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PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 2009

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I nove sistemi dolomiti protetti dall'Unesco

Numerosi parchi naturali proteggono questa particolare natura e vari comitati ad hoc si sono impegnati nel proporre le Dolomiti come Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO, tentativo coronato da successo il 26 giugno 2009, quando a Siviglia i ventuno componenti del World Heritage Committee hanno deciso all'unanimità di includere la quasi totalità delle Dolomiti nell'elenco dei patrimoni naturali. La candidatura era stata inizialmente avanzata nel 2004 dal Ministero dei Beni Culturali, ma era stata bocciata dall'UNESCO nel maggio 2006.

Successivamente il gruppo di lavoro UNESCO del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, coordinato dal prof. Pier Luigi Petrillo, ha ripresentato i due dossier di candidatura, avviando, contestualmente, un intenso negoziato con i 165 paesi membri della Convenzione e i 37 paesi membri del Comitato. A conclusione del negoziato, durato due anni e mezzo, l'Autorità indipendente di valutazione delle candidature naturalistiche, l'IUCN, ha espresso parere favorevole alla candidatura. Da ultimo, a Siviglia, nel giugno 2009, la squadra coordinata dal prof. Petrillo ha condotto gli ultimi finali negoziati ottenendo il riconoscimento dell'UNESCO che "certifica" l'unicità, nel mondo, delle Dolomiti.  

PELMO E CRODA DA LAGO - Il Pelmo è una montagna delle Dolomiti del Cadore (provincia di Belluno) che raggiunge i 3.168 m s.l.m. Si trova a est del passo Staulanza, separando la val di Zoldo e la val Fiorentina dalla valle del Boite.  

La montagna è molto peculiare perché si articola in due massicci principali che sono il Pelmo vero e proprio, al centro, e il Pelmetto (2.990 m), a ovest. Tra loro si trova la Fessura, un canalone che culmina in una stretta forcella (2.726 m).

Altra caratteristica della montagna è la presenza del Valón (la cui parte superiore è detta Vant), un ampio circo glaciale aperto verso sudest e ben visibile dalla valle del Boite. Esso conferisce alla montagna la forma di un enorme sedile, con la cresta sommitale a fare da spalliera e le cosiddette Spalla Sud (3.061 m) e Spalla Est (3.024 m) da braccioli, tanto da essere soprannominata el Caregón del Padreterno ("il Trono del Padreterno").

Ben più articolato il lato settentrionale, costituito dalle Crode di Forca Rossa (2.737 m) che proseguono verso nord con le Cime di val d'Arcia (2.626 m). Tra queste e il Pelmo vero e proprio si sviluppa il canalone detto val d'Arcia, in cui sussiste l'omonimo nevaio.

Il monte Pelmo è noto anche dal punto di vista paleontologico: ai piedi del Pelmetto, a quota 2.050 m, non lontano dal rifugio Staulanza, è stato rinvenuto dal ricercatore Vittorino Cazzetta di Pescul un masso con impronte di dinosauri. Un calco del masso con le tracce è visibile nel museo civico di Selva di Cadore intitolato a Cazzetta e nello stesso museo è anche possibile vedere lo scheletro di un cacciatore del mesolitico, scoperto dallo stesso Cazzetta sull'alpe di Mondeval, fra il Pelmo e i Lastoi de Formin.

Alla sua base sorgono tre rifugi alpini: il rifugio Venezia-Alba Maria De Luca (m 1.947, a est), il rifugio Città di Fiume (1.918 m, a nord-ovest) e il rifugio Passo Staulanza (1.766 m, a ovest).

Dal punto di vista amministrativo, il Pelmo è diviso tra i comuni di Val di Zoldo (versante sudovest), Borca di Cadore (versante nordovest e nord) e Vodo di Cadore (versante sudest e est). I confini dei tre enti convergono in corrispondenza della vetta.

Il primo documento che cita il Pelmo è della seconda metà del Trecento e riguarda una disputa sui confini che si snodavano tra le sue pendici sudorientali e il monte Punta: in essa è indicato come Saxum de Pelph, Saxum Pelphi o Pelvi, toponimo derivante termine veneto-ladino pelf indicante un grosso sasso compatto.

Secondo una leggenda della val di Zoldo un tempo il Pelmo aveva un aspetto ben diverso dall'attuale: era una montagna verdeggiante e sulla sua sommità, dove oggi si trova il circo glaciale, vi era addirittura un vasto pascolo frequentato dai pastori. In seguito un evento catastrofico fece franare la montagna, scoprendo la nuda roccia e dandole l'imponente aspetto che ha tutt'oggi. Il racconto sembrerebbe avere un fondo di verità: sono stati individuati due ampi scoscendimenti, ora per lo più nascosti dalla vegetazione, che fanno pensare ad una grandiosa frana; questa avrebbe bloccato il corso del Maè, formando un grande lago che, prosciugatosi, scoprì la piana dove oggi sorge Mareson, frazione di Zoldo Alto.

Il Pelmo è stata la prima cima dolomitica ad essere scalata: il 19 settembre 1857 l'irlandese John Ball raggiunse la vetta attraverso quella che fu poi chiamata cengia di Ball. Partito da Borca di Cadore, era accompagnato da una guida locale (pare rispondesse al nome di Giovanni Battista Giacin detto Sgrinfa) che però non raggiunse la cima. Ball scrisse poi di aver scelto il Pelmo per la sua prima scalata perché gli era sembrato il più bello tra tutti i monti delle Dolomiti che aveva visto e soprattutto più facile rispetto al maestoso Antelao.

La via diretta sud-ovest fu aperta nei giorni tra il 15 ed il 17 settembre 1977 da una cordata italiana formata da Franco Miotto, Riccardo Bee e Giovanni Groaz che giunsero poco sotto al camino finale, ivi ritirandosi per il maltempo. La via è stata compiuta successivamente, all'inizio di ottobre, da Miotto e Bee calatisi dall'alto, e da Giovanni Groaz che con grave rischio risalì dal basso le corde lasciate fisse nel precedente tentativo (200 m nel vuoto), uscendo assieme lungo il camino finale. Dal canalone di La Fessura si attacca la parete nel centro, dapprima per canali e poi sul lato destro del grande diedro. L'uscita è a sinistra del ciclopico tetto sommitale. Difficoltà: VI+ e vari tratti di A1 e A2 in artificiale. I tratti più difficili e pericolosi (VI e A3) furono risolti da Giovanni Groaz. La prima ripetizione fu di Flavio Appi, Ronkovic e Rukic (sloveno) tra il 15 ed il 17 gennaio 1986. La seconda ripetizione dell'1 e 2 luglio 2006 furono gli italiani Alessio Roverato e Luca Matteraglia.

Il poco marcato spigolo nord fu invece superato nel 1924 dalla cordata svizzera Simon-Rossi che ivi aprì la prima via di VI grado delle Alpi, un anno prima di Solleder e Lettembauer sulla parete nord-ovest della Civetta. La via sale le placconate della parete nord con percorso complicato, partendo dal nevaio di val d'Arcia per imboccare poi lo spigolo nella parte sommitale (il passo più duro è un camino valutato VI-). Su tutte le pareti del Pelmo si sviluppano numerosi itinerari molto lunghi e di tutte le difficoltà.

