvi
dopo
il
tramonto,
né
di
prendervi
dimora
e
di
circolare
all’ora
della
preghiera.
Ancora
oggi
è
obbligatoria
la
guida,
senza
di
essa
non
si
può
passeggiare
all’interno.
La
città
è
circondata
da
uno
spesso
muro
di
cinta,
alle
cui
estremità
alte
torri
di
avvistamento
servivano
e
servono
tutt’ora
per
lanciare
l’allarme
quando
i
razziatori
o
la
piena
del
fiume
minacciano
la
città
santa.
Pesanti
porte
giacciono
ora
ferme
mentre
non
molto
tempo
fa
venivano
chiuse
al
calar
della
sera.
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