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Austria

PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 2001 - SITO PATRIMONIO IN PERICOLO
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Duomo di Santo Stefano (Stephansdom)
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Simile a una scogliera di corallo, il Duomo si eleva dal mare di case del centro città. Esso è, fin dalla sua costruzione, un simbolo della storia e del destino dell'Austria. Dal momento della sua distruzione e ricostruzione dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale è divenuto anche un simbolo della rinascita e del consolidamento dell'Austria come stato libero ed indipendente. Il Duomo è inoltre un edificio che non si potrà mai considerare compiuto. Perciò esso è anche un simbolo della limitatezza e incompiutezza di tutto ciò che è terreno. Proprio in questa incompiutezza, però, consiste il suo inimitabile splendore e la sua bellezza quasi divina.

Come nel caso di molte altre chiese, anche gli inizi di Santo Stefano sono oscuri. Non sappiamo se al posto dell'attuale chiesa ci fosse un santuario pagano. Probabilmente in questo luogo sorgeva un cimitero romano, ipotesi avallata dalla presenza di pietre sepolcrali murate nelle fondamenta del Portale Gigante. 

Gli ultimi scavi (1996) in questa zona hanno rafforzato l'ipotesi che, verso est, sotto la prima chiesa romanica di Santo Stefano, si trovasse già un più piccolo santuario, una cappella. Due edifici situati entrambi nei pressi della vecchia cinta muraria romana, San Pietro al Graben e San Ruperto, vicina al canale del Danubio, vengono ritenuti i templi cristiani più antichi di Vienna. Nel sec. XII fu intrapresa, sull'area dell'attuale Duomo, la costruzione di una grande chiesa parrocchiale dipendente da Passavia, che fu dedicata al  patrono del  Duomo della città tedesca.

Verso la metà del sec. XII, Enrico II di Babenberg, fondatore del Convento degli Scozzesi, trasferì la sua residenza a Vienna. La leggenda narra che il margravio Enrico avrebbe visto in sogno un giovane architetto con in mano il progetto di una imponente chiesa. Il signore vide in questo il segno della volontà divina e ordinò di costruire la chiesa di Santo Stefano. La posa della prima pietra ebbe luogo nel 1137. La leggenda racconta ancora che il giovane cui fu affidata la conduzione dell'opera sarebbe stato lo stesso apparso in sogno al margravio. 

Dopo la consacrazione della nuova chiesa, nel 1147, sarebbe scomparso senza lasciare tracce, ma, per la straordinaria bellezza dell'edificio, solo Gesù in persona avrebbe potuto essere il misterioso capomastro. Così, al Duomo di Santo Stefano ben si addicono i versi del salmo 127: "Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori" (Salmo 127, 1).

Storia del Duomo

La chiesa romanica - Un contratto di scambio del 1137 tra il margravio Leopoldo IV Babemberg ed il vescovo Reginmar di Passavia (Contratto di Mautern) rese possibile la costruzione della prima chiesa di Santo Stefano che allora sorgeva ancora al di fuori delle mura cittadine, il corso delle quali seguiva quello delle antiche mura dell'accampamento romano, approssimativamente a nord-ovest della piazza di Santo Stefano. Il contratto, nel quale per la prima volta viene nominata la parrocchia di Vienna, fu concluso a Mautern, sul Danubio, e stabiliva che il margravio consegnasse al vescovo la chiesa parrocchiale di Vienna, situata nelle vicinanze di quella di San Pietro, ottenendo in cambio una vigna e metà della dote parrocchiale che si trovava nei pressi della città, a condizione che la chiesa e gli altri restanti luoghi di culto più piccoli sparsi sul territorio parrocchiale in futuro fossero sottomessi al vescovo di Vienna. 

Nell'aprile del 1147 ebbe luogo la prima consacrazione parziale della chiesa di Santo Stefano, allora non ancora terminata, in presenza del vescovo di Passavia, Reginbert. La costruzione era per dimensioni troppo imponente per la Vienna di allora, il che fa pensare ad un gesto programmatico dell'ispiratore: Santo Stefano era concepita come futura sede vescovile o, almeno, come chiesa ducale. La prima chiesa romanica, come anche il Duomo attuale, era orientata verso l'oriente del sole del 26 dicembre 1137 (sud-est). Negli Atti degli Apostoli si racconta che Santo Stefano, poco prima di morire, vide i cieli aperti. Il primo raggio di sole che, cadendo sull'altare maggiore, illumina l'ambiente, è proprio un simbolo di questi "cieli aperti".

Di questo primo edificio non si è conservato quasi nulla nel corso dei secoli; le poche informazioni in nostro possesso provengono da scavi archeologici e da pochi frammenti architettonici. La navata centrale aveva una larghezza di circa 12 metri, tutte e tre le navate insieme raggiungevano circa i 23 metri. La lunghezza della chiesa, abside inclusa, era più o meno di 83 metri. Le uniche parti pervenuteci del primitivo complesso - escluse le fondamenta subito ricoperte dopo gli scavi del 1945 - sono la cosiddetta "Camera Nera" nel piano inferiore della Torre Pagana, dove oggi si trova una stanza adibita a confessionale, e parti del pianterreno della costruzione ovest.

La chiesa tardoromanica - La forma di questo edificio, costruito tra il 1230 e il 1245, è chiaramente riconoscibile e ricostruibile, sebbene sia soprattutto la parte ovest di questa chiesa ad essere ancora conservata. L'ambizioso progetto di elevare Santo Stefano a sede vescovile portò alla demolizione della vecchia chiesa del XII secolo e alla sua completa ricostruzione, eccetto il piano inferiore delle Torri Pagane, sulle preesistenti fondamenta. La Cattedrale aveva un grande coro centrale, un transetto sporgente e la struttura basilicale a tre navate. Guardando la galleria ovest con le sue colonne, con i capitelli decorati con foglie e animali e con i suoi costoloni in parte profilati, si può dedurre la non comune ricchezza decorativa di questa chiesa. 

La galleria ovest, compresa tra le due Torri Pagane, fu concepita come "galleria ducale" come anche la sede imperiale di Carlo Magno ad Aquisgrana e le grandi gallerie negli antichi duomi imperiali tedeschi - un ambiente a se stante, ma orientato verso l'altare. I piani superiori delle torri vennero costruiti in ultimo, sicuramente dopo l'incendio del 1258. 

L'edificio tardoromanico, completamente ricostruito, raggiungeva la lunghezza di m. 70 circa ed era limitato nella sua larghezza dalle due torri ovest che con i loro m. 65 di altezza si ergevano di gran lunga al di sopra del tetto. La nuova chiesa fu consacrata solennemente il 23 aprile 1263 dal vescovo Otto di Passavia. Nel 1267, il parroco Gerhard von Siebenbùrgen fondò la tuttora esistente Curia, cui è affidata l'assistenza spirituale nel Duomo.  

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La struttura gotica - Tra il 1304 e il 1340, sotto il duca Albrecht II, fu intrapresa la costruzione del luminoso coro gotico a tre absidi. Il Coro Albertino, che si ispirava al coro gotico della chiesa dell'abbazia cistercense di Heiligenkreuz nel Bosco viennese, fu consacrato il 23 aprile 1340 dal vescovo Albert di Passavia. Poco più tardi furono erette, sotto il duca Rodolfo IV "il Fondatore", le cappelle laterali ovest a due piani, dette anche Cappelle Ducali. Il duca in persona pose nel 1359 la prima pietra della costruzione di ampliamento gotica. Per circa 100 anni l'edificio crebbe lentamente, ma con continuità. Il 23 marzo 1361, in presenza del vescovo Pietro di Coirà, fu murata nella Porta del Vescovo la pietra di Colomanno sulla quale, secondo la tradizione, il santo subì il martirio. Nello stesso anno fu intrapresa la costruzione delle navate. Quale preludio alla creazione del vescovado di Vienna nel 1469, il duca Rodolfo IV, fondatore anche dell'Università di Vienna, creò nel 1365 una Collegiata di Tutti i Santi, indipendente da Passavia, con sede in Santo Stefano e sala capitolare nella galleria ovest.

La cima della Torre Sud, di cui Rodolfo IV aveva posto personalmente la prima pietra, servendosi di un utensile d'argento, poté essere completata nel 1433. I cornicioni delle navate furono ultimati nel 1440, il tetto ancor prima del 1474. In quel periodo si stabilirono degli stretti contatti tra le corporazioni edili del Duomo di Vienna e di Praga. Vienna era allora una delle quattro corporazioni principali del regno. Tra il 1417 e il 1430 fu eretta la sacrestia inferiore, annessa alla navata sud. Le pareti delle navate crebbero intorno ai muri di epoca romanica come un guscio, in modo da continuare a permettere la celebrazione degli uffici divini. Solo dopo l'ultimazione dei muri gotici, furono abbattuti, nel 1430, i muri romanici. Ancor prima della costruzione della volta fu eseguita, a partire dal 1440, la imponente capriata di legno di larice, capolavoro dell'arte carpentiera gotica per il quale non si utilizzò nemmeno un chiodo. Nel 1446, il maestro Hans Puchsbaum intraprese la costruzione della volta della navata centrale.

L'imperatore Federico III, cui si deve l'erezione di Vienna a vescovado nel 1469, pose nel 1450 la prima pietra della Torre Nord di cui nel 1467 si intraprese la costruzione. Secondo la tradizione, l'imperatore ordinò di utilizzare come agglutinante per le fondamenta della torre il vino che, per le avverse condizioni atmosferiche, quell'anno era risultato piuttosto acido. Nel 1459, a Ratisbona, alla riunione annuale delle corporazioni edili, la corporazione del Duomo di Vienna fu ritenuta la più importante dell'area sud orientale dell'Europa centrale. La costruzione della torre fu interrotta agli inizi del XVI secolo. L'ultimo strato di mattoni porta incisa la data del 1511. Tensioni economiche e sociali, dovute alle scoperte, alle guerre contro i Turchi e ai disordini religiosi, determinarono la decadenza delle grandi idee alla base dell'architettura medievale. Nel 1578, Hans Saphoy portò a termine la torre con una calotta rinascimentale. Con la nascita dell'Umanesimo, furono creati nel Duomo significativi capolavori dell'artigianato quali il pulpito (1480 circa) o il piede di organo del Maestro Pilgram (datato 1513), il fonte battesimale o gli scanni dei Consiglieri, distrutti completamente nell'incendio del 1945, così come i numerosi epitaffi di cittadini viennesi ed eruditi dell'Università. Nel 1631, l'imperatore Ferdinando II elevò il vescovo di Vienna al rango di principe (principe vescovo).

