Le
prime
frequentazioni
degli esseri
umani nelle
Dolomiti
risalgono
all'11.500
a. C.
L'insediamento
stanziale
nelle valli
dolomitiche
è ben
documentato
dall'età
del bronzo.
Nel corso
del I
millennio
avanti
Cristo le
Dolomiti
furono
popolate dai Reti e
colonizzate
pure dai Celti,
popoli che
ebbero
rapporti
commerciali
anche con
gli Etruschi.
Successivamente
il
territorio
fu occupato
dai Romani che,
in età
imperiale,
divisero
l'area tra
le province
di Raethia e Noricum a
nord e la X
Regio
Venetia et
Histria a
sud. Il
contatto tra
le
popolazioni
retiche
indigene e
quelle
latine diede
origine ad
una nuova
cultura e
lingua: il ladino.
Nel Medioevo vi
giunsero i Longobardi.
Dall'XI
secolo si
formarono
nell'area
dolomitica
forme di
autogoverno
delle
comunità
locali
(Magnifiche
Comunità o Regole),
esercitate
per mezzo di
statuti
votati
democraticamente
(le Carte
di Regola o Statuti).
Durante
il periodo
fra i secoli
XIV e XVIII
il
territorio
dolomitico
fu diviso in
due grandi
aree
d'influenza
austroungarica
e veneta. I principati
vescovili di Trento e Bressanone facevano
parte del Sacro
Romano
Impero,
mentre il
Bellunese
(tranne il
comune di Cortina
d'Ampezzo che
fu
dell'Impero
fra il 1511 e
il 1918)
e la Carnia appartenevano
alla Repubblica
di Venezia la
quale in
Carnia si
sostituì al
dominio del
patriarcato
di Aquileia nel
XV secolo.
La Carnia fu
territorio
austriaco
fra il 1814 e
il 1866.
Il
Bellunese,
come tutto
il Veneto,
entrerà a
far parte
del Regno
d'Italia nel 1866 dopo
la terza
guerra
d'indipendenza,
tranne, come
già
accennato,
la zona di
Cortina
d'Ampezzo.
Il Trentino-Alto
Adige entrerà
a far parte
del Regno
d'Italia nel 1918 al
termine
della prima
guerra
mondiale.
Quanto
poi agli
insediamenti
umani,
nell'area
sudtirolese
tedescofona
prevale il
cosiddetto maso
chiuso,
mentre nella
zona ladina
(Badìa e
Gardena,
Trentino,
Bellunese)
prevalgono
le
cosiddette viles,
nuclei
compatti di
case
addossate le
une alle
altre. Sono
dominanti
due diversi
modelli
culturali:
sull'area
germanofona
prevale il
modello
germanico,
basato su
un'organizzazione
per nuclei
monofamiliari
con
prevalenza
dell'allevamento
sull'agricoltura
e quindi
caratterizzato
da ampie
superfici a
pascolo
generalmente
indivise;
nell'area di
cultura
romanza è
invece
diffuso il
modello
romano, con
un'organizzazione
sociale in
piccole
comunità
regolate dal diritto
romano e
dedite
prevalentemente
all'agricoltura
e alla
silvicoltura.
Già
si è
ricordato
che le
Dolomiti
sono dette,
da una
leggenda
popolare,
"Monti
Pallidi".
Numerosi
sono i cicli
di leggende
e i racconti
che trattano
di
popolazioni
remote che
abitavano
mitici
regni, dando
vita a
scontri
leggendari e
intrecciando
relazioni
con magiche
presenze
nella natura
circostante
(maghi, gnomi,
giganti, fate, streghe, orchi,
spiriti, ondine). La
versione
originale è
in lingua
ladina,
raccolte
alla fine
dell'Ottocento
da Giovanni
Battista
Alton e
successivamente
da Hugo
de Rossi.
Quasi negli
stessi anni Karl
Felix Wolff raccolse
le saghe
relative al
filone
relativo al Regno
dei Fanes,
rimaneggiò
la materia
con una
certa libertà
e le
tradusse in
tedesco. La
sua opera
ebbe una
grande
diffusione a
livello
internazionale.

Le
Dolomiti
prendono il
nome dal
naturalista
francese Déodat
de Dolomieu
(1750-1801)
che per
primo studiò
il
particolare
tipo di
roccia
predominante
nella
regione,
carbonato
doppio di
calcio e
magnesio (MgCa(CO3)2),
battezzata
in suo onore
dolomia.
