I
nove sistemi
dolomiti
protetti
dall'Unesco
Numerosi
parchi
naturali
proteggono
questa
particolare
natura e
vari
comitati ad
hoc si sono
impegnati
nel proporre
le Dolomiti
come
Patrimonio
dell'Umanità dell'UNESCO,
tentativo
coronato da
successo il
26 giugno 2009,
quando a Siviglia i
ventuno
componenti
del World
Heritage
Committee hanno
deciso
all'unanimità
di includere
la quasi
totalità
delle
Dolomiti
nell'elenco
dei
patrimoni
naturali. La
candidatura
era stata
inizialmente
avanzata nel
2004 dal
Ministero
dei Beni
Culturali,
ma era stata
bocciata
dall'UNESCO
nel maggio
2006.
Successivamente
il gruppo di
lavoro
UNESCO del
Ministero
dell'Ambiente
e della
Tutela del
Territorio e
del Mare,
coordinato
dal prof.
Pier Luigi
Petrillo, ha
ripresentato
i due
dossier di
candidatura,
avviando,
contestualmente,
un intenso
negoziato
con i 165
paesi membri
della
Convenzione
e i 37 paesi
membri del
Comitato. A
conclusione
del
negoziato,
durato due
anni e
mezzo,
l'Autorità
indipendente
di
valutazione
delle
candidature
naturalistiche,
l'IUCN, ha
espresso
parere
favorevole
alla
candidatura.
Da ultimo, a
Siviglia,
nel giugno
2009, la
squadra
coordinata
dal prof.
Petrillo ha
condotto gli
ultimi
finali
negoziati
ottenendo il
riconoscimento
dell'UNESCO
che
"certifica"
l'unicità,
nel mondo,
delle
Dolomiti.
PELMO
E CRODA DA
LAGO - Il Pelmo è
una montagna delle Dolomiti
del Cadore (provincia
di Belluno)
che
raggiunge i
3.168 m
s.l.m. Si
trova a est
del passo
Staulanza,
separando la val
di Zoldo e
la val
Fiorentina dalla valle
del Boite.
La
montagna è
molto
peculiare
perché si
articola in
due massicci
principali
che sono il
Pelmo vero e
proprio, al
centro, e il
Pelmetto
(2.990 m),
a ovest. Tra
loro si
trova la
Fessura, un
canalone che
culmina in
una stretta
forcella
(2.726 m).
Altra
caratteristica
della
montagna è
la presenza
del Valón (la
cui parte
superiore è
detta Vant),
un ampio circo
glaciale aperto
verso sudest
e ben
visibile
dalla valle
del Boite.
Esso
conferisce
alla
montagna la
forma di un
enorme
sedile, con
la cresta
sommitale a
fare da
spalliera e
le
cosiddette
Spalla Sud
(3.061 m) e
Spalla Est
(3.024 m) da
braccioli,
tanto da
essere
soprannominata el
Caregón del
Padreterno ("il
Trono del
Padreterno").
Ben
più
articolato
il lato
settentrionale,
costituito
dalle Crode
di Forca
Rossa (2.737 m)
che
proseguono
verso nord
con le Cime
di val
d'Arcia
(2.626 m).
Tra queste e
il Pelmo
vero e
proprio si
sviluppa il
canalone
detto val
d'Arcia, in
cui sussiste
l'omonimo
nevaio.
Il
monte Pelmo
è noto
anche dal
punto di
vista paleontologico:
ai piedi del
Pelmetto, a
quota 2.050 m,
non lontano
dal rifugio
Staulanza,
è stato
rinvenuto
dal
ricercatore Vittorino
Cazzetta di Pescul un masso
con impronte di dinosauri.
Un calco del
masso con le
tracce è
visibile nel
museo civico
di Selva
di Cadore intitolato
a Cazzetta e
nello stesso
museo è
anche
possibile
vedere lo
scheletro di
un
cacciatore
del mesolitico,
scoperto
dallo stesso
Cazzetta
sull'alpe di Mondeval,
fra il Pelmo
e i Lastoi
de Formin.
Alla
sua base
sorgono tre rifugi
alpini:
il rifugio
Venezia-Alba
Maria De
Luca (m
1.947, a
est), il rifugio
Città di
Fiume (1.918 m,
a
nord-ovest)
e il rifugio
Passo
Staulanza (1.766 m,
a ovest).
Dal
punto di
vista
amministrativo,
il Pelmo è
diviso tra i
comuni di Val
di Zoldo (versante
sudovest), Borca
di Cadore (versante
nordovest e
nord) e Vodo
di Cadore (versante
sudest e
est). I
confini dei
tre enti
convergono
in
corrispondenza
della vetta.

Il
primo
documento
che cita il
Pelmo è
della
seconda metà
del Trecento e
riguarda una
disputa sui
confini che
si snodavano
tra le sue
pendici
sudorientali
e il monte
Punta: in
essa è
indicato
come Saxum
de Pelph, Saxum
Pelphi o Pelvi,
toponimo
derivante
termine
veneto-ladino pelf indicante
un grosso
sasso
compatto.
Secondo
una leggenda
della val
di Zoldo un
tempo il
Pelmo aveva
un aspetto
ben diverso
dall'attuale:
era una
montagna
verdeggiante
e sulla sua
sommità,
dove oggi si
trova il
circo
glaciale, vi
era
addirittura
un vasto
pascolo
frequentato
dai pastori.
In seguito
un evento
catastrofico
fece franare
la montagna,
scoprendo la
nuda roccia
e dandole
l'imponente
aspetto che
ha
tutt'oggi.
Il racconto
sembrerebbe
avere un
fondo di
verità:
sono stati
individuati
due ampi
scoscendimenti,
ora per lo
più
nascosti
dalla
vegetazione,
che fanno
pensare ad
una
grandiosa
frana;
questa
avrebbe
bloccato il
corso del Maè,
formando un
grande lago
che,
prosciugatosi,
scoprì la
piana dove
oggi sorge Mareson,
frazione di Zoldo
Alto.
Il
Pelmo è
stata la
prima cima
dolomitica
ad essere
scalata: il
19 settembre 1857 l'irlandese John
Ball raggiunse
la vetta
attraverso
quella che
fu poi
chiamata cengia
di Ball.
Partito da Borca
di Cadore,
era
accompagnato
da una guida
locale (pare
rispondesse
al nome di
Giovanni
Battista
Giacin detto Sgrinfa)
che però
non
raggiunse la
cima. Ball
scrisse poi
di aver
scelto il
Pelmo per la
sua prima
scalata
perché gli
era sembrato
il più
bello tra
tutti i
monti delle
Dolomiti che
aveva visto
e
soprattutto
più facile
rispetto al
maestoso Antelao.
La
via diretta
sud-ovest fu
aperta nei
giorni tra
il 15 ed il
17 settembre
1977 da una
cordata
italiana
formata da Franco
Miotto,
Riccardo Bee
e Giovanni
Groaz che
giunsero
poco sotto
al camino
finale, ivi
ritirandosi
per il
maltempo. La
via è stata
compiuta
successivamente,
all'inizio
di ottobre,
da Miotto e
Bee calatisi
dall'alto, e
da Giovanni
Groaz che
con grave
rischio
risalì dal
basso le
corde
lasciate
fisse nel
precedente
tentativo
(200 m
nel vuoto),
uscendo
assieme
lungo il
camino
finale. Dal
canalone di
La Fessura
si attacca
la parete
nel centro,
dapprima per
canali e poi
sul lato
destro del
grande
diedro.
L'uscita è
a sinistra
del
ciclopico
tetto
sommitale.
Difficoltà:
VI+ e vari
tratti di A1
e A2 in
artificiale.
I tratti più
difficili e
pericolosi
(VI e A3)
furono
risolti da
Giovanni
Groaz. La
prima
ripetizione
fu di Flavio
Appi,
Ronkovic e
Rukic
(sloveno)
tra il 15 ed
il 17
gennaio
1986. La
seconda
ripetizione
dell'1 e 2
luglio 2006
furono gli
italiani
Alessio
Roverato e
Luca
Matteraglia.
Il
poco marcato
spigolo nord
fu invece
superato nel
1924 dalla
cordata
svizzera
Simon-Rossi
che ivi aprì
la prima via
di VI grado
delle Alpi,
un anno
prima di
Solleder e
Lettembauer
sulla parete
nord-ovest
della Civetta.
