Parco nazionale Göreme e siti rupestri della Cappadocia  
Turchia
PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1985

 

   

La Cappadocia, che in lingua persiana significa il Paese dei bei cavalli, è la regione costituita dalle città di Aksaray, Nevşehir, Niğde, Kayseri, Kırşehir; di questa, "la regione rupestre" è costituita da Uçhisar, Göreme, Avanos, Ürgüp, Derinkuyu, Kaymaklı, Ihlara e dintorni.

Nei villaggi le madri amano raccontare ai bambini la favola dei giganti malvagi che volevano impadronirsi del loro Paese, ma che furono pietrificati grazie all'intervento di Allah. Quelle donne, devote musulmane, spiegano così l'origine delle particolarissime formazioni rocciose, caratteristiche del paesaggio quasi lunare della valle di Gòreme. Del resto, nel corso dei sedici secoli di storia degli insediamenti umani in quella regione, tanto la gente del posto quanto i viaggiatori sono sempre ricorsi alle leggende per giustificare l'esistenza di pilastri alti fino a 40 metri e variamente conformati a camino, a fungo, a piramide, noti popolarmente come i "camini delle fate". 

La geologia, scienza esatta e in quanto tale molto meno romantica della fantasia, ha spiegato che il territorio di quella valle della Cappadocia deve la peculiare morfologia a un vulcano, l'Erciyas Dag, situato nella piana di Kayseri, la Cesarea dei romani. Alto 3916 metri e ormai spento - anche se nella zona si registrano ancora attività sismiche - fu protagonista di violentissime eruzioni tra il Pliocene e l'inizio del Pleistocene.

Il deflusso di materiale vulcanico ricoprì il paesaggio circostante di strati orizzontali di lava e cenere per un'estensione di 10.000 chilometri quadrati. Poi la lava si raffreddò fino a formare un solido strato di basalto nero, mentre la cenere si fuse in una friabile roccia bianca, nota come "andesite". Successivamente la zona fu soggetta a notevoli precipitazioni, responsabili della nascita di numerosi corsi d'acqua che avrebbero forgiato lo straordinario paesaggio della valle di Gòreme. 

Estesa su 9576 ettari di superficie e protetta come parco nazionale dal 1986 - un anno dopo essere stata iscritta nella lista del Patrimonio Mondiale dell'Unesco -, la valle è un luogo unico al mondo, soprattutto grazie al sorprendente connubio tra l'azione della natura e quella dell'uomo.  

La Valle di Gòreme, con una superficie approssimativa di 150 chilometri quadrati, rappresenta il miglior esempio di paesaggio vulcanico di tutta la Cappadocia. Tra i vigneti e i campi di cereali spuntano alti camini di roccia, mentre i pioppi con le loro chiome verdi fanno da contrappunto al colore ocra della pietra. Nel corso dei millenni gli abitanti di queste terre hanno scavato all'interno delle torri coniche e delle pareti rocciose centinaia di aperture comunicanti tra loro, alle quali si poteva accedere tramite ripide scalette ricavate nella pietra viva. I primi insediamenti risalgono a più di 4000 anni fa, ma il periodo di massimo splendore si ebbe tra il X e il XII secolo d.C.  

Tra il II e il IV secolo la penetrazione del Cristianesimo determinò lo stanziamento nella regione di numerose comunità religiose, eremitiche e monastiche, attratte dalla grandiosità e dall'austerità delle vallate vulcaniche. Durante il VII secolo, all'epoca dell'invasione araba, le comunità cristiane riuscirono a sopravvivere scavando nel tufo vere e proprie città sotterranee nelle quali rifugiarsi in caso di pericolo. 

La città meglio conservata si trova a Kaymakli, circa 15 km a sud di Nevsehir: dall'esterno l'accesso era consentito solo tramite angusti corridoi che, nel sottosuolo, si aprivano in una serie di tunnel, nicchie e cavità distribuiti su sette piani a formare una città di dimensioni impressionanti. Le stanze erano raggruppate intorno a un pozzo di aerazione in grado di assicurare una buona ventilazione, e alcune fenditure fungevano sia da vie di accesso sia da postazioni di difesa dai nemici che tentavano di avvicinarsi. La città poteva ospitare circa mille persone ed era servita da un efficiente sistema di rifornimento idrico che funzionava mediante un complesso di cisterne sotterranee, situate a differenti profondità.  

