Efeso
Turchia

 PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 2015

MAUSOLEI - I sepolcri erano di varia forma: entro grotte naturali, a sarcofago, a mausoleo. Il cimitero in generale si sviluppò sopra e intorno ad una specie di catacomba di dieci stanze allineate sui fianchi di un corridoio senza traccia di sepolture. Probabilmente i cadaveri erano esposti imbalsamati. 

Quando più tardi i sepolcri in muratura furono costruiti sopra il piano e contro le pareti delle stanze, una di esse, ornata di pitture, rimase come cappella. 

Intorno alla metà del sec. V si realizzò in superficie il primo nucleo del cimitero, un edificio parte costruito e parte scavato nella roccia. Esso comprendeva una sala quadrangolare al centro, e due ambienti più piccoli ai lati, uno dei quali destinato al culto; un altro ambiente verso occidente faceva da atrio. Il resto erano tombe: a cassa, a nicchia, in costruzione, o sotto il pavimento o entro le pareti. 

Il cimitero si estese poi sulle terrazze adiacenti; celebre il Mausoleo di Abradas, dal nome di questo personaggio inciso su un architrave, parte in muratura e parte scavato nella roccia.

Notevole il mausoleo del villaggio di Belevi (a nord est di Selçuk), che ripeteva molto da vicino il mausoleo di Alicarnasso. Uno zoccolo in grossi conci, che rivestiva un nucleo interno tagliato nella roccia, era coronato da un fregio dorico e sosteneva una cella contornata da un portico di otto colonne corinzie per lato.

Sopra la cornice del portico nel lato di fronte una serie di leoni affrontati posti ai lati di vasi; agli angoli, vi erano coppie di cavalli. Rilievi con scene di centauromachia e di giochi agonistici ornavano i lacunari del portico; manca totalmente la volta.

La camera sepolcrale, ricavata nella roccia, era preceduta da un vestibolo con una decorazione  a colonne e architravi ad aggetto o rientranti, con la rappresentazione, in pittura o a rilievo, della caduta di Fetonte, come dall'iscrizione di un frammento con la menzione delle Eliadi. Il sarcofago è del tipo a klìne, con un fregio di sirene e le figure dei defunti recumbenti.

L'edificio e il sarcofago non furono mai finiti. Poichè la data del monumento sembra del IV sec. a.C., si pensa abbia potuto appartenere a Mentore di Rodi, comandante dei mercenari greci di Artaserse III, e fratello di Memnone, lo sconfitto di Alessandro alla battaglia del Granico. Oppure Antioco II di Siria, morto ad Efeso nel 246 a.C.

NINFEO DI TRAIANO - Consiste in un bacino di raccolta oblungo con un pozzo largo appena 1 metro, corredato su tre lati da una facciata a nicchie a due piani di diversa altezza (l'inferiore è più alto) decorati con statue di cui furono ancora rinvenuti importanti resti; nella nicchia centrale della parete di fondo si trovano ancora frammenti di una figura colossale, che, stando all'iscrizione del plinto rimasto, raffigurerebbe Traiano. 

Dalla titolatura imperiale il Ninfeo dovrebbe appartenere agli anni tra il 102 e il 114 d. C. Una riparazione tardo-antica è dimostrata dal rinvenimento di erme rozzamente lavorate, che il Miltner ascrive ad un coronamento ad attico della facciata decorata. Per la datazione di questo restauro il terminus post quem è il terremoto del IV secolo.

STADIO - Risale al I o all'inizio del II sec. d.C. e depredato delle sue pietre dai bizantini per costruire il castello sulla collina di Ayasuluk a Selçuk. 

Appoggiato con uno dei lati lunghi ad una collina, risale certamente nel suo primo impianto all'età ellenistica, ma ebbe restauri sotto Nerone e in periodo bizantino, anche per ospitare spettacoli di gladiatori e spettacoli venatori.

MONUMENTO DI MEMMIO - Giungendo dalla Via dei Cureti, prima dello slargo che precede l'ingresso nell'agorà civile, si incontra una fontana e l'heroon dedicato a C. Memmius: personaggio di illustre famiglia, nipote di Silla e figlio di un altro C. Memmius che era stato propretore di Bitinia nel 57 a.C. e protettore di Catullo e Lucrezio. Rivolgendosi a un artista greco, Avianus Evander, Memmius padre fece erigere questo monumento al figlio morto prematuramente fra il 49 e il 46 a.C. 

