Dolomiti
Italia
 
PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 2009

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Le prime frequentazioni degli esseri umani nelle Dolomiti risalgono all'11.500 a. C. L'insediamento stanziale nelle valli dolomitiche è ben documentato dall'età del bronzo. Nel corso del I millennio avanti Cristo le Dolomiti furono popolate dai Reti e colonizzate pure dai Celti, popoli che ebbero rapporti commerciali anche con gli Etruschi. Successivamente il territorio fu occupato dai Romani che, in età imperiale, divisero l'area tra le province di Raethia e Noricum a nord e la X Regio Venetia et Histria a sud. Il contatto tra le popolazioni retiche indigene e quelle latine diede origine ad una nuova cultura e lingua: il ladino. Nel Medioevo vi giunsero i Longobardi. Dall'XI secolo si formarono nell'area dolomitica forme di autogoverno delle comunità locali (Magnifiche Comunità o Regole), esercitate per mezzo di statuti votati democraticamente (le Carte di Regola o Statuti).

Durante il periodo fra i secoli XIV e XVIII il territorio dolomitico fu diviso in due grandi aree d'influenza austroungarica e veneta. I principati vescovili di Trento e Bressanone facevano parte del Sacro Romano Impero, mentre il Bellunese (tranne il comune di Cortina d'Ampezzo che fu dell'Impero fra il 1511 e il 1918) e la Carnia appartenevano alla Repubblica di Venezia la quale in Carnia si sostituì al dominio del patriarcato di Aquileia nel XV secolo. La Carnia fu territorio austriaco fra il 1814 e il 1866. Il Bellunese, come tutto il Veneto, entrerà a far parte del Regno d'Italia nel 1866 dopo la terza guerra d'indipendenza, tranne, come già accennato, la zona di Cortina d'Ampezzo. Il Trentino-Alto Adige entrerà a far parte del Regno d'Italia nel 1918 al termine della prima guerra mondiale.

Quanto poi agli insediamenti umani, nell'area sudtirolese tedescofona prevale il cosiddetto maso chiuso, mentre nella zona ladina (Badìa e Gardena, Trentino, Bellunese) prevalgono le cosiddette viles, nuclei compatti di case addossate le une alle altre. Sono dominanti due diversi modelli culturali: sull'area germanofona prevale il modello germanico, basato su un'organizzazione per nuclei monofamiliari con prevalenza dell'allevamento sull'agricoltura e quindi caratterizzato da ampie superfici a pascolo generalmente indivise; nell'area di cultura romanza è invece diffuso il modello romano, con un'organizzazione sociale in piccole comunità regolate dal diritto romano e dedite prevalentemente all'agricoltura e alla silvicoltura.

Già si è ricordato che le Dolomiti sono dette, da una leggenda popolare, "Monti Pallidi". Numerosi sono i cicli di leggende e i racconti che trattano di popolazioni remote che abitavano mitici regni, dando vita a scontri leggendari e intrecciando relazioni con magiche presenze nella natura circostante (maghi, gnomi, giganti, fatestregheorchi, spiriti, ondine). La versione originale è in lingua ladina, raccolte alla fine dell'Ottocento da Giovanni Battista Alton e successivamente da Hugo de Rossi. Quasi negli stessi anni Karl Felix Wolff raccolse le saghe relative al filone relativo al Regno dei Fanes, rimaneggiò la materia con una certa libertà e le tradusse in tedesco. La sua opera ebbe una grande diffusione a livello internazionale.  

Le Dolomiti prendono il nome dal naturalista francese Déodat de Dolomieu (1750-1801) che per primo studiò il particolare tipo di roccia predominante nella regione, carbonato doppio di calcio e magnesio (MgCa(CO3)2), battezzata in suo onore dolomia.

La genesi di questo tipo di roccia carbonatica inizia attraverso accumuli di conchiglie, coralli e alghe calcaree e in ambiente marino e tropicale (simile all'attuale barriera corallina delle Bahamas, e dell'Australia orientale), i quali ebbero luogo nel Triassico, circa 250 milioni di anni fa, in zone con latitudine e longitudine molto diverse dall'attuale locazione delle Dolomiti, dove esistevano mari caldi e poco profondi. Sul fondo di questi mari si accumularono centinaia di metri di sedimento che, sotto il loro stesso peso e perdendo i fluidi interni, si trasformarono in roccia. Successivamente, lo scontro tra la placca europea e la placca africana (orogenesi alpina) fece emergere queste rocce innalzandole oltre 3000 m sopra il livello del mare.

