Monte Athos
Grecia
 
PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1998

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Il monte Athos (Monte santo, aghion oros) è situato all'estremità della penisola omonima, la più orientale delle tre propaggini della Calcidica che si protende come un tridente nel Mar Egeo. La stretta lingua di terra dominata dalla piramide rocciosa del monte, che con i suoi 2.033 metri di altezza si innalza quasi a picco sul mare, per la sua forma e per la sua posizione attirò l'attenzione dei navigatori fin dai tempi più remoti e fece nascere numerose leggende. 

Secondo la mitologia greca, questi luoghi furono lo scenario dello scontro tra Poseidone, dio del mare, e il gigante Athos, che avrebbe strappato una montagna dal continente e l'avrebbe gettata in mare per schiacciare l'avversario. Descritto da Omero e da Sofocle, citato da Erodoto come teatro di manovre militari durante le guerre persiane e da Plinio come luogo abitato da uomini ultracentenari che si sarebbero nutriti di carne di vipera, il monte Athos è ancor oggi celebre. È infatti il luogo in cui sopravvive il monachesimo bizantino nella sua forma originaria, governato da mille anni con leggi e consuetudini fedelmente preservate da ogni mutamento o contaminazione.

Il monte Athos ospita infatti una sorta di piccola repubblica autonoma isolata dal mondo e governata da regolamenti propri, a partire dalla legge severamente osservata che proibisce l'accesso alle donne, le quali non possono nemmeno sbarcare nel porto di Dafni. Questo divieto risale al 1046, quando l'imperatore bizantino Costantino Monomaco, nello stesso documento in cui concedeva al territorio dell'Athos l'indipendenza amministrativa dall'Impero, ne proibì l'accesso alle donne, alle bambine e anche ai ragazzi dai "visi glabri". 

Oggi, la popolazione monastica del monte Athos è distribuita nei suoi venti monasteri, chiamati monì (il più antico e importante è quello della Grande Lavra, Meghisti Lavra), ciascuno dei quali possiede una parte del territorio della penisola. Ognuno di essi ha la struttura di una vera e propria cittadella, cinta da mura e difesa da una torre, da cui dipendono gli skite, centri monastici privi di mura legati a un monastero al quale pagano un tributo e dal quale sono rappresentati al Consiglio centrale. Ai monì fanno capo altre fondazioni minori: i kellìa, insediamenti monastici di poche case radunate intorno a una chiesa; le kalìve (da kalybe, capanna), dette anche kathismata (luoghi in cui ci si siede), edifici austeri e isolati abitati da pochi religiosi, con una cappella per le preghiere in comune; e le isychastììria, luoghi di quiete, o askitìria, luoghi di ascetismo, cioè abitazioni per gli eremiti che vi risiedono in assoluta solitudine, assistiti dai monasteri solo in caso di bisogno.  

I primi insediamenti religiosi sorsero in questa zona nei secoli VIII e IX, in coincidenza con la persecuzione cui gli imperatori iconoclasti di Bisanzio (in particolare Leone III Isaurico, 717-741, e Leone V l'Armeno, 813-820) sottoposero i sostenitori del culto delle immagini (ikònes), primi fra tutti i monaci. I perseguitati cercarono rifugio nella terra remota e praticamente disabitata del monte Athos per condurre isolatamente la loro vita ascetica. I più noti di questi primi eremiti, di cui peraltro ci sono giunte scarsissime notizie, furono san Pietro l'Athonita e sant'Eutimio il Giovane, le cui figure vennero spesso rappresentate negli affreschi dell'Athos. Fu alla fine del X secolo che, con la fondazione della Lavra a opera di Sant'Atanasio, l'Athos assunse l'organizzazione monastica tuttora conservata, sancita nel 972 dallo statuto d'autonomia concesso dall'imperatore Giovanni I Zimisce.

Nei secoli successivi il potere imperiale di Bisanzio - con la dinastia dei Macedoni prima, dei Comneni e dei Paleologhi poi - continuò a tutelare i privilegi e l'autonomia dei monasteri dell'Athos. Anche quando l'Impero d'Oriente cadde per mano dei Turchi ottomani (1453), i monaci ottennero la conferma della loro autonomia, pur dovendo versare un tributo annuo al sultano. Un periodo buio fu quello che si aprì nel 1821, quando i monaca mostrarono di simpatizzare per i moti d'indipendenza greci; in quell'anno, mentre il patriarca Gregorio V veniva impiccato sulle porte della sua cattedrale a Istanbul, un contingente militare occupò l'Athos portandovi violenza e danni materiali, e vi rimase fino al 1829. Quando nel 1912 la Grecia tolse ai Turchi le province settentrionali, assunse anche la tutela del Monte santo ed emanò nel 1924 la carta statutaria (Katastikòs Chartis) per regolare i diritti dei suoi monasteri, confermando in gran parte la situazione e i privilegi goduti per secoli.

