MAUSOLEI
- I
sepolcri erano di varia forma: entro
grotte naturali, a sarcofago, a
mausoleo. Il cimitero in generale si
sviluppò sopra e intorno ad una
specie di catacomba di dieci stanze
allineate sui fianchi di un corridoio
senza traccia di sepolture.
Probabilmente i cadaveri erano esposti
imbalsamati.
Quando
più tardi i sepolcri in muratura
furono costruiti sopra il piano e
contro le pareti delle stanze, una di
esse, ornata di pitture, rimase come
cappella.
Intorno
alla metà del sec. V si realizzò in
superficie il primo nucleo del
cimitero, un edificio parte costruito
e parte scavato nella roccia. Esso
comprendeva una sala quadrangolare al
centro, e due ambienti più piccoli ai
lati, uno dei quali destinato al
culto; un altro ambiente verso
occidente faceva da atrio. Il resto
erano tombe: a cassa, a nicchia, in
costruzione, o sotto il pavimento o
entro le pareti.
Il
cimitero si estese poi sulle terrazze
adiacenti; celebre il Mausoleo di
Abradas, dal nome di questo
personaggio inciso su un architrave,
parte in muratura e parte scavato
nella roccia.
Notevole
il mausoleo del villaggio di Belevi
(a nord est di Selçuk), che ripeteva
molto da vicino il mausoleo di
Alicarnasso. Uno zoccolo in grossi
conci, che rivestiva un nucleo interno
tagliato nella roccia, era coronato da
un fregio dorico e sosteneva una cella
contornata da un portico di otto
colonne corinzie per lato.
Sopra
la cornice del portico nel lato di
fronte una serie di leoni affrontati
posti ai lati di vasi; agli angoli, vi
erano coppie di cavalli. Rilievi con
scene di centauromachia e di giochi
agonistici ornavano i lacunari del
portico; manca totalmente la volta.
La camera sepolcrale, ricavata nella
roccia, era preceduta da un vestibolo
con una decorazione a colonne e
architravi ad aggetto o rientranti,
con la rappresentazione, in pittura o
a rilievo, della caduta di Fetonte,
come dall'iscrizione di un frammento
con la menzione delle Eliadi. Il
sarcofago è del tipo a klìne, con un
fregio di sirene e le figure dei
defunti recumbenti.
L'edificio e il sarcofago non furono
mai finiti. Poichè la data del
monumento sembra del IV sec. a.C., si
pensa abbia potuto appartenere a
Mentore di Rodi, comandante dei
mercenari greci di Artaserse III, e
fratello di Memnone, lo sconfitto di
Alessandro alla battaglia del Granico.
Oppure Antioco II di Siria, morto ad
Efeso nel 246 a.C.
NINFEO
DI TRAIANO - Consiste in un bacino
di raccolta oblungo con un pozzo largo
appena 1 metro, corredato su tre lati
da una facciata a nicchie a due piani
di diversa altezza (l'inferiore è più
alto) decorati con statue di cui
furono ancora rinvenuti importanti
resti; nella nicchia centrale della
parete di fondo si trovano ancora
frammenti di una figura colossale,
che, stando all'iscrizione del plinto
rimasto, raffigurerebbe Traiano.
Dalla
titolatura imperiale il Ninfeo
dovrebbe appartenere agli anni tra il
102 e il 114 d. C. Una riparazione
tardo-antica è dimostrata dal
rinvenimento di erme rozzamente
lavorate, che il Miltner ascrive ad un
coronamento ad attico della facciata
decorata. Per la datazione di questo
restauro il terminus post quem è
il terremoto del IV secolo.
STADIO
- Risale
al I o all'inizio del II sec. d.C. e
depredato delle sue pietre dai
bizantini per costruire il castello
sulla collina di Ayasuluk a Selçuk.
Appoggiato
con uno dei lati lunghi ad una
collina, risale certamente nel suo
primo impianto all'età ellenistica,
ma ebbe restauri sotto Nerone e in
periodo bizantino, anche per ospitare
spettacoli di gladiatori e spettacoli
venatori.
MONUMENTO
DI MEMMIO - Giungendo
dalla Via dei Cureti, prima dello
slargo che precede l'ingresso
nell'agorà civile, si incontra una
fontana e l'heroon dedicato a C.
Memmius: personaggio di illustre
famiglia, nipote di Silla e figlio di
un altro C. Memmius che era stato
propretore di Bitinia nel 57 a.C. e
protettore di Catullo e Lucrezio.
Rivolgendosi
a un artista greco, Avianus Evander,
Memmius padre fece erigere questo
monumento al figlio morto
prematuramente fra il 49 e il 46 a.C.