Goreme3.jpg (218139 byte)  Goreme4.jpg (370845 byte)  Goreme5.jpg (224414 byte)  Goreme6.jpg (329307 byte)  Goreme7.jpg (408395 byte)  Goreme8.jpg (187610 byte)  Goreme9.jpg (378465 byte)

Affresco.jpg (200790 byte)  Affresco2.jpg (436303 byte)  Affresco3.jpg (298870 byte)  Affresco4.jpg (214490 byte)  Affresco5.jpg (675542 byte)  Affresco6.jpg (366437 byte)  Affresco7.jpg (363326 byte)

Qui si trovano remote testimonianze della civiltà ittita e monumenti che accertano come la Cappadocia sia passata dal dominio frigio a quello romano e bizantino, prima di cadere sotto l'egida dell'Islam. Nel solo villaggio di Gòreme, all'interno dei "camini delle fate" sono state ricavate 365 chiese, così da poter celebrare la messa ogni giorno dell'anno su un altare diverso. 

Nel corso dei secoli gli abitanti del luogo hanno adattato le architetture naturali di andesite per farne le loro abitazioni. Ancor oggi la valle è abitata da 10.000 persone, cui sono da aggiungere altre 20.000 insediate nelle aree limitrofe al parco nazionale. Sebbene l'aspetto brullo possa trarre in inganno, il sito è fertile e sostenta specie vegetali ricche di ben 110 endemismi, tra i quali citiamo l’Acanthus irsutus, l’Alkanna orientalis e il Dinathus zederbauriana. 

La popolazione, inoltre, vive principalmente di agricoltura, tuttora praticata con metodi tradizionali, giudicati sostenibili. Quanto alla fauna, nella valle sono presenti lupi grigi, volpi, tassi, faine e una moltitudine di uccelli, tra i quali spiccano i piccioni (Alectoris graeca). Come indizio di un'altra positiva interazione tra l'uomo e l'ambiente, si notano nelle formazioni rocciose molti rifugi adibiti a piccionaie, talvolta ricavati nelle antiche chiese rupestri abbandonate. Da lungo tempo, infatti, i piccioni costituiscono un'importante fonte di cibo e fertilizzante per le genti della valle: benché i concimi chimici siano ormai diffusi ovunque, qui i campi vengono ancora nutriti con il guano di piccione. E si dice che proprio questo sia il segreto della bontà della frutta locale, la più dolce della Turchia.

Oltre che per la struttura, le città nella roccia della Cappadocia sono degne di nota anche per le decorazioni pittoriche dei luoghi di culto. Si possono citare, ad esempio, gli affreschi di ispirazione religiosa di Cavusin (nell'adiacente territorio di Ùrgiip), e in particolar modo quelli della piccola chiesa di San Giovanni Battista (V secolo), scavata a mezza altezza lungo la parete di tufo alta 60 metri che domina l'abitato. Nel 726 d.C, quando l'imperatore Leone III Isaurico ordinò la distruzione dell'effìgie di Cristo posta all'ingresso principale del palazzo imperiale di Costantinopoli, cominciò il periodo iconoclastico, che si concluse solo nell'843 con la sua condanna da parte dell'imperatrice Teodora. 

Durante questa fase la decorazione dei templi fu limitata a essenziali motivi ornamentali geometrici e a simboli religiosi. Una volta ripristinato il culto delle immagini sacre, dal IX al XII secolo si ebbe in Cappadocia una ricca stagione pittorica: gli artisti cristiani cominciarono ad aggiungere nuove raffigurazioni agli elementi decorativi preesistenti, dando origine a uno stile fortemente policromo e di carattere popolare caratterizzato anche da influssi dell'arte bizantina. Le rappresentazioni di maggior valore si trovano a Gòreme, nella Tokali Kilise ("chiesa della fìbbia"), con volta a botte: sulle pareti si ammirano alcune scene della vita di Cristo con riferimenti anche a vicende narrate nei Vangeli apocrifi (X secolo).

Durante l'XI e il XII secolo i cicli narrativi precedenti vennero a mano a mano coperti di calce e sostituiti da nuove raffigurazioni, sempre dedicate alla vita di Cristo e dei Santi. Si ebbero così le rappresentazioni schematiche dell'Elmali Kilise ("chiesa della mela"), la più piccola chiesa di Gòreme, con ritratti di Gesù e di profeti, e le scene vivaci e ricche di espressività della Karabas Kilise e del monastero di Kizlar. 

A partire dal secolo XII l'arte pittorica si avviò al declino - la chiesa di Carikli a Gòreme è il miglior esempio di questo periodo - e nel secolo seguente scomparve definitivamente. La conquista della Cappadocia da parte dei Selgiuchidi provocò un progressivo spopolamento della regione e l'isolamento delle comunità cristiane, che in pratica si dissolsero all'epoca dell'occupazione degli Ottomani, nel XIV secolo. Con l'unica eccezione della diocesi di Kayseri, abolita nel 1923, i monasteri e gli insediamenti eremiti vennero abbandonati e l'arte rupestre definitivamente dimenticata.