Dopo il trionfo della vera fede sull'eresia, il duomo venne rifatto in stile barocco in due grandi fasi. Sotto il principe vescovo Breuner, nel 1647, fu terminato dai fratelli Pock l'altare maggiore barocco. A questo periodo risalgono anche i più antichi paramenti sacerdotali del Duomo, i rossi paramenti di Breuner, che ancora oggi vengono utilizzati il giorno di S. Stefano. L'altare maggiore è dunque una donazione del vescovo, mentre l'arredamento della navata fu finanziato dai cittadini. Dal 1677 si procedette all'ulteriore riassetto barocco del Duomo (altari laterali, oratorii imperiali e organi). Durante il secondo assedio turco, nel 1683, più di mille palle di cannone colpirono la Cattedrale; alcune di esse sono ancora oggi visibili, murate, nelle pareti della Torre Sud e della navata. Durante l'assedio, il tetto venne riparalo più volte con dei tendoni allo scopo di ingannare il nemico, facendogli credere che la città disponesse ancora di un approvvigionamento sufficiente. Il 12 settembre 1683, giorno in cui la Chiesa celebra il Nome di Maria, Vienna fu liberata dai Turchi, dopo una battaglia seguita ad una messa celebrata dal cappellano Marco d'Aviano. A perpetuo ricordo della liberazione della città, nel 1711, fu fusa con il bronzo dei cannoni turchi requisiti, la "Pummerin", la grande campana situata nella torre sud, uno dei simboli della città. Sul finire del XVII secolo trovarono posto nel Duomo due immagini miracolose: nel 1693 fu trasportata in festosa processione nel Duomo la tavola di "Maria nel sole" e nel 1697 l'icona di "Maria Pócs".

Con l'elevazione di Vienna ad arcidiocesi, nel 1722, Santo Stefano divenne chiesa metropolitana.

Una statistica del 1732, curata dal sacrestano Johann Wachter, consente di farsi un'idea della vita liturgica in Santo Stefano in epoca barocca.  In base a tale statistica, giornalmente vi si celebrarono in media 150 messe e almeno un pontificale, nel corso dell'anno vi furono recitati 1095 Rosari ed almeno 129.000 fedeli si accostarono alla Confessione. 

Nello stesso anno fu chiuso il cimitero di Santo Stefano, che circondava il Duomo, e, nel 1755, l'imperatrice Maria Teresa fece ampliare e decorare di nuovo la Cripta Ducale sotto l'altare maggiore, nella quale sono sepolti il duca Rodolfo IV ed alcuni dei primi Asburgo. Le inumazioni nelle catacombe del Duomo furono proibite nel 1782 dall'imperatore Giuseppe II. In quello stesso anno papa Pio VI fece visita all'imperatore allo scopo di indurlo a rivedere la sua politica religiosa e celebrò nel Duomo la messa solenne di Pasqua. In quell'occasione egli donò all'allora arcivescovo di Vienna, il cardinale Migazzi, che resse l'arcidiocesi per 46 anni, paramenti di grande valore conservati ancora oggi nella Camera dei Paramenti.

Le costruzioni adiacenti al Duomo andarono a mano a mano scomparendo: già nel 1699 era stata rimossa la Casa delle Reliquie che, in seguito al disprezzo per le reliquie causato dalla Riforma, aveva perso ogni significato; prima del 1792 sparirono anche gli edifici riservati a cantori, ministri ecclesiastici e prestamisti, di modo che l'imperatore Francesco II, quando fece il suo ingresso a Vienna, poté ammirare per la prima volta la vista ovest della Cattedrale. Durante le Guerre Napoleoniche (1809), nelle quali si arrivò a combattere anche nel Duomo, vennero danneggiate diverse opere d'arte ivi conservate.

Nel XIX secolo, il rinato interesse per il passato richiamò l'attenzione sul cattivo stato di conservazione in cui si trovava la Cattedrale dopo secoli di incuria. L'architetto Friedrich von Schmidt, combattuto tra il desiderio di conservare la purezza di stile e quello di preservare la sostanza, alla fine riassunse il risultato nella bella immagine della chiesa di Santo Stefano come di un libro che si poteva sfogliare, ma in cui non si poteva scrivere nulla. Solo poche suppellettili in stile neogotico trovarono allora posto nel Duomo.

Nel corso del restauro, in occasione del quale, nel 1853, vennero completati anche i frontoni delle navate (fino a quel momento era stato terminato solo il cosiddetto "Frontone di Federico" sulla Porta dei Cantori, gli altri erano solo dipinti), si arrivò tra il 1838 e il 1860 alla demolizione e alla ricostruzione della guglia della Torre Sud. Tra il 1859 e il 1887 si dotò la Cattedrale di pitture su vetro in stile neogotico, che poi sarebbero state distrutte completamente nel 1945. Nel 1900 le reliquie medievali furono trasferite dall'attuale sala capitolare nella cappella di S. Valentino (cappella doppia superiore nord nella parte ovest). Agli inizi di questo secolo si intrapresero gli interventi di restauro della facciata occidentale e del Portale Gigante.

Sebbene il Duomo avesse sopportato due assedi turchi e le guerre napoleoniche, tuttavia sul finire della Seconda Guerra Mondiale fu distrutto quasi per metà. All'inizio della guerra i suoi tesori più importanti, ovvero il Portale Gigante, il pulpito e la tomba di Federico, furono murati e sfuggirono quindi alla distruzione operata dall'incendio dell'11 e 12 aprile 1945. Nella catastrofe le fiamme propagatesi dagli edifici intorno al Duomo distrussero le capriate gotiche, gli scanni dei Consiglieri di epoca tardogotica situati nella Navata Centrale, il monumento alla liberazione dai Turchi, le vetriate, la Grande Croce di Wimpassing, la Croce dello jubé, eccetto le braccia e il capo di Gesù crocifisso, gli oratorii imperiali, il grande organo, l'organo del Coro e la maggior parte delle campane, "Pummerin" compresa. Nell'insieme andò così perduto un 45% del Duomo. Si deve alla volontà del cardinale Theodor Innitzer, in quel tempo arcivescovo della città, e del Prof. Karl Holey, architetto Duomo, come anche alla collaborazione disinteressata ed effettiva dei viennesi, delle varie regioni dell'Austria e di molti finanziatori stranieri, che Santo Stefano non sia diventato un monumento commemorativo ed ammonitore contro la guerra, ma, anzi, con la sua ricostruzione, sia assurto a simbolo della resurrezione dell'Austria.

Finalmente, il 19 novembre 1948, fu celebrata la prima messa nella navata centrale ricostruita. L'inaugurazione solenne della restaurata cattedrale ebbe luogo il 26 aprile 1952 in presenza del cardinale Innitzer. Quello stesso giorno la nuova Pummerin, fusa con i resti della vecchia campana, fece il suo ingresso trionfale a Vienna. Nel 1957 essa fu definitivamente posta nella Torre Nord.

Per consentire una degna sepoltura ai vescovi di Vienna, nel 1953 si edificò nelle catacombe la Cripta Episcopale. Nel 1956 si procedette ad un restauro della Cripta Ducale e alla costruzione della chiesa inferiore, di un lapidario e della Cripta dei Canonici. Nel 1960, il cardinale di Colonia, Frings, consacrò il nuovo organo e, nel 1972, fu collocata la nuova vetrata ovest, fabbricata in Tiralo. Nel corso delle sue visite pastorali, nel 1983 e nel 1988, papa Giovanni Paolo II visitò anche il Duomo. Nel 1989, per adeguarsi alle nuove esigenze liturgiche fissate dal Concilio Vaticano II, si procedette ad un riassetto della zona dell'altare maggiore, al termine del quale fu consacrato un nuovo altare.

Nel 1991, in occasione del seicentocinquantesimo anniversario della consacrazione del Coro Albertino, il Duomo fu dotato di un nuovo organo che fu posto nel Coro degli Apostoli. Qualche anno più tardi (1997), in occasione degli ottocentocinquanta anni della consacrazione dell'antica chiesa romanica, fu riaperto, dopo lunghi lavori di restauro, il Portale Gigante e, contemporaneamente, si riadattò la galleria ovest per destinarla a spazio espositivo.

Simbolismo

All'uomo illuminato del XX secolo risulta piuttosto difficile comprendere il messaggio spirituale del Duomo. I doccioni dall'espressione scimmiesca posti all'esterno del Duomo dovrebbero allontanare i demoni. Anche l'utilizzazione di materiale da costruzione romano dovrebbe essere intesa in questo senso. Riutilizzando e consacrando parti di edifici pagani, si toglieva loro il potere. Cosi ancora oggi si trova nell'arco interno destro del Portale Gigante una lapide funeraria romana dalle lettere quasi cancellate e, nascosta dietro la nicchia del portico, dove si trova la figura del grifone, fu scoperta nel 1996 la cosiddetta "Guardona", effigie di donna proveniente da un'altra pietra tombale romana. 

In una nicchia con una grata situata presso la Porta del Vescovo si trovavano i cosiddetti "Tartari", divinità pagane. Un'iscrizione conservata ancora oggi mette in guardia contro la venerazione di questi idoli e invita a mantenersi fedeli alla fede cristiana. Sotto gli orologi delle Torri Pagane sono rappresentati plasticamente, a sinistra, un fallo e, a destra, una vulva. Forse costituiscono un indizio della presenza di un tempio pagano della fertilità sul luogo dell'attuale chiesa. Il potere delle divinità pagane era stato ormai sconfitto, ciononostante la presenza delle suddette rappresentazioni testimonia la continuità di culto in questi luoghi: Santo Stefano è da sempre suolo sacro. Ne sono un chiaro indizio proprio i recenti scavi nell'area del Portale Gigante, che hanno portato alla luce  numerose sepolture.