La via sale
le
placconate
della parete
nord con
percorso
complicato,
partendo dal
nevaio di
val d'Arcia
per
imboccare
poi lo
spigolo
nella parte
sommitale
(il passo più
duro è un
camino
valutato
VI-). Su
tutte le
pareti del
Pelmo si
sviluppano
numerosi
itinerari
molto lunghi
e di tutte
le difficoltà.
Il
Pelmetto fu
invece
raggiunto
nel 1896
dalle guide
Clemente
Callegari
(detto
"il
Battistrada")
e Angelo
Panciera
(detto
"il
Mago")
col cliente
Angelo
Panciera.
L'immenso
spigolo
nord-ovest
fu superato
da Severino
Casara e
Walter
Visentin nel
1936.
Tutt'oggi è
una classica
salita di
media
difficoltà
con un
dislivello
di 850 (IV e
1 pp di V).

La Croda
da Lago è
un massiccio
montuoso delle Dolomiti
Ampezzane nelle Dolomiti,
a sud di Cortina
d'Ampezzo e
a ovest di San
Vito di
Cadore,
la cui vetta
più alta si
erge per
2.715 m
s.l.m. Fa
parte del più
ampio gruppo
montuoso Croda
da Lago -
Cernera.
La
Croda da
Lago è
posta
all'estremo
lato
meridionale
della Conca
ampezzana,
che chiude a
sud insieme
ai Lastoi de
Formìn, al Becco
di Mezzodì e
alle
Rocchette.
Si sviluppa
come
frastagliata
cresta con
andamento
prevalente
sud-nord; ad
ovest poggia
sulle aspre
bancate dei
Lastoi de
Formìn, ad
Est digrada
con una
gradinata
rocciosa
sopra
l'alpeggio
di Federa.
Il
nome si
riferisce al laghetto Fedèra (o da
Lago) che
sorge ai
piedi del
versante
est, a quota
2.038 m.
Sulle sue
sponde si
affaccia il Rifugio
Gianni
Palmieri.
Sulla
Croda da
Lago sono
state
disperse le
ceneri di Dino
Buzzati.
MARMOLADA
- La Marmolada (detta la
Regina delle
Dolomiti
è un gruppo
montuoso delle Alpi in Provincia
di Belluno (Veneto)
e Provincia
di Trento,
il più alto
delle Dolomiti,
raggiungendo
la quota
massima con
la Punta
Penia (3.343
m).
La Val
Pettorina la
delimita ad
oriente e la Val
di Fassa ad
occidente,
mentre
importanti
vallate
interne alla
catena
montuosa
sono (da est a ovest):
la Val
Contrin, la Val
di Grepa e
la Val
San Nicolò.
A rigore non
è composta
da dolomia (come
le Dolomiti
vere e
proprie)
bensì per
lo più da calcari grigi
molto
compatti
derivati da
scogliere
coralline
(calcare
della
Marmolada),
con inserti
di materiale
vulcanico.
Importante
è anche la
presenza del
più grande
ghiacciaio
delle
Dolomiti, il Ghiacciaio
della
Marmolada.
Il
nome
Marmolada,
qualora non
fosse
connesso con
il latino marmor "marmo",
potrebbe
derivare da
una radice indoeuropea attestata
in greco marmar-,
che
significa
"splendere",
"scintillare".
Il
riferimento
è ovviamente al ghiacciaio sulla
cui origine
e formazione
una leggenda
narra che
una
vecchietta,
invano
sgridata dai
suoi
compaesani,
raccolse il
fieno nel
giorno della
festa votiva
del 5 agosto
("Madonna
della
Neve").
La notte
seguente
cominciò a
nevicare, e
nevicò
tanto sino a
formare il
ghiacciaio
che tuttora
esiste, e
sotto il
quale chi sa
da quanti
secoli,
giace ancora
la povera
vecchietta
col suo
fieno nel tabiè (fienile).

Il
gruppo della
Marmolada ha
approssimativamente
la forma di
un trapezio,
con la base
maggiore a
sud (valle
di San
Pellegrino, passo
San
Pellegrino, Valle
del Biois) e
la base
minore a
nord (Passo
Pordoi). Nel
dettaglio e
ruotando in
senso orario
i limiti
geografici
restano: Passo
Pordoi,
torrente Cordevole,
torrente Biois, Passo
San
Pellegrino, Val
di Fassa,
Passo
Pordoi.
La
cima più
alta e il
ghiacciaio
sono
interamente
nella
provincia di
Trento.
La SOIUSA suddivide
il gruppo in
sei sottogruppi
Catena
del Padon
Massiccio
della
Marmolada
Sottogruppo
Ombretta-Ombrettola
Massiccio
Sasso
Vernale-Cime
d'Ombretta
Cresta
Ombrettola-Fop
Catena
dell'Auta
Catena
della Cima
dell'Uomo
Sottogruppo
Collac-Buffaure
Sottogruppo
Monzoni-Vallaccia
Al
suo interno
spicca il
massiccio
della
Marmolada,
che presenta
una lunga
cresta con
numerose
elevazioni,
tra le quali
da ovest a
est: Gran
Vernel (3.205 m),
Piccolo Vernèl
(3.098 m), Punta
Penia (3.343 m s.l.m.),
Punta Rocca
(3.309 m),
Marmolada
d'Ombretta
(3.230 m),
Marmolada di
Serauta con
Monte
Serauta
(3.069 m)
e Piz
Serauta
(3.035 m).
Sul versante
nord del
massiccio
della
Marmolada si
estende il ghiacciaio
omonimo, il
più esteso
delle Dolomiti.
Mentre a
sud, sopra
la val
Ombretta, si
erge
l'imponente
parete
d'argento,
seconda solo
alla nord
ovest del monte
Civetta. A
sud del
massiccio
principale
si ergono
altre
importanti
cime quali: Cima
Ombretta (3.011 m), Sasso
Vernale (3.058 m), Sasso
di Valfredda (3.009 m),
Cima
dell'Uomo
(3.010 m),
e le Cime
d'Auta (2.622 m)
sopra Falcade.
Alla
base del
versante
nord, alla
quota di
circa 2.030
metri, è
situato il lago
Fedaia,
lungo circa
2 km.
Il lago è
sbarrato ad
ovest da una diga artificiale
in
calcestruzzo,
dall'altezza
massima di
60 metri e
con uno
sviluppo del
coronamento
di 620. La
diga
permette, a
partire dal 1956,
la
produzione
di circa 20 MW di energia
idroelettrica.
Nella parte
est del lago
i resti di
uno
sbarramento
morenico
segnano
invece il
luogo del
preesistente
lago
naturale,
lungo circa
180 metri,
che segnava
il confine
tra il Principato
vescovile di
Bressanone(Impero
d'Austria) e
la Repubblica
di Venezia.
Dal lago di
Fedaia ha
origine il
torrente Avisio.
Le
vette
principali
del gruppo
della
Marmolada
sono:
Punta
Penia -
3.343
m
Punta
Rocca -
3.309
m
Punta
Ombretta -
3.230
m
Gran
Vernel -
3.210
m
Piccolo
Vernel -
3.098
m
Sasso
Vernale -
3.058
m
Piz
Serauta -
3.035
m
Piz
de
Guda -
2.134
m
Punta
Cornates -
3.029
m
Cima
Ombretta -
3.011
m
Cima
dell'Uomo -
3.010
m
Sas
de
Valfreda -
3.009
m
|
Cima
Ombrettòla -
2.931
m
Monte
Fop -
2.892
m
Monte
La
Banca -
2.875
m
Il
Colac -
2.715
m
Punta
della
Vallaccia -
2.637
m
Cima
d'Auta
Orientale -
2.624
m
Cima
d'Auta
Occidentale -
2.602
m
Cima
Barbacin -
2.524
m
l'Auta -
2.545
m
Padon -
2.512
m
I
Migogn -
2.389
m
Sas
Bianch -
2.407
m
|
Durante
la prima
guerra
mondiale, la
Marmolada
segnava un
tratto del
fronte
italo-austriaco,
e la
montagna fu
teatro di
scontri,
come
confermano
le
postazioni
ancora
visibili sui
versanti est
e nord. Gli
austriaci
per
difendersi
scavarono
addirittura
un labirinto
di gallerie
all'interno
del
ghiacciaio
chiamate
"La
città di
ghiaccio"
(ora
scomparse a
causa del
naturale
movimento
della
calotta
verso
valle).
