Il monte Athos (Monte santo, aghion
oros) è situato
all'estremità
della penisola
omonima, la più
orientale delle
tre propaggini
della Calcidica
che si protende
come un tridente
nel Mar Egeo. La
stretta lingua di
terra dominata
dalla piramide
rocciosa del
monte, che con i
suoi 2.033 metri
di altezza si
innalza quasi a
picco sul mare,
per la sua forma e
per la sua
posizione attirò
l'attenzione dei
navigatori fin dai
tempi più remoti
e fece nascere
numerose leggende.
Secondo la mitologia greca, questi
luoghi furono lo
scenario dello
scontro tra
Poseidone, dio del
mare, e il gigante
Athos, che avrebbe
strappato una
montagna dal
continente e
l'avrebbe gettata
in mare per
schiacciare
l'avversario.
Descritto da Omero
e da Sofocle,
citato da Erodoto
come teatro di
manovre militari
durante le guerre
persiane e da
Plinio come luogo
abitato da uomini
ultracentenari che
si sarebbero
nutriti di carne
di vipera, il
monte Athos è
ancor oggi
celebre. È
infatti il luogo
in cui sopravvive
il monachesimo
bizantino nella
sua forma
originaria,
governato da mille
anni con leggi e
consuetudini
fedelmente
preservate da ogni
mutamento o
contaminazione.
Il monte Athos ospita infatti una sorta di piccola
repubblica
autonoma isolata
dal mondo e
governata da
regolamenti
propri, a partire
dalla legge
severamente
osservata che
proibisce
l'accesso alle
donne, le quali
non possono
nemmeno sbarcare
nel porto di
Dafni. Questo
divieto risale al
1046, quando
l'imperatore
bizantino
Costantino
Monomaco, nello
stesso documento
in cui concedeva
al territorio
dell'Athos
l'indipendenza
amministrativa
dall'Impero, ne
proibì l'accesso
alle donne, alle
bambine e anche ai
ragazzi dai
"visi
glabri".
Oggi, la popolazione monastica del
monte Athos è
distribuita nei
suoi venti
monasteri,
chiamati monì (il
più antico e
importante è
quello della
Grande Lavra,
Meghisti Lavra),
ciascuno dei quali
possiede una
parte del
territorio della
penisola. Ognuno
di essi ha la
struttura di una
vera e propria
cittadella, cinta
da mura e difesa
da una torre, da
cui dipendono gli
skite, centri
monastici privi di
mura legati a un
monastero al quale
pagano un tributo
e dal quale sono
rappresentati al
Consiglio
centrale. Ai monì
fanno capo altre
fondazioni minori:
i kellìa,
insediamenti
monastici di poche
case radunate
intorno a una
chiesa; le kalìve
(da kalybe,
capanna), dette
anche kathismata
(luoghi in cui ci
si siede), edifici
austeri e isolati
abitati da pochi
religiosi, con una
cappella per le
preghiere in
comune; e le
isychastììria,
luoghi di quiete,
o askitìria,
luoghi di
ascetismo, cioè
abitazioni per gli
eremiti che vi
risiedono in
assoluta
solitudine,
assistiti dai
monasteri solo in
caso di bisogno.
I primi insediamenti religiosi
sorsero in questa
zona nei secoli
VIII e IX, in
coincidenza con la
persecuzione cui
gli imperatori
iconoclasti di
Bisanzio (in
particolare Leone
III Isaurico,
717-741, e Leone V
l'Armeno, 813-820)
sottoposero i
sostenitori del
culto delle
immagini (ikònes),
primi fra tutti i
monaci. I
perseguitati
cercarono rifugio
nella terra remota
e praticamente
disabitata del
monte Athos per
condurre
isolatamente la
loro vita
ascetica. I più
noti di questi
primi eremiti, di
cui peraltro ci
sono giunte
scarsissime
notizie, furono
san Pietro
l'Athonita e
sant'Eutimio il
Giovane, le cui
figure vennero
spesso
rappresentate
negli affreschi
dell'Athos. Fu
alla fine del X
secolo che, con la
fondazione della
Lavra a opera di
Sant'Atanasio,
l'Athos assunse
l'organizzazione
monastica tuttora
conservata,
sancita nel 972
dallo statuto
d'autonomia
concesso
dall'imperatore
Giovanni I
Zimisce.