Trattasi di un'alta struttura a pianta quadrata, decorata nella parte alta da rilievi raffiguranti divinità, personificazioni e personaggi del ciclo troiano visti come mitici progenitori, nonchè le immagini del padre e del nonno del defunto. Della struttura originale resta ben poco, aveva 4 facciate e nel IV sec. d.C. vi fu aggiunta una fontana di piazza.

POSTRIBOLO - Il postribolo era largamente usato ad Efeso, soprattutto dagli stranieri, e siccome il santuario di Artemide era famosissimo, tutti vi si recavano in pellegrinaggio, chiedendo guarigioni e grazie varie.

Non essendo moralisti, i Greci non trovavano discordante il tempio con il postribolo, per cui accanto al santuario fiorirono i negozi di souvenir, un po' come chi va a San Pietro, trovando nei dintorni molti negozi di articoli sacri ed immagini varie della Dea miracolosa, misti a prodotti più frivoli. 

Essendo molti i visitatori del monumento sacro molti erano anche gli avventori del postribolo, ma c'era la legge che proibiva ai troppo giovani di usufruire di quel servizio. All'epoca però non esisteva la carta di identità, per cui la cosa era stata risolta attraverso un piede modello scolpito nel marmo. Si faceva poggiare al giovine il piede sull'impronta, se il piede era più piccolo dell'impronta questi non veniva ammesso ai piaceri della carne.

Nel postribolo c'è un affresco rappresentante una dama discinta e ammiccante, una statuetta di Priapo nel pieno delle sue esuberanze ripescata nel pozzo della magione.

PRITANEO - L'edificio pubblico dove in origine era ospitato il primo magistrato, dove era custodito il focolare sacro della città e dove potevano essere accolti ospiti di particolare riguardo o cittadini benemeriti. Qui si svolgevano, oltre alle riunioni del senato, anche cerimonie, udienze, banchetti. 

Subito dopo si trova una piccola cavea teatrale interpretabile come odeion. Questi monumenti furono spogliati nel III secolo da una ricca dama cristiana, Scolastica (Scholastikia), che usò i materiali per la costruzione di un impianto termale sulla Via dei Cureti.

Il Pritaneo fu eretto nel cuore della città in età augustea come suggeriscono fonti epigrafiche e considerazioni stilistiche. L'edificio è preceduto da un cortile con colonnato su 3 lati e uno zoccolo quadrato con bòthros al centro, ipotizzato dal Miltner quale base della statua colossale di Artemide qui rinvenuta; ma il bòthros fa piuttosto pensare che lo zoccolo servisse per un altare. 

Dietro il cortile vi è un vestibolo colonnato dorico (la cui parete di fondo è coperta d'iscrizioni riguardanti i Cureti), dal quale si accede ad una sala quasi quadrata posta non in asse, con pavimento lastricato e la base di uno zoccolo al centro, ai cui angoli interni furono poste nel III-IV sec. d.C. colonne cuoriformi con capitelli compositi. Un'iscrizione rinvenuta nei pressi, dove è menzionato un certo Artemidoro che eresse colonne, porta e statue in onore di ilestia Boulàia, chiarisce la dedicazione della sala; questa poteva aver servito per i conviti dei Pritani ed era cinta a nord e a ovest da tre piccole stanze d'incerta destinazione. 

La costruzione subì parecchi mutamenti, ultimo l'inserimento tra le colonne della sala, di muretti in mattoni, forse fondazioni per banchi sostitutivi di quelli del Bouleutèrion distrutto nel frattempo. Nel nucleo di uno zoccolo quasi quadrato giacente dietro il vestibolo del Pritaneo, alcune fondazioni in calcare consentono di riconoscere la pianta di due naiskoi prostili, dell'alzato dei quali rimangono scarsi resti. 

Lo zoccolo poggia su di un'area lastricata in marmo (m 24 × 26), delimitata da colonnati ionici, di cui l'orientale è più alto come per il peristilio rodio. (Durante la costruzione della basilica dell'Agorà avvennero dei mutamenti e in relazione ad essi sta la posizione eccentrica del grande podio). Il Miltner ha interpretato questa costruzione come Altare di Stato ed ha proposto una datazione in età ellenistica. Sennonché la costruzione specificamente romana del podio, indicherebbe l'inizio del regime augusteo; sembra in realtà plausibile collegare all'evento del 29 a.C. un santuario tipicamente romano-occidentale eretto in una posizione preminente accanto al Pritaneo.