Il Pelmetto fu invece raggiunto nel 1896 dalle guide Clemente Callegari (detto "il Battistrada") e Angelo Panciera (detto "il Mago") col cliente Angelo Panciera.

L'immenso spigolo nord-ovest fu superato da Severino Casara e Walter Visentin nel 1936. Tutt'oggi è una classica salita di media difficoltà con un dislivello di 850 (IV e 1 pp di V).

La Croda da Lago è un massiccio montuoso delle Dolomiti Ampezzane nelle Dolomiti, a sud di Cortina d'Ampezzo e a ovest di San Vito di Cadore, la cui vetta più alta si erge per 2.715 m s.l.m. Fa parte del più ampio gruppo montuoso Croda da Lago - Cernera.  

La Croda da Lago è posta all'estremo lato meridionale della Conca ampezzana, che chiude a sud insieme ai Lastoi de Formìn, al Becco di Mezzodì e alle Rocchette. Si sviluppa come frastagliata cresta con andamento prevalente sud-nord; ad ovest poggia sulle aspre bancate dei Lastoi de Formìn, ad Est digrada con una gradinata rocciosa sopra l'alpeggio di Federa.

Il nome si riferisce al laghetto Fedèra (o da Lago) che sorge ai piedi del versante est, a quota 2.038 m. Sulle sue sponde si affaccia il Rifugio Gianni Palmieri.

Sulla Croda da Lago sono state disperse le ceneri di Dino Buzzati.

MARMOLADA - La Marmolada (detta la Regina delle Dolomiti è un gruppo montuoso delle Alpi in Provincia di Belluno (Veneto) e Provincia di Trento, il più alto delle Dolomiti, raggiungendo la quota massima con la Punta Penia (3.343 m).

La Val Pettorina la delimita ad oriente e la Val di Fassa ad occidente, mentre importanti vallate interne alla catena montuosa sono (da est a ovest): la Val Contrin, la Val di Grepa e la Val San Nicolò. A rigore non è composta da dolomia (come le Dolomiti vere e proprie) bensì per lo più da calcari grigi molto compatti derivati da scogliere coralline (calcare della Marmolada), con inserti di materiale vulcanico. Importante è anche la presenza del più grande ghiacciaio delle Dolomiti, il Ghiacciaio della Marmolada.  

Il nome Marmolada, qualora non fosse connesso con il latino marmor "marmo", potrebbe derivare da una radice indoeuropea attestata in greco marmar-, che significa "splendere", "scintillare". Il riferimento è ovviamente al ghiacciaio sulla cui origine e formazione una leggenda narra che una vecchietta, invano sgridata dai suoi compaesani, raccolse il fieno nel giorno della festa votiva del 5 agosto ("Madonna della Neve"). La notte seguente cominciò a nevicare, e nevicò tanto sino a formare il ghiacciaio che tuttora esiste, e sotto il quale chi sa da quanti secoli, giace ancora la povera vecchietta col suo fieno nel tabiè (fienile).

Il gruppo della Marmolada ha approssimativamente la forma di un trapezio, con la base maggiore a sud (valle di San Pellegrino, passo San Pellegrino, Valle del Biois) e la base minore a nord (Passo Pordoi). Nel dettaglio e ruotando in senso orario i limiti geografici restano: Passo Pordoi, torrente Cordevole, torrente Biois, Passo San Pellegrino, Val di Fassa, Passo Pordoi.

La cima più alta e il ghiacciaio sono interamente nella provincia di Trento.

La SOIUSA suddivide il gruppo in sei sottogruppi

Catena del Padon

Massiccio della Marmolada

Sottogruppo Ombretta-Ombrettola

Massiccio Sasso Vernale-Cime d'Ombretta

Cresta Ombrettola-Fop

Catena dell'Auta

Catena della Cima dell'Uomo

Sottogruppo Collac-Buffaure

Sottogruppo Monzoni-Vallaccia  

Al suo interno spicca il massiccio della Marmolada, che presenta una lunga cresta con numerose elevazioni, tra le quali da ovest a est: Gran Vernel (3.205 m), Piccolo Vernèl (3.098 m), Punta Penia (3.343 m s.l.m.), Punta Rocca (3.309 m), Marmolada d'Ombretta (3.230 m), Marmolada di Serauta con Monte Serauta (3.069 m) e Piz Serauta (3.035 m). Sul versante nord del massiccio della Marmolada si estende il ghiacciaio omonimo, il più esteso delle Dolomiti. Mentre a sud, sopra la val Ombretta, si erge l'imponente parete d'argento, seconda solo alla nord ovest del monte Civetta. A sud del massiccio principale si ergono altre importanti cime quali: Cima Ombretta (3.011 m), Sasso Vernale (3.058 m), Sasso di Valfredda (3.009 m), Cima dell'Uomo (3.010 m), e le Cime d'Auta (2.622 m) sopra Falcade.

Alla base del versante nord, alla quota di circa 2.030 metri, è situato il lago Fedaia, lungo circa 2 km. Il lago è sbarrato ad ovest da una diga artificiale in calcestruzzo, dall'altezza massima di 60 metri e con uno sviluppo del coronamento di 620. La diga permette, a partire dal 1956, la produzione di circa 20 MW di energia idroelettrica. Nella parte est del lago i resti di uno sbarramento morenico segnano invece il luogo del preesistente lago naturale, lungo circa 180 metri, che segnava il confine tra il Principato vescovile di Bressanone(Impero d'Austria) e la Repubblica di Venezia. Dal lago di Fedaia ha origine il torrente Avisio.

Le vette principali del gruppo della Marmolada sono:

Punta Penia - 3.343 m
Punta Rocca - 3.309 m
Punta Ombretta - 3.230 m
Gran Vernel - 3.210 m
Piccolo Vernel - 3.098 m
Sasso Vernale - 3.058 m
Piz Serauta - 3.035 m
Piz de Guda - 2.134 m
Punta Cornates - 3.029 m
Cima Ombretta - 3.011 m
Cima dell'Uomo - 3.010 m
Sas de Valfreda - 3.009 m
Cima Ombrettòla - 2.931 m
Monte Fop - 2.892 m
Monte La Banca - 2.875 m
Il Colac - 2.715 m
Punta della Vallaccia - 2.637 m
Cima d'Auta Orientale - 2.624 m
Cima d'Auta Occidentale - 2.602 m
Cima Barbacin - 2.524 m
l'Auta - 2.545 m
Padon - 2.512 m
I Migogn - 2.389 m
Sas Bianch - 2.407 m

Durante la prima guerra mondiale, la Marmolada segnava un tratto del fronte italo-austriaco, e la montagna fu teatro di scontri, come confermano le postazioni ancora visibili sui versanti est e nord. Gli austriaci per difendersi scavarono addirittura un labirinto di gallerie all'interno del ghiacciaio chiamate "La città di ghiaccio" (ora scomparse a causa del naturale movimento della calotta verso valle). Oggi, la Marmolada è meta di sciatori ed alpinisti, e le località circostanti (come Canazei e Malga Ciapela) sono dei rinomati centri turistici attivi tutto l'anno. In data 6 luglio 2018 per decreto del Presidente della Repubblica la linea di confine tra le regioni Veneto e Trentino Alto Adige è stata spostata a favore di quest'ultima, per cui la cima del monte si trova interamente in territorio trentino. È tuttavia in corso una disputa legale per definirne la validità.