Nei secoli successivi il potere
imperiale di
Bisanzio - con la
dinastia dei
Macedoni prima,
dei Comneni e dei
Paleologhi poi -
continuò a
tutelare i
privilegi e
l'autonomia dei
monasteri
dell'Athos. Anche
quando l'Impero
d'Oriente cadde
per mano dei
Turchi ottomani
(1453), i monaci
ottennero la
conferma della
loro autonomia,
pur dovendo
versare un tributo
annuo al sultano.
Un periodo buio fu
quello che si aprì
nel 1821, quando i
monaca mostrarono
di simpatizzare
per i moti
d'indipendenza
greci; in
quell'anno, mentre
il patriarca
Gregorio V veniva
impiccato sulle
porte della sua
cattedrale a
Istanbul, un
contingente
militare occupò
l'Athos portandovi
violenza e danni
materiali, e vi
rimase fino al
1829. Quando nel
1912 la Grecia
tolse ai Turchi le
province
settentrionali,
assunse anche la
tutela del Monte
santo ed emanò
nel 1924 la carta
statutaria
(Katastikòs
Chartis) per
regolare i diritti
dei suoi
monasteri,
confermando in
gran parte la
situazione e i
privilegi goduti
per secoli.
I monasteri sono tutti cinti da mura
poderose
sorvegliate da una
torre, che danno
loro l'aspetto di
fortezze
inespugnabili.
Queste strutture
rispondono alle
necessità
difensive
dell'inerme
popolazione
monastica in una
zona tanto isolata
ed esposta agli
assalti e ai
saccheggi dei
pirati. Varcato
l'ingresso,
custodito da
massicci portoni
chiodati, ogni
monastero presenta
un cortile di
forma irregolare
al centro del
quale si erge la
chiesa centrale,
il katholikòn,
priva di facciata
monumentale e
sviluppata intorno
a una cupola
maggiore con un
alto tamburo.
Intorno al tempio
sono distribuite
costruzioni con
funzioni precise:
le strutture
militari
dell'arsenale e
delle muraglie, la
fontana sacra o
riserva d'acqua
(fiali, costituita
da un piccolo
padiglione
circolare o
poligonale con una
cupoletta
sostenuta da esili
colonne e decorata
all'interno da
affreschi), il
refettorio (tràpeza,
un edificio
isolato e spesso
totalmente
affrescato
all'interno), le
biblioteche, gli
ospedali, le
abitazioni dei
monaci. Queste
ultime sono
disposte su più
piani, rese
accessibili da
portici e loggiati
sovrapposti e
mosse da lunghe
balconate
sostenute da
grandi mensole di
legno,
caratteristiche
dell'edilizia
turca, e da
graziose cupolette
le spuntano sopra
i tetti
corrispondenti
alle cappelle
destinate alle
preghiere.

I conventi del monte Athos possono
seguire
l'ordinamento
cenobitico o
idioritmico. Nei
cenobi, nessuno
dispone di denaro
o proprietà
private, ma tutto
(casa, lavoro,
preghiera, cibo)
è comune; un
consiglio di
anziani elegge il
monaco che
esercita il potere
esecutivo per
tutta la vita,
assistito da due o
tre consiglieri
che si alternano
annualmente. Negli
idioritmi, invece,
si condividono
abitazione e
preghiera, ma il
sostentamento e il
lavoro vengono
lasciati
all'iniziativa
individuale;
l'organizzazione
della comunità è
regolata da
un'assemblea di
eletti a vita, che
scelgono due o tre
monaci all'anno
cui spetta il
potere esecutivo.