Il paesaggio attuale, spigoloso e ricco di dislivelli, appare come un crogiuolo disordinato di rocce che nulla ha a che fare con le barriere coralline. A determinare tale trasformazione sono stati i piegamenti e le rotture delle rocce lungo piani di scorrimento (faglie), ai cui movimenti corrispondono altrettanti terremoti; episodiche esplosioni vulcaniche e relativi depositi; erosioni differenziali legate agli agenti atmosferici e ai piani di debolezza insiti nelle rocce.

L'innalzamento delle rocce dolomitiche è tutt’ora in corso. Oggi le Dolomiti mostrano il biancore dei carbonati di scogliera corallina, l'acutezza di rocce coinvolte in orogenesi recenti, le incisioni di potenti agenti esogeni (ghiacciai, vento, pioggia, freddo-caldo).

Nel futuro geologico, le Dolomiti continueranno a crescere inglobando nuovi settori di rocce sospinte dallo scontro tra le placche europea e africana (analogamente a quanto succede per la catena himalayana); la scomparsa di questa spinta determinerà il prevalere degli agenti esogeni tendenti ad appianare e addolcire il paesaggio montano (come è successo negli Urali).  

Fino a 1800 m (versanti nord) o 2.200 m (versanti soleggiati) la vegetazione è formata principalmente da boschi di conifere (abete rosso, abete bianco e pino silvestrelarice), mentre nelle alte quote da boschi di larice e cespuglietti di mughi. Il “pino mugo” legnoso, resistente a tutte le bufere, trattiene le nevi, protegge dalle valanghe, e fornisce una sostanza medicamentosa detta “olio di mugo”. Un altro nome del pino mugo è barancio. Nelle Dolomiti è presente anche il ginepro che è ad arbusteto e costituisce vasti tappeti con gli arbusteti del mirtillo, dell'erica e del rododendro alpino i quali sono ampiamente diffusi. Al di sotto dei 1200-1000 metri troviamo boschi di latifoglie: faggio, quercia, betulla, nocciolo, castagnofrassinoacero di monteornello. In zone ricche di acqua, sul fondovalle, crescono il salice e l'ontano.

Sono presenti anche diversi pascoli in alta quota, come ad esempio l'alpe di Siusi, gli altipiani Ampezzani e Pian dei Buoi.

Dai boschi di abete rosso di certe zone (come quelli della val di Fiemme, di Paneveggio o attorno al lago di Carezza) si ricava il legno per le casse armoniche degli strumenti musicali: è l'abete di risonanza. Il popolo del Cadore, fiero delle sue peccete, volle rappresentare nel suo stemma un abete rosso avvinto da due torri.

Importanti come habitat sono pure i luoghi umidi: le torbiere, i siti alluvionali dei torrenti glaciali, le sorgenti, gli specchi d'acqua libera, i prati umidi, le pozze d'alpeggio, le pozze di risorgiva. Tra i laghi, particolare è il lago di Tovel in Trentino in quanto, a causa di un microrganismo, assumeva in passato una colorazione rossastra. I laghetti delle Dolomiti, come in genere quelli delle Alpi, sono oligotrofi. I più noti e pittoreschi laghi dolomitici sono: il lago di Tovel, il lago di Molveno, il lago di Carezza, il lago di Braies, il lago di Dobbiaco, il lago di Landro, il lago di Misurina, il lago d'Antorno, il lago di Auronzo, il lago di Alleghe.

Innumerevoli sono i tipi di fiori che costituiscono la flora alpina dolomitica, come ad esempio: la stella alpina alle alte quote (originaria dell'Asia centrale), alcuni tipi di genziana, alcuni tipi di sassifraghe, il giglio martagone, la campanula, l'azalea alpina del genere rhododendron, l'ambretta strisciante su macereti e morene, vari tipi di Ranuncolacee, la vitalba alpina, la daphne striata, vari tipi di orchidea, la viola, il ciclamino delle Alpi, l'astro alpino, il garofano dei ghiacciai, l'anemone alpino, il senecio, la soldanella, la veronica gialla delle rocce, la nigritella, l'arnica, il narciso, il cardo, il papavero alpino retico, il geranio sanguineo, la pinocchiella delle rupi, il brugo, la valeriana nana, l'aquilegia azzurra, la peonia selvatica, il dente di cane, la primula minima, il raponzolo di roccia, l'androsace alpina e l'androsace di Hausmann, il giacinto di montagna.  