Il percorso iconografico: il Portale Gigante con la sua ricca simbologia ci parla, se lo contempliamo in possesso di alcune informazioni previe e ci abbandoniamo alle sue suggestioni. Chi ne varca la soglia, calpesta suolo sacro, entra in un santuario. Ci si deve immaginare l'interno medievale molto più oscuro: le vetrate e gli altari di epoca gotica gli avrebbero conferito un'atmosfera più solenne. Nel coro centrale è interessante pensare che sotto i nostri piedi si trovano le catacombe, luogo di sepoltura di quei cristiani che hanno già compiuto il loro cammino. La vista dell'altare maggiore ci indica la direzione da seguire. Nella pala dell'altare contempliamo la visione di Stefano morente: i cieli aperti. 

Volgendo quindi lo sguardo verso l'alto, riconosciamo, a circa metà altezza dei pilastri, i santi che ci vengono quasi incontro come messaggeri dell'Aldilà. Rappresentano quei cristiani che han già raggiunto la pienezza: la Chiesa dei santi. Infine lo sguardo incontra le volte con le loro nervature di pietra che s'intrecciano e la peculiare decorazione che ne deriva: simbolo dell'infinito, dell'Uno, del trascendente, che nessuna immagine può rappresentare.

In questo senso è anche interessante il ricco simbolismo numerico del Duomo. Non è casuale che le vetrate delle navate laterali, il luogo riservato ai credenti, siano quattro e quelle del coro, il luogo in cui si celebra il mistero della Messa, siano tre. Non sono solo ragioni estetiche a motivare la presenza nella parte superiore della Torre Sud di dodici pinnacoli intorno ad una guglia centrale: essi simboleggiano i dodici Apostoli intorno al Maestro. La balaustrata del pulpito è costituita da motivi trilobati e quadrilobati che formano una ruota. I motivi quadrilobati sembrano svolgersi verso il basso, mentre i motivi trilobati verso l'alto.

Il numero uno simboleggia il Dio Uno, ma anche il Cristo. Tre Persone costituiscono la Trinità, quattro sono gli Evangelisti. Il numero quattro è anche un numero "terrestre" che allude ai quattro elementi (terra, aria, fuoco ed acqua), alle quattro stagioni, ai quattro temperamenti e ai quattro punti cardinali. Il numero sette, somma dei due precedenti numeri, è un numero sacro, rappresenta la perfezione; basti pensare ai sette sacramenti della Chiesa cattolica, ai sette diaconi della Chiesa primitiva, uno dei quali fu Santo Stefano, o ai sette sigilli del libro dell'Apocalisse.

E sulla base dei numeri tre e quattro si possono calcolare in modo quasi preciso le proporzioni del Duomo: il tre seguito dal sette da il numero 37. 37 moltiplicato per tre da 111 ovvero l'unità, ed infatti il Duomo ha una larghezza di 111 piedi (un piede = cm. 32). La lunghezza del Duomo è di 333 piedi, ovvero 111 moltiplicato per tre. Lo stesso numero moltiplicato per quattro da 444, cioè l'altezza della Torre Sud. Ed infine 343 gradini, ovvero 7x7x7, conducono alla camera della Torre Sud.

Per concludere, un accenno alle dimensioni dell'attuale Cattedrale: la lunghezza è di m.107,2, la larghezza dei tre cori di m. 34,2, l'altezza del coro centrale di m. 22,4. La navata centrale e le laterali misurano rispettivamente m. 28 e m. 22,4 di altezza. L'altezza massima del tetto del coro è di m. 46,7, mentre quello della navata centrale raggiunge i m.59,9. La Torre Sud misura m. 136,4 e la Torre Nord con la cupola m. 60,6.  

Esterno del Duomo  

IL TETTO - Al tetto compete la funzione estetica di dare unità alle diverse parti della Cattedrale, facciata occidentale, cappelle a due piani, navate e coro, ed allo stesso tempo di fare da raccordo tra il corpo dell'edificio e la Torre Sud. Simile a un duomo sul Duomo, il tetto si erge con m. 37,85 al di sopra della navata e m. 25,30 sul Coro, per una lunghezza di m.110. Ha una campata di m. 35 ed una pendenza di 64 gradi, 80 nei punti di massima pendenza. In questo modo, l'alta velocità di deflusso delle acque piovane fa sì che il tetto si mantenga pulito. Il tetto è, dunque, un capolavoro della tecnica, ottenuto con 605 tonnellate di acciaio. Esso sostituisce, sin dall'incendio del 1945, l'armatura gotica, costituita da quasi 3000 tronchi d'albero. I tronchi avrebbero occupato un bosco di km 1,5, corrispondente più o meno alla superficie dell'ottavo distretto di Vienna (Josefstadt). 

La peculiarità del tetto è rappresentata dalle 230.000 tegole policrome smaltate. Ogni tegola pesa kg. 2,5, è fissata con due chiodi di rame ai falsi puntoni del tetto ed è posta nella malta. Il motivo zigzagato sul tetto delle navi, interrotto da una fascia decorata a rombi, è ottenuto dalla combinazione di dieci colori diversi. Sul lato sud del tetto del Coro Albertino sono visibili, inoltre, lo stemma della casa imperiale d'Austria, con la data del 1831, ed il monogramma F.l. (Francesco I); sul lato nord, le insegne della città di Vienna e della Seconda Repubblica, con la data del 1950. Le tegole smaltate provengono - come quelle di epoca gotica - da Postorna, nella Repubblica Ceca.  

LA TORRE SUD - Le statue di Rodolfo il Fondatore, situate presso la Porta dei Cantori e la Porta del Vescovo, documentano, grazie al modello di chiesa a due torri che reggono fra le mani, che originariamente erano previste per S. Stefano due torri di uguale altezza, come nel caso delle Torri Pagane. È un dato di fatto che, al contrario di quanto avvenuto per altre chiese, si intraprese la costruzione della Torre Nord solo dopo aver completato la Torre Sud. Le fondamenta della torre più alta, quella che, soprannominata affettuosamente "Steffi", ovvero "Stefanino", costituisce il simbolo della città, sono relativamente poco profonde, ovvero solo m. 3,5 circa, a testimonianza della eccezionale statica dell'edificio.

La tradizione narra che fosse proprio il duca Rodolfo IV a porre la prima pietra di questa chiesa il 7 aprile 1359. La parte inferiore, con l'annessa cappella di S. Caterina (battistero), fu completata nel 1369 ed il primo piano nel 1404. Poiché non furono rispettati i disegni originari, nel 1409 si arrivò alla demolizione parziale dell'edificio costruito fino a quel momento, ma già quello stesso anno furono ripresi i lavori su progetto di Peter von Prachatitz e con il finanziamento della borghesia cittadina. Nel 1416 poterono essere collocate le campane al secondo piano della torre e, il 10 ottobre 1433, Hans von Prachatitz pose la croce a due bracci sulla punta della torre. Il campanile di S. Stefano veniva cosi ad essere il più alto d'Europa dopo quello di Strasbugo.

L'unitarietà dell'effetto ottico che esso offre, basato sul principio della torre piramidale che si assottiglia pro­cedendo verso la sommità, testimo­nia la genialità del suo architetto e costruttore. La base del campanile è un quadrato che a poco a poco diviene un ottagono.

Originariamente al di sopra del coronamento triangolare era previsto il piano superiore ottagonale; ma, intorno al 1400, una modificazione radicale del progetto aggiunse ancora, sopra il coronamento, un piano che ospita una cella campanaria quadrangolare.

Da questo ottagono, dal quale si eleva la guglia del campanile, si staccano le torri d'angolo, in modo tale che ben dodici pinnacoli circondano la guglia. Poiché il campanile è attiguo al Coro degli Apostoli, i pinnacoli suggeriscono un programma iconografico significativo: i dodici Apostoli.

La guglia del campanile (simbolo di Gesù Cristo) è divisa in tre parti (simbolo della Trinità). Da una piccola base scolpita, di forma ottogonale, si eleva il fiorone quadripartito con il suo capitello. L'aquila bicipite con una croce a due bracci su cui è inciso il motto dell'imperatore Francesco Giuseppe I "Virìbus Unitis" corona lo Steffi.

Dal XV secolo alla Seconda Guerra Mondiale, la stanza dei campanari, situata a 82 metri d'altezza, servì ai vigili del fuoco come punto di osservazione. Durante l'assedio turco, essa ebbe un'importanza strategica particolare. Il grande orologio, che già nel 1417 si trovava sulla Torre Sud, fu rimosso solo durante i lavori di restauro del 1860/61. La nuova torre, rinnovata dal 1862 al 1864, è da allora priva di orologio.

Una targa commemorativa (1997), situata nel contrafforte orientale, vicino alla Porta della Campana dei Quarti, ricorda il capitano Gerhard Klinkicht che, nell'aprile del 1945, si oppose all'ordine di distruggere il campanile di S. Stefano.  

LA TORRE NORD - Il 13 agosto 1450, l'imperatore Federico III pose la prima pietra della Torre Nord, soprannominata "Torre dell'Aquila" per la figura che la corona. Architetto dell'Opera del Duomo era allora Hans Puchbaum. Un'antica tradizione riferisce che, su ordine dell'imperatore, per spegnere la calce, fu utilizzato il vino. A causa della maturazione prematura dell'uva, infatti, il vino aveva sviluppato un'acidità talmente elevata che lo si voleva gettar via. La calce, però, con l'aggiunta di vino, diventa particolarmente resistente e quindi adatta alle costruzioni. Affinché le fondamenta potessero stabilizzarsi, si interruppero i lavori per 17 anni, finché, il 2 giugno 1467, in occasione di una cerimonia, il vescovo di Passavia non pose su di esse la prima pietra. 

