La
Cappadocia, che in lingua persiana
significa il Paese dei bei
cavalli, è la regione costituita
dalle città di Aksaray, Nevşehir,
Niğde, Kayseri, Kırşehir;
di questa, "la regione
rupestre" è costituita da Uçhisar,
Göreme, Avanos, Ürgüp,
Derinkuyu, Kaymaklı, Ihlara e
dintorni.
Nei
villaggi le madri amano raccontare
ai bambini la favola dei giganti
malvagi che volevano impadronirsi
del loro Paese, ma che furono
pietrificati grazie all'intervento
di Allah. Quelle donne, devote
musulmane, spiegano così
l'origine delle particolarissime
formazioni rocciose,
caratteristiche del paesaggio
quasi lunare della valle di Gòreme.
Del resto, nel corso dei sedici
secoli di storia degli
insediamenti umani in quella
regione, tanto la gente del posto
quanto i viaggiatori sono sempre
ricorsi alle leggende per
giustificare l'esistenza di
pilastri alti fino a 40 metri e
variamente conformati a camino, a
fungo, a piramide, noti
popolarmente come i "camini
delle fate".
La geologia, scienza esatta e in
quanto tale molto meno romantica
della fantasia, ha spiegato che il
territorio di quella valle della
Cappadocia deve la peculiare
morfologia a un vulcano, l'Erciyas
Dag, situato nella piana di
Kayseri,
la Cesarea
dei romani. Alto
3916 metri
e ormai spento - anche se nella
zona si registrano ancora attività
sismiche - fu protagonista di
violentissime eruzioni tra il
Pliocene e l'inizio del
Pleistocene.
Il deflusso di materiale vulcanico
ricoprì il paesaggio circostante
di strati orizzontali di lava e
cenere per un'estensione di
10.000 chilometri
quadrati. Poi la lava si raffreddò
fino a formare un solido strato di
basalto nero, mentre la cenere si
fuse in una friabile roccia
bianca, nota come
"andesite".
Successivamente la zona fu
soggetta a notevoli
precipitazioni, responsabili della
nascita di numerosi corsi d'acqua
che avrebbero forgiato lo
straordinario paesaggio della
valle di Gòreme.
Estesa su
9576 ettari
di superficie e protetta come
parco nazionale dal 1986 - un anno
dopo essere stata iscritta nella
lista del Patrimonio Mondiale
dell'Unesco -, la valle è un
luogo unico al mondo, soprattutto
grazie al sorprendente connubio
tra l'azione della natura e quella
dell'uomo.

La Valle di Gòreme, con una
superficie approssimativa di 150
chilometri quadrati, rappresenta
il miglior esempio di paesaggio
vulcanico di tutta la Cappadocia.
Tra i vigneti e i campi di cereali
spuntano alti camini di roccia,
mentre i pioppi con le loro chiome
verdi fanno da contrappunto al
colore ocra della pietra. Nel
corso dei millenni gli abitanti di
queste terre hanno scavato
all'interno delle torri coniche e
delle pareti rocciose centinaia di
aperture comunicanti tra loro,
alle quali si poteva accedere
tramite ripide scalette ricavate
nella pietra viva. I primi
insediamenti risalgono a più di
4000 anni fa, ma il periodo di
massimo splendore si ebbe tra il X
e il XII secolo d.C.
Tra il II e il IV secolo la
penetrazione del Cristianesimo
determinò lo stanziamento nella
regione di numerose comunità
religiose, eremitiche e
monastiche, attratte dalla
grandiosità e dall'austerità
delle vallate vulcaniche. Durante
il VII secolo, all'epoca
dell'invasione araba, le comunità
cristiane riuscirono a
sopravvivere scavando nel tufo
vere e proprie città sotterranee
nelle quali rifugiarsi in caso di
pericolo.
La città meglio conservata si trova
a Kaymakli, circa 15 km a sud di
Nevsehir: dall'esterno l'accesso
era consentito solo tramite
angusti corridoi che, nel
sottosuolo, si aprivano in una
serie di tunnel, nicchie e cavità
distribuiti su sette piani a
formare una città di dimensioni
impressionanti. Le stanze erano
raggruppate intorno a un pozzo di
aerazione in grado di assicurare
una buona ventilazione, e alcune
fenditure fungevano sia da vie di
accesso sia da postazioni di
difesa dai nemici che tentavano di
avvicinarsi. La città poteva
ospitare circa mille persone ed
era servita da un efficiente
sistema di rifornimento idrico che
funzionava mediante un complesso
di cisterne sotterranee, situate a
differenti profondità.