I monasteri sono tutti cinti da mura poderose sorvegliate da una torre, che danno loro l'aspetto di fortezze inespugnabili. Queste strutture rispondono alle necessità difensive dell'inerme popolazione monastica in una zona tanto isolata ed esposta agli assalti e ai saccheggi dei pirati. Varcato l'ingresso, custodito da massicci portoni chiodati, ogni monastero presenta un cortile di forma irregolare al centro del quale si erge la chiesa centrale, il katholikòn, priva di facciata monumentale e sviluppata intorno a una cupola maggiore con un alto tamburo. Intorno al tempio sono distribuite costruzioni con funzioni precise: le strutture militari dell'arsenale e delle muraglie, la fontana sacra o riserva d'acqua (fiali, costituita da un piccolo padiglione circolare o poligonale con una cupoletta sostenuta da esili colonne e decorata all'interno da affreschi), il refettorio (tràpeza, un edificio isolato e spesso totalmente affrescato all'interno), le biblioteche, gli ospedali, le abitazioni dei monaci. Queste ultime sono disposte su più piani, rese accessibili da portici e loggiati sovrapposti e mosse da lunghe balconate sostenute da grandi mensole di legno, caratteristiche dell'edilizia turca, e da graziose cupolette le spuntano sopra i tetti corrispondenti alle cappelle destinate alle preghiere.  

I conventi del monte Athos possono seguire l'ordinamento cenobitico o idioritmico. Nei cenobi, nessuno dispone di denaro o proprietà private, ma tutto (casa, lavoro, preghiera, cibo) è comune; un consiglio di anziani elegge il monaco che esercita il potere esecutivo per tutta la vita, assistito da due o tre consiglieri che si alternano annualmente. Negli idioritmi, invece, si condividono abitazione e preghiera, ma il sostentamento e il lavoro vengono lasciati all'iniziativa individuale; l'organizzazione della comunità è regolata da un'assemblea di eletti a vita, che scelgono due o tre monaci all'anno cui spetta il potere esecutivo. 

In realtà, ogni monastero possiede la propria storia e le proprie peculiarità che si riflettono nelle diverse strutture e forme architettoniche: l'imponenza della Grande Lavra, racchiusa da una poderosa cinta di mura che fu rispettata persino durante l'invasione turca dell'Europa orientale, con il suo katholikòn dominato da una vasta cupola, la sua ricchissima biblioteca e il refettorio decorato sia all'esterno che all'interno da affreschi di Frangos Castellanos; il vivace cromatismo del monastero di Panteleimonos, con le sue cupole a bulbo di color verde in stile ortodosso russo; l'austerità dei monasteri di Stavronikìta, dal profilo simile a una fortezza militare, e di Karakàlu, con la sua imponente torre difensiva. Il pregio dei monasteri dell'Athos è affidato anche al tesoro di icone, affreschi e mosaici bizantini custoditi nelle chiese, nelle cappelle, nei refettori e negli altri edifici, oltre al preziosissimo patrimonio di codici miniati conservati nelle biblioteche e di oggetti di oreficeria e di cesello (reliquiari, incensieri, coperture di evangeliari) raccolti nella stanza del tesoro (skevofylàkion) di ogni cenobio.  

Sant'Anastasio e i primi monasteri 

Il primo monastero dell'Athos, la Grande Lavra, e l'organizzazione complessiva del Monte santo, tuttora in vigore, si devono a Sant'Atanasio (920 ca.-1003). Nato in Turchia, a Trebisonda (l'attuale Trabzon), si era inizialmente ritirato a vita monastica nel monastero di Kyminas in Bitinia, dove aveva stretto amicizia con il futuro imperatore Niceforo Foca. Per evitare di prendere il posto del superiore del monastero, Michele Maleinos, alla sua morte Atanasio si ritirò in incognito, con il nome di Barnaba, sul monte Athos. Qui visse alcuni anni in eremitaggio, ma nel 960 fu scovato da Niceforo che gli chiese di accompagnarlo nella guerra contro i Saraceni che avevano occupato Creta. La spedizione si concluse con una vittoria e Niceforo II Foca, divenuto imperatore (963-969), offrì all'amico Atanasio il denaro per costruire un monastero intitolato alla Vergine Maria. 