I progetti conservati documentano che, nella costruzione della torre, ci si orientò per lo più alla già compiuta Torre Sud. Nel 1511, la Torre Nord raggiunse l'altezza attuale; i lavori di completamento previsti non furono più ripresi. Nel 1578, Hans Saphoy edificò la calotta rinascimentale che accoglie elementi gotici ed ospita la grande campana, la "Pummerin". Il sogno di terminare la torre, ricorrente nei sec. XVII e XIX, non fu mai realizzato.  

LE FIGURE ALL'ESTERNO DEL DUOMO - All'esterno del Duomo si trovano numerose figure, per lo più copie del secolo scorso, i cui originali sono conservati nel Museo di Storia della Cit là. Le statue rappresentano santi e avi del duca Rodolfo IV. Rimandiamo qui soprattutto alla figura di S. Stefano (1460 circa) della Torre Sud. Essa era parte della decorazione originaria che sii trova al di sopra del primo piano, plesso il cosiddetto "Banchetto di Starhemberg". Da questa posizione, infatti, il conte Ruggero di Starhemberg, difensore della città del secondo assedio turco, osservava, nel 1683, i movimenti dell'esercito nemico.

Dal pulpito di Giovanni di Cnpisliano (sec. XV), vicino all'ingresso delle catacombe, il santo predicò su ordine dell'imperatore   Federico III. Non è stato chiarito se il semplice pulpito gotico in origine si trovasse all'esterno, nell'allora cimitero di S. Stefano,  o  se invece fosse l'antico pulpito del Duomo. Su di esso i francescani, nel 1738, fecero sistemare una apoteosi barocca del loro santo, morto nel 1456 durante una campagna contro i Turchi.

I PORTALI DELLE TORRI - La "Porta della Campana dei Quarti", sotto la Torre Sud, e la "Porta dell'Aquila", sotto la Torre Nord, sono, in confronto alle entrate dei principi, piuttosto semplici. Oltre alle figure delle colonnine, che rappresentano gli Evangelisti (ingresso alla Navata degli Apostoli), e a un angelo nella volta del portico, non sono conservate nella Porta della Campana dei Quarti altre figure originarie. La disposizione dei baldacchini lascia invece supporre la progettazione di un programma figurativo più complesso. 

Nei baldacchini delle arcate esterne, si trovano oggi figure neogotiche del soc. XIX, alcune di esse copie. Gli originali si trovano nel Museo di Storia della Città. Nel pilastro centrale interno dell'ingresso, si osserva una statua di Maria con il Bambino Gesù (1420 circa). Le pareti del portico della Porta dell'Aquila sono finemente traforate e, a parte una statua di Maria del sec. XVII (ingresso alla Navata di Nostra Signora), non presentano elementi figurativi.

LA PORTA DEI CANTORI - L'opera d'arte gotica più significativa è costituita dalla "Porta dei Cantori", ingresso laterale del Duomo, situato a sud ovest, anticamente adibito al passaggio dei cantori. Già la chiesa romanica presentava un ingresso nello stesso punto. Nel 1440, a protezione del magnifico timpano, venne costruito un portico che ha permesso la conservazione del portale con il suo ricco programma figurativo. Nel sec. XIX, un restauro effettuato per ripristinare la leggibilità della pietra comportò la perdita della policromia.

Particolarmente suggestiva è l'elaborazione plastica della fascia inferiore del timpano con scene tratte dalla vita dell'apostolo Paolo (ingresso alla Navata degli Apostoli). Fu infatti ai piedi di Paolo che i carnefici posero le vesti di Stefano dopo l'esecuzione. La sua figura è quindi indissolubilmente legata alla biografia del patrono della chiesa.

A sinistra, è rappresentata la cavalcata di Saulo verso Damasco, al centro, la caduta di Saulo e, infine, la sua conversione. La serie di scene è incorniciata da particolari composizioni architettoniche. La fascia superiore del timpano, infine, rappresenta il battesimo e il martirio dell'Apostolo delle Genti.

Gli apostoli nella strombatura furono scolpiti, a due a due, da diversi artisti.

Significativa è anche la rappresentazione del fondatore della chiesa, Rodolfo IV, e della sua sposa Caterina, rispettivamente nella parte inferiore destra e sinistra della strombatura, ciascuno con il proprio stemma. I due personaggi sono rappresentati in piedi, come nell'atto di entrare in chiesa, rivolti appena l'uno verso l'altro. Rodolfo regge nella mano destra il modello stilizzato di S. Stefano, Caterina uno scettro.

Nel portico troviamo figure di S. Paolo, di Cristo con il globo terrestre, come anche figure neogotiche (1893) dei santi Rodolfo, Francesco ed Elisabetta di Turingia.

LA PORTA DEL VESCOVO - Questo portale (1360 circa), attraverso il quale una volta il vescovo faceva il suo ingresso in chiesa, riprende per costruzione e struttura la Porta dei Cantori, situata di fronte. Nel timpano, nella fascia inferiore, è rappresentata la Dormizione di Maria. La madre di Dio si trova su una lettiera, davanti alla quale sono poste delle lampade. Al capezzale e ai piedi del letto sono rannicchiate le prefiche. Dietro il capo di Maria morente, si trova suo figlio Gesù, con la destra sollevata in atto benedicente. Nella mano sinistra sorregge l'anima incoronata dì sua madre. Gli apostoli dolenti accompagnano la scena con diversi servizi liturgici: S. Pietro recita preghiere da un libro, un altro tiene pronta l'acquasantiera, un altro ancora il turibolo.

Nella fascia superiore del timpano i riconosce l'Incoronazione di Maria: Cristo, seduto in trono con sua madre, incorona Maria: "Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita". Angeli ed arpie,, esseri con corpi di uccello e teste di angelo, sorreggono il drappeggio che copre il trono. Tutt'intorno, a completare la scena, degli angeli accompagnano l'evento con la musica.

Negli archivolti sono scolpite figure di sante (ingresso alla Navata di Nostra Signora), mentre nella strombatura si trovano di nuovo Rodolfo IV (a sinistra) e Caterina (a destra). I loto stemmi sono rappresentali qui in modo quasi aneddotico: Rodolfo regge uno scettro e, nella mano destra coperta da un drappo, il modello della chiesa.

Nel portico si può osservare una graziosa rappresentazione dell'Annunciazione.  

IL PORTALE GIGANTE - Il Portale Gigante, eretto tra il 1230 e il 1250, fu trasformato, in occasione della visita dell'imperatore Federico II, in un imponente portale molto lavorato. Abbiamo notizia dell'esistenza del portale anteriore solo grazie agli scavi archeologici. Il portale maggiore di S. Stefano appartiene con tutta la fabbrica occidentale al patrimonio costitutivo più antico e significativo della Cattedrale. Il suo nome ha origine - come quello delle Torri Pagane - da una tradizione locale. Probabilmente si deve alla presenza di un osso di mammuth che vi era appeso o alla radice "risen" dell'antico alto tedesco, con il significato di "tirare dentro, entrare". Il nome "Torri Pagane" si riferisce invece alla forma delle torri stesse, che ricorda dei minareti, sebbene il termine "pagano" possa anche alludere alla loro notevole antichità.

Il Portale Gigante subì varie trasformazioni e rimaneggiamenti soprattutto per quanto riguarda le colonne, la distruzione; delle decorazioni degli stipiti (forse in seguito ad un incendio del 1258), il trasferimento di alcuni rilievi, come anche la collocazione, avvenuta in epoca posteriore, di entrambe le figure nell'intradosso all'imboccatura dell'arco ogivale gotico ed il rifacimento della figura di Cristo nel timpano.

Il timpano presenta al centro la rappresentazione del Cristo Pantocratore, signore della terra, in trono sull'arcobaleno, mentre solleva la destra benedicente e nella sinistra tiene il libro della vita. Un'aureola con la croce gli circonda il capo. Nel nimbo si osservano quattro stelle, opera però di mano più tarda; la superficie rimanente della lunetta è completata da piante in germoglio. Viticci e grappoli d'uva, simboli eucaristici, si trovano anche sugli stipiti della porta. La porta diventa così simbolo della "porta coeli".  

Entrando nel Duomo attraverso di essa, lo sguardo cade immediatamente sul dipinto dell'altare maggiore che mostra la lapidazione di Stefano e l'apertura dei cieli con Cristo alla destra del Padre. Il fedele, attraverso la porta, viene introdotto nella vastità del Duomo che altro non vorrebbe se non condurre a Cristo.

Sette colonne sostengono da ogni lato il portale. Gli stipiti, nella cui parte superiore sono scolpite teste di animali, corrispondono ai diversi livelli del portale. Le colonne, in parte incassate, costituiscono con i loro capitelli la base della zona superiore. Piante e boccioli animano questo spazio; tra di essi si riconoscono volti umani, visi dall'espressione grottesca e teste di animali. La zona a rilievo soprastante i capitelli caliciformi mostra, nella strombatura sinistra anteriore, presso la porta, una scimmia accovacciata, il demonio nell'atto di mettere un cappio al collo di un uomo, e due aquile, delle quali quella dalle penne lisce simboleggia la beatitudine eterna, l'altra con il piumaggio ruvido è simbolo di dannazione. Un leone corre verso le aquile; lo seguono sirene alate e due draghi intrecciati l'uno con l'altro. Nella strombatura destra si vedono due cani, di esecuzione posteriore, con un'unica testa e legati con viticci. I rilievi successivi presentano una volpe che trascina per i capelli un uomo sdraiato. Tra un leone ed una scimmia, un uomo ne afferra un altro per il copricapo appuntito, mentre solleva l'ascia per colpire. Segue un piccolo demonio, quindi un uomo con le mani alzate che precede draghi intrecciati tra loro. Il corpo di un animale dalla testa umana e una sirena danzante tra due teste concludono questa serie di rilievi. 