Oggi, la
Marmolada è
meta di
sciatori ed
alpinisti, e
le località
circostanti
(come Canazei e Malga
Ciapela)
sono dei
rinomati
centri
turistici
attivi tutto
l'anno. In
data 6
luglio 2018
per decreto
del
Presidente
della
Repubblica
la linea di
confine tra
le regioni
Veneto e
Trentino
Alto Adige
è stata
spostata a
favore di
quest'ultima,
per cui la
cima del
monte si
trova
interamente
in
territorio
trentino. È
tuttavia in
corso una
disputa
legale per
definirne la
validità.
PALE
DI SAN
MARTINO,
PALE DI SAN
LUCANO,
DOLOMITI
BELLUNESI,
VETTE
FELTRINE
- Le Pale
di San
Martino (dette
anche "Gruppo
delle Pale")
sono il più
esteso
gruppo delle Dolomiti,
con circa
240 km²
di
estensione,
situate a
cavallo tra
il Trentino orientale
e la provincia
di Belluno,
in Veneto.
Si estendono
nella zona
compresa tra
il Primiero (valli
del Cismon,
del Canali,
val
Travignolo),
la Valle
del Biois (Falcade, Canale
d'Agordo) e
l'Agordino.
Le
Pale sono
costituite
da dolomia, roccia
sedimentaria formata
da doppio carbonato
di calcio e magnesio,
scoperta dal
marchese Déodat
de Dolomieu nel 1788.
L'altopiano
delle Pale,
situato nel
settore
centrale del
gruppo, si
estende per
uno spazio
di circa 50 km²
e
costituisce
un enorme
tavolato
vuoto,
roccioso e
quasi lunare
che oscilla
tra i 2500 e
i 2800 m s.l.m. Secondo
alcune fonti
esso avrebbe
ispirato lo
scrittore
bellunese Dino
Buzzati (grande
amante delle
vette della
catena)
nell'ambientazione
del suo
romanzo Il
Deserto dei
Tartari.
La
parte delle
Pale che si
estende in
Trentino è
interamente
compresa nel Parco
naturale
Paneveggio -
Pale di San
Martino.
Il
termine Pala deriva
dal nome che
veniva
utilizzato
localmente
per indicare
le rive e i
pendii
erbosi
situati alla
base della catena.
Per
estensione
andò poi a
definire
l'intero
gruppo
montuoso. I
primi
alpinisti,
in
maggioranza britannici,
dopo aver
compiuto le
prime
escursioni e
aperto
alcune vie,
nelle loro
memorie
indicarono
originariamente
il complesso
montuoso con
i termini di Dolomiti
di Primiero o Gruppo
delle Pale.
Solo
in un
secondo
tempo, con
il
diffondersi
della
pratica del turismo montano e
la
costruzione
di strade
carrozzabili
che
favorirono
la crescita
di San
Martino di
Castrozza,
divennero
note
universalmente
nel mondo
alpinistico
come Pale
di San
Martino.

La
storia
alpinistica
delle Pale
di San
Martino è
molto
complessa:
l'alpinismo,
sebbene sia
approdato su
queste
montagne
poco dopo la
salita di
Ball al
Pelmo, ha
seguito uno
sviluppo
diverso a
seconda dei
settori del
massiccio:
una prima
fase di
esplorazione
e di
conquista
sistematica
delle vette
è quella
avvenuta
nella
seconda metà
del XIX
secolo; poi
si è avuta
la seconda
fase di
esplorazione
delle varie
pareti del
massiccio,
che va dai
primi del
'900 fino
alla Seconda
Guerra
Mondiale; la
terza fase
è quella
che arriva
ai giorni
nostri e
comprende
anche
l'arrampicata
sportiva. È
in questo
ultimo
periodo che
alcune delle
cime e delle
pareti più
ambite e
famose (come
la Pala di
San Martino
e il Gruppo
del Focobòn)
perdono
interesse,
mentre altre
continuano
ad
esercitare
un'attrazione
per gli
alpinisti
(come il
Sass Maòr e
la Cima
della
Madonna, il
gruppo della
Val Canali)
ed altre
ancora
rimangono
neglette dai
più (il
gruppo della
Croda
Granda).
Pertanto,
per una
storia più
dettagliata
si rimanda
alle singole
e più
importanti
cime
elencate più
in basso.
I
primi
viaggiatori
e alpinisti
che
arrivarono
sulla catena
furono
inglesi: Josiah
Gilbert e George
Cheethmann
Churchill,
incuriositi
da una
raffigurazione
pittorica
delle
montagne e
dell'ambiente
naturale,
giunsero in
Primiero nel 1862,
raccogliendo
informazioni
che poi
trasferirono
nella loro
guida The
Dolomites
Mountains (1864).
Nel
1864 arrivò
nella valle
del Cismón un
altro gruppo
di
alpinisti:
tra questi John
Ball, che
definì il Cimon
della Pala il Cervino delle
Dolomiti,
e Douglas
William
Freshfield,
che si
inoltrò per
primo negli
alti passi
del gruppo,
raggiungendo
assieme ad
altri
inglesi Primiero da Agordo,
percorrendo
il Passo
Canali (2497 m s.l.m.),
per poi
proseguire
per San
Martino.
Una
descrizione
delle
montagne e
delle
vallate ai
piedi delle
Pale è
rappresentata
dallo
scritto di Amelia
Edwards, Untrodden
peaks and
unfrequented
valleys (Cime
inviolate e
valli
sconosciute),
del 1872.
La Edwards
si stupì
della
presenza in
questa zona
delle
Dolomiti di
paesi di una
certa
importanza,
economicamente
sviluppati e
ricchi di
testimonianze
artistiche
(Fiera di
Primiero, Agordo, Predazzo),
ma molto
difficili
nell'accesso,
collegati
tra loro
solo da mulattiere,
lungo le
quali si
incontravano
villaggi
molto
poveri.
Giunta ai
piedi della
vetta del
Cimone, lo
paragonò ad
una "tomba
faraonica,
con quel
pinnacolo
piramidale
sulla
cima."
Il
3 giugno 1870 l'inglese
E.R.
Whitwell, Santo
Siorpaes (di Cortina
d'Ampezzo) e
Christian
Lauener
(svizzero di Lauterbrunnen)
raggiunsero
per primi la
cima del
Cimon della
Pala (3184 m s.l.m.),
attraverso
il ghiacciaio del
Travignolo e
il versante
nord.
Affrontando
la montagna
da questo
lato, che
offre una
prospettiva
fallace,
essi
ritennero
erroneamente
che il Cimon
fosse la
vetta più
alta
dell'intera
catena.
Due
anni più
tardi,
Freshfield e
Charles C.
Tucker
riuscirono a
conquistare
la cima
effettivamente
più alta
(sebbene di
pochi
metri), la Vezzana (3192 m s.l.m.).
Nel
1875 venne
vinto l'Agnèr
da Cesare
Tomè e
compagni e,
successivamente
nello stesso
anno, cadde
anche il
Sass Maòr.
Il 23 giugno
del 1878 Alfredo
Pallavicini,
Julius
Meurer, Santo
Siorpaes,
Angelo Dimai
e il
primierotto
Michele
Bettega (uno
dei primi
alpinisti
del gruppo
delle Aquile
di San
Martino)
riuscirono a
salire la
vetta
tecnicamente
più ostica
della
catena, la
Pala di San
Martino
(2982 m s.l.m.).
Dopo
questa serie
di conquiste
vennero
salite anche
quasi tutte
le vette
minori dei
vari
sottogruppi,
tra il 1888
ed il 1900:
sono gli
anni di
Bortolo
Zagonel,
Ludwig
Darmstadter,
Leon
Treptow,
Thomas
Oberwalder,
dei fratelli
Von
Radio-Radiis
ed altri. Le
conquiste più
significative
del periodo
sono lo
spigolo
nord-ovest
del Cimòn
della Pala
(Melzi-Zecchini
nel 1893),
la salita
invernale
della Croda
Granda
(Schuster e
Zecchini nel
1900) e la
salita
solitaria
della Cima
della
Madonna
(Winkler nel
1886).
Dopo
questa fase
prolifica di
ascensioni,
agli albori
del XX
secolo
comincia
l'esplorazione
delle grandi
pareti ed i
più attivi
sono i
tedeschi
Plaichinger,
Hamburger,
Teifel,
Hoffmuller,
ed altri;
dopodiché
scoppia la Grande
Guerra nel
1914 e le
attività
sono
bloccate.