PALE DI SAN MARTINO, PALE DI SAN LUCANO, DOLOMITI BELLUNESI, VETTE FELTRINE - Le Pale di San Martino (dette anche "Gruppo delle Pale") sono il più esteso gruppo delle Dolomiti, con circa 240 km² di estensione, situate a cavallo tra il Trentino orientale e la provincia di Belluno, in Veneto. Si estendono nella zona compresa tra il Primiero (valli del Cismon, del Canali, val Travignolo), la Valle del Biois (Falcade, Canale d'Agordo) e l'Agordino.

Le Pale sono costituite da dolomia, roccia sedimentaria formata da doppio carbonato di calcio e magnesio, scoperta dal marchese Déodat de Dolomieu nel 1788.

L'altopiano delle Pale, situato nel settore centrale del gruppo, si estende per uno spazio di circa 50 km² e costituisce un enorme tavolato vuoto, roccioso e quasi lunare che oscilla tra i 2500 e i 2800 m s.l.m. Secondo alcune fonti esso avrebbe ispirato lo scrittore bellunese Dino Buzzati (grande amante delle vette della catena) nell'ambientazione del suo romanzo Il Deserto dei Tartari.

La parte delle Pale che si estende in Trentino è interamente compresa nel Parco naturale Paneveggio - Pale di San Martino.

Il termine Pala deriva dal nome che veniva utilizzato localmente per indicare le rive e i pendii erbosi situati alla base della catena. Per estensione andò poi a definire l'intero gruppo montuoso. I primi alpinisti, in maggioranza britannici, dopo aver compiuto le prime escursioni e aperto alcune vie, nelle loro memorie indicarono originariamente il complesso montuoso con i termini di Dolomiti di Primiero o Gruppo delle Pale.

Solo in un secondo tempo, con il diffondersi della pratica del turismo montano e la costruzione di strade carrozzabili che favorirono la crescita di San Martino di Castrozza, divennero note universalmente nel mondo alpinistico come Pale di San Martino.

La storia alpinistica delle Pale di San Martino è molto complessa: l'alpinismo, sebbene sia approdato su queste montagne poco dopo la salita di Ball al Pelmo, ha seguito uno sviluppo diverso a seconda dei settori del massiccio: una prima fase di esplorazione e di conquista sistematica delle vette è quella avvenuta nella seconda metà del XIX secolo; poi si è avuta la seconda fase di esplorazione delle varie pareti del massiccio, che va dai primi del '900 fino alla Seconda Guerra Mondiale; la terza fase è quella che arriva ai giorni nostri e comprende anche l'arrampicata sportiva. È in questo ultimo periodo che alcune delle cime e delle pareti più ambite e famose (come la Pala di San Martino e il Gruppo del Focobòn) perdono interesse, mentre altre continuano ad esercitare un'attrazione per gli alpinisti (come il Sass Maòr e la Cima della Madonna, il gruppo della Val Canali) ed altre ancora rimangono neglette dai più (il gruppo della Croda Granda). Pertanto, per una storia più dettagliata si rimanda alle singole e più importanti cime elencate più in basso.

I primi viaggiatori e alpinisti che arrivarono sulla catena furono inglesi: Josiah Gilbert e George Cheethmann Churchill, incuriositi da una raffigurazione pittorica delle montagne e dell'ambiente naturale, giunsero in Primiero nel 1862, raccogliendo informazioni che poi trasferirono nella loro guida The Dolomites Mountains (1864).

Nel 1864 arrivò nella valle del Cismón un altro gruppo di alpinisti: tra questi John Ball, che definì il Cimon della Pala il Cervino delle Dolomiti, e Douglas William Freshfield, che si inoltrò per primo negli alti passi del gruppo, raggiungendo assieme ad altri inglesi Primiero da Agordo, percorrendo il Passo Canali (2497 m s.l.m.), per poi proseguire per San Martino.

Una descrizione delle montagne e delle vallate ai piedi delle Pale è rappresentata dallo scritto di Amelia Edwards, Untrodden peaks and unfrequented valleys (Cime inviolate e valli sconosciute), del 1872. La Edwards si stupì della presenza in questa zona delle Dolomiti di paesi di una certa importanza, economicamente sviluppati e ricchi di testimonianze artistiche (Fiera di Primiero, Agordo, Predazzo), ma molto difficili nell'accesso, collegati tra loro solo da mulattiere, lungo le quali si incontravano villaggi molto poveri. Giunta ai piedi della vetta del Cimone, lo paragonò ad una "tomba faraonica, con quel pinnacolo piramidale sulla cima."

Il 3 giugno 1870 l'inglese E.R. Whitwell, Santo Siorpaes (di Cortina d'Ampezzo) e Christian Lauener (svizzero di Lauterbrunnen) raggiunsero per primi la cima del Cimon della Pala (3184 m s.l.m.), attraverso il ghiacciaio del Travignolo e il versante nord. Affrontando la montagna da questo lato, che offre una prospettiva fallace, essi ritennero erroneamente che il Cimon fosse la vetta più alta dell'intera catena.

Due anni più tardi, Freshfield e Charles C. Tucker riuscirono a conquistare la cima effettivamente più alta (sebbene di pochi metri), la Vezzana (3192 m s.l.m.).

Nel 1875 venne vinto l'Agnèr da Cesare Tomè e compagni e, successivamente nello stesso anno, cadde anche il Sass Maòr. Il 23 giugno del 1878 Alfredo Pallavicini, Julius Meurer, Santo Siorpaes, Angelo Dimai e il primierotto Michele Bettega (uno dei primi alpinisti del gruppo delle Aquile di San Martino) riuscirono a salire la vetta tecnicamente più ostica della catena, la Pala di San Martino (2982 m s.l.m.).

Dopo questa serie di conquiste vennero salite anche quasi tutte le vette minori dei vari sottogruppi, tra il 1888 ed il 1900: sono gli anni di Bortolo Zagonel, Ludwig Darmstadter, Leon Treptow, Thomas Oberwalder, dei fratelli Von Radio-Radiis ed altri. Le conquiste più significative del periodo sono lo spigolo nord-ovest del Cimòn della Pala (Melzi-Zecchini nel 1893), la salita invernale della Croda Granda (Schuster e Zecchini nel 1900) e la salita solitaria della Cima della Madonna (Winkler nel 1886).

Dopo questa fase prolifica di ascensioni, agli albori del XX secolo comincia l'esplorazione delle grandi pareti ed i più attivi sono i tedeschi Plaichinger, Hamburger, Teifel, Hoffmuller, ed altri; dopodiché scoppia la Grande Guerra nel 1914 e le attività sono bloccate.