Nella strombatura sinistra è rappresentato l'inferno, in quella destra il mondo degli uomini, alla mercé dei demoni. Nella parte superiore segue ora la rappresentazione del mondo del sublime, il mondo dei santi: al di sopra delle colonne troneggiano gli Apostoli con nelle mani libri e pergamene con lo sguardo rivolto verso l'alto - quanto più essi sono vicini al centro, tanto più guardano con concentrazione il Cristo. A sinistra si riconosce S. Pietro con la chiave, a destra S. Paolo. Gli Apostoli, al pari delle colonne che li sorreggono, diventano simbolicamente colonne della fede e testimoni del Giudizio Universale. Quattordici santi, ovvero due volte sette, sono qui rappresentati: si tratta degli Apostoll con l'aggiunta dei due evangelisti, Luca e Marco, che non vengono annoverati fra i Dodici. Questa interpretazione è suffragata dal fatto che dieci delle figure hanno in mano dei libri, mentre quattro di esse rotoli di pergamena.  

Il portico gotico rese necessarie modifiche decisive e risale allo stesso periodo della finestra gotica, aperta intorno al 1440 al posto di un rosone romanico. Le due figure nell'intradosso interno rappresentano, a sinistra, un uomo con la piccozza, a destra, un uomo accovacciato; si potrebbe trattare di uno scalpellino e del costruttore. È interessante notare che la piegatura del ginocchio sinistro del Cristo fu scalpellata via. Alla base di ciò possiamo vedere probabilmente un antico cerimoniale di ammissione ad una corporazione edile medievale. In questo modo le due piccole statue, maestro e garzone, renderebbero omaggio "all'architetto del mondo".

Il portico, che nel XV secolo fu abbassato e modificato per la costruzione della finestra ad ovest e nel quale è introdotto il portale, mostra nella zona superiore un grifone nell'atto di colpire un animale, a destra Sansone che spalanca le fauci di un leone dopo averlo immobilizzato con un ginocchio, a sinistra, su un trono, un giudice con le gambe accavallate, popolarmente detto "l'Estrattore di spine", e una figura di S. Stefano, trasferita qui in epoca posteriore (copia del 1997). La rappresentazione del giudice e i due leoni che lo fiancheggiano indicano che in questo portale si doveva amministrare la giustizia.

Il 23 marzo 1997, la porta, dopo necessari interventi di restauro durati oltre un anno, è stata solennemente riaperta dal cardinale arcivescovo Christoph Schònborn. I lavori di restauro hanno messo a nudo anche resti degli strati di pittura medievale del portale. Scavi archeologici in questa aerea hanno riportato alla luce, oltre a molti reperti funerari, anche tratti di muri di precedenti edifici finora sconosciuti: un portico rettangolare e le fondazioni di un portale di epoca precedente. Poiché nel Medioevo le sepolture si trovavano solo intorno alle chiese, si può dedurre dalla presenza ininterrotta di tombe sotto questo portale più antico, l'esistenza di una chiesa di epoca precedente situata più ad est.

Percorso iconografico - L'ingresso del Portale Gigante, fino al 1952 aperto solo per le grandi solennità, guida il fedele verso Cristo, così come fanno gli Apostoli. Una volta all'interno dell'edificio, si ripete lo stesso schema iconografico: i santi sulle colonne fanno quasi ala e conducono verso l'altare maggiore, simbolo di Gesù Cristo.  

Interno del Duomo

LA NAVATA CENTRALE - L'interno non segue lo schema classico di una cattedrale gotica, ma si presenta con l'interno a tre navate tipico di una chiesa parrocchiale. L'edificio è orientato chiaramente verso il coro. Ogni navata si riferisce ad un tema iconografico preciso, come testimoniano in particolare i santi sui pilastri: la Navata Centrale con l'altare maggiore fa riferimento a Gesù Cristo, ma anche a S. Stefano e a tutti i santi; la navata laterale posta a sud, agli Apostoli e quella a nord, alla Madre di Dio. In questo contesto, si osservi che il coro centrale presenta una leggera curva verso nord; non è stato chiarito se questo fenomeno si possa spiegare con l'orientamento ad est o se celi propositi iconografici: il capo chino del Redentore sulla croce.

L'altare maggiore fu costruito dai fratelli Johann Jakob e Tobias Pock, di Costanza, su commissione del principe vescovo Philipp Friedrich conte Breuner, e fu consacrato il 19 maggio 1647. Per quanto riguarda la concezione, esso appartiene al tipo "Porta Coeli", poiché, nella sua struttura, ricorda un portale. La pala d'altare è opera di Tobias Pock: rappresenta la lapidazione di S. Stefano davanti alle mura di Gerusalemme e su di lui i cieli aperti con Cristo seduto alla destra del Padre. Nella parte anteriore sinistra del dipinto, la rappresentazione del giovane con un cane e con lo sguardo quasi proteso verso l'esterno è ritenuta l'autoritratto dell'artista Tobias Pock.

L'altare maggiore di S. Stefano costituisce il primo e più significativo esempio di altare del primo barocco a Vienna. Svariati gradini conducono all'imponente mensa dell'altare sul quale dal 1989, anno dell'ultima risistemazione dell'altare (rimozione del tabernacolo), si trovano sette candelieri dorati barocchi: una allusione ai primi sette diaconi della Chiesa. Lo zoccolo, le colonne isolate, la travatura e il frontone sono eseguiti in marmo nero polacco sul quale ben risaltano i due stemmi sullo zoccolo e i mezzi pilastri in marmo grigio della Stiria. I restanti elementi decorativi e figurativi sono realizzati in marmo bianco tirolese.

La pala d'altare, alta 15 metri, fu dipinta su peltro (fuso da Gian Giorgio Diepolt di Costanza) per timore che una tela non resistesse, viste le dimensioni del dipinto. Essa è fiancheggiata dalle statue di S. Sebastiano e del margravio Leopoldo IIII, patrono dell'Austria, a sinistra, e da quelle del martire S. Floriano, altro santo austriaco, e di S. Rocco, a destra. S. Sebastiano e S. Rocco sono venerati quali protettori dalla peste e, proprio a ricordo delle epidemie, hanno trovato posto sull'altare maggiore. Nella parte superiore, accanto a due grandi angeli, si trovano due vescovi di incerta identificazione. Potrebbe trattarsi di Quirino e Severino o di Bonifacio e Ruperto. Il dipinto rettangolare rappresenta Maria, Regina degli Apostoli e dei Santi. A coronamento dell'altare si trova infine una statua dell'Immacolata. Il giorno precedente la consacrazione dell'altare maggiore, il principe vescovo Breuner consacrò la grande colonna mariana davanti alla chiesa "Am Hof". In quell'occasione, l'imperatore Ferdinando III fece al vescovo la solenne promessa di proclamare l'Immacolata Concezione patrona dell'arciducato d'Austria.  

Gli stalli barocchi del coro, che ospitava il capitolo furono realizzati tra il 1639 e il 1648, sotto il vescovo Breuner, da Mattia Hàckl su progetto Johann Jakob Pock. La parte posteriore è articolata da colonnine che incorniciano conchiglie nelle quali sono sistemati i busti di papa Paolo II e dell'imperatore Federico MI, fondatori della diocesi di Vienna, oltre a quelli dei vescovi della città. 

La loro identificazione è possibile grazie ai sottostanti cartigli araldici e alle sigle poste al di sopra dei busti. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, al coro fu aggiunta una fila di stalli da ciascun lato.

Delle originarie vetrate gotiche sono giunte a noi attraverso i secoli solo le tre inserite nelle finestre del coro. La vetrata della Crocifissione era posta in origine nella finestra centrale, probabilmente come continuazione iconografica del perduto altare maggiore gotico. Nel 1901 la vetrata venne trasferita nella finestra destra. Nella zona sottostante è rappresentata la lapidazione di S. Stefano, patrono del Duomo, nella parte superiore, la Crocifissione.  

Gli altari a pilasti e gli altari laterali - La pala d'altare originaria, dipinta da Martino Altomonte, rappresentava S. Giovanni Nepomuceno, santo nazionale della Boemia. Fu l'unica ad andare distrutta nell'incendio del Duomo e fu sostituita da un'opera di soggetto simile del cosiddetto Schmidt di Krems, prestito dell'abbazia di Melk. Poiché l'Abbazia richiese indietro la pala, fu eseguita una copia dell'Estasi di S. Giovanni Nepomuceno, quella che attualmente orna l'altare che funge da credenza. A sinistra e a destra si trovano le statue di S. Giovanni Battista e di S. Giovanni Evangelista. L'altare fu portato a compimento nel 1723.

L'altare di S. Carlo Borromeo, terminato nel 1728, era originariamente ornato da una pala di Michaele Rottmayr (oggi conservata nel Museo del Duomo). Nel 1783, questa venne sostituita con una pala di Wolfgang Kòpp, eseguita con la tecnica a scagliola, che rappresenta l'arrivo in Cielo del giovane cardinale milanese, intercessore contro la peste. Il dipinto è fiancheggiato, a sinistra e a destra rispettivamente, dalle sculture di S. Pietro e S. Giacomo il Giovane. Le immagini superiori di entrambi gli altari mostrano degli angeli nella gloria celeste.

L'altare con l'immagine miracolosa di "Maria nel sole" - L'altare di Nostra Signora, adibito alla comunione, come fa pensare la presenza tutt'intorno di una cancellata, ospita la miracolosa immagine tardo gotica (risalente agli anni tra il 1470 e il 1480) di "Maria nel sole", qui trasferita il 18 ottobre 1693. Il dipinto rappresenta Maria in piedi sulla falce di luna con Gesù Bambino in braccio. Sopra la testa della Madre di Dio, due angeli sorreggono la corona degli Asburgo. Ai suoi piedi, da entrambi i lati, sono inginocchiati i membri di una non meglio identificata famiglia di donatori. Il dipinto è opera di un artista anonimo presumibilmente della scuola di Martin Schongauer e ricorda, quanto a confezione e a stile, l'opera di Hans Siebenbùrger, artista attivo a Vienna nel tardo sec. XV.