Trattasi
di un'alta struttura a pianta
quadrata, decorata nella parte alta da
rilievi raffiguranti divinità,
personificazioni e personaggi del
ciclo troiano visti come mitici
progenitori, nonchè le immagini del
padre e del nonno del defunto. Della
struttura originale resta ben poco,
aveva 4 facciate e nel IV sec. d.C. vi
fu aggiunta una fontana di piazza.
POSTRIBOLO
- Il
postribolo era largamente usato ad Efeso,
soprattutto dagli stranieri, e siccome
il santuario di Artemide era
famosissimo, tutti vi si recavano in
pellegrinaggio, chiedendo guarigioni e
grazie varie.
Non
essendo moralisti, i Greci non
trovavano discordante il tempio con il
postribolo, per cui accanto al
santuario fiorirono i negozi di
souvenir, un po' come chi va a San
Pietro, trovando nei dintorni molti
negozi di articoli sacri ed immagini
varie della Dea miracolosa, misti a
prodotti più frivoli.
Essendo
molti i visitatori del monumento sacro
molti erano anche gli avventori del
postribolo, ma c'era la legge che
proibiva ai troppo giovani di
usufruire di quel servizio. All'epoca
però non esisteva la carta di identità,
per cui la cosa era stata risolta
attraverso un piede modello scolpito
nel marmo. Si faceva poggiare al
giovine il piede sull'impronta, se il
piede era più piccolo dell'impronta
questi non veniva ammesso ai piaceri
della carne.
Nel
postribolo c'è un affresco
rappresentante una dama discinta e
ammiccante, una statuetta di Priapo
nel pieno delle sue esuberanze
ripescata nel pozzo della magione.
PRITANEO
- L'edificio pubblico dove in
origine era ospitato il primo
magistrato, dove era custodito il
focolare sacro della città e dove
potevano essere accolti ospiti di
particolare riguardo o cittadini
benemeriti. Qui si svolgevano, oltre
alle riunioni del senato, anche
cerimonie, udienze, banchetti.
Subito
dopo si trova una piccola cavea
teatrale interpretabile come odeion.
Questi monumenti furono spogliati nel
III secolo da una ricca dama
cristiana, Scolastica (Scholastikia),
che usò i materiali per la
costruzione di un impianto termale
sulla Via dei Cureti.
Il
Pritaneo fu eretto nel cuore della
città in età augustea come
suggeriscono fonti epigrafiche e
considerazioni stilistiche. L'edificio
è preceduto da un cortile con
colonnato su 3 lati e uno zoccolo
quadrato con bòthros al
centro, ipotizzato dal Miltner quale
base della statua colossale di
Artemide qui rinvenuta; ma il bòthros
fa piuttosto pensare che lo
zoccolo servisse per un altare.
Dietro
il cortile vi è un vestibolo
colonnato dorico (la cui parete di
fondo è coperta d'iscrizioni
riguardanti i Cureti), dal quale si
accede ad una sala quasi quadrata
posta non in asse, con pavimento
lastricato e la base di uno zoccolo al
centro, ai cui angoli interni furono
poste nel III-IV sec. d.C. colonne
cuoriformi con capitelli compositi.
Un'iscrizione rinvenuta nei pressi,
dove è menzionato un certo Artemidoro
che eresse colonne, porta e statue in
onore di ilestia Boulàia,
chiarisce la dedicazione della sala;
questa poteva aver servito per i
conviti dei Pritani ed era cinta a
nord e a ovest da tre piccole stanze
d'incerta destinazione.
La
costruzione subì parecchi mutamenti,
ultimo l'inserimento tra le colonne
della sala, di muretti in mattoni,
forse fondazioni per banchi
sostitutivi di quelli del Bouleutèrion
distrutto nel frattempo. Nel
nucleo di uno zoccolo quasi quadrato
giacente dietro il vestibolo del
Pritaneo, alcune fondazioni in calcare
consentono di riconoscere la pianta di
due naiskoi prostili,
dell'alzato dei quali rimangono scarsi
resti.
Lo
zoccolo poggia su di un'area
lastricata in marmo (m 24 × 26),
delimitata da colonnati ionici, di cui
l'orientale è più alto come per il
peristilio rodio. (Durante la
costruzione della basilica dell'Agorà
avvennero dei mutamenti e in relazione
ad essi sta la posizione eccentrica
del grande podio). Il Miltner ha
interpretato questa costruzione come
Altare di Stato ed ha proposto una
datazione in età ellenistica. Sennonché
la costruzione specificamente romana
del podio, indicherebbe l'inizio del
regime augusteo; sembra in realtà
plausibile collegare all'evento del 29
a.C. un santuario tipicamente
romano-occidentale eretto in una
posizione preminente accanto al
Pritaneo.
