Successive
effusioni
magmatiche
unirono
tra
di
loro
i
pendii
dei
vulcani,
dando
luogo
al
nucleo
orografico
più
compatto
di
tutta
l'Africa.
Infine,
le
cime
dei
coni
sprofondarono
nel
fondo
dei
crateri
che,
ormai
con
modesta
attività,
si
colmarono
di
detriti
perdendo
la
loro
profondità.
Il
processo
appena
descritto
diede
origine
a
un'area
nota
a
qualsiasi
amante
della
natura
come
"l'ottava
meraviglia
del
mondo":
la
Riserva
naturale
di
Ngorongoro.
Situato
ad
appena
tre
gradi
sotto
l'Equatore,
questo
territorio
rappresenta
un
legame
tra
la
fossa
del
Rift
e
le
pianure
del
Serengeti,
che
si
prolungano
fino
ai
bordi
orientali
del
Lago
Vittoria.
Il
Serengeti
e
il
Ngorongoro
sono
stati
sottoposti
a
una
gestione
unitaria
fino
al
1959,
quando
la
necessità
di
limitare
le
attività
venatorie
e
agricole
delle
popolazioni
masai
rese
necessaria
la
separazione
dei
due
territori.
Di
conseguenza,
il
Parco
Nazionale
del
Serengeti
comprende
attualmente
1.476.300
ettari,
mentre
gli
altri
647.500
ettari
appartengono
alla
Riserva
di
Ngorongoro.
Quaranta
chilometri
a
ovest
del
Parco
Nazionale
del
Lago
Manyara,
nella
fossa
del
Rift,
il
terreno
ondulato
che
caratterizza
la
savana
aperta
comincia
a
salire
di
quota.
La
vegetazione
erbacea
cede
il
passo
nella
parte
inferiore
a
sterpaie
spinose,
conosciute
localmente
come
nyika,
che
in
quota
introducono
alla
foresta
di
montagna.
Uno
stretto
sentiero
raggiunge
i
2286
metri,
dove
si
incontra
la
bocca
del
Ngorongoro,
il
maggiore
cratere
vulcanico
di
tutto
il
pianeta.
Di
forma
leggermente
ovale,
presenta
un
diametro
massimo
di
14,5
chilometri
e
una
superficie
totale
di
circa
26.400
ettari.
Le
scarpate
vulcaniche,
tappezzate
da
una
fitta
vegetazione,
si
innalzano
sul
fondo
di
400-700
metri.
Le
pareti,
che
arrivano
a
2700
metri
di
altitudine,
raccolgono
una
grande
quantità
di
acqua
che
alimenta
le
sorgenti,
i
torrenti
e
i
ruscelli
sul
fondo
della
caldera,
creando
quella
che
è
stata
definita
"un'isola
d'erba
in
un
mare
di
boschi
e
crateri".
Il
clima
del
Ngorongoro,
inusuale
per
una
latitudine
vicina
all'Equatore,
è
condizionato
dall'altitudine.
Le
precipitazioni
annue
superano
i
1400
millimetri,
mentre
l'escursione
termica
giornaliera
oscilla
tra
i
6
e
i
28°C.
Le
piogge
generano
nebbie
fitte
e
frequenti
sui
pendii
esterni
ricoperti
dalla
foresta
di
montagna.
Il
fondo
della
caldera
è
occupato
da
una
savana
erbacea
molto
produttiva.
Esistono
anche
due
boschi
di
acacia,
il
Leray
e
il
Laindi.
Alcuni
laghi
salnitrosi
di
scarsa
profondità,
tra
i
quali
il
più
grande
è
il
Soda
Lake,
punteggiano
il
territorio.
Unica
eccezione
alle
aree
salnitrose
è
il
Lago
Magath,
nella
zona
più
profonda
della
caldera,
che
approvvigiona
d'acqua
dolce
la
fauna.
La
Riserva
del
Ngorongoro
non
si
esaurisce
nel
cratere.
Nel
settore
orientale
è
situata
la
depressione
Embulbul,
dominata
dalla
mole
del
cratere
Embakii
che,
con
i
suoi
3400
metri
di
altitudine,
è
il
punto
più
elevato
della
regione.
All'interno
di
quest'altro
cratere
vulcanico,
700
metri
più
in
basso
rispetto
alla
bocca
superiore,
si
trova
il
lago
omonimo,
che
ha
un
diametro
di
3,5
chilometri
e
una
profondità
di
60
metri.
Dalla
cima
dell'Embakii
è
possibile
ammirare
una
trentina
di
coni
vulcanici,
tra
i
quali
emerge
il
profilo
dell'Oldonyo
Lengai
("Montagna
di
Dio"
in
lingua
masai),
ancora
attivo.
Nella
parte
settentrionale
della
Riserva
si
trova
la
Gola
dell'Olduvai,
che
ha
segnato
una
svolta
fondamentale
nella
ricerca
antropologica.
All'inizio
del
Quaternario
le
acque
del
torrente
Olduvai
scavarono
piccole
fenditure
nell'arenaria
che
ricopre
la
zona,
favorendo
l'affioramento
di
strati
profondi
ricchi
di
fossili
e
di
resti
preistorici.
I
coniugi
Louis
e
Mary
Leakey,
paleontologi
e
antropologi
inglesi,
compirono
ricerche
nell'Olduvai
per
circa
trent'anni.
Come
spesso
accade,
la
loro
più
grande
scoperta
fu
frutto
del
caso:
nel
1959
un'alluvione
torrenziale
inondò
i
margini
della
Gola,
facendo
affiorare
il
primo
cranio
conosciuto
di
Australopithecus
boisei,
un
ominide
vissuto
circa
1.750.000
anni
fa.