Qui si trovano remote testimonianze della civiltà ittita e
monumenti che accertano come
la Cappadocia
sia passata dal dominio frigio a
quello romano e bizantino, prima
di cadere sotto l'egida
dell'Islam. Nel solo villaggio di
Gòreme, all'interno dei
"camini delle fate" sono
state ricavate 365 chiese, così
da poter celebrare la messa ogni
giorno dell'anno su un altare
diverso.
Nel corso dei secoli gli abitanti del
luogo hanno adattato le
architetture naturali di andesite
per farne le loro abitazioni.
Ancor oggi la valle è abitata da
10.000 persone, cui sono da
aggiungere altre 20.000 insediate
nelle aree limitrofe al parco
nazionale. Sebbene l'aspetto
brullo possa trarre in inganno, il
sito è fertile e sostenta specie
vegetali ricche di ben 110
endemismi, tra i quali citiamo
l’Acanthus irsutus, l’Alkanna
orientalis e il Dinathus
zederbauriana.
La popolazione, inoltre, vive
principalmente di agricoltura,
tuttora praticata con metodi
tradizionali, giudicati
sostenibili. Quanto alla fauna,
nella valle sono presenti lupi
grigi, volpi, tassi, faine e una
moltitudine di uccelli, tra i
quali spiccano i piccioni
(Alectoris graeca). Come indizio
di un'altra positiva interazione
tra l'uomo e l'ambiente, si notano
nelle formazioni rocciose molti
rifugi adibiti a piccionaie,
talvolta ricavati nelle antiche
chiese rupestri abbandonate. Da
lungo tempo, infatti, i piccioni
costituiscono un'importante fonte
di cibo e fertilizzante per le
genti della valle: benché i
concimi chimici siano ormai
diffusi ovunque, qui i campi
vengono ancora nutriti con il
guano di piccione. E si dice che
proprio questo sia il segreto
della bontà della frutta locale,
la più dolce della Turchia.

Oltre che per la struttura, le città
nella roccia della Cappadocia sono
degne di nota anche per le
decorazioni pittoriche dei luoghi
di culto. Si possono citare, ad
esempio, gli affreschi di
ispirazione religiosa di Cavusin
(nell'adiacente territorio di Ùrgiip),
e in particolar modo quelli della
piccola chiesa di San Giovanni
Battista (V secolo), scavata a
mezza altezza lungo la parete di
tufo alta 60 metri che domina
l'abitato. Nel 726 d.C, quando
l'imperatore Leone III Isaurico
ordinò la distruzione dell'effìgie
di Cristo posta all'ingresso
principale del palazzo imperiale
di Costantinopoli, cominciò il
periodo iconoclastico, che si
concluse solo nell'843 con la sua
condanna da parte dell'imperatrice
Teodora.
Durante questa fase la decorazione
dei templi fu limitata a
essenziali motivi ornamentali
geometrici e a simboli religiosi.
Una volta ripristinato il culto
delle immagini sacre, dal IX al
XII secolo si ebbe in Cappadocia
una ricca stagione pittorica: gli
artisti cristiani cominciarono ad
aggiungere nuove raffigurazioni
agli elementi decorativi
preesistenti, dando origine a uno
stile fortemente policromo e di
carattere popolare caratterizzato
anche da influssi dell'arte
bizantina. Le rappresentazioni di
maggior valore si trovano a Gòreme,
nella Tokali Kilise ("chiesa
della fìbbia"), con volta a
botte: sulle pareti si ammirano
alcune scene della vita di Cristo
con riferimenti anche a vicende
narrate nei Vangeli apocrifi (X
secolo).
Durante l'XI e il XII secolo i cicli
narrativi precedenti vennero a
mano a mano coperti di calce e
sostituiti da nuove
raffigurazioni, sempre dedicate
alla vita di Cristo e dei Santi.
Si ebbero così le
rappresentazioni schematiche
dell'Elmali Kilise ("chiesa
della mela"), la più piccola
chiesa di Gòreme, con ritratti di
Gesù e di profeti, e le scene
vivaci e ricche di espressività
della Karabas Kilise e del
monastero di Kizlar.
A partire dal secolo XII l'arte
pittorica si avviò al declino -
la chiesa di Carikli a Gòreme è
il miglior esempio di questo
periodo - e nel secolo seguente
scomparve definitivamente. La
conquista della Cappadocia da
parte dei Selgiuchidi provocò un
progressivo spopolamento della
regione e l'isolamento delle
comunità cristiane, che in
pratica si dissolsero all'epoca
dell'occupazione degli Ottomani,
nel XIV secolo. Con l'unica
eccezione della diocesi di
Kayseri, abolita nel 1923, i
monasteri e gli insediamenti
eremiti vennero abbandonati e
l'arte rupestre definitivamente
dimenticata.

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