LATRINA
DEGLI UOMINI - Struttura
rettangolare con sedili in marmo
scolpiti per far sedere comodamente
gli ospiti.
ARA
- Monumento
celebrativo della dinastia degli
Antonini a forma di ferro di cavallo,
sulla base del modello del Grande
Altare di Pergamo. Noto come l'ara di
Efeso, il suo ciclo figurativo, che
commemora le vittorie di Marco Aurelio
e Lucio Vero sui Prati, è prova
dell'altissimo livello raggiunto dagli
scultori efesini.
Nei
pannelli dell'ara si fondono l'eleganza
classica greca e il realismo preciso e
vibrante del rilievo storico romano.
La raffigurazione verte su l'adozione
di Antonino Pio da parte di Adriano
alla presenza di Marco Aurelio
giovinetto e di Lucio Vero fanciullo.
Nella parte restante il fregio evoca
le spedizioni partiche di Lucio Vero,
con la raffigurazione, soprattutto, di
una grande carica di cavalleria. Vi
sono istoriate pure le
personificazioni delle città
sottomesse, e l'apoteosi
dell'imperatore sul carro di Helios e
dell'imperatrice, assimilata alla Dea,
sul carro di Selene.
ACQUEDOTTO
- Si
sa che venne fatto restaurare da
Augusto. Nella parte settentrionale
del sito si intravedono sul suolo i
resti dell'acquedotto costruito in
terracotta che serviva l'intera città.
Nei pressi dell'agorà superiore, si
possono vedere alcuni elementi che un
tempo facevano parte del complesso
sistema.
ASCLEPION
- L'ospedale
cittadino. Il serpente, simbolo dei
dottori, è scolpito sulla pietra.
BOULEUTERION
- Il
bouleuterion era un edificio che
ospitava il consiglio della polis greca.
Veniva in genere annesso alla
principale piazza cittadina, l'agorà.
L'edificio era generalmente a pianta
quadrata e al suo interno conteneva
sedili su più file, interrotti da
sostegni per il tetto.
I
gradini dei sedili potevano essere
allineati alle pareti, o disposti su
tre lati a π oppure quello di Atene (fine V
sec. a.c.)
a ferro di cavallo.
PORTO
- Augusto
realizzò un nuovo e magnifico
ingresso al porto settentrionale e vi
inserì un monumento votivo marmoreo
in forma di grande tripode, di cui si
vedono ancora i resti della base. Il
monumento fu eretto in onore di Apollo
Aziaco, in quanto, secondo Augusto il
Dio gli aveva consentito di vincere
nella battaglia di Azio. Accanto a
questo, venne inserito anche un
monumento votivo minore.
TEATRO
GRANDE - Era situato nella parte
orientale della città, tra l'agorà
commerciale e le terme del teatro. L'impianto
originale di età ellenistica,
ricavato in una conca naturale del
terreno, benché largamente
trasformato dai Romani, conservò
dell'età precedente la forma della
cavea, che supera il
semicerchio.
La
cavea fu ulteriormente ingrandita
durante il periodo di Claudio e Nerone
fece costruire i primi due ordini di
una nuova della frons scaenae. La
cavea venne completata con Traiano, la
scena con Antonino Pio. Aveva una
capienza di 24.000 spettatori.
La scena aveva, come in ogni teatro
greco, un aspetto particolarmente
complesso e strutturato, si che pur
essendo crollata, è stato possibile
ricostruirla in base ai numerosi
elementi rinvenuti. E' celebre
anche per l'episodio narrato negli
Atti degli Apostoli in cui San Paolo
venne duramente contestato dai
venditori di statuine di Artemide al
grido di "grande è la Diana
degli Efesini".
L'elemento
che subì i maggiori mutamenti fu,
come di solito, la scena: costituita
dapprima da un proscenio basso, con
tre porte e pilastri con mezze colonne
doriche tra esse, e da un muro
retrostante più alto, ricevette poi
la consueta decorazione a tre ordini
sovrapposti: i primi due del tempo di
Nerone, il più alto del principio del
terzo secolo.
ODEION
O TEATRO PICCOLO - Era in grado di
ospitare fino a circa 5.000 persone in
piedi, 1450 seduti. Ha tre aperture
che conducono al podio che è a 1
metro di altezza. A differenza del
teatro maggiore, questo non veniva
usato per spettacoli, bensì per
riunioni di stato.