L'alpinismo sulle Pale riprende dopo il 1918 e, nel ventennio che intercorre tra i due conflitti mondiali, vi è una grande ripresa dell'alpinismo sul massiccio: per primo Gunther Langes, che nel 1920 sale per il primo l'elegante spigolo della Cima della Madonna, noto come Spigolo del Velo, già tentato da Angelo Dibona, poi altre decine di itinerari su tutte le Pale. L'anno successivo è la volta del grande appicco nord dell'Agnèr, la più alta parete dolomitica, vinta da Francesco Jori, Arturo Andreoletti ed Alberto Zanutti, mentre tra il 1926 ed il 1930 operano sulle Pale Emil Solleder e Fritz Wiessner: il primo apre una serie di fortunate vie, come la parete est del Sass Maòr (primo VI delle Pale di San Martino), la nord della Pala di San Martino, lo spigolo della Cima Immink; il secondo opera nella Val Canali, tracciando alcuni itinerari che diventano molto famosi (lo spigolo ovest del Sass d'Ortiga, la parete sud della Cima dei Lastei). Tra il 1932 ed il 1935 operano sul massiccio: Celso Gilberti, che con Oscar Soravito supera lo spigolo nord dell'Agnèr nel 1932; Ettore Castiglioni, che apre ben 7 vie sulle Pale (spesso col suo compagno Bruno Detassis) nel solo 1934, Alvise Andrich, che traccia una nuova via di VI sul Cimòn della Pala ed un'altra via sulla parete sud della Cima Val di Roda, ed i tedeschi Bertl e Kleisl, che aprono sul Cimòn della Pala.

Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale frena nuovamente l'attività sul gruppo, che però prosegue in sordina con l'opera della guida di Primiero Gabriele Franceschini, che tra gli anni '40 e '50 apre circa un centinaio di vie sulle montagne di casa, molte delle quali diventano delle classiche negli anni successivi.

Gli anni '60 sono quelli delle direttissime e vi è un nuovo fiorire di itinerari su tutte le pareti del massiccio: 1963 la direttissima delle Fiamme Gialle al Cimòn della Pala, 1964 la diretta alla parete sud-est del Sass Maòr, 1967 la Sudtirolesi alla nord-est dell'Agnèr, 1969 la via Settimo Bonvecchio alla Pala di San Martino, e così via. Sono anche gli anni delle grandi salite invernali, come la via Jori all'Agnèr, portata a termine nel 1968 da Reinhold Messner. In questo periodo operano sulle Pale Renzo Timillero "Ghigno", Claudio Barbier, Renato Gobbato e Carlo Andrich, oltre ai finanzieri Quinto Scalet e P. de Lazzer. Nella seconda metà del decennio si fanno avanti anche i fratelli Camillo e Gianpaolo de Paoli, Bepi Pellegrinon, Toni Marchesini che susciterà polemiche per le sue "silenziose" salite solitarie, ed Hans Frisch, autore di una splendida ed ambita salita sulla Pala del Rifugio.

Il decennio successivo vede all'opera Enzo Cozzolino nel gruppo dell'Agnèr e sulla Pala di San Martino: le sue vie sono temute ed ammirate per l'arditezza dell'apertura, ognuna con meno di 10 chiodi e su pareti sperdute. Benvenuto Laritti e Guido Pagani sono altri due forti alpinisti delle Fiamme Gialle, che aprono numerosi itinerari sulle muraglie ancora inesplorate del massiccio; è però nel 1978 che si affaccia per la prima volta sul palcoscenico delle Pale uno dei più affezionati scalatori: Maurizio Zanolla, detto Manolo. La sua prima via nel posto è la via dei Piazaroi sulla Cima della Madonna. Poi ripercorre in libera la Biasin-Scalet nel 1979, valutando difficoltà di IX. Nel 1980 è di nuovo la volta del Sass Maòr con la via Supermatita, aperta con poco materiale e con difficoltà in apertura fino al VII-, su roccia friabile. Da questa c'è poi un susseguirsi di itinerari di ogni genere di difficoltà, passando per Nurejev ed el Marubio fino alla recentissima cani morti sul Campanile Basso dei Lastei.

Gli anni '80, anch'essi prolifici di scalate di tutti i generi, vedono all'opera principalmente Renzo e Giacomo Corona, Riccardo Bee e Lorenzo Massarotto. I primi due aprono in vent'anni numerosi itinerari ed effettuano anche delle prime invernali; il terzo esplora principalmente l'Agnèr, dove traccia in solitaria dei percorsi temerari; l'ultimo apre una quantità impressionante di vie nel gruppo dell'Agnèr, esplorando tutto il massiccio, in Val d'Angheràz ed in Val Canali, ed effettua anche prime invernali e concatenamenti (celebre quello tra la Vinci-Bernasconi sull'Agnèr e lo Spigolo Dal Bianco sulla Torre Armena).

Ai giorni nostri continua l'attività esplorativa delle Pale di San Martino e vengono ancora tracciate nuove vie, anche se con un ritmo meno serrato rispetto a prima.

Diversi sono stati i cedimenti della roccia dolomitica negli anni. I più recenti sono stati nel 2008, sul pilastro Castiglioni, e nel dicembre 2011, quando un cuneo roccioso della dimensione di 150x300 metri circa è franato dalla parete est del Sass Maor, cancellando parzialmente 3 vie alpine.  

Le principale cime sono:

Vezzana - 3.192 m s.l.m.
Cimon della Pala - 3.184 m
Cima dei Bureloni - 3.130 m
Cima di Focobon - 3.054 m
Pala di San Martino - 2.982 m
Fradusta - 2.939 m
Mulaz - 2.906 m
Cima Canali - 2.900 m
Monte Agner - 2.872 m
Croda Granda - 2.849 m
Sass Maor - 2.812 m
Cima di Ball - 2.802
Cima della Madonna - 2.752 m
Rosetta - 2.743 m
Cima Val di Roda - 2.605 m

Le Pale di San Lucano sono un piccolo gruppo di cime dolomitiche, situate a nord-est delle Pale di San Martino, da cui sono separate dalla profonda Valle di San Lucano. Sono le montagne che dominano ad ovest la conca agordina e devono il loro nome al santo eremita, che si ritirò in questa valle nel V secolo d.C.  

I confini delle Pale di San Lucano sono:

ad est i pendii scendono direttamente nella valle del Cordevole nella conca agordina

a sud e ad ovest precipitano con alte pareti nella Valle di San Lucano

a nord sono congiunte al massiccio di Cima Pape tramite la forcella Gardès.