L'alpinismo
sulle Pale
riprende
dopo il 1918
e, nel
ventennio
che
intercorre
tra i due
conflitti
mondiali, vi
è una
grande
ripresa
dell'alpinismo
sul
massiccio:
per primo
Gunther
Langes, che
nel 1920
sale per il
primo
l'elegante
spigolo
della Cima
della
Madonna,
noto come Spigolo
del Velo,
già tentato
da Angelo
Dibona, poi
altre decine
di itinerari
su tutte le
Pale. L'anno
successivo
è la volta
del grande
appicco nord
dell'Agnèr,
la più alta
parete
dolomitica,
vinta da
Francesco
Jori, Arturo
Andreoletti
ed Alberto
Zanutti,
mentre tra
il 1926 ed
il 1930
operano
sulle Pale Emil
Solleder e Fritz
Wiessner: il
primo apre
una serie di
fortunate
vie, come la
parete est
del Sass Maòr
(primo VI
delle Pale
di San
Martino), la
nord della
Pala di San
Martino, lo
spigolo
della Cima
Immink; il
secondo
opera nella
Val Canali,
tracciando
alcuni
itinerari
che
diventano
molto famosi
(lo spigolo
ovest del
Sass
d'Ortiga, la
parete sud
della Cima
dei Lastei).
Tra il 1932
ed il 1935
operano sul
massiccio: Celso
Gilberti,
che con
Oscar
Soravito
supera lo
spigolo nord
dell'Agnèr
nel 1932; Ettore
Castiglioni,
che apre ben
7 vie sulle
Pale (spesso
col suo
compagno
Bruno
Detassis)
nel solo
1934, Alvise
Andrich, che
traccia una
nuova via di
VI sul Cimòn
della Pala
ed un'altra
via sulla
parete sud
della Cima
Val di Roda,
ed i
tedeschi
Bertl e
Kleisl, che
aprono sul
Cimòn della
Pala.
Lo
scoppio
della
Seconda
Guerra
Mondiale
frena
nuovamente
l'attività
sul gruppo,
che però
prosegue in
sordina con
l'opera
della guida
di Primiero Gabriele
Franceschini,
che tra gli
anni '40 e
'50 apre
circa un
centinaio di
vie sulle
montagne di
casa, molte
delle quali
diventano
delle
classiche
negli anni
successivi.
Gli
anni '60
sono quelli
delle
direttissime
e vi è un
nuovo
fiorire di
itinerari su
tutte le
pareti del
massiccio:
1963 la
direttissima
delle Fiamme
Gialle al
Cimòn della
Pala, 1964
la diretta
alla parete
sud-est del
Sass Maòr,
1967 la
Sudtirolesi
alla
nord-est
dell'Agnèr,
1969 la via
Settimo
Bonvecchio
alla Pala di
San Martino,
e così via.
Sono anche
gli anni
delle grandi
salite
invernali,
come la via
Jori all'Agnèr,
portata a
termine nel
1968 da Reinhold
Messner. In
questo
periodo
operano
sulle Pale
Renzo
Timillero
"Ghigno",
Claudio
Barbier,
Renato
Gobbato e
Carlo
Andrich,
oltre ai
finanzieri
Quinto
Scalet e P.
de Lazzer.
Nella
seconda metà
del decennio
si fanno
avanti anche
i fratelli
Camillo e
Gianpaolo de
Paoli, Bepi
Pellegrinon,
Toni
Marchesini
che susciterà
polemiche
per le sue
"silenziose"
salite
solitarie,
ed Hans
Frisch,
autore di
una
splendida ed
ambita
salita sulla
Pala del
Rifugio.
Il
decennio
successivo
vede
all'opera Enzo
Cozzolino nel
gruppo
dell'Agnèr
e sulla Pala
di San
Martino: le
sue vie sono
temute ed
ammirate per
l'arditezza
dell'apertura,
ognuna con
meno di 10
chiodi e su
pareti
sperdute.
Benvenuto
Laritti e
Guido Pagani
sono altri
due forti
alpinisti
delle Fiamme
Gialle, che
aprono
numerosi
itinerari
sulle
muraglie
ancora
inesplorate
del
massiccio;
è però nel
1978 che si
affaccia per
la prima
volta sul
palcoscenico
delle Pale
uno dei più
affezionati
scalatori: Maurizio
Zanolla,
detto
Manolo. La
sua prima
via nel
posto è la via
dei Piazaroi sulla
Cima della
Madonna. Poi
ripercorre
in libera la
Biasin-Scalet
nel 1979,
valutando
difficoltà
di IX. Nel
1980 è di
nuovo la
volta del
Sass Maòr
con la via Supermatita,
aperta con
poco
materiale e
con
difficoltà
in apertura
fino al
VII-, su
roccia
friabile. Da
questa c'è
poi un
susseguirsi
di itinerari
di ogni
genere di
difficoltà,
passando per Nurejev
ed el
Marubio
fino alla
recentissima cani
morti sul
Campanile
Basso dei
Lastei.
Gli
anni '80,
anch'essi
prolifici di
scalate di
tutti i
generi,
vedono
all'opera
principalmente
Renzo e
Giacomo
Corona, Riccardo
Bee e Lorenzo
Massarotto.
I primi due
aprono in
vent'anni
numerosi
itinerari ed
effettuano
anche delle
prime
invernali;
il terzo
esplora
principalmente
l'Agnèr,
dove traccia
in solitaria
dei percorsi
temerari;
l'ultimo
apre una
quantità
impressionante
di vie nel
gruppo
dell'Agnèr,
esplorando
tutto il
massiccio,
in Val
d'Angheràz
ed in Val
Canali, ed
effettua
anche prime
invernali e
concatenamenti
(celebre
quello tra
la
Vinci-Bernasconi
sull'Agnèr
e lo Spigolo
Dal Bianco
sulla Torre
Armena).
Ai
giorni
nostri
continua
l'attività
esplorativa
delle Pale
di San
Martino e
vengono
ancora
tracciate
nuove vie,
anche se con
un ritmo
meno serrato
rispetto a
prima.
Diversi
sono stati i
cedimenti
della roccia
dolomitica
negli anni.
I più
recenti sono
stati nel
2008, sul
pilastro
Castiglioni,
e nel
dicembre
2011, quando
un cuneo
roccioso
della
dimensione
di 150x300
metri circa
è franato
dalla parete
est del Sass
Maor,
cancellando
parzialmente
3 vie
alpine.
Le
principale
cime sono:
- Vezzana -
3.192 m
s.l.m.
- Cimon
della
Pala -
3.184
m
- Cima
dei
Bureloni -
3.130
m
- Cima
di
Focobon -
3.054
m
- Pala
di San
Martino -
2.982
m
- Fradusta -
2.939
m
- Mulaz -
2.906
m
- Cima
Canali -
2.900
m
- Monte
Agner -
2.872
m
- Croda
Granda -
2.849
m
- Sass
Maor -
2.812
m
- Cima
di
Ball -
2.802
- Cima
della
Madonna -
2.752
m
- Rosetta -
2.743
m
- Cima
Val di
Roda -
2.605
m
Le Pale
di San
Lucano sono
un piccolo
gruppo di
cime dolomitiche,
situate a
nord-est
delle Pale
di San
Martino,
da cui sono
separate
dalla
profonda Valle
di San
Lucano.
Sono le
montagne che
dominano ad
ovest la
conca agordina e
devono il
loro nome al santo
eremita,
che si ritirò
in questa
valle nel V
secolo d.C.
I
confini
delle Pale
di San
Lucano sono:
ad
est i pendii
scendono
direttamente
nella valle
del
Cordevole
nella conca
agordina
a
sud e ad
ovest
precipitano
con alte
pareti nella
Valle di San
Lucano
a
nord sono
congiunte al
massiccio di
Cima Pape
tramite la
forcella
Gardès.