Fu
costruito nel II sec. d.C. per ordine
del generale P. Vedio Antonio e di sua
moglie Flavia Paiana, due ricchi
cittadini di Efeso del tempo di
Antonino Pio.
CHIESA
DI SAN GIOVANNI E CASA DELLA VERGINE -
All'importanza
che religiosamente e gerarchicamente
la chiesa di Efeso ebbe nel
cristianesimo post-costantiniano e
bizantino corrisponde il valore
artistico e monumentale dei due
maggiori edifici cristiani della città:
la chiesa doppia della Vergine, o
chiesa del Concilio, dove fu tenuta la
grande assise del 431, che fissò il
dogma di Maria come Theotokos, e la
chiesa di S. Giovanni Evangelista.
La
prima, situata nella parte
settentrionale dell'abitato, fra il
porto e la collina del tempio arcaico,
sorse su un edificio antoniniano, di
forma rettangolare allungata (m 265 ×
30), diviso internamente da due file
di colonne e terminato alle estremità
da due sale absidate coperte a cupola:
lo si è chiamato mousèion,
ma a quale uso esso fosse destinato,
se a mercato o a sede di scuole, è
incerto. Distrutto verosimilmente dai
Goti nel 263, fu parzialmente adattato
al culto cristiano in epoca
costantiniana o subito dopo: nella sua
parte occidentale fu ricavata una
chiesa a tre navate (m 74,50 ×
25,70). A nord dell'atrio fu costruito
ex novo un battistero:
circolare all'interno, dodecagono
esternamente, esso era chiuso a sua
volta in un edificio quadrangolare:
aveva quattro ingressi, e, tra l'uno e
l'altro di questi, quattro grandi
nicchie; era coperto da una cupola a
mattoni, sotto la quale si apriva un
giro di finestre.
Questa
prima chiesa, che è appunto quella in
cui fu tenuto il concilio, subì una
prima trasformazione nella seconda metà
del sec. VI, al tempo di un vescovo
Giovanni: nella parte occidentale di
essa fu costruita una seconda chiesa
lunga circa 46 m, pure a tre navate,
absidata, ma, anziché a tetto,
coperta da una cupola impiantata su
quattro grossi pilastri. In tempo
ancora posteriore, VII-VIII sec.,
andata distrutta o danneggiata la
seconda chiesa, una terza ne fu
ricavata in quella parte della prima
che era rimasta ad E della seconda: fu
anche questa un edificio con nartece e
tre navate divise da pilastri;
l'abside fu l'abside della chiesa
primitiva. Adiacenti alle chiese così
succedutesi nel tempo erano
costruzioni di carattere civile,
appartenute verosimilmente alla
residenza del vescovo. Lo scavo del
1956 della Missione Italiana ad Efeso,
ha messo in luce ad E della basilica
costantiniana un edificio termale.
Secondo
la tradizione, San Giovanni
evangelista, nell'ultimo periodo
della sua vita si stabilì su quella collina detta
Ayasoluk, 5 km a
nord dell'antica città di Efeso. Quando il
Signore gli comunicò che la sua
fine era prossima, si scavò una
tomba a forma di croce e si sdraiò
al suo interno. Quando la morte
sopravvenne (Nel 98-99, secondo
S.Girolamo) i suoi discepoli furono
accecati da una luce abbagliante.
Riacquistata la vista scoprirono che
il suo corpo era scomparso ed un
odore dolciastro emanava dalla tomba
vuota. La leggenda racconta inoltre
che la terra con cui fu ricoperto il
suo sepolcro continuasse a muoversi
come sollevata dal respiro del santo
da cui deriverebbe il nome della
collina (sacro respiro=aya soluk).
Le
sue origini infatti risalgono al IV,
se non anche al III sec., quando, al
di sopra di un gruppo di stanze
sotterranee, nelle quali evidentemente
la tradizione venerava il luogo di
deposizione di Giovanni Evangelista,
fu innalzata una memoria quadrata
(di m 18 di lato), coperta
verosimilmente da volta a crociera
impiantata su quattro colonne e con
quattro porte sui lati; in un secondo
momento la porta del lato est fu
sostituita con un'abside.
All'inizio
del sec. V la memoria fu
racchiusa entro un'ampia basilica
cruciforme con la fronte ad ovest. Il
corpo anteriore, preceduto da nartece,
era a tre navate; pure a tre navate
erano i bracci laterali; a cinque
invece il corpo posteriore, terminato
da un'abside. Tale forma di edificio
si collega a quella di altri della
Siria, costruiti come questo intorno
ad un monumento di particolare
importanza per la sua
venerazione.