Il progetto dell'altare risale a Mathias Steinl. Accanto ai due angeli posti sui lati, si trovano le statue dei santi Simone e Giuda Taddeo che ricordano l'altare anteriore. Nella parte superiore è rappresentato Dio Padre, chino verso il dipinto, con lo Spirito Santo. Le due figure laterali rappresentano S. Giovanni Battista (sinistra) e S. Benedetto (destra).  

L'altare di S. Giuseppe - Analogamente all'altare di Nostra Signora, anche l'altare di S. Giuseppe fu concepito come altare per la comunione. La sua erezione risale al 1700 circa e il progetto è attribuito anch'esso a Mathias Steinl.  La pala d'altare di Anton  Schoonjans è dipinta su metallo e rappresenta il giovane S. Giuseppe nell'atto di presentare al fedele il Bambino Gesù per l'adorazione (vi è apposta la data del 1699).

Accanto agli angeli in preghiera sono rappresentati gli evangelisti Matteo e Marco e nella parte superiore Luca e Giovanni. Molto ben riuscita, da un punto di vista iconografico, è l'Annunciazione collocata al di sopra della pala.

L'altare di Santa Cecilia - La pala di questo altare, coronata da un rilievo araldico, mostra S. Caterina inginocchiata su delle nuvole. Accinto a lei sono S. Cecilia, patrona della musica, e S. Lucia. Sopra di loro si libra un grosso angelo circondato di putti che tiene tra le mani la corona del martirio. Le statue rappresentano S. Giovanni Evangelista e un santo con la barba senza attributi. Il dipinto nella parte superiore mostra la Madonna con il Bambino, con lo sguardo chino verso i santi della pala sottostante. L'altare termina con una figura di S. Elisabetta di Turingia posta su un piedistallo. Sul gradino si legge una iscrizione che ricorda la donazione dell'altare da parte di Nikolaus Wilhelm Becker, barone di Walhorn.

L'altare di S. Gennaro - La pala di Martino Altomonte rappresenta la Gloria di S. Gennaro sulla città di Napoli. Degli angeli sorreggono il pastorale, la palma (simbolo del martirio) e le ampolle con il sangue del santo. San Gennaro è infatti noto soprattutto per il miracolo dello scioglimento del sangue che si ripete dal 1389 a scadenze regolari. Il dipinto è fiancheggiato dalle statue di S. Giovanni Nepomuceno e di S. Nicola. Nella parte superiore troviamo la rappresonlaziono del martirio di S. Vito, patrono dell'altare anteriore. Delle due sante è identificabile solo S. Maria Maddalena, a sinistra. I rilievi sul basamento riproducono l'arresto di S. Gennaro e l'ammansimento dei leoni.  

Il pulpito, che studi recenti non attribuiscono più ad Anton Pilgram, risale al tardo sec. XV (al più tardi 1480) ed è costituito da tre blocchi di pietra arenaria le cui giunture sono riconoscibili ad occhio nudo. La tribuna del pulpito si eleva dalla base d'appoggio come un fiore stilizzato, dal quale spuntano, petali immaginari, i quattro Padri della Chiesa. La base è costituita da sei graziose colonnine con rappresentazioni dei santi; la colonna portante, più grande e posta al centro, simbolizza la domenica, giorno in cui dal pulpito si predicava. 

Le figure di poco più grandi rappresentano, insieme con le statue poste tra i Padri della Chiesa, i Dodici. Le restanti mostrano santi molto venerati e patroni di vari uffici. I busti dei quattro Dottori della Chiesa, dai lineamenti molto simili, che guardano fuori da un balcone chiuso gotico, simboleggiano anche i quattro temperamenti e, insieme con il "Guardone", le quattro età dell'uomo. Da destra a sinistra: S. Ambrogio con mitra e libro simboleggia il temperamento sanguigno; S. Geronimo, con cappello cardinalizio e libro, è rappresentato come vecchio collerico; S. Gregorio, con tiara, libro e lente d'ingrandimento, è visto come lo scettico flemmatico e di mezza età; da ultimo S. Agostino, con mitra, libro e calamaio, rappresenta il giovane melancolico, assorto nei suoi pensieri.

Come già osservato, tre blocchi di arenaria costituiscono il pulpito, mentre i quattro Dottori della Chiesa ornano la tribuna. Tre per quattro è uguale a dodici: sia l'insegnamento dei Padri della Chiesa che l'omelia del sacerdote dal pulpito si basano sui dodici Apostoli che, infatti, assumono la funzione portante nel basamento del pulpito.  

La balaustrata si compone di quattro ruote con motivi trilobati e quadrilobati. Le une simboleggiano la Trinità, le altre sono simbolo delle cose terrene, delle stagioni, dei punti cardinali e dei temperamenti. Il predicatore, mentre sale la scala del pulpito, deve lasciar dietro di sé tutto ciò che è terreno e peccaminoso; quanto c'è di divino, invece, deve portarlo con sé e, colmo di esso, annunciare la parola di Dio. Strani animali, serpenti, anfibi e rane popolano il corrimano della ringhiera. Così viene rappresentata la lotta tra il Bene e il Male: le rane, che si trattengono nei pantani ed evitano la luce del sole, simboleggiano insieme con i serpenti il Male.

Le lucertole e gli anfibi, che invece escono al sole, sono simbolo del Bene. Si riconosce chiaramente infatti come rane e anfibi si mordano a vicenda. La lotta sembra incerta, non si sa chi ne uscirà vittorioso; ma, affinché nessuno degli animali cattivi raggiunga il predicatore, è posto alla fine del corrimano un cagnolino con l'incarico di impedire che qualche ospite indesiderato arrivi su. L'ingresso al pulpito è costituito da una porta con un motivo trilobato e statuette neogotiche delle tre Virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. L'attuale corona del fonte battesimale funse fino alla Seconda Guerra Mondiale da baldacchino del pulpito che, in questo modo, ricordava la forma di un turibolo.  

Nel cosiddetto "Guardone" ritroviamo le sembianze dell'anonimo maestro del pulpito, proveniente probabilmente dal circolo di un certo Niclaes Gerhaert van Leyden. Squadra e compasso lo accreditano quale architetto, l'abbigliamento ed i capelli lunghi quale libero cittadino.

Il pulpito venne più volte restaurato, così per esempio nel 1652 e agli inizi del sec. XIX. In quell'occasione esso fu verniciato completamente on colore ad olio grigio. Poiché il pilastro del pulpito cedette leggermente, nel 1870 fu puntellato e successivamente, tra il 1878 e il 1880, si procedette ad un restauro radicale: venne smontato e portato via e fu liberato dalla cappa di colore ad olio, cosa che determinò però la perdita dell'antica pittura conservata sotto. Una volta integrate e restaurate idealmente alcune parti, il pulpito fu ricomposto. Una iscrizione sotto il "Guardone" ricorda questi interventi di restauro.

Il pulpito di S. Stefano fu sempre luogo di controversie e dispute. Così, ad esempio, al tempo della Riforma, il 12 gennaio 1522, il vescovo Georg von Slaktonia lasciò il pulpito al predicatore protestante Paulus Speratus, che da lì tenne ai religiosi di Vienna lì riuniti una fervente predica contro la vita monastica, invitandoli ad abbandonare il convento. E da qui predicò S. Pietro Canisio (1597), primo gesuita tedesco e predicatore di S. Stefano.

Nel nostro secolo, il cardinale Theodor Innitzer tenne da qui il 7 ottobre 1938, nel corso delle celebrazioni per la Madonna del Rosario, la sua famosa predica ai giovani, nella quale li invitava alla fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa: "Solo uno è il vostro duce, Gesù Cristo!". Queste coraggiose parole ebbero come conseguenza l'assalto al palazzo vescovile della gioventù hitleriana.  

L'altare di S. Giovanni Battista - La pala di Michael Rottmayr (1788) raffigura l'imposizione del nome a S. Giovanni Battista da parte del padre Zaccaria. Al centro siede S. Elisabetta che tiene il fanciullo tra le braccia e lo porge all'osservatore. Nella metà sinistra del dipinto, è rappresentata la Madonna incinta. Dietro di lei si riconosce S. Giuseppe.

Anche del progetto e dell'esecuzione di questo altare particolarmente affascinante, che si appoggia artisticamente al pilastro gotico, si assume la responsabilità Mathias Steinl. Al di sopra della pala, è rappresentata l'Immacolata, affiancata da due sante. L'altare è coronato da una raffigurazione della Trinità. È anche interessante la presenza di due figure che dall'altare si volgono verso la navata: a sinistra, S. Francesco e, a destra, la statua molto venerata di S. Antonio da Padova.

La galleria ovest e le cappelle laterali doppie - Sotto Rodolfo il Fondatore, furono aggiunte alla navata romanica ancora esistente le doppie cappelle a sinistra e a destra delle Torri Pagane. Le due cappelle superiori erano raggiungibili dalla galleria occidentale. L'antica galleria ducale fu destinata dal duca Rodolfo a sede del Capitolo di Ognissanti da lui fondato. L'apertura del grande finestrone gotico divenne necessaria solo con la costruzione a volta della navata gotica (dal 1446).

In corrispondenza delle Torri Pagane si trovano, nella galleria ovest, volte a crociera tardo-romaniche e rosoni con ruote a raggi e intrecci che costituivano le originarie finestre della navata romanica. Nel lato nord si riconosce un affresco romanico raffigurante Cristo nella mandorla, a destra Maria, a sinistra Giovanni il Battista. A sinistra, al di sotto della scena, si distingue una figura femminile con un bimbo in braccio cui accenna una mano che fuoriesce dalle nuvole. Tra le numerose interpretazioni di questa scena, la più corrente la ritiene la rappresentazione di una investitura medievale. L'affresco viene anche inteso come allusione al fatto che qui si trovava l'antica galleria ducale dei Babenberg. I piccoli appoggi gotici, che sorreggono i positivi degli organi, costituivano in un primo tempo basi di appoggio di altari.

La cappella superiore nord, chiamata cappella di S. Valentino, fu terminata nel 1440 e racchiude dagli inizi del secolo il tesoro delle reliquie del Duomo, cui aveva dato inizio il duca Rodolfo.