La
genesi di
questo tipo
di roccia
carbonatica
inizia
attraverso
accumuli di
conchiglie,
coralli e
alghe
calcaree e
in ambiente
marino e
tropicale
(simile
all'attuale
barriera
corallina
delle
Bahamas, e
dell'Australia
orientale),
i quali
ebbero luogo
nel
Triassico,
circa 250
milioni di
anni fa, in
zone con
latitudine e
longitudine
molto
diverse
dall'attuale
locazione
delle
Dolomiti,
dove
esistevano
mari caldi e
poco
profondi.
Sul fondo di
questi mari
si
accumularono
centinaia di
metri di
sedimento
che, sotto
il loro
stesso peso
e perdendo i
fluidi
interni, si
trasformarono
in roccia.
Successivamente,
lo scontro
tra la
placca
europea e la
placca
africana
(orogenesi
alpina) fece
emergere
queste rocce
innalzandole
oltre 3000 m
sopra il
livello del
mare.
Il
paesaggio
attuale,
spigoloso e
ricco di
dislivelli,
appare come
un crogiuolo
disordinato
di rocce che
nulla ha a
che fare con
le barriere
coralline. A
determinare
tale
trasformazione
sono stati i
piegamenti e
le rotture
delle rocce
lungo piani
di
scorrimento
(faglie), ai
cui
movimenti
corrispondono
altrettanti
terremoti;
episodiche
esplosioni
vulcaniche e
relativi
depositi;
erosioni
differenziali
legate agli
agenti
atmosferici
e ai piani
di debolezza
insiti nelle
rocce.
L'innalzamento
delle rocce
dolomitiche
è
tutt’ora
in corso.
Oggi le
Dolomiti
mostrano il
biancore dei
carbonati di
scogliera
corallina,
l'acutezza
di rocce
coinvolte in
orogenesi
recenti, le
incisioni di
potenti
agenti
esogeni
(ghiacciai,
vento,
pioggia,
freddo-caldo).
Nel
futuro
geologico,
le Dolomiti
continueranno
a crescere
inglobando
nuovi
settori di
rocce
sospinte
dallo
scontro tra
le placche
europea e
africana
(analogamente
a quanto
succede per
la catena
himalayana);
la scomparsa
di questa
spinta
determinerà
il prevalere
degli agenti
esogeni
tendenti ad
appianare e
addolcire il
paesaggio
montano
(come è
successo
negli
Urali).

Fino
a 1800 m
(versanti
nord) o
2.200 m
(versanti
soleggiati)
la
vegetazione
è formata
principalmente
da boschi di conifere (abete
rosso, abete
bianco e pino
silvestre, larice),
mentre nelle
alte quote
da boschi di larice
e
cespuglietti
di mughi.
Il “pino
mugo”
legnoso,
resistente a
tutte le
bufere,
trattiene le
nevi,
protegge
dalle
valanghe, e
fornisce una
sostanza
medicamentosa
detta
“olio di
mugo”. Un
altro nome
del pino
mugo
è barancio.
Nelle
Dolomiti è
presente
anche il ginepro che
è ad
arbusteto e
costituisce
vasti
tappeti con
gli
arbusteti
del mirtillo,
dell'erica e
del rododendro alpino
i quali sono
ampiamente
diffusi. Al
di sotto dei
1200-1000
metri
troviamo
boschi di
latifoglie:
faggio,
quercia,
betulla,
nocciolo, castagno, frassino, acero
di monte, ornello.
In zone
ricche di
acqua, sul
fondovalle,
crescono il salice e
l'ontano.
Sono
presenti
anche
diversi
pascoli in
alta quota,
come ad
esempio l'alpe
di Siusi,
gli altipiani
Ampezzani e Pian
dei Buoi.
Dai
boschi di
abete rosso
di certe
zone (come
quelli della val
di Fiemme,
di Paneveggio o
attorno al lago
di Carezza)
si ricava il
legno per le
casse
armoniche
degli
strumenti
musicali: è
l'abete di
risonanza.
Il popolo
del Cadore,
fiero delle
sue peccete,
volle
rappresentare
nel suo
stemma un
abete rosso
avvinto da
due torri.
Importanti
come habitat sono
pure i
luoghi
umidi: le torbiere,
i siti
alluvionali
dei torrenti
glaciali, le
sorgenti,
gli specchi
d'acqua
libera, i
prati umidi,
le pozze
d'alpeggio,
le pozze di
risorgiva.