Le
cime
principali
del
massiccio
sono:
Cime
d'Ambrusogn:
si elevano
sul lato
nord delle
Pale e sono
due cime ben
distinte,
orientale ed
occidentale,
che toccano
i 2286 m;
Prima
Pala di San
Lucano: è
un altopiano
erboso,
circondato
da alte
pareti
verticali
eccetto che
dal versante
nord; sulla
sua sommità
sorge il
bivacco
Bedin (2210 m);
è collegata
alla Seconda
Pala ed al
Monte San
Lucano
tramite la
Forcella
Besauzega,
da cui
scende
l'omonimo
Boràl;
Seconda
pala di San
Lucano: è
la vetta più
appariscente
e massiccia
del gruppo
(2340 m),
circondata
da tutti i
lati da
profondi
canaloni e
pareti alte
fino a 1400 m.;
è congiunta
al Monte San
Lucano dal
Passo del
Ciodo a
nord, da cui
scende il
Boral del
Mus,
diramazione
secondaria
del Boral de
la
Besauzega;
Monte
San Lucano:
è la vetta
più alta
del gruppo
con i suoi
2406 m
di altezza.
Spiz
di Lagunàz:
è la vetta
più interna
e nascosta,
perché
sorge a metà
dell'omonimo
Boral (2338 m);
è
completamente
circondata
da alte
pareti
verticali e
strapiombanti
ed è
collegata al
resto del
gruppo
tramite una
cresta da
cui spuntano
la Torre
di Lagunaz e
la Torre
del Boral verso
nord (verso
Forcella
Gardès), e
con un'altra
accidentata
cresta verso
sud alla
terza Pala
(da cui
spunta la Punta
Renato
Casarotto);
Terza
Pala di San
Lucano (2355 m):
incombe
direttamente
sulla Valle
di San
Lucano con
una parete
di 1400 m
ma,
nonostante
la sua
vicinanza a
centri
abitati (Col
di Prà) ed
alla
rotabile
della valle,
essa è
considerata
una delle
cime più
remote delle
Alpi;
infatti solo
poche
cordate ne
hanno
calcato la
cima nel
corso degli
anni,
attraverso i
suoi lunghi
ed impervi
itinerari.
Quarta
pala di San
Lucano: è
la più
occidentale
delle Pale
(2267 m);
degrada
dolcemente
verso nord
con pendii
boscosi,
mentre
presenta,
come le
altre cime,
una grande
parete di
1300 m
verso sud.
La cresta
ovest cade
sull'abitato
di Col di Prà
con una
levigata
parete, nota
come Lastia
di Gardes
(da cui nel
1908 si
staccò una
grande frana
che seppellì
il piccolo
paese di
Lagunàz).
Il Parco
nazionale
delle
Dolomiti
Bellunesi è
un parco
nazionale situato
in provincia
di Belluno,
nel Veneto settentrionale,
istituito
nel 1988.
Il
parco
nazionale è
incluso
nella
sezione
"Pale
di San
Martino -
San Lucano -
Dolomiti
Bellunesi -
Vette
Feltrine"
del sito
delle Dolomiti,
dichiarato patrimonio
mondiale
dell'umanità dall'UNESCO nel
2009.
Nel
1988 viene
prevista
l'istituzione
del Parco
nazionale
delle
Dolomiti
Bellunesi,
la quale si
concretizza
nel 1990 con
il
provvedimento
istitutivo
del
Ministero
dell'Ambiente,
il quale
individua le
seguenti
finalità
del parco
nazionale:
tutelare i
valori
naturalistici,
storici,
paesaggistici
ed
ambientali e
conservare i
valori
bio-genetici
della flora,
della fauna
e degli
aspetti
geomorfologici;
migliorare
le
condizione
di vita
degli
abitanti
interessati;
promuovere
la ricerca
scientifica
e
l'educazione
ambientale,
tramite la
divulgazione
della
cultura
naturalistica;
ripristinare
le attività
agro-selvi-pastorali.
Il
parco ha una
superficie
di 15.030,22 ettari,
interamente
compresa
nella provincia
di Belluno,
tra i fiumi Cismon ad
ovest e Piave ad
est, esteso
a nord verso
il bacino
del Maè e
a sud nel
basso Agordino.
Comprende i
gruppi
montuosi
delle Alpi
Feltrine, Monti
del Sole, Schiara, Talvéna, Prampèr e Spiz
di Mezzodì.
Sono
presenti
aree
carsiche
d'alta quota
e rupi e
pendici
detritiche,
habitat
ideale per
numerose
specie di
alta
montagna.
Il
territorio
del parco,
fatta
eccezione
per alcune
aree
carsiche di
alta quota,
si presenta
estremamente
ricco di
risorse
idriche:
sorgenti,
paludi e
corsi
d'acqua tra
i quali: Cordevole, Mis, Caorame, Stién, Falcìna,
Ardo, Vescovà, Prampèra
che
concorrono
alla
ricchezza
biologica
del Parco.
Alcuni di
questi
torrenti
scorrono in forre profonde,
e tutti sono
soggetti a
variazioni.
All'interno
del parco
nazionale
sono inclusi
15 comuni: Belluno, Cesiomaggiore, Feltre, Gosaldo, La
Valle
Agordina,
Longarone.
Pedavena,
Ponte nelle
Alpi,
Rivamonte, San
Gregorio
nelle Alpi, Santa
Giustina
(Italia), Sedico, Sospirolo, Sovramonte, Val
di Zoldo.
La
flora è
composta da rododendri, cardi, stelle
alpine e
da altre
piante
montane. Vi
sono boschi
di latifoglie e
di conifere,
pascoli e
immensi
prati. La
varietà
territoriale
del Parco,
che
comprende
aree di alta
montagna
accanto a
pascoli,
permette a
numerose
specie
animali di
trovare il
proprio
habitat
all'interno
dell'area.
Tra
le specie più
importanti e
rappresentate
vi sono:
Mammiferi:
Marmotta, Ermellino, Martora, Capriolo, Camoscio, Cervo, Muflone, Lupo, Lince.
Chirotteri:
Vespertilio
maggiore, Pipistrello
nano, Orecchione
austriaco, Orecchione
bruno, Vespertilio
di
Daubenton.
Uccelli:
Picchio
nero, Picchio
muraiolo, Astore, Gheppio, Aquila
reale, Civetta
nana, Civetta
capogrosso, Allocco, Gufo
reale, Francolino
di monte (specie
a rischio di estinzione), Gallo
cedrone, Fagiano
di monte, Pernice
bianca, Coturnice, Upupa, Corvidi, Cincia, Codirosso
spazzacamino, Fringuello
alpino (anch'esso
raro), Culbianco.
Rettili e Anfibi:
Tritone
alpino, Tritone
crestato
italiano, Tritone
punteggiato
meridionale, Salamandra
pezzata, Salamandra
nera o
alpina,
Ululone dal
ventre
giallo, Rospo
comune, Rana
montana, Rospo
smeraldino, Vipera
dal corno.
Le Vette
Feltrine sono
il gruppo più
meridionale
delle Dolomiti.
Si trovano a
cavallo tra
la provincia
di Belluno
e la provincia
di Trento.
Sono
situate
nella zona
sud-occidentale
della provincia
di Belluno,
in prossimità
del confine
con il Trentino,
che ne
include la
parte più
settentrionale.
Sono
comprese fra
la valle
di Primiero (con
la laterale val
Noana),
in provincia
di Trento, a
nord-ovest,
la val
di Canzoi ad
est e la Conca
Feltrina a
sud. Le
Vette sono
inserite
nella riserva
naturale
Vette
Feltrine,
all'interno
del parco
nazionale
delle
Dolomiti
Bellunesi,
istituito
nel 1993,
di cui
rappresentano
la sezione
più
occidentale.
La
vetta
principale
è il monte
Pavione sulla
cui sommità
si colloca
il confine
tra Trentino
e Veneto. Il
monte, visto
dal
Primiero, ha
una
suggestiva
forma
piramidale.
Tra il
rifugio Dal
Piaz e il
monte
Pavione, in
comune di Sovramonte,
è presente
un'ampia
conca d'alta
quota,
utilizzata
per il
pascolo,
conosciuta
come la Busa
delle Vette.
Sulle
Vette
Feltrine si
snoda la
parte
terminale
dell'alta
via n. 2 delle
Leggende,
che,
attraversando
diverse
valli del Trentino-Alto
Adige e
del Veneto,
congiunge Bressanone a Feltre.
A nord delle
Vette è
presente il gruppo
del Cimonega,
mentre ad
est,
visibili
dalla Valbelluna,
si estendono
le vicine
vette del gruppo
dello
Schiara e
i Monti
del Sole.