La
terza fase della chiesa è
rappresentata dalla fabbrica
giustinianea, sorta al di sopra della
seconda, e ispirata alla nuova
architettura che ha la sua maggiore
espressione nella chiesa di S. Sofia e
in quella degli Apostoli di
Costantinopoli, con l'ultima delle
quali la nuova chiesa di Efeso
mostrava notevole affinità nella
pianta e nell'alzato.
Mantenendo
lo stesso orientamento, la nuova
chiesa ebbe anch'essa pianta a croce
latina, ma la memoria,
all'incrocio dei bracci, non fu più
tenuta chiusa nei suoi muri originari:
essa fu completamente aperta e messa
quindi in diretto rapporto con il
resto dell'edificio. Questo era
preceduto da un atrio quadrangolare
con portici a colonne su tre lati; dal
nartece, coperto forse da cupolette,
come il S. Marco di Venezia, cinque
porte immettevano nella chiesa, lunga
m 93 e larga in corrispondenza dei
bracci 62. Nella parte anteriore, su
sei pilastri poggiavano due cupole a
pianta ellittica, corrispondenti a due
campate della navata centrale; quattro
colonne, su ogni lato di ciascuna di
queste campate, dividevano la navata
centrale dalle laterali: alcuni dei
capitelli portano tracce di doratura e
di colore e il monogramma di
Giustiniano e Teodora.
All'interno
la chiesa si articolava in tre
navate, quella centrale più ampia,
intersecate da un transetto, al
centro del quale, prima dell'abside,
è visibile la tomba
dell'evangelista. Il
soffitto della tomba appare rialzato
rispetto al piano del terreno ed era
originariamente ricoperto a mosaico.
Le
colonne presentano un capitello
ionico del tipo a imposta,
costituito da un unico pezzo con il
pulvino su cui l'arco poggia
direttamente, molto diffuso
nell'architettura bizantina. Sui
capitelli si notano i monogrammi di
Giustiniano e Teodora.
Il
battistero a pianta ottagonale che
si trova sul lato settentrionale
della chiesa risale all'edificio
pregiustinianeo e presenta al centro
una vasca circolare entro una pianta
cruciforme a cui si accede per mezzo
di due brevi scalinate lungo i
bracci della croce. Due vasche per
l'acqua completano gli altri due
bracci della croce.
Il
battistero cessò di funzionare dopo
la costruzione della basilica
giustinianea e le acque che vi
affluivano per mezzo di una
canalizzazione furono deviate verso
una fontana di marmo riccamente
scolpita presso la porta.
Accanto
al battistero, addossato
all'estremità settentrionale del
transetto, si trova un ambiente
rettangolare che termina con due
absidi pavimentate a mosaico.
Un'iscrizione sopra la porta
d'ingresso lo identifica come il sekreton,
la sala dove il vescovo sedeva
quando teneva un giudizio. Fu
terminato durante il vescovado di
Giovanni alla fine del VI secolo. Il
sekreton comunica a nord con il Tesoro
(Skeuophylakion), un
ambiente circolare a due piani su
cui si aprono delle stanze angolari
e nicchie nello spessore delle
pareti dove era conservato il tesoro
della basilica.
Porta
della Persecuzione (Porta
dell'Inseguimento) - Nel
VII-VIII sec., la collina dove
sorgeva la chiesa fu fortificata per
difendere gli abitanti dalle
incursioni arabe. Questa porta,
inserita tra due torrioni, ne
costituiva l'ingresso dal lato
meridionale; il dispositivo di
accesso prevedeva due porte, una
interna e l'altra esterna, non in
asse tra loro che si aprivano su una
doppia cinta muraria.
La
porta fu in parte costruita - probabilmente
nell'VIII secolo quando Efeso, durante
il regno di Leone III (717-741),
divenne il capoluogo del thema dei
Thrakesion e le sue fortificazioni
furono rinforzate - con
materiali di reimpiego provenienti
soprattutto dallo stadio di Efeso.
Fu chiamata Porta della
persecuzione da due francesi
– il conte di
Choiseul-Goffier, ambasciatore
presso la Sublime Porta nel XVIII
secolo e Chandler - che
interpretarono un bassorilievo di
età romana (databile al secondo
quarto del III secolo) inserito
nell'architrave e raffigurante
l'inseguimento di Ettore da parte di
Achille come una scena di
persecuzione dei primi cristiani
massacrati nel teatro di Efeso.
La
caverna dei sette dormienti
- Nei
pressi di Efeso si trova una caverna,
detta dei sette
dormienti, al centro di una
vicenda leggendaria comune sia alla
tradizione cristiana che a quella musulmana,
citata sia nella Legenda
Aurea che nella diciottesima sura
del Corano,
la "sura della caverna".