Tra i laghi,
particolare
è il lago
di Tovel in Trentino in
quanto, a
causa di un
microrganismo,
assumeva in
passato una
colorazione
rossastra. I
laghetti
delle
Dolomiti,
come in
genere
quelli delle Alpi,
sono oligotrofi. I
più noti e
pittoreschi
laghi
dolomitici
sono: il lago
di Tovel,
il lago
di Molveno,
il lago
di Carezza,
il lago
di Braies,
il lago
di Dobbiaco,
il lago
di Landro,
il lago
di Misurina,
il lago
d'Antorno,
il lago
di Auronzo,
il lago
di Alleghe.
Innumerevoli
sono i tipi
di fiori che
costituiscono
la flora
alpina
dolomitica,
come ad
esempio: la stella
alpina alle
alte quote
(originaria
dell'Asia centrale),
alcuni tipi
di genziana,
alcuni tipi
di
sassifraghe,
il giglio
martagone,
la campanula,
l'azalea alpina
del genere
rhododendron,
l'ambretta
strisciante
su macereti
e morene,
vari tipi di Ranuncolacee,
la vitalba
alpina, la daphne striata,
vari tipi di orchidea,
la viola,
il ciclamino delle
Alpi, l'astro
alpino,
il garofano dei
ghiacciai,
l'anemone alpino,
il senecio,
la soldanella,
la veronica
gialla delle
rocce, la nigritella,
l'arnica,
il narciso,
il cardo,
il papavero
alpino
retico, il
geranio
sanguineo,
la
pinocchiella
delle rupi,
il brugo,
la valeriana
nana, l'aquilegia azzurra,
la peonia selvatica,
il dente
di cane,
la primula minima,
il raponzolo
di roccia,
l'androsace
alpina e
l'androsace
di Hausmann,
il giacinto di
montagna.
Nelle
Dolomiti
vivono
numerose
specie di
mammiferi e
roditori: il capriolo,
il cervo,
il camoscio,
lo stambecco,
il cinghiale,
la marmotta,
la martora,
lo scoiattolo,
il tasso,
la donnola,
la faina,
la puzzola,
la talpa,
la volpe,
la lepre,
il ghiro,
il riccio.
Molto rara
è la lontra,
ritornata in
questi
ultimi anni
(Alto Adige
e Carnia).
In alcune
zone vivono
l'orso
bruno,
la lince e
il lupo.
Negli ultimi
anni in
alcune zone
(tra Friuli
e Trentino-Alto
Adige)
è stata
accertata la
presenza
dello sciacallo
dorato proveniente
dalla penisola
balcanica.
Tra
gli uccelli
si
ricordano:
l'aquila
reale,
il falco
pellegrino,
l'astore,
la poiana,
il gheppio,
il gipeto,
il corvo,
il gallo
forcello,
la civetta,
il barbagianni,
l'urogallo,
il picchio,
l'upupa,
lo sparviere,
il fagiano
di monte,
il francolino
di monte,
il gufo,
la pernice
bianca,
il merlo e
il merlo
acquaiolo,
il gracchio
alpino,
la ghiandaia,
l'allocco,
la coturnice,
il tordo,
il pettirosso.
Tra
gli anfibi
vivono la rana
alpina,
il rospo,
la lucertola,
il ramarro,
il tritone
alpestre,
la salamandra,
la
salamandra
alpina,
l'ululone. Tra
i rettili
velenosi vi
sono la vipera e
il marasso.
Sono
presenti
pure la biscia
dal collare,
il biacco,
la coronella
austriaca,
il saettone,
l'orbettino.
I
pesci
autoctoni
sono
rappresentati
a fondo
valle dalla trota
marmorata,
dallo scazzone e
dal temolo.
Oltre gli
800-1000 m.
s.l.m. è
presente
quasi
esclusivamente
la trota
fario che
nelle zone
di
transizione
degli areali
dà luogo a
popolazioni
ibride
Fario-Marmorata.
Seppur
rarissimo,
nei
fondovalle a
quote meno
elevate ed
occasionalmente
fino a
1000-1400 m.s.l.m.,
è presente
il gambero
di fiume.

Sui
sentieri di
Messner
C'era
una volta,
nell'ultimo
villaggio di
una remota
valle
alpina, un
bambino.