Principali
cime:
Monte
Pavione 2.334 m
s.l.m., Col
di Luna
2.295 m,
Cima Dodici
2.265 m,
Monte
Ramezza
2.250 m,
Sasso
Scarnia
2.226 m,
Monte
Pietena
2.195 m, Monte
Coppolo 2.069
m.
DOLOMITI
FRIULANE E
D'OLTRE
PIAVE - Le Dolomiti
Friulane
sono un
gruppo di
montagne
delle Prealpi
Carniche,
tra le
province di Belluno, Udine e Pordenone.
Geograficamente
sono
inserite tra
l'alto corso
del Tagliamento a
nord, il
corso del
torrente
Cellina a
sud, l'alta val
del Piave a
ovest e
l'alta valle
del Meduna a
est.
Si
trovano nel
territorio
del Parco
naturale
delle
Dolomiti
Friulane.
Il
paesaggio
predominante
è quello
caratteristico
delle
Prealpi
Orientali,
con vallate
strette e
lunghe che
si
addentrano
tra vette e
torrioni
dolomitici.
La zona, per
via della
sua asprezza
e severità,
è meta
privilegiata
di
alpinisti,
escursionisti
e semplici
amanti della
natura.
Le
Dolomiti
Friulane e
d'Oltre
Piave sono
state
inserite
nella lista
del Patrimonio
mondiale
naturale
dell'Unesco il
26 giugno
2009.
La cima più
alta è la Cima
dei Preti (2.703 m).
Altre cime
di rilievo
sono:
il monte
Duranno (2.652 m),
la Croda
Montanaia (2.548 m),
il Monte
Cridola (2.580 m),
il Crodon
di Giaf (2.523 m),
il monte
Pramaggiore (2.479 m),
la
Croda
Cimoliana
(2.408 m),
gli Spalti
di Toro con
la Cima
Both (2.437 m),
il Campanile
Toro (2.345 m)
il Campanile
di Val
Montanaia (2.173 m).
DOLOMITI
SETTENTRIONALI
- Le Dolomiti
di Sesto, di
Braies e
d'Ampezzo sono
una parte
delle Dolomiti.
La vetta più
alta è l'Antelao,
in Cadore,
che
raggiunge i
3.264 m s.l.m..
Costituiscono
la parte
nord-orientale
delle Dolomiti.
Confinano:
a
nord con le Alpi
Pusteresi (nelle Alpi
dei Tauri
occidentali)
e separate
dalla Sella
di Dobbiaco e
dalla Val
Pusteria;
ad
est con le Alpi
Carniche (nelle Alpi
Carniche e
della Gail)
e separate
dal Passo
di Monte
Croce di
Comelico;
a
sud-est con
le Prealpi
Carniche (nelle Alpi
Carniche e
della Gail)
e separate
dal corso
del fiume Piave;
a
sud con le Dolomiti
di Zoldo (nella
stessa sezione
alpina)
e separate
dalla Forcella
Forada;
ad
ovest con le Dolomiti
di Gardena e
di Fassa (nella
stessa
sezione
alpina) e
separate dal Passo
di
Campolongo.
Ruotando
in senso
orario i
limiti
geografici
sono: Sella
di Dobbiaco, Valle
di Sesto, Passo
di Monte
Croce di
Comelico, torrente
Padola,
fiume Piave,
torrente Boite, Forcella
Forada, Val
Fiorentina,
torrente Cordevole, Passo
di
Campolongo, Val
Badia, Val
Pusteria,
Sella di
Dobbiaco.
- Le
montagne
principali
sono:
Antelao -
3.264
m
Tofana
di
Rozes -
3.244
m
Monte
Cristallo -
3.221
m
Sorapiss -
3.205
m
Piz
Popena -
3.152
m
Punta
dei
Tre
Scarperi-
3.152
m
Croda
Rossa
d'Ampezzo -
3.146
m
Croda
dei
Toni -
3.094
m
Cima
Undici -
3.092
m
Cima
Cunturines -
3.064
m
Popera -
3.046
m
Tre
Cime
di
Lavaredo -
2.999
m
Cima
Nove -
2.968
m
Croda
Rossa
di
Sesto -
2.965
m
Marmarole -
2.932
m
|
Cadini
di
Misurina -
2.839
m
Monte
Rudo -
2.826
m
Monte
Paterno -
2.746
m
Croda
da
Lago -
2.709
m
Lastoni
di
Formin -
2.657
m
Torre
di
Toblin -
2.617
m
Cima
Una -
2.598
m
Sass
de
Stria -
2.477
m
Col
di
Lana -
2.462
m
Monte
Serla -
2.378
m
Cinque
Torri -
2.361
m
Monte
Piana -
2.324
m
Plan
de
Corones -
2.275
m
Pomagagnon -
2.178
m
|

PUEZ
- ODLE -
Il Gruppo
del Puez è
un gruppo
montuoso delle Dolomiti che,
assieme al gruppo
delle Odle,
costituisce
la maggior
parte del
territorio
del parco
naturale
Puez-Odle,
contornato
dalla val
Badia,
dalla val
Gardena e
dalla val
di Funes,
in Alto
Adige.
La
cima più
alta della
catena è il Piz
de Puez,
che
raggiunge la
quota di
2.913 metri,
seguita dal Piz
Duleda,
2.908 m.
Altre cime
famose del
gruppo sono
il Col
de Puez (2.723 m)
ed il Sassongher (2.665 m).
Meno
note, ma non
meno
importanti
sono il Piz
Somplunt (2.738 m),
il Puez
Ciampani (2.670 m)
ed il Col
de la Sone (2.634).
Il Gruppo
delle Odle
è una catena
montuosa delle Dolomiti che
assieme al gruppo
del Puez costituisce
la maggior
parte del
territorio
del parco
naturale
Puez-Odle,
contornato
dalla val
Badia,
dalla val
Gardena e
dalla val
di Funes,
in Alto
Adige.
La
cima più
alta della
catena è il Sass
Rigais,
a pari
merito con
la cima
della Furchetta,
entrambe
raggiungono
infatti la
quota di
3.025 metri.
Le
Odle si
compongono
principalmente
di due
catene, le Odle
di Eores e
le
"Odle
di
Funes":
Odle
di Eores (Aferer
Geisler),
sono
attraversate
dal Sentiero
attrezzato Günther
Messner,
dedicata al
fratello di Reinhold
Messner,
sepolto da
una valanga,
caduta dal
monte Nanga
Parbat nel
giugno 1970.
Il sentiero
passa sia
sulla sponda
meridionale
che su
quella
settentrionale
della
catena;
Odle
di Funes
(Villnösser
Geisler),
rappresentano
le
principali
cime della
catena e si
trovano a
sud,
rispetto a
quelle di
Eores.
Alla
base delle
Odle di
Funes, si può
percorrere
il
cosiddetto
"sentiero
delle
Odle"
(in tedesco Adolf
Munkel-Weg),
che passa
alla base
settentrionale
del gruppo
delle Odle,
dove si
trova anche
una palestra
di roccia.

Il
nome è
attestato
nel 1759 come Gaislerspitz e
nel 1770 come Geisler
Spiz. Il
termine Odle si
traduce
dalla lingua
ladina semplicemente
in
"aghi",
con
riferimento
alla forma
appuntita di
molte cime
di questo
gruppo.
Le
cime
principali
sono:
Sass
Rigais,
3.025 m
Furchetta,
3.025 m
Sass
de Porta
(Seekofel),
2.915 m
Sass
da l'Ega
(Wasserkofel),
2.915 m
Grande
Fermeda (Fermeda),
2.873 m
Gran
Odla
(Feislerspitz),
2.832 m
Sass
de Mesdì
(Mittagsspitz),
2.760 m
Monte
Tullen (Tullen),
2.654 m
Alpe
Rasciesa di
Fuori (Außerraschötzer
Alm), 2.284
m

SCILIAR-CATINACCIO
E LATEMAR - Il Massiccio
dello
Sciliar è
un gruppo
montuoso delle Dolomiti,
situato in Trentino-Alto
Adige,
nella provincia
autonoma di
Bolzano,
toccando a
est la provincia
autonoma di
Trento.
Situato
al centro
del parco
naturale
dello
Sciliar,
conta
diversi
accessi
dalla val
di Tires,
da Siusi e
da Fiè
allo Sciliar e,
soprattutto,
dall'alpe
di Siusi.