Il
racconto dei sette dormienti di Efeso
giunge a noi grazie a Gregorio di
Tours che apprese della storia da
un’omelia di Giacomo di Sarug, ma
anche grazie a Jacopo di Varazze
e alla sua Legenda Aurea e
a Paolo diacono e alla sua Historia
Longobardorum. La storia dei
sette dormienti di Efeso era tuttavia
già nota da almeno un secolo nel
Medio Oriente, come testimoniato da
antichi manoscritti in greco, latino,
siriaco, aramaico e copto. La prima
narrazione greca è ascritta a Simeone
Metafraste (X secolo) che scrisse una Vita
dei Santi e collocò la
festa dei Sette nel mese di luglio. In
Russia la leggenda fu conosciuta
all’inizio del XII secolo, quando
l’igumeno Daniil tornò dopo aver
veduto le reliquie dei Sette in Terra
Santa.
La
tradizione cristiana e queste versioni
narrano che verso il 250
l’Imperatore Decio, implacabile
persecutore dei cristiani, che
visitava la città di Efeso condannò
per la loro fede sette giovani
cristiani: Massimiano, Malco,
Marciano, Dionisio, Giovanni,
Serapione e Costantino. Ai sette però
venne dato tempo fino al ritorno
dell’imperatore per ravvedersi e
sacrificare agli dei ed evitare quindi
la pena capitale.
I sette giovani per
non apostatare vendettero i loro beni
e si rifugiarono in una grotta del
monte Celion. Al suo ritorno Decio
seppe della fuga e della latitanza sul
monte Celion e comandò che
l’ingresso della grotta, dove si
rifugiavano i sette fratelli, fosse
murata per lasciarli morire di fame e
di stenti. Ai sette giovani non restò
che stendersi a terra e addormentarsi
per attendere la morte. Ma il sonno
che li colse era miracoloso e i
giovani si risvegliarono quasi due
secoli dopo quando regnante
l’imperatore Teodosio II, Efeso era
una delle più grandi città
cristiane.
Il giovane Malco che era
sceso ad Efeso per comprare del pane
svelò la presenza dei fratelli
pagando con delle monete che
riportavano l’effige
dell’imperatore Decio; in breve
Efeso fu in subbuglio e così il
Vescovo e i suoi concittadini corsero
sul monte Celion per verificare
l’accaduto, e accertato il miracolo
ascoltarono la testimonianza sulla
resurrezione dei sette fratelli che
subito dopo tornarono al loro sonno.
L’imperatore Teodosio II si avvalse
di questa miracolosa testimonianza per
combattere gli eretici che negavano la
resurrezione e dispose personalmente
che i sette dormienti venissero
sepolti con tutti gli onori.
La
storia dei Sette dormienti di Efeso
per secoli ha segnato la fede
cristiana e ha colpito la
fantasia popolare e quella di numerosi
scrittori. Può questa vicenda
miracolosa dire ancora qualcosa agli
uomini del XXI secolo? La risposta è
senza dubbio “sì”, anche gli
uomini di questo nostro tempo con le
loro certezze scientifiche e la loro
vita “di corsa” che riduce le ore
di sonno possono imparare qualcosa dal
sonno miracoloso dei sette fratelli di
Efeso.
Il
racconto dei sette dormienti di Efeso
è un modo di riportare al centro
della vita degli uomini l’evento
cosmico della Resurrezione del Cristo
e la verità di fede della
resurrezione dei morti nell’ultimo
giorno. Tutta la simbologia del
racconto riconduce al tema della
Resurrezione: Efeso è la città dove
si addormenta e compie il suo beato
transito la Madre di Dio
ma è anche la città dove si
addormentano nel Signore il beato
apostolo Giovanni e Maria Maddalena,
primi testimoni della Resurrezione.
I
credenti non muoiono ma si
addormentano nel Signore in attesa di
essere restituiti alla vita nel giorno
della gloriosa Parousia del Risorto;
come il Risorto i credenti
sconfiggeranno definitivamente la
morte e ciò è ben simbolizzato dai
dormienti di Efeso che riemergono
dalle viscere del monte Celion proprio
come Giona dal ventre della balena,
simboli entrambi della discesa agli
inferi del Cristo: "Un tempo la terra
teneva noi tutti inghiottiti nelle
profondità degli inferi; per questo
il Signore nostro non è sceso solo
fino alla terra, ma fino nelle
profondità della terra,
e là ci ha trovati inghiottiti e
seduti nell’ombra della morte; e tirandoci fuori ci prepara
un posto, non sulla terra, per timore
che siamo ancora inghiottiti, ma ci
prepara un posto nel regno dei cieli".