LATRINA DEGLI UOMINI - Struttura rettangolare con sedili in marmo scolpiti per far sedere comodamente gli ospiti.

ARA - Monumento celebrativo della dinastia degli Antonini a forma di ferro di cavallo, sulla base del modello del Grande Altare di Pergamo. Noto come l'ara di Efeso, il suo ciclo figurativo, che commemora le vittorie di Marco Aurelio e Lucio Vero sui Prati, è prova dell'altissimo livello raggiunto dagli scultori efesini.

Nei pannelli dell'ara si fondono l'eleganza classica greca e il realismo preciso e vibrante del rilievo storico romano. La raffigurazione verte su l'adozione di Antonino Pio da parte di Adriano alla presenza di Marco Aurelio giovinetto e di Lucio Vero fanciullo. Nella parte restante il fregio evoca le spedizioni partiche di Lucio Vero, con la raffigurazione, soprattutto, di una grande carica di cavalleria. Vi sono istoriate pure le personificazioni delle città sottomesse, e l'apoteosi dell'imperatore sul carro di Helios e dell'imperatrice, assimilata alla Dea, sul carro di Selene.

ACQUEDOTTO - Si sa che venne fatto restaurare da Augusto. Nella parte settentrionale del sito si intravedono sul suolo i resti dell'acquedotto costruito in terracotta che serviva l'intera città.

Nei pressi dell'agorà superiore, si possono vedere alcuni elementi che un tempo facevano parte del complesso sistema.

ASCLEPION - L'ospedale cittadino. Il serpente, simbolo dei dottori, è scolpito sulla pietra.

BOULEUTERION - Il bouleuterion era un edificio che ospitava il consiglio della polis greca. Veniva in genere annesso alla principale piazza cittadina, l'agorà. L'edificio era generalmente a pianta quadrata e al suo interno conteneva sedili su più file, interrotti da sostegni per il tetto.

I gradini dei sedili potevano essere allineati alle pareti, o disposti su tre lati a Ï€ oppure quello di Atene (fine V sec. a.c.) a ferro di cavallo.

PORTO - Augusto realizzò un nuovo e magnifico ingresso al porto settentrionale e vi inserì un monumento votivo marmoreo in forma di grande tripode, di cui si vedono ancora i resti della base. Il monumento fu eretto in onore di Apollo Aziaco, in quanto, secondo Augusto il Dio gli aveva consentito di vincere nella battaglia di Azio. Accanto a questo, venne inserito anche un monumento votivo minore.

TEATRO GRANDE - Era situato nella parte orientale della città, tra l'agorà commerciale e le terme del teatro. L'impianto originale di età ellenistica, ricavato in una conca naturale del terreno, benché largamente trasformato dai Romani, conservò dell'età precedente la forma della cavea, che supera il semicerchio. 

La cavea fu ulteriormente ingrandita durante il periodo di Claudio e Nerone fece costruire i primi due ordini di una nuova della frons scaenae. La cavea venne completata con Traiano, la scena con Antonino Pio. Aveva una capienza di 24.000 spettatori.

La scena aveva, come in ogni teatro greco, un aspetto particolarmente complesso e strutturato, si che pur essendo crollata, è stato possibile ricostruirla in base ai numerosi elementi rinvenuti. E' celebre anche per l'episodio narrato negli Atti degli Apostoli in cui San Paolo venne duramente contestato dai venditori di statuine di Artemide al grido di "grande è la Diana degli Efesini".

L'elemento che subì i maggiori mutamenti fu, come di solito, la scena: costituita dapprima da un proscenio basso, con tre porte e pilastri con mezze colonne doriche tra esse, e da un muro retrostante più alto, ricevette poi la consueta decorazione a tre ordini sovrapposti: i primi due del tempo di Nerone, il più alto del principio del terzo secolo. 

ODEION O TEATRO PICCOLO - Era in grado di ospitare fino a circa 5.000 persone in piedi, 1450 seduti. Ha tre aperture che conducono al podio che è a 1 metro di altezza. A differenza del teatro maggiore, questo non veniva usato per spettacoli, bensì per riunioni di stato. 