Nelle Dolomiti vivono numerose specie di mammiferi e roditori: il capriolo, il cervo, il camoscio, lo stambecco, il cinghiale, la marmotta, la martora, lo scoiattolo, il tasso, la donnola, la faina, la puzzola, la talpa, la volpe, la lepre, il ghiro, il riccio. Molto rara è la lontra, ritornata in questi ultimi anni (Alto Adige e Carnia). In alcune zone vivono l'orso bruno, la lince e il lupo. Negli ultimi anni in alcune zone (tra Friuli e Trentino-Alto Adige) è stata accertata la presenza dello sciacallo dorato proveniente dalla penisola balcanica.

Tra gli uccelli si ricordano: l'aquila reale, il falco pellegrino, l'astore, la poiana, il gheppio, il gipeto, il corvo, il gallo forcello, la civetta, il barbagianni, l'urogallo, il picchio, l'upupa, lo sparviere, il fagiano di monte, il francolino di monte, il gufo, la pernice bianca, il merlo e il merlo acquaiolo, il gracchio alpino, la ghiandaia, l'allocco, la coturnice, il tordo, il pettirosso.

Tra gli anfibi vivono la rana alpina, il rospo, la lucertola, il ramarro, il tritone alpestre, la salamandra, la salamandra alpina, l'ululone. Tra i rettili velenosi vi sono la vipera e il marasso. Sono presenti pure la biscia dal collare, il biacco, la coronella austriaca, il saettone, l'orbettino.

I pesci autoctoni sono rappresentati a fondo valle dalla trota marmorata, dallo scazzone e dal temolo. Oltre gli 800-1000 m. s.l.m. è presente quasi esclusivamente la trota fario che nelle zone di transizione degli areali dà luogo a popolazioni ibride Fario-Marmorata.

Seppur rarissimo, nei fondovalle a quote meno elevate ed occasionalmente fino a 1000-1400 m.s.l.m., è presente il gambero di fiume.  

Sui sentieri di Messner

C'era una volta, nell'ultimo villaggio di una remota valle alpina, un bambino. Aveva otto fratelli, il papà era il maestro del villaggio, la mamma allevava galline per le uova e conigli per la lana d'angora. Dopo la scuola, doveva lavorare nella piccola azienda familiare, mentre le vacanze estive le trascorreva all'alpeggio, tra lo scampanio delle mucche al pascolo, sotto un circo di pareti selvagge. Il papà era anche un appassionato alpinista e conosceva ogni vetta, gola e pietraia della sua valle; quando il bambino ebbe cinque anni, gli fece un regalo: lo legò alla sua corda e lo portò sulla cima più alta. Da lassù si vedevano tutte le montagne della regione, valli e catene che si inseguivano fino all'orizzonte, e il piccolo capì che in quell'orizzonte era il suo destino. Il bambino si chiamava Reinhold Messner, era nato nel 1944 a Santa Maddalena, in fondo alla val di Funes, e sarebbe diventato il miglior alpinista del mondo. E dopo aver scalato tutti gli Ottomila della Terra, traversato a piedi il Polo Nord e la Groenlandia, conquistato le cime più impervie di ogni continente, Reinhold continuò a pensare che il posto più bello del mondo fosse l'alpeggio della sua infanzia. 

Questo alpeggio si chiama Gschnagenhardtalm, in italiano malga Casnago, il circo di pareti selvagge è formato dalle Odle (che in lingua ladina significa "aghi" e definisce bene la loro spettacolare geologia) e la cima più alta conquistata dal piccolo Reinhold è il Sass Rigais, un'imponente piramide dolomitica di 3.025 metri, frequentata dagli escursionisti lungo la ferrata della via normale, attrezzata solo di recente. Se si esclude qualche nuovo rifugio, la valle che si insinua nel cuore di queste montagne non è mutata nel corso degli ultimi decenni: i masi disegnano un antico paesaggio, fatto di boschi di conifere e pascoli fioriti, e nessun impianto di risalita deturpa i pendii. La val di Funes è rimasta un paradiso pastorale, una sorta di museo naturalistico ed etnologico; dal 1977, le sue montagne sono tutelate nel Parco naturale Puez-Odle e nel 2009 sono state inserite tra i gruppi dolomitici protetti dall'Unesco. Chi le attraversa a piedi ha dunque il privilegio di camminare in un Patrimonio dell'Umanità. 