Sul
pianoro
sommitale
sorge, a
2457 metri
d'altezza,
il rifugio
Bolzano.
I limiti
geografici
sono, in
senso
orario, la valle
Isarco,
la forcella
Denti di
Terra Rossa,
il passo
Alpe di
Tires e
la val
di Tires.
L'archeologia
recentemente
è riuscita
a stabilire,
grazie a
ricerche
mirate e
analisi dei
pollini, che
il vasto
altipiano
della
montagna è
già stata
utilizzato
in modo
estensivo
nell'Età
del bronzo,
sia per
funzioni di culto sia
per il pascolo d'alta
montagna.
Giovedì
11 agosto 2011 due
frane si
sono
staccate
dalla cima
Euringer (2394 m),
parte del
massiccio
dello
Sciliar. La
prima, verso
le 8.30, ha
portato a
valle tre
massi di
grandi
dimensioni e
la seconda,
verso le
10.30, ha
avuto
dimensioni
maggiori. In
totale il
materiale
staccatosi
è stato
quantificato
in circa
2000 metri
cubi di
roccia.
Cime
principali
- Cima
di
Terrarossa
-
2.655
m
- Gran
Dente
di
Terrarossa
-
2.653
m
- Monte
Pez -
2.563
m
- Cima
Castello
-
2.515
m
- Piccolo
Sciliar (Jungschlern)
-
2.283
m
- Gabels
Mull -
2.390
m
- Punta
Santner -
2.413
m
- Euringer
-
2.394
m
- Dorsale
del
Maglio
(Hammerwand)
-
2.128
m

Il gruppo
del
Catinaccio è
un massiccio delle Dolomiti situato
tra la valle
di Tires, la val
d'Ega e
la val
di Fassa nel Parco
naturale
dello
Sciliar.
Altre valli
interne alla
catena
montuosa
sono il
Vael, la val
di Vajolet,
la val
di Udai, la val
di Dona e
la val
Duron.
Interessa la provincia
autonoma di
Trento e
la provincia
autonoma di
Bolzano nel Trentino-Alto
Adige.
Domina,
anche se
distante una
ventina di
chilometri,
l'orizzonte
orientale di Bolzano.
Caratteristica
del gruppo
è la
colorazione
rosata che
assume al
tramonto,
fenomeno
visivo
chiamato enrosadira.
La
prima
ascensione
alla vetta
più alta,
il Catinaccio
d'Antermoia,
risale al 31
agosto 1872 ad
opera di Charles
Comyns
Tucker, T.H.
Carson e A.
Bernard.
Esistono
due nomi
originari,
relativi ai
due versanti
della catena
che funge da
confine
linguistico
tra il mondo ladino e
quello germanofono.
Quello
ladino,
"Ciadenac",
"Catenaccio",
costituisce
anche la
base della
forma
italiana più
recente ed
è da
riferirsi,
secondo Karl
Felix Wolff alla
ghiaia
dolomitica
tipica della
catena.
L'altro
nome, quello
tedesco di
"Rosengarten",
in uso dal
versante
sudtirolese,
è attestato
già dal XV
secolo (1497 Rosengarten,
1506 Kofl
am
Rosengarten),
ed è
riferito
alla
leggenda del
mitico Re
Laurino e
pertanto di
carattere
ezuikiguci,
volendo dare
una
spiegazione
al fenomeno
dell'enrosadira.
La saga del
giardino ha
anche dato
il nome al
cosiddetto Gartl (la
zona
ghiaiosa
centrale
della cima
più alta)
che da
lontano
appare come
zona bianca,
perché
spesso
imbiancata
di neve già
nelle
stagioni
intermedie.
La
cima più
elevata del
gruppo è il Catinaccio
d'Antermoia (3.004 m). Altre
cime celebri
del gruppo
sono:
- Cima
Catinaccio (2.981 m)
- Croda
dei
Cirmei
(2.902 m)
- Cima
di
Larsec
(2.891 m)
- Cima
Scalieret
(2.887 m)
- Torri
del
Vajolet (2.821 m)
- Croda
di Re
Laurino
(2.813 m)
- Cima
Sforcella
(2.810 m)
- Roda
di Vaèl (2.806 m)
- Pizzo
di
Valbona
(2.802 m)
- Cima
delle
Poppe
(2.768 m)
- Croda
Davoi
(2.745 m)
- Crepe
di
Lausa
(2.719 m)
- Cima
di
Mezzo
del
Principe
(2.705 m)
- Cogolo
di
Larsec
(2.679 m)
- Punta
Emma
(2.617 m)
- Torre
Gardeccia
(2.483 m).
-
Le Torri
del Vajolet sono
un gruppo di
sei guglie
calcaree che
si ergono al
centro del
gruppo del
Catinaccio:
Torre
Delago,
Torre
Stabeler,
Torre
Winler,
Torre Nord,
Torre
Principale,
Torre Est.
Una
delle
caratteristiche
peculiari
del
Catinaccio
è la
colorazione
rosata che
assume al
tramonto. Il
fenomeno è
dovuto alla
composizione
delle pareti
rocciose
delle
Dolomiti
(formate
dalla dolomia contenente dolomite,
un composto
di carbonato
di calcio e magnesio).
In ladino il
fenomeno
prende il
nome di enrosadira,
che
letteralmente
significa
"diventare
di color
rosa".
Senza
dubbio è più
suggestiva
la
spiegazione
offerta da
una delle più
celebri
leggende
delle
Dolomiti, la
“leggenda
di Re
Laurino”,
un re dei
nani che
aveva sul
Catinaccio
uno
splendido
giardino di
rose (il
significato
della parola
tedesca Rosengarten è
appunto
giardino di
rose).
Un
giorno il
principe del Latemar incuriosito
dalla
presenza
delle rose
si inoltrò
nel regno di
re Laurino,
ne vide la
figlia
Ladina, se
ne innamorò
e la rapì
per farne la
sua sposa.
Laurino,
disperato
lanciò una
maledizione
sul suo
giardino di
rose
colpevole di
aver tradito
la posizione
del suo
regno: né
di giorno, né
di notte
alcun occhio
umano
avrebbe
potuto più
ammirarlo.
Laurino
dimenticò
però il
tramonto e
l'alba
quando,
ancora oggi,
il giardino
e i suoi
colori
divengono
visibili.
Il Latemar è
un gruppo
montuoso dolomitico che
si estende
dal Trentino all'Alto
Adige.
Il gruppo si
presenta
principalmente
di forma
circolare.
Il
sistema
dolomitico
"Sciliar-Catinaccio e
Latemar"
è uno dei
nove luoghi
facenti
parte del
sito
"Le
Dolomiti"
dichiarato
nel 2009 patrimonio
mondiale
dell'umanità dall'UNESCO.
Si
trova tra Predazzo, Forno, Moena, Passo
Costalunga, Lago
di Carezza, Obereggen, Passo
Pampeago, Passo
Feudo.
È
principalmente
formato da
picchi e
cime di
colore
chiaro,
comprende
poche aree
boschive
(solo nelle
piccole
vallate
adiacenti);
è per lo più
formato da roccia
calcarea del Triassico Medio
e da dolomia.
Il Latemar
è un atollo fossilizzato,
perfettamente
preservato.
Le
gite che si
possono
effettuare
sul tale
gruppo sono
di
eccezionale
bellezza e
alcune anche
di media
difficoltà.
Ricordiamo i
rifugi e
bivacchi più
importanti
come il Rifugio
Torre di
Pisa oppure
Il Bivacco
Sieff o
il Bivacco
Rigatti,
raggiungibile
anche
percorrendo
la via ferrata
delle Torri
del Latemar.
I
sentieri
sono quasi
tutti
facilmente
percorribili
da persone
non esperte
di montagna.
Si consiglia
un gruppo
con
esperienza
alpinistica.
Per
poter
usufruire
del Bivacco
Sieff (l'unico
con vicino
una sorgente
di acqua
potabile)
bisogna
ricordarsi
di portare
con sé
della legna
per la
stufa, la
temperatura
può
scendere
sotto zero
la notte
anche ad
agosto.
Ai
piedi del
Latemar si
trova una
frana,
chiamata il
"Labirinto",
in cui la
scrittrice Agatha
Christie ambientò
la
conclusione
del suo
romanzo Poirot
e i quattro.