Non
è, infine, un caso che i fratelli di
Efeso siano sette. Sette nella
Scrittura è simbolo della perfezione
di Dio, della pienezza, della
completezza: c’è dunque un progetto
di salvezza universale per tutti gli
uomini di ogni luogo ma anche di ogni
tempo.
Secondo
la versione di Gregorio di Tours
Massimiano, uno dei sette dormienti,
così si rivolse all’imperatore
Teodosio II: "Credici, è per
causa tua che il Signore ci ha
resuscitati proprio alla vigilia della
festa della Resurrezione, e credi che
la resurrezione dei morti è una verità.
In verità noi siamo risorti e
viviamo, e come un bambino sta
nell'utero della madre senza sentire
urti, cosi anche noi fummo vivi,
giacendo addormentati, senza sentire
alcuno stimolo". Sì, i sette
dormienti di Efeso ci rammentano che
la resurrezione dei morti è una verità
di fede, a dire il vero troppo spesso
dimenticata, e fanno risuonare ancora
oggi il Kerygma per gli uomini dei
nostri tempi: "ricordati che Gesù
Cristo, della stirpe di Davide, è
risuscitato dai morti, secondo il mio
vangelo".
MUSEO
- È stato aperto nel 1964 nel villaggio
di Selçuk e contiene i rinvenimenti
degli ultimi 15 anni di scavi. Di
primaria importanza le tre statue di
Artemide Efesia, di cui una colossale
colla notevole composizione della
testa; da notare inoltre le sculture
dei Ninfei di Traiano e di Pollione, e
dello hydrekdochion di
Lecanio Basso, nonché le sculture e
pitture delle case a terrazze sulla
strada dei Cureti. Infine, gli
originali delle lastre che compongono
il fregio del tempio di Adriano e
rinvenimenti ceramici nelle vetrine.
Il
museo costruito nel 1929 come semplice
deposito per gli scavi, visto il
flusso di visitatori, è stato poi
opportunamente ampliato e strutturato
per raccoglie le opere trovate negli
scavi non in ordine cronologico ma in
gruppi secondo il luogo di
ritrovamenti. È costituito da 10
saloni:
-
Reperti
delle case
-
Reperti
delle fontane
-
Nuovi
reperti
-
Numismatica
e preziosi
-
Tesoro
di Tulum
-
Tesoro
di Ayasuluk
-
Giardino
-
Reperti
di tombe
-
Sala
di Artemisia
-
Sala
del culto degli imperatori.
Il
mito di Artemide
Le più
antiche rappresentazioni di Artemide
in età arcaica la ritraggono come
"Potnia Theron" (La Signora
delle belve): una dea alata che tiene
in mano un cervo e un leopardo,
oppure un leone e un
leopardo.
Poi venne
ritratta come vergine cacciatrice, con
una gonna corta sopra al ginocchio, un
seno scoperto, gli stivali da caccia,
la faretra con le frecce d'argento e
un arco. Spesso è ritratta mentre sta
scoccando una freccia e insieme a lei
vi sono o un cane o un cervo.
Vi sono rappresentazioni di Artemide
vista anche come Dea delle danze delle
fanciulle, e in questo caso tiene in
mano una lira, oppure come Dea
della luce mentre stringe in mano due
torce accese e fiammeggianti. Solo più
tardi Artemide porta la corona lunare,
anche se da sempre fu la Dea Luna.
Ad Efeso Artemide fu adorata
soprattutto come Dea della fertilità,
come madre Natura che nutre tutte le
creature senzienti. I Carii
furono adoratori di quella Artemide
Caria, che nel suolo romano divenne
Diana Caria, un tempo associata ai
Misteri del Noce sacro.
Le sue sacerdotesse furono maghe e
guaritrici, e come simbolo avevano il
frutto del noce, che tanto somigliava
nell'aspetto al cervello umano.
Poiché le sacerdotesse danzavano
intorno al noce sacro, e poiché
presso Benevento, nel suolo italico,
resistette a lungo il culto di Diana
Caria, nacque la leggenda delle
streghe e del Sabba.
L'antica Artemide fu Dea della luna,
della caccia e degli inferi, pertanto
del cielo, della terra e dell'aldilà.
Poi
prevalse ad Efeso il suo aspetto di
Madre Terra, di Madre Natura, la
plurimammellata, colei che nutre col
suo latte tutti gli esseri viventi.