Fu costruito nel II sec. d.C. per ordine del generale P. Vedio Antonio e di sua moglie Flavia Paiana, due ricchi cittadini di Efeso del tempo di Antonino Pio.

CHIESA DI SAN GIOVANNI E CASA DELLA VERGINE - All'importanza che religiosamente e gerarchicamente la chiesa di Efeso ebbe nel cristianesimo post-costantiniano e bizantino corrisponde il valore artistico e monumentale dei due maggiori edifici cristiani della città: la chiesa doppia della Vergine, o chiesa del Concilio, dove fu tenuta la grande assise del 431, che fissò il dogma di Maria come Theotokos, e la chiesa di S. Giovanni Evangelista.

La prima, situata nella parte settentrionale dell'abitato, fra il porto e la collina del tempio arcaico, sorse su un edificio antoniniano, di forma rettangolare allungata (m 265 × 30), diviso internamente da due file di colonne e terminato alle estremità da due sale absidate coperte a cupola: lo si è chiamato mousèion, ma a quale uso esso fosse destinato, se a mercato o a sede di scuole, è incerto. Distrutto verosimilmente dai Goti nel 263, fu parzialmente adattato al culto cristiano in epoca costantiniana o subito dopo: nella sua parte occidentale fu ricavata una chiesa a tre navate (m 74,50 × 25,70). A nord dell'atrio fu costruito ex novo un battistero: circolare all'interno, dodecagono esternamente, esso era chiuso a sua volta in un edificio quadrangolare: aveva quattro ingressi, e, tra l'uno e l'altro di questi, quattro grandi nicchie; era coperto da una cupola a mattoni, sotto la quale si apriva un giro di finestre. 

Questa prima chiesa, che è appunto quella in cui fu tenuto il concilio, subì una prima trasformazione nella seconda metà del sec. VI, al tempo di un vescovo Giovanni: nella parte occidentale di essa fu costruita una seconda chiesa lunga circa 46 m, pure a tre navate, absidata, ma, anziché a tetto, coperta da una cupola impiantata su quattro grossi pilastri. In tempo ancora posteriore, VII-VIII sec., andata distrutta o danneggiata la seconda chiesa, una terza ne fu ricavata in quella parte della prima che era rimasta ad E della seconda: fu anche questa un edificio con nartece e tre navate divise da pilastri; l'abside fu l'abside della chiesa primitiva. Adiacenti alle chiese così succedutesi nel tempo erano costruzioni di carattere civile, appartenute verosimilmente alla residenza del vescovo. Lo scavo del 1956 della Missione Italiana ad Efeso, ha messo in luce ad E della basilica costantiniana un edificio termale.

Secondo la tradizione, San Giovanni evangelista, nell'ultimo periodo della sua vita si stabilì su quella collina detta Ayasoluk, 5 km a nord dell'antica città di Efeso. Quando il Signore gli comunicò che la sua fine era prossima, si scavò una tomba a forma di croce e si sdraiò al suo interno. Quando la morte sopravvenne (Nel 98-99, secondo S.Girolamo) i suoi discepoli furono accecati da una luce abbagliante. Riacquistata la vista scoprirono che il suo corpo era scomparso ed un odore dolciastro emanava dalla tomba vuota. La leggenda racconta inoltre che la terra con cui fu ricoperto il suo sepolcro continuasse a muoversi come sollevata dal respiro del santo da cui deriverebbe il nome della collina (sacro respiro=aya soluk).

Le sue origini infatti risalgono al IV, se non anche al III sec., quando, al di sopra di un gruppo di stanze sotterranee, nelle quali evidentemente la tradizione venerava il luogo di deposizione di Giovanni Evangelista, fu innalzata una memoria quadrata (di m 18 di lato), coperta verosimilmente da volta a crociera impiantata su quattro colonne e con quattro porte sui lati; in un secondo momento la porta del lato est fu sostituita con un'abside. 

All'inizio del sec. V la memoria fu racchiusa entro un'ampia basilica cruciforme con la fronte ad ovest. Il corpo anteriore, preceduto da nartece, era a tre navate; pure a tre navate erano i bracci laterali; a cinque invece il corpo posteriore, terminato da un'abside. Tale forma di edificio si collega a quella di altri della Siria, costruiti come questo intorno ad un monumento di particolare importanza per la sua venerazione. 