Fin dall'imbocco della valle ci si accorge di essere sulla soglia di un mondo magico: Bolzano, Bressanone, la val Gardena con le loro boutique, i grandi alberghi e gli impianti di risalita sono a breve distanza, ma nel territorio di Funes gli echi della modernità si smorzano e solo chi è in cerca della vera natura può apprezzarne la bellezza. Lungo i suoi 24 chilometri, la valle offre la visione di piccoli villaggi, come Tiso e San Pietro, e chiesette romaniche che dominano da poggi erbosi, come quelle di San Valentino o San Giacomo. Ma è giunti a Santa Maddalena, l'ultima frazione, che il paesaggio esplode nella sua imponenza: il gruppo delle Odle, con la Grande e Piccola Fermeda, il Sass Rigais, la Furchetta sono aghi, torri, piramidi, campanili di rocce pallide che s'innalzano da pietraie ripide, con gole e fessure che conservano tracce di neve fino a estate inoltrata. Sull'altro versante, verso nord, si alza il secondo gruppo meno alto ma non meno interessante delle Odle di Eores, con le creste tormentate dominate dal Sass de Putia. È il regno di cembri centenari, di rododendri fioriti, camosci e aquile reali, richiami cui nessun appassionato di montagna riesce a sottrarsi.  

Un'escursione ad anello di tre giorni permette di scoprire entrambi i gruppi delle Odle. Da Santa Maddalena si prosegue sulla strada di fondovalle, seguendo il rio di Funes e passando di fianco alla chiesetta barocca di San Giovanni in Ranui, persa nei prati con il suo romantico campanile a cipolla. L'asfalto termina alla malga Zannes, a 1.685 metri, dove si lascia l'auto. Da qui una strada forestale risale con qualche tornante il versante meridionale della valle fino all'alpe di Casnago dove sorgono l'omonima malga e la nuova malga Geisler che offre una sosta gastronomica di qualità. Siamo a 2.000 metri di quota, il sentiero Adolf Muknkel dedicato al fondatore del Club Alpino Tedesco, abbandona il mondo verdeggiante dei pascoli per inoltrarsi nel mondo minerale delle Dolomiti. Pietraie e passaggi ripidi conducono alla forcella Pana, a 2590 metri, che segna il limite occidentale delle Odle, da qui si scende al rifugio Troier, una baita antica di 150 anni alle pendici del Seceda dove si può pernottare.

Dal Troier si intraprende una lunga traversata in un paesaggio di grande suggestione, dominato dalle pareti del versante meridionale delle Odle, correndo in saliscendi attorno alla quota di 2.200 metri, fino a un'impennata del sentiero che risale di 400 metri alla forcella Mont da l'Ega. Tagliata la cresta di Longiarù, la vista si apre sul versante della val Badia; una ripida discesa porta al sentiero dell'Alta Via delle Dolomiti che percorre leggermente in discesa il versante est del Sass da l'Ega e risale al passo Poma e al vicino rifugio Genova. Per la straordinaria posizione panoramica e l'ottima ospitalità, questo rifugio rappresenta una vera oasi al termine di una lunga giornata di cammino.

L'ultimo giorno è il più impegnativo: si percorre il sentiero Günther Messner (dedicato al fratello di Reinhold scomparso sul Nanga Parbat) che segue le creste delle Odle di Eores con alcuni passaggi attrezzati a oltre 2.600 metri. Scesi dalla cresta all'altezza del monte Tullen, si attraversa il versante sud della Lavina Bianca e si ridiscende per praterie e boschi alla malga Zannes. Al termine di questa immersione nella natura, rimarranno impressi nei sensi i profumi del bosco, i fischi delle marmotte, il soffio del vento nei canaloni, i voli dei gracchi e i colori delle Odle. E sarà impossibile, come lo è stato per Reinhold, sottrarsi alla nostalgia per il luogo più bello del mondo.