Le cime principali del massiccio sono:

Cime d'Ambrusogn: si elevano sul lato nord delle Pale e sono due cime ben distinte, orientale ed occidentale, che toccano i 2286 m;

Prima Pala di San Lucano: è un altopiano erboso, circondato da alte pareti verticali eccetto che dal versante nord; sulla sua sommità sorge il bivacco Bedin (2210 m); è collegata alla Seconda Pala ed al Monte San Lucano tramite la Forcella Besauzega, da cui scende l'omonimo Boràl;

Seconda pala di San Lucano: è la vetta più appariscente e massiccia del gruppo (2340 m), circondata da tutti i lati da profondi canaloni e pareti alte fino a 1400 m.; è congiunta al Monte San Lucano dal Passo del Ciodo a nord, da cui scende il Boral del Mus, diramazione secondaria del Boral de la Besauzega;

Monte San Lucano: è la vetta più alta del gruppo con i suoi 2406 m di altezza.

Spiz di Lagunàz: è la vetta più interna e nascosta, perché sorge a metà dell'omonimo Boral (2338 m); è completamente circondata da alte pareti verticali e strapiombanti ed è collegata al resto del gruppo tramite una cresta da cui spuntano la Torre di Lagunaz e la Torre del Boral verso nord (verso Forcella Gardès), e con un'altra accidentata cresta verso sud alla terza Pala (da cui spunta la Punta Renato Casarotto);

Terza Pala di San Lucano (2355 m): incombe direttamente sulla Valle di San Lucano con una parete di 1400 m ma, nonostante la sua vicinanza a centri abitati (Col di Prà) ed alla rotabile della valle, essa è considerata una delle cime più remote delle Alpi; infatti solo poche cordate ne hanno calcato la cima nel corso degli anni, attraverso i suoi lunghi ed impervi itinerari.

Quarta pala di San Lucano: è la più occidentale delle Pale (2267 m); degrada dolcemente verso nord con pendii boscosi, mentre presenta, come le altre cime, una grande parete di 1300 m verso sud. La cresta ovest cade sull'abitato di Col di Prà con una levigata parete, nota come Lastia di Gardes (da cui nel 1908 si staccò una grande frana che seppellì il piccolo paese di Lagunàz).  

Il Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi è un parco nazionale situato in provincia di Belluno, nel Veneto settentrionale, istituito nel 1988.

Il parco nazionale è incluso nella sezione "Pale di San Martino - San Lucano - Dolomiti Bellunesi - Vette Feltrine" del sito delle Dolomiti, dichiarato patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO nel 2009.  

Nel 1988 viene prevista l'istituzione del Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi, la quale si concretizza nel 1990 con il provvedimento istitutivo del Ministero dell'Ambiente, il quale individua le seguenti finalità del parco nazionale: tutelare i valori naturalistici, storici, paesaggistici ed ambientali e conservare i valori bio-genetici della flora, della fauna e degli aspetti geomorfologici; migliorare le condizione di vita degli abitanti interessati; promuovere la ricerca scientifica e l'educazione ambientale, tramite la divulgazione della cultura naturalistica; ripristinare le attività agro-selvi-pastorali.

Il parco ha una superficie di 15.030,22 ettari, interamente compresa nella provincia di Belluno, tra i fiumi Cismon ad ovest e Piave ad est, esteso a nord verso il bacino del Maè e a sud nel basso Agordino. Comprende i gruppi montuosi delle Alpi Feltrine, Monti del Sole, Schiara, Talvéna, Prampèr e Spiz di Mezzodì. Sono presenti aree carsiche d'alta quota e rupi e pendici detritiche, habitat ideale per numerose specie di alta montagna.

Il territorio del parco, fatta eccezione per alcune aree carsiche di alta quota, si presenta estremamente ricco di risorse idriche: sorgenti, paludi e corsi d'acqua tra i quali: Cordevole, Mis, Caorame, Stién, Falcìna, Ardo, Vescovà, Prampèra che concorrono alla ricchezza biologica del Parco. Alcuni di questi torrenti scorrono in forre profonde, e tutti sono soggetti a variazioni.

All'interno del parco nazionale sono inclusi 15 comuni: Belluno, Cesiomaggiore, Feltre, Gosaldo, La Valle Agordina, Longarone. Pedavena, Ponte nelle Alpi, Rivamonte, San Gregorio nelle Alpi, Santa Giustina (Italia), Sedico, Sospirolo, Sovramonte, Val di Zoldo.

La flora è composta da rododendri, cardi, stelle alpine e da altre piante montane. Vi sono boschi di latifoglie e di conifere, pascoli e immensi prati. La varietà territoriale del Parco, che comprende aree di alta montagna accanto a pascoli, permette a numerose specie animali di trovare il proprio habitat all'interno dell'area.

Tra le specie più importanti e rappresentate vi sono:

Mammiferi: Marmotta, Ermellino, Martora, Capriolo, Camoscio, Cervo, Muflone, Lupo, Lince.

Chirotteri: Vespertilio maggiore, Pipistrello nano, Orecchione austriaco, Orecchione bruno, Vespertilio di Daubenton.

Uccelli: Picchio nero, Picchio muraiolo, Astore, Gheppio, Aquila reale, Civetta nana, Civetta capogrosso, Allocco, Gufo reale, Francolino di monte (specie a rischio di estinzione), Gallo cedrone, Fagiano di monte, Pernice bianca, Coturnice, Upupa, Corvidi, Cincia, Codirosso spazzacamino, Fringuello alpino (anch'esso raro), Culbianco.

Rettili e Anfibi: Tritone alpino, Tritone crestato italiano, Tritone punteggiato meridionale, Salamandra pezzata, Salamandra nera o alpina, Ululone dal ventre giallo, Rospo comune, Rana montana, Rospo smeraldino, Vipera dal corno.

Le Vette Feltrine sono il gruppo più meridionale delle Dolomiti. Si trovano a cavallo tra la provincia di Belluno e la provincia di Trento.

Sono situate nella zona sud-occidentale della provincia di Belluno, in prossimità del confine con il Trentino, che ne include la parte più settentrionale. Sono comprese fra la valle di Primiero (con la laterale val Noana), in provincia di Trento, a nord-ovest, la val di Canzoi ad est e la Conca Feltrina a sud. Le Vette sono inserite nella riserva naturale Vette Feltrine, all'interno del parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi, istituito nel 1993, di cui rappresentano la sezione più occidentale.

La vetta principale è il monte Pavione sulla cui sommità si colloca il confine tra Trentino e Veneto. Il monte, visto dal Primiero, ha una suggestiva forma piramidale. Tra il rifugio Dal Piaz e il monte Pavione, in comune di Sovramonte, è presente un'ampia conca d'alta quota, utilizzata per il pascolo, conosciuta come la Busa delle Vette.

Sulle Vette Feltrine si snoda la parte terminale dell'alta via n. 2 delle Leggende, che, attraversando diverse valli del Trentino-Alto Adige e del Veneto, congiunge Bressanone a Feltre.
A nord delle Vette è presente il gruppo del Cimonega, mentre ad est, visibili dalla Valbelluna, si estendono le vicine vette del gruppo dello Schiara e i Monti del Sole.

Principali cime: Monte Pavione 2.334 m s.l.m., Col di Luna 2.295 m, Cima Dodici 2.265 m, Monte Ramezza 2.250 m, Sasso Scarnia 2.226 m, Monte Pietena 2.195 m, Monte Coppolo 2.069 m.