In realtà, ogni monastero possiede
la propria storia
e le proprie
peculiarità che
si riflettono
nelle diverse
strutture e forme
architettoniche:
l'imponenza della
Grande Lavra,
racchiusa da una
poderosa cinta di
mura che fu
rispettata persino
durante
l'invasione turca
dell'Europa
orientale, con il
suo katholikòn
dominato da una
vasta cupola, la
sua ricchissima
biblioteca e il
refettorio
decorato sia
all'esterno che
all'interno da
affreschi di
Frangos
Castellanos; il
vivace cromatismo
del monastero di
Panteleimonos, con
le sue cupole a
bulbo di color
verde in stile
ortodosso russo;
l'austerità dei
monasteri di
Stavronikìta, dal
profilo simile a
una fortezza
militare, e di
Karakàlu, con la
sua imponente
torre difensiva.
Il pregio dei
monasteri
dell'Athos è
affidato anche al
tesoro di icone,
affreschi e
mosaici bizantini
custoditi nelle
chiese, nelle
cappelle, nei
refettori e negli
altri edifici,
oltre al
preziosissimo
patrimonio di
codici miniati
conservati nelle
biblioteche e di
oggetti di
oreficeria e di
cesello
(reliquiari,
incensieri,
coperture di
evangeliari)
raccolti nella
stanza del tesoro
(skevofylàkion)
di ogni cenobio.

Sant'Anastasio
e i primi
monasteri
Il primo monastero dell'Athos, la
Grande Lavra, e
l'organizzazione
complessiva del
Monte santo,
tuttora in vigore,
si devono a
Sant'Atanasio (920
ca.-1003). Nato in
Turchia, a
Trebisonda
(l'attuale
Trabzon), si era
inizialmente
ritirato a vita
monastica nel
monastero di
Kyminas in
Bitinia, dove
aveva stretto
amicizia con il
futuro imperatore
Niceforo Foca. Per
evitare di
prendere il posto
del superiore del
monastero, Michele
Maleinos, alla sua
morte Atanasio si
ritirò in
incognito, con il
nome di Barnaba,
sul monte Athos.
Qui visse alcuni
anni in
eremitaggio, ma
nel 960 fu scovato
da Niceforo che
gli chiese di
accompagnarlo
nella guerra
contro i Saraceni
che avevano
occupato Creta. La
spedizione si
concluse con una
vittoria e
Niceforo II Foca,
divenuto
imperatore
(963-969), offrì
all'amico Atanasio
il denaro per
costruire un
monastero
intitolato alla
Vergine Maria.
Fu così edificato, con l'aiuto degli
eremiti che già
vivevano
sull'Athos, il
monastero della
Grande Lavra, di
cui Atanasio
divenne il
superiore. Egli
scrisse anche la
regola (typikòn)
del cenobio, allo
scopo di
organizzarvi la
vita interna, ma
anche per
disciplinare la
condotta degli
eremiti che
risiedevano in
celle o capanne
fuori di esso. Nel
969, Niceforo, che
avrebbe voluto
passare gli ultimi
anni della sua
vita come monaco
accanto all'amico
Atanasio, fu
assassinato nel
sonno dal nipote
Giovanni I Zimisce
con la complicità
della moglie di
Niceforo, Teofane.
Il nuovo
imperatore
(969-978) fece
pubblica
professione di
pentimento,
rinchiuse la
complice in un
monastero e
succedette allo
zio sul trono
(negli affreschi
dell'Athos si
trovano spesso
dipinti uno
accanto all'altro,
tra santi e
benefattori, lo
zio e il nipote,
l'assassinato e
l'assassino).
Già prima della morte di Atanasio
furono fondati i
monasteri di Vatopédi
(972), a opera di
tre notabili di
Adrianopoli; di
Dochiarìu (976),
da un discepolo di
sant'Atanasio; di
Ivìron, cioè
"degli
iberi", nome
che indicava i
georgiani che lo
fondarono intorno
al 979; e degli
Amalfitani,
fondato intorno al
990 dal monaco
Leone di Amalfi,
fratello del
principe di Capua,
destinato ad
accogliere monaci
provenienti dalle
città dell'Italia
meridionale allora
sotto il
protettorato
bizantino (Capua,
Napoli, Benevento,
Gaeta) e dalle
loro colonie in
Oriente.
