Area protetta di Ngorongoro
Zona di conservazione naturale di Ngorongoro
Tanzania
 
PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1979 - 2010
  

  

Successive effusioni magmatiche unirono tra di loro i pendii dei vulcani, dando luogo al nucleo orografico più compatto di tutta l'Africa. Infine, le cime dei coni sprofondarono nel fondo dei crateri che, ormai con modesta attività, si colmarono di detriti perdendo la loro profondità. Il processo appena descritto diede origine a un'area nota a qualsiasi amante della natura come "l'ottava meraviglia del mondo": la Riserva naturale di Ngorongoro. 

Situato ad appena tre gradi sotto l'Equatore, questo territorio rappresenta un legame tra la fossa del Rift e le pianure del Serengeti, che si prolungano fino ai bordi orientali del Lago Vittoria. Il Serengeti e il Ngorongoro sono stati sottoposti a una gestione unitaria fino al 1959, quando la necessità di limitare le attività venatorie e agricole delle popolazioni masai rese necessaria la separazione dei due territori. Di conseguenza, il Parco Nazionale del Serengeti comprende attualmente 1.476.300 ettari, mentre gli altri 647.500 ettari appartengono alla Riserva di Ngorongoro.

Quaranta chilometri a ovest del Parco Nazionale del Lago Manyara, nella fossa del Rift, il terreno ondulato che caratterizza la savana aperta comincia a salire di quota. La vegetazione erbacea cede il passo nella parte inferiore a sterpaie spinose, conosciute localmente come nyika, che in quota introducono alla foresta di montagna.  

Uno stretto sentiero raggiunge i 2286 metri, dove si incontra la bocca del Ngorongoro, il maggiore cratere vulcanico di tutto il pianeta. Di forma leggermente ovale, presenta un diametro massimo di 14,5 chilometri e una superficie totale di circa 26.400 ettari.

Le scarpate vulcaniche, tappezzate da una fitta vegetazione, si innalzano sul fondo di 400-700 metri. Le pareti, che arrivano a 2700 metri di altitudine, raccolgono una grande quantità di acqua che alimenta le sorgenti, i torrenti e i ruscelli sul fondo della caldera, creando quella che è stata definita "un'isola d'erba in un mare di boschi e crateri". Il clima del Ngorongoro, inusuale per una latitudine vicina all'Equatore, è condizionato dall'altitudine. Le precipitazioni annue superano i 1400 millimetri, mentre l'escursione termica giornaliera oscilla tra i 6 e i 28°C. Le piogge generano nebbie fitte e frequenti sui pendii esterni ricoperti dalla foresta di montagna. Il fondo della caldera è occupato da una savana erbacea molto produttiva. Esistono anche due boschi di acacia, il Leray e il Laindi. 

Alcuni laghi salnitrosi di scarsa profondità, tra i quali il più grande è il Soda Lake, punteggiano il territorio. Unica eccezione alle aree salnitrose è il Lago Magath, nella zona più profonda della caldera, che approvvigiona d'acqua dolce la fauna. La Riserva del Ngorongoro non si esaurisce nel cratere. Nel settore orientale è situata la depressione Embulbul, dominata dalla mole del cratere Embakii che, con i suoi 3400 metri di altitudine, è il punto più elevato della regione. All'interno di quest'altro cratere vulcanico, 700 metri più in basso rispetto alla bocca superiore, si trova il lago omonimo, che ha un diametro di 3,5 chilometri e una profondità di 60 metri. Dalla cima dell'Embakii è possibile ammirare una trentina di coni vulcanici, tra i quali emerge il profilo dell'Oldonyo Lengai ("Montagna di Dio" in lingua masai), ancora attivo.  

Nella parte settentrionale della Riserva si trova la Gola dell'Olduvai, che ha segnato una svolta fondamentale nella ricerca antropologica. All'inizio del Quaternario le acque del torrente Olduvai scavarono piccole fenditure nell'arenaria che ricopre la zona, favorendo l'affioramento di strati profondi ricchi di fossili e di resti preistorici. I coniugi Louis e Mary Leakey, paleontologi e antropologi inglesi, compirono ricerche nell'Olduvai per circa trent'anni. Come spesso accade, la loro più grande scoperta fu frutto del caso: nel 1959 un'alluvione torrenziale inondò i margini della Gola, facendo affiorare il primo cranio conosciuto di Australopithecus boisei, un ominide vissuto circa 1.750.000 anni fa. Due anni più tardi gli stessi studiosi dissotterrarono i primi resti di Homo habilis, la cui età fu stabilita in due milioni di anni.