La terza fase della chiesa è rappresentata dalla fabbrica giustinianea, sorta al di sopra della seconda, e ispirata alla nuova architettura che ha la sua maggiore espressione nella chiesa di S. Sofia e in quella degli Apostoli di Costantinopoli, con l'ultima delle quali la nuova chiesa di Efeso mostrava notevole affinità nella pianta e nell'alzato. 

Mantenendo lo stesso orientamento, la nuova chiesa ebbe anch'essa pianta a croce latina, ma la memoria, all'incrocio dei bracci, non fu più tenuta chiusa nei suoi muri originari: essa fu completamente aperta e messa quindi in diretto rapporto con il resto dell'edificio. Questo era preceduto da un atrio quadrangolare con portici a colonne su tre lati; dal nartece, coperto forse da cupolette, come il S. Marco di Venezia, cinque porte immettevano nella chiesa, lunga m 93 e larga in corrispondenza dei bracci 62. Nella parte anteriore, su sei pilastri poggiavano due cupole a pianta ellittica, corrispondenti a due campate della navata centrale; quattro colonne, su ogni lato di ciascuna di queste campate, dividevano la navata centrale dalle laterali: alcuni dei capitelli portano tracce di doratura e di colore e il monogramma di Giustiniano e Teodora. 

All'interno la chiesa si articolava in tre navate, quella centrale più ampia, intersecate da un transetto, al centro del quale, prima dell'abside, è visibile la tomba dell'evangelista. Il soffitto della tomba appare rialzato rispetto al piano del terreno ed era originariamente ricoperto a mosaico.

Le colonne presentano un capitello ionico del tipo a imposta, costituito da un unico pezzo con il pulvino su cui l'arco poggia direttamente, molto diffuso nell'architettura bizantina. Sui capitelli si notano i monogrammi di Giustiniano e Teodora.

Il battistero a pianta ottagonale che si trova sul lato settentrionale della chiesa risale all'edificio pregiustinianeo e presenta al centro una vasca circolare entro una pianta cruciforme a cui si accede per mezzo di due brevi scalinate lungo i bracci della croce. Due vasche per l'acqua completano gli altri due bracci della croce.

Il battistero cessò di funzionare dopo la costruzione della basilica giustinianea e le acque che vi affluivano per mezzo di una canalizzazione furono deviate verso una fontana di marmo riccamente scolpita presso la porta.

Accanto al battistero, addossato all'estremità settentrionale del transetto, si trova un ambiente rettangolare che termina con due absidi pavimentate a mosaico. Un'iscrizione sopra la porta d'ingresso lo identifica come il sekreton, la sala dove il vescovo sedeva quando teneva un giudizio. Fu terminato durante il vescovado di Giovanni alla fine del VI secolo. Il sekreton comunica a nord con il Tesoro (Skeuophylakion), un ambiente circolare a due piani su cui si aprono delle stanze angolari e nicchie nello spessore delle pareti dove era conservato il tesoro della basilica.

Porta della Persecuzione (Porta dell'Inseguimento) - Nel VII-VIII sec., la collina dove sorgeva la chiesa fu fortificata per difendere gli abitanti dalle incursioni arabe. Questa porta, inserita tra due torrioni, ne costituiva l'ingresso dal lato meridionale; il dispositivo di accesso prevedeva due porte, una interna e l'altra esterna, non in asse tra loro che si aprivano su una doppia cinta muraria.

La porta fu in parte costruita - probabilmente nell'VIII secolo quando Efeso, durante il regno di Leone III (717-741), divenne il capoluogo del thema dei Thrakesion e le sue fortificazioni furono rinforzate - con materiali di reimpiego provenienti soprattutto dallo stadio di Efeso. Fu chiamata Porta della persecuzione da due francesi – il conte di Choiseul-Goffier, ambasciatore presso la Sublime Porta nel XVIII secolo e Chandler - che interpretarono un bassorilievo di età romana (databile al secondo quarto del III secolo) inserito nell'architrave e raffigurante l'inseguimento di Ettore da parte di Achille come una scena di persecuzione dei primi cristiani massacrati nel teatro di Efeso.