DOLOMITI FRIULANE E D'OLTRE PIAVE - Le Dolomiti Friulane sono un gruppo di montagne delle Prealpi Carniche, tra le province di BellunoUdine e Pordenone.  

Geograficamente sono inserite tra l'alto corso del Tagliamento a nord, il corso del torrente Cellina a sud, l'alta val del Piave a ovest e l'alta valle del Meduna a est.

Si trovano nel territorio del Parco naturale delle Dolomiti Friulane.

Il paesaggio predominante è quello caratteristico delle Prealpi Orientali, con vallate strette e lunghe che si addentrano tra vette e torrioni dolomitici. La zona, per via della sua asprezza e severità, è meta privilegiata di alpinisti, escursionisti e semplici amanti della natura.

Le Dolomiti Friulane e d'Oltre Piave sono state inserite nella lista del Patrimonio mondiale naturale dell'Unesco il 26 giugno 2009.

La cima più alta è la Cima dei Preti (2.703 m). Altre cime di rilievo sono:

il monte Duranno (2.652 m),

la Croda Montanaia (2.548 m),

il Monte Cridola (2.580 m),

il Crodon di Giaf (2.523 m),

il monte Pramaggiore (2.479 m),

la Croda Cimoliana (2.408 m),

gli Spalti di Toro con la Cima Both (2.437 m),

il Campanile Toro (2.345 m)

il Campanile di Val Montanaia (2.173 m).

DOLOMITI SETTENTRIONALI - Le Dolomiti di Sesto, di Braies e d'Ampezzo sono una parte delle Dolomiti. La vetta più alta è l'Antelao, in Cadore, che raggiunge i 3.264 m s.l.m..

Costituiscono la parte nord-orientale delle Dolomiti.

Confinano:

a nord con le Alpi Pusteresi (nelle Alpi dei Tauri occidentali) e separate dalla Sella di Dobbiaco e dalla Val Pusteria;

ad est con le Alpi Carniche (nelle Alpi Carniche e della Gail) e separate dal Passo di Monte Croce di Comelico;

a sud-est con le Prealpi Carniche (nelle Alpi Carniche e della Gail) e separate dal corso del fiume Piave;

a sud con le Dolomiti di Zoldo (nella stessa sezione alpina) e separate dalla Forcella Forada;

ad ovest con le Dolomiti di Gardena e di Fassa (nella stessa sezione alpina) e separate dal Passo di Campolongo.

Ruotando in senso orario i limiti geografici sono: Sella di DobbiacoValle di SestoPasso di Monte Croce di Comelicotorrente Padola, fiume Piave, torrente BoiteForcella ForadaVal Fiorentina, torrente CordevolePasso di CampolongoVal BadiaVal Pusteria, Sella di Dobbiaco.  

Le montagne principali sono:
Antelao - 3.264 m
Tofana di Rozes - 3.244 m
Monte Cristallo - 3.221 m
Sorapiss - 3.205 m
Piz Popena - 3.152 m
Punta dei Tre Scarperi- 3.152 m
Croda Rossa d'Ampezzo - 3.146 m
Croda dei Toni - 3.094 m
Cima Undici - 3.092 m
Cima Cunturines - 3.064 m
Popera - 3.046 m
Tre Cime di Lavaredo - 2.999 m
Cima Nove - 2.968 m
Croda Rossa di Sesto - 2.965 m
Marmarole - 2.932 m
Cadini di Misurina - 2.839 m
Monte Rudo - 2.826 m
Monte Paterno - 2.746 m
Croda da Lago - 2.709 m
Lastoni di Formin - 2.657 m
Torre di Toblin - 2.617 m
Cima Una - 2.598 m
Sass de Stria - 2.477 m
Col di Lana - 2.462 m
Monte Serla - 2.378 m
Cinque Torri - 2.361 m
Monte Piana - 2.324 m
Plan de Corones - 2.275 m
Pomagagnon - 2.178 m

PUEZ - ODLE - Il Gruppo del Puez è un gruppo montuoso delle Dolomiti che, assieme al gruppo delle Odle, costituisce la maggior parte del territorio del parco naturale Puez-Odle, contornato dalla val Badia, dalla val Gardena e dalla val di Funes, in Alto Adige.  

La cima più alta della catena è il Piz de Puez, che raggiunge la quota di 2.913 metri, seguita dal Piz Duleda, 2.908 m. Altre cime famose del gruppo sono il Col de Puez (2.723 m) ed il Sassongher (2.665 m).

Meno note, ma non meno importanti sono il Piz Somplunt (2.738 m), il Puez Ciampani (2.670 m) ed il Col de la Sone (2.634).  

Il Gruppo delle Odle è una catena montuosa delle Dolomiti che assieme al gruppo del Puez costituisce la maggior parte del territorio del parco naturale Puez-Odle, contornato dalla val Badia, dalla val Gardena e dalla val di Funes, in Alto Adige.  

La cima più alta della catena è il Sass Rigais, a pari merito con la cima della Furchetta, entrambe raggiungono infatti la quota di 3.025 metri.

Le Odle si compongono principalmente di due catene, le Odle di Eores e le "Odle di Funes":

Odle di Eores (Aferer Geisler), sono attraversate dal Sentiero attrezzato Günther Messner, dedicata al fratello di Reinhold Messner, sepolto da una valanga, caduta dal monte Nanga Parbat nel giugno 1970. Il sentiero passa sia sulla sponda meridionale che su quella settentrionale della catena;

Odle di Funes (Villnösser Geisler), rappresentano le principali cime della catena e si trovano a sud, rispetto a quelle di Eores.

Alla base delle Odle di Funes, si può percorrere il cosiddetto "sentiero delle Odle" (in tedesco Adolf Munkel-Weg), che passa alla base settentrionale del gruppo delle Odle, dove si trova anche una palestra di roccia.

Il nome è attestato nel 1759 come Gaislerspitz e nel 1770 come Geisler Spiz. Il termine Odle si traduce dalla lingua ladina semplicemente in "aghi", con riferimento alla forma appuntita di molte cime di questo gruppo.

Le cime principali sono:

Sass Rigais, 3.025 m

Furchetta, 3.025 m

Sass de Porta (Seekofel), 2.915 m

Sass da l'Ega (Wasserkofel), 2.915 m

Grande Fermeda (Fermeda), 2.873 m

Gran Odla (Feislerspitz), 2.832 m

Sass de Mesdì (Mittagsspitz), 2.760 m

Monte Tullen (Tullen), 2.654 m

Alpe Rasciesa di Fuori (Außerraschötzer Alm), 2.284 m

SCILIAR-CATINACCIO E LATEMAR - IMassiccio dello Sciliar è un gruppo montuoso delle Dolomiti, situato in Trentino-Alto Adige, nella provincia autonoma di Bolzano, toccando a est la provincia autonoma di Trento.  

Situato al centro del parco naturale dello Sciliar, conta diversi accessi dalla val di Tires, da Siusi e da Fiè allo Sciliar e, soprattutto, dall'alpe di Siusi.