I più recenti studi sui resti affermano che in realtà i due ominidi erano contemporanei, sebbene l'Homo habilis possedesse rispetto all'Australopithecus boisei una superiore capacità cranica e una più sviluppata abilità manuale. Nel 1976 Mary Leakey individuò presso Laetoli alcune impronte straordinariamente nitide di ominidi già in posizione eretta, che hanno consentito di far risalire a tre milioni e mezzo di anni fa la fase preumana, ovvero la più primitiva della nostra specie.

Il cratere del Ngorongoro racchiude una delle maggiori concentrazioni faunistiche del continente africano. All'interno del cratere si danno appuntamento una popolazione di 5.000 zebre e una di 15.000 gnu. Impala, gazzelle di Thomson e di Grant, antilopi alcine e giraffe kenyote sono alcune delle specie più comuni. Rinoceronti neri, ippopotami e bufali cafri completano il ventaglio dei grandi erbivori, che comprende anche l'elefante, presente nei boschi del versante esterno del Ngorongoro. Una così alta produttività favorisce la presenza di un'ampia schiera di predatori, composta da 18 specie di carnivori e da 30 rapaci diurni. Il cratere registra la maggiore concentrazione mondiale di carnivori, con 0,4 leoni e 1,7 iene maculate per chilometro quadrato.  

Per gli studiosi il Ngorongoro ha l'enorme vantaggio di costituire un'entità isolata, senza particolari interscambi con le aree esterne. Singolare rilievo hanno avuto gli studi sui leoni realizzati da vari zoologi africanisti, come i notissimi Shaller, Mervryn Cowie, Spinage e F.B. Foster, che hanno svelato alcuni sistemi di demarcazione del territorio, gli atteggiamenti dissuasivi dei maschi e le regole del comportamento materno.

Ma oltre che sul leone, gli studiosi hanno focalizzato il loro interesse anche sulle iene maculate, i carnivori più diffusi nel cratere, cercando di trovare risposta a un interrogativo sospeso da tempo: come potevano le iene vivere esclusivamente delle carogne abbandonate dal grande felino? Un'indagine dettagliata determinò prima di tutto il numero esatto degli individui (420), quindi la loro organizzazione sociale, basata su clan che condividono un rifugio comune. In base a questi dati l'olandese Hans Kruuk realizzò uno studio sull'ecologia alimentare della iena, che diede un risultato sorprendente: l'82% del suo nutrimento è costituito da prede vive, mentre la fama di animale spazzino è giustificata solo in minima parte (nell'11% dei casi). Gazzelle di Thomson, piccoli gnu e zebre sono le prede preferite da questo carnivoro dall'aspetto famelico.  

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Oltre alla sua ricchezza faunistica senza paragoni e al suo valore come laboratorio naturale, il Ngorongoro può offrire al visitatore un esempio di come si evolve un ecosistema naturale solo in minima parte intaccato dall'uomo. Con la sua presenza la razza umana condiziona la maggior parte degli spazi del pianeta e rappresenta una minaccia per la fauna selvatica. Qui, al contrario, il suo ruolo è esclusivamente quello di spettatore delle abitudini quotidiane di un ampio ventaglio di specie che lottano per la sopravvivenza.  

Un discorso a parte merita il ghepardo che qui, in controtendenza rispetto al resto del continente, è ancora presente in un numero significativo di esemplari. Nonostante sia stato identificato come il progenitore di tutti i grandi felini e vanti il primato dell'animale più veloce del mondo - può raggiungere i 110 chilometri orari in appena tre secondi -, gli scienziati temono per la sua sopravvivenza, tanto da pensare a una misura estrema: la clonazione. Il motivo di una tale abbondanza faunistica risiede nella diversità di habitat vegetali, che rappresentano una fonte privilegiata di cibo e di riparo. Il fondo del cratere è punteggiato di pozze d'acqua che, durante la stagione delle piogge, diventano veri e propri laghi; è inoltre ricoperto da un folto manto d'erba.