Sant'Atanasìo morì
nel 1003,
schiacciato da una
trave, durante la
costruzione della
chiesa maggiore;
sono tuttora
oggetto di grande
venerazione la sua
tomba, la grotta
dove amava
ritirarsi per la
preghiera e una
sorgente che
sarebbe sgorgata
in seguito a
un'apparizione
della Vergine al
santo.

Gli
affreschi
I monasteri dell'Athos custodiscono
un gran numero di
affreschi,
realizzati tra il
XIII e il XVIII
secolo da artisti
che, raccogliendo
una tradizione
andata
precisandosi
attraverso i
secoli, hanno
finito per
produrre uno
schema fisso per
la collocazione
dei soggetti nelle
chiese e nei
refettori. Così,
l'interno della
chiesa è sempre
dominato dalla
figura di Cristo
Pantocrator
(l'Onnipotente),
rappresentato
nella cupola
nell'atto di
benedire, con un
libro nella mano
sinistra e
l'iscrizione Ho On
(Colui che è)
nell'aureola,
circondato dai
profeti o dagli
apostoli.
Sull'arco trionfale si colloca
l'immagine
del'etimasìa
(preparazione),
cioè il trono
vuoto di Cristo,
custodito dagli
angeli nell'attesa
del Giudizio
Universale. Nel
catino dell'abside
viene
rappresentata la
Vergine e al di
sotto, a
simboleggiare la
celebrazione
eucaristica, la
comunione degli
apostoli.
Un posto di grande rilievo è
riservato alla désis
(supplica), cioè
alla
raffigurazione di
Cristo in trono
affiancato dalla
Vergine e da san
Giovanni Battista
nell'atto di
intercedere per il
popolo cristiano:
questa scena si
trova infatti
sopra
l'iconostasi, cioè
al di sopra di
quel tramezzo di
legno intagliato e
dorato, coperto di
immagini sacre,
che in tutte le
chiese di rito
bizantino separa
il vima (ossia
l'area dove si
trovano l'altare e
l'abside,
corrispondente al
presbiterio delle
chiese latine) dal
resto dello spazio
sacro.

Affreschi ornano anche il nartece e
il refettorio dei
monasteri, dove
trovano posto
quelle scene che
non possono essere
inserite nella
decorazione
trionfale e
celestiale delle
chiese: il
Giudizio
Universale e altre
scene desunte
dall'Apocalisse,
con i demoni e i
dannati, o la
"scala del
paradiso" che
rappresenta i
monaci nell'atto
di salire al cielo
su una ripida
scala, resa
simbolica dello
sforzo ascetico
per raggiungere la
contemplazione
pura.
Gli affreschi dell'Athos sono
riferibili a due
scuole: quella
detta
"macedone",
perché ebbe come
centro propulsore
Tessalonica,
affonda le proprie
radici
nell'esigenza di
realismo della
prima Rinascenza
bizantina (secoli
XIII-XIV) e si
caratterizza per
la forte esigenza
di drammaticità e
icasticità; ha
lasciato
sull'Athos i suoi
frutti migliori
nei monasteri di
Vatopédi e
Chilandàri. La
seconda, chiamata
"cretese"
dal suo maggiore
esponente, Teofane
di Creta, si
affermò dopo la
caduta di
Costantinopoli ed
ebbe un ruolo
primario nella
conservazione
della cultura
bizantina.
Si distingue per la sua tendenza
all'idealizzazione
dei soggetti e per
la sua
raffinatezza;
Teofane realizzò
affreschi nella
Grande Lavra
(1535), a
Stavronikìta
(1546) e nella
cappella di San
Giorgio al
monastero Aghìu
Pavlu (1555).

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