La caverna dei sette dormienti - Nei pressi di Efeso si trova una caverna, detta dei sette dormienti, al centro di una vicenda leggendaria comune sia alla tradizione cristiana che a quella musulmana, citata sia nella Legenda Aurea che nella diciottesima sura del Corano, la "sura della caverna".

Il racconto dei sette dormienti di Efeso giunge a noi grazie a Gregorio di Tours che apprese della storia da un’omelia di Giacomo di Sarug, ma anche grazie a Jacopo di Varazze e alla sua Legenda Aurea e a Paolo diacono e alla sua Historia Longobardorum. La storia dei sette dormienti di Efeso era tuttavia già nota da almeno un secolo nel Medio Oriente, come testimoniato da antichi manoscritti in greco, latino, siriaco, aramaico e copto. La prima narrazione greca è ascritta a Simeone Metafraste (X secolo) che scrisse una Vita dei Santi e collocò la festa dei Sette nel mese di luglio. In Russia la leggenda fu conosciuta all’inizio del XII secolo, quando l’igumeno Daniil tornò dopo aver veduto le reliquie dei Sette in Terra Santa.

La tradizione cristiana e queste versioni narrano che verso il 250 l’Imperatore Decio, implacabile persecutore dei cristiani, che visitava la città di Efeso condannò per la loro fede sette giovani cristiani: Massimiano, Malco, Marciano, Dionisio, Giovanni, Serapione e Costantino. Ai sette però venne dato tempo fino al ritorno dell’imperatore per ravvedersi e sacrificare agli dei ed evitare quindi la pena capitale.

I sette giovani per non apostatare vendettero i loro beni e si rifugiarono in una grotta del monte Celion. Al suo ritorno Decio seppe della fuga e della latitanza sul monte Celion e comandò che l’ingresso della grotta, dove si rifugiavano i sette fratelli, fosse murata per lasciarli morire di fame e di stenti. Ai sette giovani non restò che stendersi a terra e addormentarsi per attendere la morte. Ma il sonno che li colse era miracoloso e i giovani si risvegliarono quasi due secoli dopo quando regnante l’imperatore Teodosio II, Efeso era una delle più grandi città cristiane.

Il giovane Malco che era sceso ad Efeso per comprare del pane svelò la presenza dei fratelli pagando con delle monete che riportavano l’effige dell’imperatore Decio; in breve Efeso fu in subbuglio e così il Vescovo e i suoi concittadini corsero sul monte Celion per verificare l’accaduto, e accertato il miracolo ascoltarono la testimonianza sulla resurrezione dei sette fratelli che subito dopo tornarono al loro sonno.

L’imperatore Teodosio II si avvalse di questa miracolosa testimonianza per combattere gli eretici che negavano la resurrezione e dispose personalmente che i sette dormienti venissero sepolti con tutti gli onori.

La storia dei Sette dormienti di Efeso per secoli ha segnato la fede cristiana e  ha colpito la fantasia popolare e quella di numerosi scrittori. Può questa vicenda miracolosa dire ancora qualcosa agli uomini del XXI secolo? La risposta è senza dubbio “sì”, anche gli uomini di questo nostro tempo con le loro certezze scientifiche e la loro vita “di corsa” che riduce le ore di sonno possono imparare qualcosa dal sonno miracoloso dei sette fratelli di Efeso.

Il racconto dei sette dormienti di Efeso è un modo di riportare al centro della vita degli uomini l’evento cosmico della Resurrezione del Cristo e la verità di fede della resurrezione dei morti nell’ultimo giorno. Tutta la simbologia del racconto riconduce al tema della Resurrezione: Efeso è la città dove si addormenta e compie il suo beato transito la Madre di Dio ma è anche la città dove si addormentano nel Signore il beato apostolo Giovanni e Maria Maddalena, primi testimoni della Resurrezione. 

I credenti non muoiono ma si addormentano nel Signore in attesa di essere restituiti alla vita nel giorno della gloriosa Parousia del Risorto; come il Risorto i credenti sconfiggeranno definitivamente la morte e ciò è ben simbolizzato dai dormienti di Efeso che riemergono dalle viscere del monte Celion proprio come Giona dal ventre della balena, simboli entrambi della discesa agli inferi del Cristo: "Un tempo la terra teneva noi tutti inghiottiti nelle profondità degli inferi; per questo il Signore nostro non è sceso solo fino alla terra, ma fino nelle profondità della terra, e là ci ha trovati inghiottiti e seduti nell’ombra della morte; e tirandoci fuori ci prepara un posto, non sulla terra, per timore che siamo ancora inghiottiti, ma ci prepara un posto nel regno dei cieli".