Sul pianoro sommitale sorge, a 2457 metri d'altezza, il rifugio Bolzano. I limiti geografici sono, in senso orario, la valle Isarco, la forcella Denti di Terra Rossa, il passo Alpe di Tires e la val di Tires.  

L'archeologia recentemente è riuscita a stabilire, grazie a ricerche mirate e analisi dei pollini, che il vasto altipiano della montagna è già stata utilizzato in modo estensivo nell'Età del bronzo, sia per funzioni di culto sia per il pascolo d'alta montagna.

Giovedì 11 agosto 2011 due frane si sono staccate dalla cima Euringer (2394 m), parte del massiccio dello Sciliar. La prima, verso le 8.30, ha portato a valle tre massi di grandi dimensioni e la seconda, verso le 10.30, ha avuto dimensioni maggiori. In totale il materiale staccatosi è stato quantificato in circa 2000 metri cubi di roccia. 

Cime principali

Cima di Terrarossa - 2.655 m
Gran Dente di Terrarossa - 2.653 m
Monte Pez - 2.563 m
Cima Castello - 2.515 m
Piccolo Sciliar (Jungschlern) - 2.283 m
Gabels Mull - 2.390 m
Punta Santner - 2.413 m
Euringer - 2.394 m
Dorsale del Maglio (Hammerwand) - 2.128 m

Il gruppo del Catinaccio è un massiccio delle Dolomiti situato tra la valle di Tires, la val d'Ega e la val di Fassa nel Parco naturale dello Sciliar. Altre valli interne alla catena montuosa sono il Vael, la val di Vajolet, la val di Udai, la val di Dona e la val Duron. Interessa la provincia autonoma di Trento e la provincia autonoma di Bolzano nel Trentino-Alto Adige.

Domina, anche se distante una ventina di chilometri, l'orizzonte orientale di Bolzano. Caratteristica del gruppo è la colorazione rosata che assume al tramonto, fenomeno visivo chiamato enrosadira.

La prima ascensione alla vetta più alta, il Catinaccio d'Antermoia, risale al 31 agosto 1872 ad opera di Charles Comyns Tucker, T.H. Carson e A. Bernard.

Esistono due nomi originari, relativi ai due versanti della catena che funge da confine linguistico tra il mondo ladino e quello germanofono. Quello ladino, "Ciadenac", "Catenaccio", costituisce anche la base della forma italiana più recente ed è da riferirsi, secondo Karl Felix Wolff alla ghiaia dolomitica tipica della catena. L'altro nome, quello tedesco di "Rosengarten", in uso dal versante sudtirolese, è attestato già dal XV secolo (1497 Rosengarten, 1506 Kofl am Rosengarten), ed è riferito alla leggenda del mitico Re Laurino e pertanto di carattere ezuikiguci, volendo dare una spiegazione al fenomeno dell'enrosadira. La saga del giardino ha anche dato il nome al cosiddetto Gartl (la zona ghiaiosa centrale della cima più alta) che da lontano appare come zona bianca, perché spesso imbiancata di neve già nelle stagioni intermedie.  

La cima più elevata del gruppo è il Catinaccio d'Antermoia (3.004 m). Altre cime celebri del gruppo sono:

Cima Catinaccio (2.981 m)
Croda dei Cirmei (2.902 m)
Cima di Larsec (2.891 m)
Cima Scalieret (2.887 m)
Torri del Vajolet (2.821 m)
Croda di Re Laurino (2.813 m)
Cima Sforcella (2.810 m)
Roda di Vaèl (2.806 m)
Pizzo di Valbona (2.802 m)
Cima delle Poppe (2.768 m)
Croda Davoi (2.745 m)
Crepe di Lausa (2.719 m)
Cima di Mezzo del Principe (2.705 m)
Cogolo di Larsec (2.679 m)
Punta Emma (2.617 m)
Torre Gardeccia (2.483 m).
 

Le Torri del Vajolet sono un gruppo di sei guglie calcaree che si ergono al centro del gruppo del Catinaccio: Torre Delago, Torre Stabeler, Torre Winler, Torre Nord, Torre Principale, Torre Est.

Una delle caratteristiche peculiari del Catinaccio è la colorazione rosata che assume al tramonto. Il fenomeno è dovuto alla composizione delle pareti rocciose delle Dolomiti (formate dalla dolomia contenente dolomite, un composto di carbonato di calcio e magnesio). In ladino il fenomeno prende il nome di enrosadira, che letteralmente significa "diventare di color rosa".

Senza dubbio è più suggestiva la spiegazione offerta da una delle più celebri leggende delle Dolomiti, la “leggenda di Re Laurino”, un re dei nani che aveva sul Catinaccio uno splendido giardino di rose (il significato della parola tedesca Rosengarten è appunto giardino di rose).

Un giorno il principe del Latemar incuriosito dalla presenza delle rose si inoltrò nel regno di re Laurino, ne vide la figlia Ladina, se ne innamorò e la rapì per farne la sua sposa. Laurino, disperato lanciò una maledizione sul suo giardino di rose colpevole di aver tradito la posizione del suo regno: né di giorno, né di notte alcun occhio umano avrebbe potuto più ammirarlo. Laurino dimenticò però il tramonto e l'alba quando, ancora oggi, il giardino e i suoi colori divengono visibili.

Il Latemar è un gruppo montuoso dolomitico che si estende dal Trentino all'Alto Adige. Il gruppo si presenta principalmente di forma circolare.

Il sistema dolomitico "Sciliar-Catinaccio e Latemar" è uno dei nove luoghi facenti parte del sito "Le Dolomiti" dichiarato nel 2009 patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO.  

Si trova tra PredazzoFornoMoenaPasso CostalungaLago di CarezzaObereggenPasso PampeagoPasso Feudo.

È principalmente formato da picchi e cime di colore chiaro, comprende poche aree boschive (solo nelle piccole vallate adiacenti); è per lo più formato da roccia calcarea del Triassico Medio e da dolomia. Il Latemar è un atollo fossilizzato, perfettamente preservato. 

Le gite che si possono effettuare sul tale gruppo sono di eccezionale bellezza e alcune anche di media difficoltà. Ricordiamo i rifugi e bivacchi più importanti come il Rifugio Torre di Pisa oppure Il Bivacco Sieff o il Bivacco Rigatti, raggiungibile anche percorrendo la via ferrata delle Torri del Latemar.

I sentieri sono quasi tutti facilmente percorribili da persone non esperte di montagna. Si consiglia un gruppo con esperienza alpinistica.

Per poter usufruire del Bivacco Sieff (l'unico con vicino una sorgente di acqua potabile) bisogna ricordarsi di portare con sé della legna per la stufa, la temperatura può scendere sotto zero la notte anche ad agosto.  

Ai piedi del Latemar si trova una frana, chiamata il "Labirinto", in cui la scrittrice Agatha Christie ambientò la conclusione del suo romanzo Poirot e i quattro.