Fu così edificato, con l'aiuto degli eremiti che già vivevano sull'Athos, il monastero della Grande Lavra, di cui Atanasio divenne il superiore. Egli scrisse anche la regola (typikòn) del cenobio, allo scopo di organizzarvi la vita interna, ma anche per disciplinare la condotta degli eremiti che risiedevano in celle o capanne fuori di esso. Nel 969, Niceforo, che avrebbe voluto passare gli ultimi anni della sua vita come monaco accanto all'amico Atanasio, fu assassinato nel sonno dal nipote Giovanni I Zimisce con la complicità della moglie di Niceforo, Teofane. Il nuovo imperatore (969-978) fece pubblica professione di pentimento, rinchiuse la complice in un monastero e succedette allo zio sul trono (negli affreschi dell'Athos si trovano spesso dipinti uno accanto all'altro, tra santi e benefattori, lo zio e il nipote, l'assassinato e l'assassino). 

Già prima della morte di Atanasio furono fondati i monasteri di Vatopédi (972), a opera di tre notabili di Adrianopoli; di Dochiarìu (976), da un discepolo di sant'Atanasio; di Ivìron, cioè "degli iberi", nome che indicava i georgiani che lo fondarono intorno al 979; e degli Amalfitani, fondato intorno al 990 dal monaco Leone di Amalfi, fratello del principe di Capua, destinato ad accogliere monaci provenienti dalle città dell'Italia meridionale allora sotto il protettorato bizantino (Capua, Napoli, Benevento, Gaeta) e dalle loro colonie in Oriente. Sant'Atanasìo morì nel 1003, schiacciato da una trave, durante la costruzione della chiesa maggiore; sono tuttora oggetto di grande venerazione la sua tomba, la grotta dove amava ritirarsi per la preghiera e una sorgente che sarebbe sgorgata in seguito a un'apparizione della Vergine al santo.  

Gli affreschi 

I monasteri dell'Athos custodiscono un gran numero di affreschi, realizzati tra il XIII e il XVIII secolo da artisti che, raccogliendo una tradizione andata precisandosi attraverso i secoli, hanno finito per produrre uno schema fisso per la collocazione dei soggetti nelle chiese e nei refettori. Così, l'interno della chiesa è sempre dominato dalla figura di Cristo Pantocrator (l'Onnipotente), rappresentato nella cupola nell'atto di benedire, con un libro nella mano sinistra e l'iscrizione Ho On (Colui che è) nell'aureola, circondato dai profeti o dagli apostoli. 

Sull'arco trionfale si colloca l'immagine del'etimasìa (preparazione), cioè il trono vuoto di Cristo, custodito dagli angeli nell'attesa del Giudizio Universale. Nel catino dell'abside viene rappresentata la Vergine e al di sotto, a simboleggiare la celebrazione eucaristica, la comunione degli apostoli. 

Un posto di grande rilievo è riservato alla désis (supplica), cioè alla raffigurazione di Cristo in trono affiancato dalla Vergine e da san Giovanni Battista nell'atto di intercedere per il popolo cristiano: questa scena si trova infatti sopra l'iconostasi, cioè al di sopra di quel tramezzo di legno intagliato e dorato, coperto di immagini sacre, che in tutte le chiese di rito bizantino separa il vima (ossia l'area dove si trovano l'altare e l'abside, corrispondente al presbiterio delle chiese latine) dal resto dello spazio sacro. 

Affreschi ornano anche il nartece e il refettorio dei monasteri, dove trovano posto quelle scene che non possono essere inserite nella decorazione trionfale e celestiale delle chiese: il Giudizio Universale e altre scene desunte dall'Apocalisse, con i demoni e i dannati, o la "scala del paradiso" che rappresenta i monaci nell'atto di salire al cielo su una ripida scala, resa simbolica dello sforzo ascetico per raggiungere la contemplazione pura. 

Gli affreschi dell'Athos sono riferibili a due scuole: quella detta "macedone", perché ebbe come centro propulsore Tessalonica, affonda le proprie radici nell'esigenza di realismo della prima Rinascenza bizantina (secoli XIII-XIV) e si caratterizza per la forte esigenza di drammaticità e icasticità; ha lasciato sull'Athos i suoi frutti migliori nei monasteri di Vatopédi e Chilandàri. La seconda, chiamata "cretese" dal suo maggiore esponente, Teofane di Creta, si affermò dopo la caduta di Costantinopoli ed ebbe un ruolo primario nella conservazione della cultura bizantina. 

Si distingue per la sua tendenza all'idealizzazione dei soggetti e per la sua raffinatezza; Teofane realizzò affreschi nella Grande Lavra (1535), a Stavronikìta (1546) e nella cappella di San Giorgio al monastero Aghìu Pavlu (1555).

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