Non è, infine, un caso che i fratelli di Efeso siano sette. Sette nella Scrittura è simbolo della perfezione di Dio, della pienezza, della completezza: c’è dunque un progetto di salvezza universale per tutti gli uomini di ogni luogo ma anche di ogni tempo.

Secondo la versione di Gregorio di Tours Massimiano, uno dei sette dormienti, così si rivolse all’imperatore Teodosio II: "Credici, è per causa tua che il Signore ci ha resuscitati proprio alla vigilia della festa della Resurrezione, e credi che la resurrezione dei morti è una verità. In verità noi siamo risorti e viviamo, e come un bambino sta nell'utero della madre senza sentire urti, cosi anche noi fummo vivi, giacendo addormentati, senza sentire alcuno stimolo". Sì, i sette dormienti di Efeso ci rammentano che la resurrezione dei morti è una verità di fede, a dire il vero troppo spesso dimenticata, e fanno risuonare ancora oggi il Kerygma per gli uomini dei nostri tempi: "ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti, secondo il mio vangelo". 

MUSEO - È stato aperto nel 1964 nel villaggio di Selçuk e contiene i rinvenimenti degli ultimi 15 anni di scavi. Di primaria importanza le tre statue di Artemide Efesia, di cui una colossale colla notevole composizione della testa; da notare inoltre le sculture dei Ninfei di Traiano e di Pollione, e dello hydrekdochion di Lecanio Basso, nonché le sculture e pitture delle case a terrazze sulla strada dei Cureti. Infine, gli originali delle lastre che compongono il fregio del tempio di Adriano e rinvenimenti ceramici nelle vetrine.

Il museo costruito nel 1929 come semplice deposito per gli scavi, visto il flusso di visitatori, è stato poi opportunamente ampliato e strutturato per raccoglie le opere trovate negli scavi non in ordine cronologico ma in gruppi secondo il luogo di ritrovamenti. È costituito da 10 saloni:

  1. Reperti delle case

  2. Reperti delle fontane

  3. Nuovi reperti

  4. Numismatica e preziosi

  5. Tesoro di Tulum

  6. Tesoro di Ayasuluk

  7. Giardino

  8. Reperti di tombe

  9. Sala di Artemisia

  10. Sala del culto degli imperatori.

Il mito di Artemide

Le più antiche rappresentazioni di Artemide in età arcaica la ritraggono come "Potnia Theron" (La Signora delle belve): una dea alata che tiene in mano un cervo e un leopardo, oppure un leone e un leopardo.

Poi venne ritratta come vergine cacciatrice, con una gonna corta sopra al ginocchio, un seno scoperto, gli stivali da caccia, la faretra con le frecce d'argento e un arco. Spesso è ritratta mentre sta scoccando una freccia e insieme a lei vi sono o un cane o un cervo.

Vi sono rappresentazioni di Artemide vista anche come Dea delle danze delle fanciulle, e in questo caso tiene in mano una lira, oppure come Dea della luce mentre stringe in mano due torce accese e fiammeggianti. Solo più tardi Artemide porta la corona lunare, anche se da sempre fu la Dea Luna.

Ad Efeso Artemide fu adorata soprattutto come Dea della fertilità, come madre Natura che nutre tutte le creature senzienti.  I Carii furono adoratori di quella Artemide Caria, che nel suolo romano divenne Diana Caria, un tempo associata ai Misteri del Noce sacro.

Le sue sacerdotesse furono maghe e guaritrici, e come simbolo avevano il frutto del noce, che tanto somigliava nell'aspetto al cervello umano.

Poiché le sacerdotesse danzavano intorno al noce sacro, e poiché presso Benevento, nel suolo italico, resistette a lungo il culto di Diana Caria, nacque la leggenda delle streghe e del Sabba.

L'antica Artemide fu Dea della luna, della caccia e degli inferi, pertanto del cielo, della terra e dell'aldilà.

Poi prevalse ad Efeso il suo aspetto di Madre Terra, di Madre Natura, la plurimammellata, colei che nutre col suo latte tutti gli esseri viventi.