Aveva otto
fratelli, il
papà era il
maestro del
villaggio,
la mamma
allevava
galline per
le uova e
conigli per
la lana
d'angora.
Dopo la
scuola,
doveva
lavorare
nella
piccola
azienda
familiare,
mentre le
vacanze
estive le
trascorreva
all'alpeggio,
tra lo
scampanio
delle mucche
al pascolo,
sotto un
circo di
pareti
selvagge. Il
papà era
anche un
appassionato
alpinista e
conosceva
ogni vetta,
gola e
pietraia
della sua
valle;
quando il
bambino ebbe
cinque anni,
gli fece un
regalo: lo
legò
alla sua
corda e lo
portò sulla
cima più
alta. Da
lassù si
vedevano
tutte le
montagne
della
regione,
valli e
catene che
si
inseguivano
fino
all'orizzonte,
e il piccolo
capì che in
quell'orizzonte
era il suo
destino. Il
bambino si
chiamava
Reinhold
Messner, era
nato nel
1944 a Santa
Maddalena,
in fondo
alla val di
Funes, e
sarebbe
diventato il
miglior
alpinista
del mondo. E
dopo aver
scalato
tutti gli
Ottomila
della Terra,
traversato a
piedi il
Polo Nord e
la
Groenlandia,
conquistato
le cime più
impervie di
ogni
continente,
Reinhold
continuò a
pensare che
il posto più
bello del
mondo fosse
l'alpeggio
della sua
infanzia.
Questo
alpeggio si
chiama
Gschnagenhardtalm,
in italiano
malga
Casnago, il
circo di
pareti
selvagge è
formato
dalle Odle
(che in
lingua
ladina
significa
"aghi"
e definisce
bene la loro
spettacolare
geologia) e
la cima più
alta
conquistata
dal piccolo
Reinhold è
il Sass
Rigais,
un'imponente
piramide
dolomitica
di 3.025
metri,
frequentata
dagli
escursionisti
lungo la
ferrata
della via
normale,
attrezzata
solo
di
recente. Se
si esclude
qualche
nuovo
rifugio, la
valle che si
insinua nel
cuore di
queste
montagne non
è
mutata nel
corso degli
ultimi
decenni: i
masi
disegnano un
antico
paesaggio,
fatto di
boschi di
conifere e
pascoli
fioriti, e
nessun
impianto di
risalita
deturpa i
pendii. La
val di Funes
è rimasta
un paradiso
pastorale,
una sorta di
museo
naturalistico
ed
etnologico;
dal 1977, le
sue montagne
sono
tutelate nel
Parco
naturale
Puez-Odle e
nel 2009
sono state
inserite tra
i gruppi
dolomitici
protetti
dall'Unesco.
Chi le
attraversa a
piedi ha
dunque il
privilegio
di camminare
in un
Patrimonio
dell'Umanità.
Fin
dall'imbocco
della valle
ci si
accorge di
essere sulla
soglia di un
mondo
magico:
Bolzano,
Bressanone,
la val
Gardena con
le loro
boutique, i
grandi
alberghi e
gli impianti
di risalita
sono a breve
distanza, ma
nel
territorio
di Funes gli
echi della
modernità
si smorzano
e solo chi
è in cerca
della vera
natura può
apprezzarne
la bellezza.
Lungo i suoi
24
chilometri,
la valle
offre la
visione di
piccoli
villaggi,
come Tiso e
San Pietro,
e chiesette
romaniche
che dominano
da poggi
erbosi, come
quelle di
San
Valentino o
San Giacomo.
Ma è giunti
a Santa
Maddalena,
l'ultima
frazione,
che il
paesaggio
esplode
nella sua
imponenza:
il gruppo
delle Odle,
con la
Grande e
Piccola
Fermeda, il
Sass Rigais,
la Furchetta
sono aghi,
torri,
piramidi,
campanili di
rocce
pallide che
s'innalzano
da pietraie
ripide, con
gole e
fessure che
conservano
tracce di
neve fino a
estate
inoltrata.
Sull'altro
versante,
verso nord,
si alza il
secondo
gruppo meno
alto ma non
meno
interessante
delle Odle
di Eores,
con le
creste
tormentate
dominate dal
Sass de
Putia. È
il regno di
cembri
centenari,
di
rododendri
fioriti,
camosci e
aquile
reali,
richiami cui
nessun
appassionato
di montagna
riesce a
sottrarsi.