"Artemide
era adorata e celebrata allo stesso
modo in quasi tutte le zone della Grecia,
ma i più importanti luoghi di culto a
lei dedicati si trovavano a Delo (sua
isola natale), Braurone, Munichia e
a Sparta.
Le fanciulle ateniesi di
età compresa tra i cinque e
dieci anni venivano mandate al
santuario di Artemide a Braurone per
servire la dea per un anno: durante
questo periodo le ragazze erano
conosciute come "arktoi" (orsette)."
Una
leggenda spiega le ragioni di questo
periodo di servitù narrando che un
orso aveva preso l'abitudine di
entrare nella cittadina di Braurone e
la gente aveva cominciato a nutrirlo,
in modo che in breve tempo l'animale
era diventato docile e addomesticato.
Una giovinetta prese a infastidire
l'orso che, secondo una versione la
uccise, secondo un'altra le strappò
gli occhi. A ogni modo il fratello
della ragazza uccise l'orso, Artemide
andò per questo in collera e pretese
che le ragazze prendessero il posto
dell'orso nel suo santuario come
riparazione per la morte dell'animale.
Naturalmente è pura invenzione, vero
invece è che Artemide era Arktoi, la
Dea Orsa, da cui discese poi il re
orso, ovvero Artoi, Artù. Pertanto le
fanciulle erano le novizie delle
sacerdotesse, che venivano ammesse al
tempio per un anno per conoscerne le
tendenze al sacerdozio. Le Orse
venivano poi rimandate a casa e solo
successivamente si sceglievano quelle
che meglio stavano presso il tiaso
delle sacerdotesse, quelle che non
avrebbero sofferto troppo per essersi
allontanate da casa.
Le prescelte si dedicavano poi ad
Artemide Brauronia, dove tra l'altro
si celebrava la prostituzione sacra.
Si racconta che i suoi sacerdoti
dovevano evirarsi perché Artemide era
vergine. Non è così.
La verginità di Artemide era di colei
che non è sottomessa all'uomo, non di
colei che si astiene. Anche la sua
corrispondente Diana era vergine
eppure nel santuario del lago di
Nemi nel Lazio, le sacerdotesse
praticavano la prostituzione sacra,
bagnandosi ritualmente ogni anno per
tornare vergini.
Nel
mese artemisio a Efeso si tenevano le
Efesie, feste notturne in onore di
Artemide. Notturne in quanto si
rifacevano al lato notturno della Dea.
Le feste Efesie erano feste pubbliche
e private.
Le
pubbliche, dette anche Efesie o
efesiache o Artemisie, venivano
celebrate pubblicamente in primavera
in onore di Artemide. Venivano
compiuti sacrifici e si indicevano
giochi, danze e concorsi letterari.
Le Efesie avevano un carattere
misterico e magico, tanto è vero che
le cosiddette lettere Efesie erano
formule magiche che venivano incise su
amuleti e che servivano a tenere
lontane le malattie. Venivano così
chiamate perché sarebbero state
incise per la prima volta sul
piedistallo della statua di Artemide a
Efeso.
Le
Efesie private invece si svolgevano
nei templi e nei tiasi (monasteri),
ristrette alle sole sacerdotesse e i
loro adepti. Qui si svolgeva la
vera magia cerimoniale.
Le
Efesie avevano un carattere orgiastico
e vi prendevano parte uomini, donne
non maritate e schiave. Questo fa
capire che l'essere proibito alle
maritate riguardava oltre alla fedeltà,
il timore di rimanere incinte e
portare figli altrui al consorte. Le
non maritate invece potevano
partecipare, perché alle donne
efesine non era richiesta la verginità,
come del resto non era richiesta alle
donne di Sparta. Fu Atene a
trasformare le donne in prigioniere
dei mariti.
L'invenzione delle Efesie fu
attribuita ai Dattili Idei e che si
diceva possedessero effetti magici.
Per questo i simboli delle Efesie
venivano incisi su amuleti da portare
indosso.
Secondo la tradizione i Dattili,
cinque maschi e cinque femmine, maghi
e fabbri, erano al servizio della Gran
Madre degli Dei, ed abitavano sul
Monte Ida, a Creta, dove Rea, presa
dalle doglie, avrebbe premuto le mani
sul suolo del monte, dal quale
sarebbero emersi i dieci Dattili che
l'avrebbero assistita nel parto.
Sicuramente i Dattili erano esseri tra
il sacerdotale e il mitico,
appartenenti alla cultura più antica.
I maschi sarebbero stati i fabbri e le
sacerdotesse le maghe. Probabilmente
le armi venivano rese magiche
attraverso riti e glife incise sul
metallo.
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