Un altare delle reliquie neogotico, opera di Ludwig Lìnzinger, racchiude le reliquie di vari santi oltre al reliquiario con le teste dei Santi Cosma e Damiano. Armadi a muro barocchi intarsiati e piramidi d'altare contengono reliquiari e mostranze con varie reliquie. Al centro della cappella è situato un sarcofago con le ossa di S. Valentino. I pochi oggetti di venerazione di epoca medievale pervenutici, come la preziosa custodia con una scheggia della Santa Croce, sono conservati ed esposti nel Museo Diocesano e del Duomo dal 1933.  

La cappella di S. Bartolomeo (cappella superiore sud), chiamata anche Cappella Reale o Ducale, racchiudeva una volta nelle sue finestre le cosiddette "vetrate degli Asburgo", una specie di genealogia della dinastia, oggi conservate nel Museo di Storia della Città. Degne di nota sono anche le due chiavi di volta (S. Michele con la bilancia per pesare le anime e S. Michele che uccide il drago).

Il Principe Eugenio di Savoia è sepolto nella tomba al centro della cappella della Santa Croce (cappella inferiore settentrionale, altrimenti detta cappella Morandus, Tirna, Liechtenstein o Savoia). La parete dell'altare è ornata da un crocifisso tardogotico con capelli naturali; l'affresco che lo circonda fu eseguito da Johann Ender nel 1853. Il monumento funebre per il principe Eugenio di Savoia (t 1736), generale dell'esercito imperiale nella guerra contro i turchi, fu fatto erigere da sua zia, Maria Teresa Felicita di Savoia, nel 1752. Il monumento, collocato nel muro, è costituito da un sarcofago e da una piramide decorata con sculture di Joseph Wurschbauer. Nello stesso anno furono rinnovati anche la mensa dell'altare e l'imponente tabernacolo barocco; già nel 1731 erano stati realizzati l'altare della croce e la grande cancellata barocca di ingresso. Nelle statue neogotiche dei pilastri si riconoscono, a cominciare dalla destra dell'ingresso, i santi Francesco di Paola, Giovanni Battista, Elisabetta di Turingia, Francesco e Leopoldo; mentre, a sinistra dell'altare, i santi Stefano, Severino, Teresa di Avila, Giuseppe e Luigi.

La cappella inferiore sud, la cappella del Duomo riservata all'adorazione, è denominata cappella di S. Eligio. Essa è adornata da interessanti chiavi di volta del sec. XIV (Ecce Homo, Maria con il Bambino) e dall'unico altare gotico a portelli del Duomo a noi pervenuto. L'altare di S. Valentino, donazione del vescovo di Chimsee, Ludwig Ebner, fu eseguito originariamente per la cappella omonima. Nel pannello centrale è inserita la figura del santo vescovo Valentino tra quelle di S. Odilia e S. Orsola. I portelli aperti presentano, a sinistra, San Leodegario, a destra, S. Erasmo. All'esterno dei portelli si vedono S. Barbara, a sinistra, e S. Elisabetta, a destra. Le ali fisse esterne mostrano, a sinistra, S. Caterina, a destra, S. Rocco. Nella parte superiore dell'altare è posta la statuetta di un Ecce Homo (copia). Sul lato sinistro della cappella, sulla base di una colonna, c'è una scultura policroma di Maria con il Bambino (1330 circa), qui trasferita dall'antico convento della Himmelpfortgasse e perciò detta anche la "Himmelpfòrtnerin", ovvero la "Portiera del Gelo".

Le figure dei pilastri raffigurano, a partire da destra, i seguenti santi: una santa non identificata (1360 circa), Ludmilla (1360 circa), un santo vescovo con calice (1365 circa), Biagio (1890), la "Portiera del Gelo" con Eligio (1890); a sinistra dell'altare, Remigio (1890), Leonardo (1890), un abate santo con pietra e pastorale (1365), Afra (1360) e Maria con Gesù Bambino (1365).

Nell'altare di questa cappella ogni giorno, dalle 6.00 alle 22.00, è esposto il Santissimo per la venerazione .

Navata di Nostra Signora

L'altare di Wiener Neustadt, databile nel 1447 grazie all'iscrizione sulla predella, fu costruito utilizzando antichi frammenti per il monastero cistercense di S. Bernardo a Wiener Neustadt. Nel 1883 arrivò a S. Stefano, dove fu collocato dapprima nel lato sud del Coro degli Apostoli, poi, nel 1952, nel Coro di Nostra Signora. L'altare ospita il tabernacolo principale del Duomo. È considerato una donazione dell'imperatore Federico III, poiché sulla predella si trova il suo motto "AEIOU". Queste cinque lettere vengono interpretate in modo differente, ma la decifrazione di esse è, a dire il vero, alquanto discutibile.

Si tratta di un altare trasformabile a quattro portelli, evoluzione dell'armadio delle reliquie. Aprendo i portelli della predella, appaiono piccole finestre gotiche traforate, dietro le quali un tempo venivano conservate delle reliquie. Esse venivano esposte ai fedeli solo in occasione delle feste solenni; nei giorni feriali e le domeniche ordinarie le reliquie - che costituivano il patrimonio più prezioso di un monastero - venivano poste al sicuro chiudendo le finestre. I portelli aperti della predella mostrano scene dalla vita di Maria: a sinistra, l'Annunciazione e  la Visitazione; a destra, la Nativita e l'Adorazione dei Magi. I portelli chiusi rappresentano scene dalla  Passione: a sinistra, Gesù sul Monte degli Ulivi e la Crocifissione; a destra, la Flagellazione e la Coronazione di spine.

Quando i grandi portelli sono chiusi (lato dei giorni feriali), è possibile vedere raffigurazioni di santi su fondo scuro, disposti su quattro file; a portelli semi aperti (la domenica) si vedono parimenti dei santi, ma su fondo dorato. In complesso sono visibili 72 santi, tra i quali alcuni Apostoli, i santi Floriano e Cristoforo, o, accanto a santi dell'ordine benedettino o a S. Stefano, anche santi piuttosto sconosciuti, come il leggendario S. Morando, venerato dagli Asburgo come loro presunto antenato.

Poiché la severa regola dei cistercensi per lungo tempo permise la rappresentazione plastica solo del Crocifisso e di Maria, troviamo rappresentato sull'altare aperto un ciclo mariano. Al centro, Maria, la nuova Eva, seduta in trono con il Bambino in braccio; alla sua sinistra, S. Barbara con la torre e, alla sua destra, S. Caterina con la spada. Sopra questa scena, l'Incoronazione di Maria.

Nel portello sinistro, sono riconoscibili, nella parte inferiore, la Natività, in quella superiore, un'altra Incoronazione di Maria. Nel portello destro, è visibile l'Adorazione dei Magi. È interessante osservare che tra i Magi non vi è nessun moro. In questa scena è rappresentato l'omaggio delle stagioni della vita al loro Redentore. Il re sbarbato, a sinistra, raffigura la giovinezza, il secondo l'età adulta, il terzo, inginocchiato, la vecchiaia. Nel riquadro superiore è rappresentata la Dormizione di Maria, circondata dagli Apostoli. Il prediletto Giovanni sostiene la Madre di Dio morente, mentre Gesù accoglie l'anima incoronata di Maria.

Attualmente l'altare viene chiuso a metà durante l'Avvento e la Quaresima, completamente nella Settimana Santa

Il cenotafio del duca Rodolfo IV e della sua sposa Caterina (1360 circa) ci è pervenuto purtroppo in un pessimo stato di conservazione. Anticamente nei baldacchini della galleria erano rappresentati eruditi e monaci - riferimento ai meriti di Rodolfo nella fondazione dell'università. Le figure di Rodolfo e Caterina, eseguite in arenaria, erano adornate di pietre preziose. 

Originariamente il monumento sepolcrale era situato nel Coro Centrale, vicino all'entrata alla sua tomba. In occasione delle celebrazioni funebri per l'imperatore Federico III, nel 1493, fu trasferito nel lato destro del Coro di Nostra Signora. Dopo la guerra fu spostato alla parete sinistra del Coro di Nostra Signora. Solo da poco ha ripreso posto alla destra dell'altare di Wiener Neustadt.

L'altare dei Santi Pietro e Paolo - L'unico altare ligneo del Duomo è anche l'altare della corporazione degli scalpellini e risale al 1677. Sopra una mensa gotica si eleva la struttura in legno marmorizzata, simile per concezione all'altare maggiore. Ai lati della pala di Tobias Pock, che mostra la glorificazione dei due principi degli Apostoli, sono le figure di due santi monarchi: a destra, l'imperatore Enrico e, a sinistra, il margravio Leopoldo. Il dipinto superiore mostra i Santi Quattro Coronati ai piedi di Maria. Statue di S. Sebastiano e S. Rocco, invocati contro la peste, sono collocate a sinistra e a destra.  

L'altare di S. Francesco - La pala d'altare, spostata all'indietro per raggiungere un effetto spaziale, è opera di Michael Rottmayr e raffigura la Stigmatizzazione di S. Francesco d'Assisi. Ai lati i santi Virgilio e Cassiano.

Il dipinto superiore mostra S. Orsola, patrona dell'altare anteriore, con le compagne; ai lati, S. Giacomo Apostolo e S. Matteo Evangelista. 

Il disegno dell'altare è attri­buito a Mathias Steinl.  

Il piede monumentale dell'organo - Come pendant al "Baldacchino di Fùchsel" situato di fronte, Anton Pilgram creò il cosiddetto piede dell'organo. L'imperatore Massimiliano I appoggiò il progetto di Pilgram. 

Il maestro rappresentò sé stesso affacciato ad una finestra. I suoi tratti somatici tradiscono insicurezza e onere della responsabilità, in quanto, come architetto del Duomo, non era particolarmente amato dai suoi collaboratori. Compasso e squadra lo identificano quale architetto; il suo abbigliamento, con cappello dottorale e talare, è invece quello di un erudito. 