Un'escursione
ad anello di
tre giorni
permette di
scoprire
entrambi i
gruppi delle
Odle. Da
Santa
Maddalena si
prosegue
sulla strada
di
fondovalle,
seguendo il
rio di Funes
e passando
di fianco
alla
chiesetta
barocca di
San Giovanni
in Ranui,
persa nei
prati con il
suo
romantico
campanile a
cipolla.
L'asfalto
termina alla
malga
Zannes, a
1.685 metri,
dove si
lascia
l'auto. Da
qui una
strada
forestale
risale con
qualche
tornante il
versante
meridionale
della valle
fino
all'alpe di
Casnago dove
sorgono
l'omonima
malga e la
nuova malga
Geisler che
offre una
sosta
gastronomica
di qualità.
Siamo a
2.000 metri
di quota, il
sentiero
Adolf
Muknkel
dedicato al
fondatore
del Club
Alpino
Tedesco,
abbandona il
mondo
verdeggiante
dei pascoli
per
inoltrarsi
nel mondo
minerale
delle
Dolomiti.
Pietraie e
passaggi
ripidi
conducono
alla
forcella
Pana, a 2590
metri, che
segna il
limite
occidentale
delle Odle,
da qui si
scende al
rifugio
Troier, una
baita antica
di 150 anni
alle pendici
del Seceda
dove si può
pernottare.
Dal
Troier si
intraprende
una lunga
traversata
in un
paesaggio di
grande
suggestione,
dominato
dalle pareti
del versante
meridionale
delle Odle,
correndo in
saliscendi
attorno alla
quota di
2.200 metri,
fino a
un'impennata
del sentiero
che risale
di 400 metri
alla
forcella
Mont da
l'Ega.
Tagliata la
cresta di
Longiarù,
la vista si
apre sul
versante
della val
Badia; una
ripida
discesa
porta al
sentiero
dell'Alta
Via delle
Dolomiti che
percorre
leggermente
in discesa
il versante
est del Sass
da l'Ega e
risale al
passo Poma e
al vicino
rifugio
Genova. Per
la
straordinaria
posizione
panoramica e
l'ottima
ospitalità,
questo
rifugio
rappresenta
una vera
oasi al
termine di
una lunga
giornata di
cammino.
L'ultimo
giorno è
il più
impegnativo:
si percorre
il sentiero
Günther
Messner
(dedicato al
fratello di
Reinhold
scomparso
sul Nanga
Parbat) che
segue le
creste delle
Odle di
Eores con
alcuni
passaggi
attrezzati a
oltre 2.600
metri. Scesi
dalla cresta
all'altezza
del monte
Tullen, si
attraversa
il versante
sud della
Lavina
Bianca e si
ridiscende
per praterie
e boschi
alla malga
Zannes. Al
termine di
questa
immersione
nella
natura,
rimarranno
impressi nei
sensi i
profumi del
bosco, i
fischi delle
marmotte, il
soffio del
vento nei
canaloni, i
voli dei
gracchi e i
colori delle
Odle. E sarà
impossibile,
come lo è
stato per
Reinhold,
sottrarsi
alla
nostalgia
per il luogo
più bello
del mondo.
Gran
Canyon in
Alto Adige
Dall'oscura
profondità,
il cielo
appare una
sottile
striscia
azzurra.
Persi nei
meandri
della gola
del rio
delle
Foglie,
stretta fra
pareti di
roccia
inaccessibili,
si è
lontani da
tutto. In
questo
canyon, che
incide
foreste e
prati fra
Aldino e
Redagno, non
si scorgono
le montagne
più belle
del mondo,
le Dolomiti.
Se ne sente
però
l'anima
perché se
ne può
leggere la
genesi e
l'evoluzione
geologica
come in un
ideale libro
aperto sulle
loro
vicende.
La
forra del
Bletterbach
(in italiano
Rio delle
Foglie)
nasce dal
Corno
Bianco, un
candido
sperone
piramidale
di 2.317
metri che
emerge dalle
ombre nere
dei boschi.
Non è una
delle cime
dolomitiche
più belle,
ma è la più
significativa
da un punto
di vista
scientifico
poiché
costituisce
la prima
emersione di
dolomia del
Seria, se sì
esclude il
Gruppo di
Brenta.