"Artemide era adorata e celebrata allo stesso modo in quasi tutte le zone della Grecia, ma i più importanti luoghi di culto a lei dedicati si trovavano a Delo (sua isola natale), BrauroneMunichia e a Sparta

Le fanciulle ateniesi di età  compresa tra i cinque e dieci anni venivano mandate al santuario di Artemide a Braurone per servire la dea per un anno: durante questo periodo le ragazze erano conosciute come "arktoi" (orsette)."

Una leggenda spiega le ragioni di questo periodo di servitù narrando che un orso aveva preso l'abitudine di entrare nella cittadina di Braurone e la gente aveva cominciato a nutrirlo, in modo che in breve tempo l'animale era diventato docile e addomesticato.

Una giovinetta prese a infastidire l'orso che, secondo una versione la uccise, secondo un'altra le strappò gli occhi. A ogni modo il fratello della ragazza uccise l'orso, Artemide andò per questo in collera e pretese che le ragazze prendessero il posto dell'orso nel suo santuario come riparazione per la morte dell'animale.

Naturalmente è pura invenzione, vero invece è che Artemide era Arktoi, la Dea Orsa, da cui discese poi il re orso, ovvero Artoi, Artù. Pertanto le fanciulle erano le novizie delle sacerdotesse, che venivano ammesse al tempio per un anno per conoscerne le tendenze al sacerdozio. Le Orse venivano poi rimandate a casa e solo successivamente si sceglievano quelle che meglio stavano presso il tiaso delle sacerdotesse, quelle che non avrebbero sofferto troppo per essersi allontanate da casa.

Le prescelte si dedicavano poi ad Artemide Brauronia, dove tra l'altro si celebrava la prostituzione sacra. Si racconta che i suoi sacerdoti dovevano evirarsi perché Artemide era vergine. Non è così.

La verginità di Artemide era di colei che non è sottomessa all'uomo, non di colei che si astiene. Anche la sua corrispondente Diana era vergine eppure nel santuario del lago d
i Nemi nel Lazio, le sacerdotesse praticavano la prostituzione sacra, bagnandosi ritualmente ogni anno per tornare vergini. 

Nel mese artemisio a Efeso si tenevano le Efesie, feste notturne in onore di Artemide. Notturne in quanto si rifacevano al lato notturno della Dea. Le feste Efesie erano feste pubbliche e private. 

Le pubbliche, dette anche Efesie o efesiache o Artemisie, venivano celebrate pubblicamente in primavera in onore di Artemide. Venivano compiuti sacrifici e si indicevano giochi, danze e concorsi letterari.

Le Efesie avevano un carattere misterico e magico, tanto è vero che le cosiddette lettere Efesie erano formule magiche che venivano incise su amuleti e che servivano a tenere lontane le malattie. Venivano così chiamate perché sarebbero state incise per la prima volta sul piedistallo della statua di Artemide a Efeso. 

Le Efesie private invece si svolgevano nei templi e nei tiasi (monasteri), ristrette alle sole sacerdotesse e i loro adepti. Qui si svolgeva la vera magia cerimoniale.

Le Efesie avevano un carattere orgiastico e vi prendevano parte uomini, donne non maritate e schiave. Questo fa capire che l'essere proibito alle maritate riguardava oltre alla fedeltà, il timore di rimanere incinte e portare figli altrui al consorte. Le non maritate invece potevano partecipare, perché alle donne efesine non era richiesta la verginità, come del resto non era richiesta alle donne di Sparta. Fu Atene a trasformare le donne in prigioniere dei mariti.

L'invenzione delle Efesie fu attribuita ai Dattili Idei e che si diceva possedessero effetti magici. Per questo i simboli delle Efesie venivano incisi su amuleti da portare indosso.

Secondo la tradizione i Dattili, cinque maschi e cinque femmine, maghi e fabbri, erano al servizio della Gran Madre degli Dei, ed abitavano sul Monte Ida, a Creta, dove Rea, presa dalle doglie, avrebbe premuto le mani sul suolo del monte, dal quale sarebbero emersi i dieci Dattili che l'avrebbero assistita nel parto.

Sicuramente i Dattili erano esseri tra il sacerdotale e il mitico, appartenenti alla cultura più antica. I maschi sarebbero stati i fabbri e le sacerdotesse le maghe. Probabilmente le armi venivano rese magiche attraverso riti e glife incise sul metallo.

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