Due
anni
più
tardi
gli
stessi
studiosi
dissotterrarono
i
primi
resti
di
Homo
habilis,
la
cui
età
fu
stabilita
in
due
milioni
di
anni.
I più
recenti
studi
sui
resti
affermano
che
in
realtà
i
due
ominidi
erano
contemporanei,
sebbene
l'Homo
habilis
possedesse
rispetto
all'Australopithecus
boisei
una
superiore
capacità
cranica
e
una
più
sviluppata
abilità
manuale.
Nel
1976
Mary
Leakey
individuò
presso
Laetoli
alcune
impronte
straordinariamente
nitide
di
ominidi
già
in
posizione
eretta,
che
hanno
consentito
di
far
risalire
a
tre
milioni
e
mezzo
di
anni
fa
la
fase
preumana,
ovvero
la
più
primitiva
della
nostra
specie.
Il
cratere
del
Ngorongoro
racchiude
una
delle
maggiori
concentrazioni
faunistiche
del
continente
africano.
All'interno
del
cratere
si
danno
appuntamento
una
popolazione
di
5.000
zebre
e
una
di
15.000
gnu.
Impala,
gazzelle
di
Thomson
e
di
Grant,
antilopi
alcine
e
giraffe
kenyote
sono
alcune
delle
specie
più
comuni.
Rinoceronti
neri,
ippopotami
e
bufali
cafri
completano
il
ventaglio
dei
grandi
erbivori,
che
comprende
anche
l'elefante,
presente
nei
boschi
del
versante
esterno
del
Ngorongoro.
Una
così
alta
produttività
favorisce
la
presenza
di
un'ampia
schiera
di
predatori,
composta
da
18
specie
di
carnivori
e
da
30
rapaci
diurni.
Il
cratere
registra
la
maggiore
concentrazione
mondiale
di
carnivori,
con
0,4
leoni
e
1,7
iene
maculate
per
chilometro
quadrato.
Per gli
studiosi
il
Ngorongoro
ha
l'enorme
vantaggio
di
costituire
un'entità
isolata,
senza
particolari
interscambi
con
le
aree
esterne.
Singolare
rilievo
hanno
avuto
gli
studi
sui
leoni
realizzati
da
vari
zoologi
africanisti,
come
i
notissimi
Shaller,
Mervryn
Cowie,
Spinage
e
F.B.
Foster,
che
hanno
svelato
alcuni
sistemi
di
demarcazione
del
territorio,
gli
atteggiamenti
dissuasivi
dei
maschi
e
le
regole
del
comportamento
materno.
Ma oltre
che
sul
leone,
gli
studiosi
hanno
focalizzato
il
loro
interesse
anche
sulle
iene
maculate,
i
carnivori
più
diffusi
nel
cratere,
cercando
di
trovare
risposta
a
un
interrogativo
sospeso
da
tempo:
come
potevano
le
iene
vivere
esclusivamente
delle
carogne
abbandonate
dal
grande
felino?
Un'indagine
dettagliata
determinò
prima
di
tutto
il
numero
esatto
degli
individui
(420),
quindi
la
loro
organizzazione
sociale,
basata
su
clan
che
condividono
un
rifugio
comune.
In
base
a
questi
dati
l'olandese
Hans
Kruuk
realizzò
uno
studio
sull'ecologia
alimentare
della
iena,
che
diede
un
risultato
sorprendente:
l'82%
del
suo
nutrimento
è
costituito
da
prede
vive,
mentre
la
fama
di
animale
spazzino
è
giustificata
solo
in
minima
parte
(nell'11%
dei
casi).
Gazzelle
di
Thomson,
piccoli
gnu
e
zebre
sono
le
prede
preferite
da
questo
carnivoro
dall'aspetto
famelico.

Oltre
alla
sua
ricchezza
faunistica
senza
paragoni
e
al
suo
valore
come
laboratorio
naturale,
il
Ngorongoro
può
offrire
al
visitatore
un
esempio
di
come
si
evolve
un
ecosistema
naturale
solo
in
minima
parte
intaccato
dall'uomo.
Con
la
sua
presenza
la
razza
umana
condiziona
la
maggior
parte
degli
spazi
del
pianeta
e
rappresenta
una
minaccia
per
la
fauna
selvatica.
Qui,
al
contrario,
il
suo
ruolo
è
esclusivamente
quello
di
spettatore
delle
abitudini
quotidiane
di
un
ampio
ventaglio
di
specie
che
lottano
per
la
sopravvivenza.
Un discorso a parte merita il
ghepardo
che
qui,
in
controtendenza
rispetto
al
resto
del
continente,
è
ancora
presente
in
un
numero
significativo
di
esemplari.
Nonostante
sia
stato
identificato
come
il
progenitore
di
tutti
i
grandi
felini
e
vanti
il
primato
dell'animale
più
veloce
del
mondo
-
può
raggiungere
i
110
chilometri
orari
in
appena
tre
secondi
-,
gli
scienziati
temono
per
la
sua
sopravvivenza,
tanto
da
pensare
a
una
misura
estrema:
la
clonazione.
Il
motivo
di
una
tale
abbondanza
faunistica
risiede
nella
diversità
di
habitat
vegetali,
che
rappresentano
una
fonte
privilegiata
di
cibo
e
di
riparo.
Il
fondo
del
cratere
è
punteggiato
di
pozze
d'acqua
che,
durante
la
stagione
delle
piogge,
diventano
veri
e
propri
laghi;
è
inoltre
ricoperto
da
un
folto
manto
d'erba.

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