Le
cime
principali
del gruppo
sono:
- Cima
Diamantidi (Cimòn
del
Latemar)
-
2.842
m
- Torri
del
Latemar -
2.814
m
- Torre
Christomannos
-
2.800
m
- Schénon
del
Latemar
-
2.800
m
- Paion
-
2.800
m
- Corno
di Val
d'Ega
(Eggentaler
Horn)
-
2.799
m
- Cornon
-
2.781
m
- Cima
Valsorda -
2.762
m
- Cima
del
Forcellone
-
2.749
m
- Torre
di
Pisa /
Cima
Cavignòn
-
2.671
m
- Cima
Feudo -
2.670
m
- Cima
di
Valbona
-
2.663
m
- Cima
del
Pascolo
-
2.646
m
- Cima
Pope (Poppekanzel)
-
2.481
m
- Lastè
di
Vallaccia
-
2.449
m
- Cresta
dei
Minatori
(Erzlahnspitz)
-
2.403
m
- Torre
dei
Muss -
2.402
m
- Monte
Agnello -
2.358
m
- Cima
Bewaller
-
2.355
m
- Monte
Toac -
2.319
m
BLETTERBACH
- Il Bletterbach o rio
di Ora o
più
recentemente rio
delle Foglie è
un canyon dell'Alto
Adige che
si trova ai
piedi del Corno
Bianco,
nei pressi
del paese di Aldino,
è la più
grande gola
della
provincia.
Il
termine
"Bletterbach"
ha la sua
radice nel
retoromano plau che,
in
collegamento
con la
parola
indoeuropea plou significa
scorrere,
ovvero
l'acqua che
scorre.
Questo
canyon è
sicuramente
molto
interessante
dal punto di
vista
geologico,
in quanto si
ha la
possibilità
di osservare
le strutture
delle gole
profonde e
contemporaneamente
la stratigrafia pressoché
completa
dell'area
dolomitica a
partire dal
basamento
vulcanico
fino alla dolomia
principale.
Lungo
il percorso
si possono
ben
distinguere
i diversi
strati,
sovrapposti
l'uno
all'altro, i
quali
contengono
moltissime tracce
di
locomozione
di rettili
del permiano
e
reperti
fossili
permiani e
triassici.
L'anfiteatro
geologico
del Bletterbach è
raggiungibile
solo a piedi
da Aldino o
dalla
frazione di
Redagno (Radein).
Il
Bletterbach
è uno dei
nove sistemi
dolomitici
inclusi nel
sito
patrimonio
mondiale
dell'umanità
dell'UNESCO.
Nel XVI
secolo il Bletterbach era
principalmente
legato all'industria
mineraria.
I minatori,
infatti, in
cerca di rame scavavano
cunicoli
negli strati
più
profondi
della pietra
arenaria,
senza però
mai aver
avuto un
grande
successo.
Al
giorno
d'oggi la
gola del Bletterbach è
percorsa da
turisti e
visitatori,
ed è un
geosito
visitato e
studiato dai geologi,
che dagli
anni '40
eseguono
ricerche
nella gola,
tra i
pionieri
degli studi
nell'area si
annovera
Piero Leonardi,
docente
dell'Università
di Ferrara.
Alcuni
suoi
studenti,
Nicosia e
Mariotti
(oggi
docenti alla Sapienza
di Roma)
diedero
impulso alle
ricerche e
contribuirono
all'allestimento
del museo
geologico di
Redagno, il Geoparc
Bletterbach appunto. Il
museo dà al
visitatore
un'idea di
come poteva
essere la
terra in un
periodo che
va da 286 a
210 milioni
di anni fa.
Presso il
museo sono
state
raccolte
impronte di
sauri
trovate
nella gola,
tra cui il Pachypes
Dolomiticus,
oltre che a
esempi di
roccia arenaria
della val
Gardena,
le
fossilizzazioni
di pesci e
di cefalopodi (molluschi simili
ai calamari).
Il
Geoparc
permette di
guardare
dentro la
montagna, dà
la
possibilità
di vedere
come il
canyon si è
scavato una
via lunga 8
chilometri e
profonda 400
metri,
osservando
le diverse
ere
geologiche,
del Permiano
al
Triassico.
Lungo
il percorso
sono esposte
16 targhe
che
illustrano
al
visitatore i
segreti del
canyon, su
alcuni
reperti
fossili
ritrovati
nella gola,
sulle
gallerie
costruite
dai
minatori,
sulla
leggenda
della radura
dell'oro e
del gigante
Grimm.
Negli
strati più
bassi
affiora il porfido quarzifero
di Bolzano,
che va dal
rosso-grigio
al grigio
scuro ed è
stato creato
tra i 280 e
i 260
milioni di
anni fa
dalla cenere
e dalla lava fuoriuscite
dai vulcani
della placca continentale
nordafricana.
Sul porfido
quarzifero
poggia l'arenaria
della val
Gardena dove
sono state
trovate orme
di animali e
resti di
piante.
Il
terzo piano
delle rocce
è la
formazione a
Bellerophon,
creatasi in
acque basse
e lagune.
Seguono gli
strati di
Werfen, con
numerosi
fossili di
animali e
piante.
Corona la
struttura la
bianchissima dolomia del
Serla che
forma la
cima del Corno
Bianco.
DOLOMITI
DEL BRENTA -
Le Dolomiti
di Brenta sono
una sottosezione delle Alpi
Retiche
meridionali,
in provincia
autonoma di
Trento.
Si tratta
dell'unico
gruppo dolomitico ad
ergersi ad
ovest del
fiume Adige.
Da
più di un
secolo meta
di alpinisti ed escursionisti da
tutto il
mondo, offre
una
straordinaria
varietà di ascensioni, percorsi
attrezzati e sentieri,
oltre a
decine di
rifugi e
bivacchi in
quota.
Il
gruppo si
estende per
circa 40 chilometri in
direzione
nord –
sud, e per
circa 12 km
da est ad
ovest. Ha
come confini
naturali a
nord la Valle
di Sole,
ad est la Valle
di Non,
il Lago di Molveno e
la Paganella,
a sud le Valli
Giudicarie,
e ad ovest
la Valle
Rendena.
L'intero
gruppo del
Brenta è
compreso nel
territorio
del Parco
Naturale
Adamello-Brenta.
Si noti
tuttavia che
la Paganella
non è
affatto di
natura
dolomitica
bensì
calcarea ed
è separata
fisicamente
dal Gruppo
del Brenta
dalla Valle
di Molveno e
dall'omonimo
lago (e non
è compresa
entro i
confini del
Parco
naturale).
Le
Dolomiti di
Brenta si
connotano
per i
suggestivi
torrioni di
roccia, che
all'alba e
al tramonto
si tingono
del
caratteristico
colore rosa,
e per
l'imponenza
degli
scenari
naturali.
Diverse
sono le
localita
turistico-montane
che vi si
affacciano
tra cui Madonna
di Campiglio, Folgarida, Marilleva, Pinzolo, Campo
Carlo Magno, Andalo, Molveno ecc...
Le
montagne
principali
delle
Dolomiti di
Brenta sono:
Cima
Tosa -
3.173
m
Cima
Brenta -
3.151
m
Crozzon
di
Brenta -
3.118
m
Cima
Ambiez -
3.102
m
Cima
Mandron -
3.033
m
Torre
di
Brenta -
3.008
m
Cima
Falkner -
2.999
m
Cima
Vallon -
2.968
m
Brenta
Alta -
2.960
m
Cima
d'Agola -
2.959
m
Campanile
Alto -
2.937
m
|
Cima
Pietra
Grande -
2.936
m
Cima
Grostè -
2.901
m
Campanile
Basso -
2.877
m
Cima
Ghez -
2.715
m
Castelletti
di
Vallesinella -
2.700
m
Sasso
Rosso -
2.645
m
Castello
dei
Camosci -
2.538
m
Piz
Galin -
2.442
m
Croz
dell'Altissimo -
2.339
m
Monte
Peller -
2.319
m
|
Fra
i laghi vi
è quello di Tovel,
un tempo
celebre per
la
colorazione
rossa delle
sue acque.
Gli
altri laghi
del Gruppo
sono
laghetti
alpini di
modeste
dimensioni:
il lago di
Valagola in
Val d'Agola,
il lago
Durigat
nelle
vicinanze
del Rifugio
Peller, il
Lago delle
Salare in
prossimità
del Passo
della Nana,
e il Lago di
Asbelz.

Pag.
2