Le cime principali del gruppo sono:

Cima Diamantidi (Cimòn del Latemar) - 2.842 m
Torri del Latemar - 2.814 m
Torre Christomannos - 2.800 m
Schénon del Latemar - 2.800 m
Paion - 2.800 m
Corno di Val d'Ega (Eggentaler Horn) - 2.799 m
Cornon - 2.781 m
Cima Valsorda - 2.762 m
Cima del Forcellone - 2.749 m
Torre di Pisa / Cima Cavignòn - 2.671 m
Cima Feudo - 2.670 m
Cima di Valbona - 2.663 m
Cima del Pascolo - 2.646 m
Cima Pope (Poppekanzel) - 2.481 m
Lastè di Vallaccia - 2.449 m
Cresta dei Minatori (Erzlahnspitz) - 2.403 m
Torre dei Muss - 2.402 m
Monte Agnello - 2.358 m
Cima Bewaller - 2.355 m
Monte Toac - 2.319 m

BLETTERBACH - Il Bletterbach o rio di Ora o più recentemente rio delle Foglie è un canyon dell'Alto Adige che si trova ai piedi del Corno Bianco, nei pressi del paese di Aldino, è la più grande gola della provincia.

Il termine "Bletterbach" ha la sua radice nel retoromano plau che, in collegamento con la parola indoeuropea plou significa scorrere, ovvero l'acqua che scorre.

Questo canyon è sicuramente molto interessante dal punto di vista geologico, in quanto si ha la possibilità di osservare le strutture delle gole profonde e contemporaneamente la stratigrafia pressoché completa dell'area dolomitica a partire dal basamento vulcanico fino alla dolomia principale.

Lungo il percorso si possono ben distinguere i diversi strati, sovrapposti l'uno all'altro, i quali contengono moltissime tracce di locomozione di rettili del permiano e reperti fossili permiani e triassici.

L'anfiteatro geologico del Bletterbach è raggiungibile solo a piedi da Aldino o dalla frazione di Redagno (Radein).

Il Bletterbach è uno dei nove sistemi dolomitici inclusi nel sito patrimonio mondiale dell'umanità dell'UNESCO.  

Nel XVI secolo il Bletterbach era principalmente legato all'industria mineraria. I minatori, infatti, in cerca di rame scavavano cunicoli negli strati più profondi della pietra arenaria, senza però mai aver avuto un grande successo.

Al giorno d'oggi la gola del Bletterbach è percorsa da turisti e visitatori, ed è un geosito visitato e studiato dai geologi, che dagli anni '40 eseguono ricerche nella gola, tra i pionieri degli studi nell'area si annovera Piero Leonardi, docente dell'Università di Ferrara.

Alcuni suoi studenti, Nicosia e Mariotti (oggi docenti alla Sapienza di Roma) diedero impulso alle ricerche e contribuirono all'allestimento del museo geologico di Redagno, il Geoparc Bletterbach appunto. Il museo dà al visitatore un'idea di come poteva essere la terra in un periodo che va da 286 a 210 milioni di anni fa. Presso il museo sono state raccolte impronte di sauri trovate nella gola, tra cui il Pachypes Dolomiticus, oltre che a esempi di roccia arenaria della val Gardena, le fossilizzazioni di pesci e di cefalopodi (molluschi simili ai calamari).

Il Geoparc permette di guardare dentro la montagna, dà la possibilità di vedere come il canyon si è scavato una via lunga 8 chilometri e profonda 400 metri, osservando le diverse ere geologiche, del Permiano al Triassico.

Lungo il percorso sono esposte 16 targhe che illustrano al visitatore i segreti del canyon, su alcuni reperti fossili ritrovati nella gola, sulle gallerie costruite dai minatori, sulla leggenda della radura dell'oro e del gigante Grimm.

Negli strati più bassi affiora il porfido quarzifero di Bolzano, che va dal rosso-grigio al grigio scuro ed è stato creato tra i 280 e i 260 milioni di anni fa dalla cenere e dalla lava fuoriuscite dai vulcani della placca continentale nordafricana. Sul porfido quarzifero poggia l'arenaria della val Gardena dove sono state trovate orme di animali e resti di piante.

Il terzo piano delle rocce è la formazione a Bellerophon, creatasi in acque basse e lagune. Seguono gli strati di Werfen, con numerosi fossili di animali e piante. Corona la struttura la bianchissima dolomia del Serla che forma la cima del Corno Bianco.

DOLOMITI DEL BRENTA - Le Dolomiti di Brenta sono una sottosezione delle Alpi Retiche meridionali, in provincia autonoma di Trento. Si tratta dell'unico gruppo dolomitico ad ergersi ad ovest del fiume Adige.

Da più di un secolo meta di alpinisti ed escursionisti da tutto il mondo, offre una straordinaria varietà di ascensionipercorsi attrezzati e sentieri, oltre a decine di rifugi e bivacchi in quota.

Il gruppo si estende per circa 40 chilometri in direzione nord – sud, e per circa 12 km da est ad ovest. Ha come confini naturali a nord la Valle di Sole, ad est la Valle di Non, il Lago di Molveno e la Paganella, a sud le Valli Giudicarie, e ad ovest la Valle Rendena. L'intero gruppo del Brenta è compreso nel territorio del Parco Naturale Adamello-Brenta. Si noti tuttavia che la Paganella non è affatto di natura dolomitica bensì calcarea ed è separata fisicamente dal Gruppo del Brenta dalla Valle di Molveno e dall'omonimo lago (e non è compresa entro i confini del Parco naturale).  

Le Dolomiti di Brenta si connotano per i suggestivi torrioni di roccia, che all'alba e al tramonto si tingono del caratteristico colore rosa, e per l'imponenza degli scenari naturali.

Diverse sono le localita turistico-montane che vi si affacciano tra cui Madonna di CampiglioFolgaridaMarillevaPinzoloCampo Carlo MagnoAndaloMolveno ecc...  

Le montagne principali delle Dolomiti di Brenta sono:

Cima Tosa - 3.173 m 
Cima Brenta - 3.151 m
Crozzon di Brenta - 3.118 m
Cima Ambiez - 3.102 m
Cima Mandron - 3.033 m
Torre di Brenta - 3.008 m
Cima Falkner - 2.999 m
Cima Vallon - 2.968 m
Brenta Alta - 2.960 m
Cima d'Agola - 2.959 m
Campanile Alto - 2.937 m
Cima Pietra Grande - 2.936 m
Cima Grostè - 2.901 m
Campanile Basso - 2.877 m
Cima Ghez - 2.715 m
Castelletti di Vallesinella - 2.700 m
Sasso Rosso - 2.645 m
Castello dei Camosci - 2.538 m
Piz Galin - 2.442 m
Croz dell'Altissimo - 2.339 m
Monte Peller - 2.319 m

Fra i laghi vi è quello di Tovel, un tempo celebre per la colorazione rossa delle sue acque.

Gli altri laghi del Gruppo sono laghetti alpini di modeste dimensioni: il lago di Valagola in Val d'Agola, il lago Durigat nelle vicinanze del Rifugio Peller, il Lago delle Salare in prossimità del Passo della Nana, e il Lago di Asbelz.

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