Il
capriccioso
rio è stato
capace di
eroderne il
fianco e di
muovere in
15.000 anni
circa 10
miliardi di
tonnellate
di detriti,
creando una
forra lunga
8 chilometri
e profonda
anche 400
metri, e
mettendo a
nudo le
pagine
geologiche,
ovvero i
vari strati
che
compongono
le viscere
delle
Dolomiti,
dai
cosiddetti
strati di
Werfen,
passando per
le gialle
arenarie
della val
Gardena e il
porfido
quarzifero
rosso-grigio
della
piattaforma
di Bolzano.
Si è
calcolato
che se tutti
i corsi
d'acqua
della terra
avessero
avuto la
capacità
erosiva del
rio delle
foglie, in
25 milioni
di anni i
continenti
si sarebbero
appiattiti
completamente.
Il
canyon è
stato
inserito nel
2009 nella
lista dei
siti
dolomitici
tutelati
dall'Unesco,
e da alcuni
anni questa
meraviglia
geologica,
rimasta in
passato ai
margini dei
flussi
turistici,
è fruibile
nell'ambito del
Geoparco
Bletterbach,
formato da
un moderno
Centro
visitatori
vicino ad
Aldino e da
un percorso
del tutto
sicuro che
si snoda
all'interno
della gola.

L'itinerario
è
illustrato
da 16 tavole
esplicative,
corrispondenti
ad
altrettanti
punti di
interesse
geologico.
Dal versante
di Aldino si
parte dal
parcheggio
del Centro
visitatori,
sotto la
malga
Lahner, e si
segue il
sentiero n.
3, mentre da
Redagno si
inizia dal
locale Museo
Geologico. I
percorsi
possibili,
con ritorno
nello stesso
punto, sono
tre, di
lunghezza
crescente
(da un'ora e
mezzo e 200
metri di
dislivello
sino a 5-6
ore con 250
metri di
dislivello).
Le
prime
tavole, in
particolare,
sono fissate
in
corrispondenza
delle
stratificazioni
di porfido
che lasciano
presto
spazio alle
arenarie e
alle
stratificazioni
via via
superiori in
cui sono
state ritrovate
tracce
fossili di
sauri.
Seguendo il
percorso, si
penetra nel
cuore della
gola, presso
il
Taubenleck,
un'antica
miniera, e
si prosegue
in un
crescendo di
paesaggi e
colori
emozionanti.
Si
cammina
quasi sempre
nel letto
del
torrente,
tra ammassi
detritici, e
il mondo
"di
sopra"
sembra
scomparire
del tutto
alla vista.
Le tabelle
spiegano
perfettamente
i
rinvenimenti
fossili e
illustrano
le tracce
ben
conservate
di piante, i
resti di
pasti
animali, le
buche
realizzate
dagli
organismi
scavatori e
i sedimenti
che
rievocano la
genesi
marina delle
Dolomiti.
Alla
tabella 10
si torna
indietro,
risalendo
dalla
cascata del
Butterloch
per una
scala di
ferro. Chi
vuole può
però
continuare
sul letto
del rio,
raggiungendo
i punti
illustrati
dalle
tabelle
11-15. Il
tracciato,
tuttavia, si
fa più
impervio e
l'ambiente
severo; la
cima del
Corno Bianco
incombe. E
ci si arriva
proprio sotto.
Un pannello
ne spiega la
formazione;
qui si
notano gli
strati del
Werfen e,
sotto, le
formazioni a
Bellerophon,
ad alto
contenuto
gessoso:
costituitesi
al confine
cronologico
tra Permiano
e Triassico,
queste
ultime
segnano il
passaggio
dall'antichità
al
"medioevo"
geologico,
tra 280 e
235 milioni
di anni fa,
e
manifestano
un'intensa
vita marina.
Al
ritorno, s'imbocca
il sentiero
Gorzsteig e
si torna
infine alla
luce: a poco
a poco il
paesaggio si
apre e fra
boschi che
sembrano non
avere mai
fine, prati
di velluto,
pendii
ripidi e
improvvise
radure, di
tanto in
tanto
svettano il
Latemar e il
Catinaccio.
L'idillica
serenità
dei masi
ridenti e
delle malghe
e i tratti
nitidi di un
ambiente
selvaggio,
ma
intensamente
vissuto, ci
raccontano
chiaramente
di una terra
che è Alto
Adige nelle
sue radici
profonde,
sebbene si
incunei nel
Trentino
come
un'ultima,
estrema
propaggine.

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