Gran Canyon in Alto Adige

Dall'oscura profondità, il cielo appare una sottile striscia azzurra. Persi nei meandri della gola del rio delle Foglie, stretta fra pareti di roccia inaccessibili, si è lontani da tutto. In questo canyon, che incide foreste e prati fra Aldino e Redagno, non si scorgono le montagne più belle del mondo, le Dolomiti. Se ne sente però l'anima perché se ne può leggere la genesi e l'evoluzione geologica come in un ideale libro aperto sulle loro vicende. 

La forra del Bletterbach (in italiano Rio delle Foglie) nasce dal Corno Bianco, un candido sperone piramidale di 2.317 metri che emerge dalle ombre nere dei boschi. Non è una delle cime dolomitiche più belle, ma è la più significativa da un punto di vista scientifico poiché costituisce la prima emersione di dolomia del Seria, se sì esclude il Gruppo di Brenta. 

Il capriccioso rio è stato capace di eroderne il fianco e di muovere in 15.000 anni circa 10 miliardi di tonnellate di detriti, creando una forra lunga 8 chilometri e profonda anche 400 metri, e mettendo a nudo le pagine geologiche, ovvero i vari strati che compongono le viscere delle Dolomiti, dai cosiddetti strati di Werfen, passando per le gialle arenarie della val Gardena e il porfido quarzifero rosso-grigio della piattaforma di Bolzano. Si è calcolato che se tutti i corsi d'acqua della terra avessero avuto la capacità erosiva del rio delle foglie, in 25 milioni di anni i continenti si sarebbero appiattiti completamente.

Il canyon è stato inserito nel 2009 nella lista dei siti dolomitici tutelati dall'Unesco, e da alcuni anni questa meraviglia geologica, rimasta in passato ai margini dei flussi turistici, è fruibile nell'ambito del Geoparco Bletterbach, formato da un moderno Centro visitatori vicino ad Aldino e da un percorso del tutto sicuro che si snoda all'interno della gola. 

L'itinerario è illustrato da 16 tavole esplicative, corrispondenti ad altrettanti punti di interesse geologico. Dal versante di Aldino si parte dal parcheggio del Centro visitatori, sotto la malga Lahner, e si segue il sentiero n. 3, mentre da Redagno si inizia dal locale Museo Geologico. I percorsi possibili, con ritorno nello stesso punto, sono tre, di lunghezza crescente (da un'ora e mezzo e 200 metri di dislivello sino a 5-6 ore con 250 metri di dislivello). 

Le prime tavole, in particolare, sono fissate in corrispondenza delle stratificazioni di porfido che lasciano presto spazio alle arenarie e alle stratificazioni via via superiori in cui sono state ritrovate tracce fossili di sauri. Seguendo il percorso, si penetra nel cuore della gola, presso il Taubenleck, un'antica miniera, e si prosegue in un crescendo di paesaggi e colori emozionanti. 

Si cammina quasi sempre nel letto del torrente, tra ammassi detritici, e il mondo "di sopra" sembra scomparire del tutto alla vista. Le tabelle spiegano perfettamente i rinvenimenti fossili e illustrano le tracce ben conservate di piante, i resti di pasti animali, le buche realizzate dagli organismi scavatori e i sedimenti che rievocano la genesi marina delle Dolomiti.

Alla tabella 10 si torna indietro, risalendo dalla cascata del Butterloch per una scala di ferro. Chi vuole può però continuare sul letto del rio, raggiungendo i punti illustrati dalle tabelle 11-15. Il tracciato, tuttavia, si fa più impervio e l'ambiente severo; la cima del Corno Bianco incombe. E ci si arriva proprio sotto. Un pannello ne spiega la formazione; qui si notano gli strati del Werfen e, sotto, le formazioni a Bellerophon, ad alto contenuto gessoso: costituitesi al confine cronologico tra Permiano e Triassico, queste ultime segnano il passaggio dall'antichità al "medioevo" geologico, tra 280 e 235 milioni di anni fa, e manifestano un'intensa vita marina. 

Al ritorno, s'imbocca il sentiero Gorzsteig e si torna infine alla luce: a poco a poco il paesaggio si apre e fra boschi che sembrano non avere mai fine, prati di velluto, pendii ripidi e improvvise radure, di tanto in tanto svettano il Latemar e il Catinaccio. L'idillica serenità dei masi ridenti e delle malghe e i tratti nitidi di un ambiente selvaggio, ma intensamente vissuto, ci raccontano chiaramente di una terra che è Alto Adige nelle sue radici profonde, sebbene si incunei nel Trentino come un'ultima, estrema propaggine.

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