L'iscrizione sotto il ritratto porta la data del 1513 e accredita Pilgram con il titolo accademico di "Magister".

Sopra, nella galleria, doveva trovarsi il primo organo del Duomo; di fronte vi era lo spazio destinato ai cantori.

L'altare di S. Francesco Saverio - La pala d'altare (1690) raffigura S. Francesco Saverio che predica ai mori. Le altre figure rappresentano i santi Nicola e Guglielmo. 

Nel dipinto superiore, si ammira l'Incoronazione di Maria ad opera della Trinità; ai lati le sante Barbara e Caterina. Una statua di S. Elena con la croce corona l'altare. Nel gradino si trova una iscrizione che commemora la donazione dell'altare da parte del barone Nikolaus Wilhelm Becker (1690).

L'altare del Sacro Cuore di Gesù - Come il Duomo di Ratisbona, anche il Duomo di S. Stefano possiede tre preziosi altari gotici con baldacchino dei quali quello soprannominato "Baldacchino di Puchheim" (1434), dal nome della donatrice Elisabetta di Puchheim, è il più antico ed anche il più bello. L'opera è attribuita al maestro Hans Puchbaum. Sull'altare si trova una immagine molto venerata del Sacro Cuore di Gesù del sec. XVIII.

La cappella di S. Barbara - Uno degli ambienti più semplici del duomo è costituito dalla sala di preghiera e meditazione: la cappella di S. Barbara, situata nella base della Torre dell'Aquila. In questa cappella tardogotica, con chiavi di volta pendenti molto significative (scudi), furono rimosse le ultime tracce della guerra solo nel 1986.

Nel 1983 fu portata qui dalla chiesa parrocchiale di Schonkirchen una croce tardogotica a grandezza naturale. Ai piedi del crocifisso fu racchiusa una capsula contenente ceneri provenienti dal crematorio del campo di concentramento di Auschwitz, consegnata dal cardinale Franciszek Macharski all'allora Arcivescovo di Vienna, cardinale Franz Kònig, in occasione della celebrazione dei Vespri per la Giornata Cattolica, il 10 settembre 1983, alla presenza di papa Giovanni Paolo II.

Per i finestroni tardogotici della cappella erano previste vetrate di Marc Chagall sul tema dell'immagine divina nel Vecchio e Nuovo Testamento. La morte dell'artista impedì purtroppo la realizzazione del progetto.

Navata degli Apostoli

Alla parete occidentale dello spazio situato sotto la Torre Nord, si trova il busto originale di un Ecce Homo di epoca gotica, chiamato il "Cristo del mal di denti". Originariamente si trovava nella parte anteriore esterna del Coro Centrale, ma nel 1960 venne sostituito in quel luogo da una copia. Il nome si deve ad una leggenda: degli ubriachi, di ritorno da un giro delle osterie, attraversarono il cimitero di S. Stefano e si fecero beffe dell'espressione sofferente del Cristo, chiamandolo "Il Cristo che ha il mal di denti" . Gli legarono un fazzoletto e si presero gioco di lui. Quella notte, però, essi vennero colpiti da un forte dolore di denti che fu alleviato solo quando essi andarono in pellegrinaggio alla statua del "Cristo del mal di denti" per chiedere perdono.

Il monumento sepolcrale dell'imperatore Federico III - L'imperatore Federico III, nato ad Innsbruck nel 1425, fu una persona pia che non amava né la guerra né la caccia, ma piuttosto la botanica, l'alchimia e l'astrologia. Si dice che fosse di nobile aspetto e che fosse tenace e parsimonioso. Nel corso della sua vita, che fu per quei tempi molto lunga, tuttavia non gli vennero risparmiate guerre, dissidi e intrighi. Nel 1452 sposò Eleonora di Portogallo e da questa unione nacque il futuro imperatore Massimiliano.

L'imperatore Federico III edificò con grande magnificenza le sue residenze di Linz, Graz e Wiener Neustadt. Nel 1469 ottenne dal Papa la creazione del vescovado di Vienna. Oltre a fondare numerosi monasteri e chiese, conseguì nel 1485 la canonizzazione di Leopoldo III Babenberg. Poco dopo essere stato sottoposto all'amputazione di un arto inferiore, mori, il 18 agosto 1493, per le conseguenze di un colpo apoplettico. I suoi successi furono dovuti non da ultimo al fatto che visse più a lungo di tutti i suoi nemici.

Tra il 1463 e il 1467, l'imperatore Federico III riusci ad assicurarsi per il suo monumento funebre lo scultore più importante dell'epoca, Niclaes Gerhaert van Leyden, attivo a Strasburgo. Al maestro in persona si devono il progetto del monumento e il coperchio della tomba, del peso di circa otto tonnellate. È eseguito in marmo proveniente dalla cava di Adnet, nei pressi di Hallein. 

Il maestro Niclaes morì a Wiener Neustadt nel 1473. Nel 1479, la lastra fu trasferita a Wiener Neustadt per ragioni di sicurezza, poiché Vienna era allora occupata dalle truppe del re d'Ungheria Mattia Corvinio. Essa fu di nuovo riportata a Vienna nel 1493, ancor prima della morte dell'imperatore. Max Valmet esegui infine, su incarico dell'imperatore Massimiliano, le lastre con i rilievi, mentre Michael Tichter di Salisburgo, la balaustrata con le sue 54 figure.

Il monumento sepolcrale è costruito su tre livelli: su una infrastruttura ricoperta di animali di ogni genere poggia una balaustrata che circonda il sarcofago vero e proprio. Nella base della balaustrata si trovano le raffigurazioni dei Dodici, nella parte anteriore ovest,  al centro, la figura di Cristo in veste di giudice. Sul lato est dei gradini conducono alla balaustra che è praticabile. Vicino alla scala si trova la rappresentazione del Cristo Risorto, con ai lati due angeli con gli strumenti della passione. Gli archi della balaustra sono decorati con figure di santi, tra cui anche una di S. Leopoldo.  

I rilievi sulle pareti del monumento simbolizzano le fondazioni religiose dell'imperatore: nel lato anteriore (est) il monastero francescano di S. Leonardo, nei pressi di Graz (1463); sul lato sud, a sinistra la fondazione del convento eremitico dei Paolani, al centro la fondazione del vescovado di Ljubljana (1461), e sul lato destro la fondazione del monastero domenicano di S. Pietro a Wiener Neustadt (1444); nel lato est (posteriore) la fondazione del monastero cistercense di S. Bernardo a Wiener Neustadt (1444); nel lato nord, a sinistra Commenda dell'Ordine cavalieresco di S. Giorgio nel castello di Wiener Neustadt (approvata dal Papa nel 1469), al centro l'istituzione del vescovado e della collegiata di Wiener Neustadt e, sul lato destro, il monastero dei canonici di S. Ulrico, situato anch'esso a Wiener Neustadt. Sulle pareti del sarcofago è da notare anche la raffigurazione di diversi principi elettori che testimoniano l'elevazione dell'Austria a Arciducato - nel 1453 l'imperatore Federico confermò il "privilegium maius" del duca Rodolfo IV.

Sul bordo superiore, vescovi e monaci in preghiera piangono la morte del monarca. Le pareti della tomba sono completate dagli scudi dei possedimenti imperiali. La lastra di copertura del sarcofago mostra la figura sdraiata dell'imperatore con la veste dell'incoronazione - Federico fu l'ultimo imperatore ad essere incoronato dal Papa. I tratti del viso sono identici a quelli del ritratto dell'imperatore anziano. 

A destra del monarca si riconoscono lo stemma dell'ordine cavalieresco di S. Giorgio, lo stemma imperiale con l'aquila bicipite e lo scudo austriaco con la fascia, sostenuto da un leone con l'elmo che con la sua zampa destra afferra la spada imperiale. Ai piedi dell'imperatore si riconosce lo stemma degli Asburgo, alla sua sinistra lo stemma della Lombardia e lo scudo con le cinque aquile dell'antica Austria con il cappello arciducale, sopra il quale un'aquila con la corona sorregge una lascia con le lettere AEIOU e lo stemma della Stiria.

È interessante il messaggio iconografico del monumento: il basamento del sarcofago è popolato da ogni sorta di figure grottesche, creature fiabesche, animali e teschi. Essi simboleggiano il peccato nella vita dell.imperatore. I rilievi sulle pareti del monumento testimoniano invece le buone azioni dell'imperatore. Infine, nella cornice superiore del sarcofago, monaci, sacerdoti e vescovi delle sue fondazioni pregano per la salvezza eterna del monarca. 

Salendo i gradini situati sul lato est, è possibile raggiungere la balaustrata. La raffigurazione del Risorto domina la parete est, angeli sorreggono gli strumenti della passione. È possibile salire nella gloria dei Cieli solo attraverso la Passione e la Resurrezione di Cristo. Lo stesso imperatore volge lo sguardo ad oriente. Sembra alzarsi dalla sua tomba, rivolto verso il sole nascente, simbolo di Cristo. Al di sopra del capo dell'imperatore, la rappresentazione di S. Cristoforo fa riferimento alla profonda fede del pio signore: S. Cristoforo era consideralo il protettore dalla morte improvvisa, imprevista. Guardando la sua immagine la mattina presto, si era salvaguardati da un decesso imprevisto.

Ai nostri giorni, una esplorazione con la sonda ha confermalo che l'imperatore Federico III è veramente sepolto a S. Stefano, nel più grande ed importante monumento funebre imperiale medievale al nord delle Alpi.  

La croce dello jubè - Sulla parete sud del Coro degli Apostoli è stata fissata dal 1952 la cosiddetta "Croce dello jubé", monumento ai caduti della Seconda Guerra Mondiale. Fino al 1945 si trovava sopra il cancello rinascimentale a mo' di croce sull'arco trionfale. Durante l'incendio del Duomo, la figura del Cristo, eccetto la testa e le mani, andò completamente distrutta e fu poi rifatta liberamente. La croce è incorniciata da sei rilievi della Passione (1515 -1520) che un tempo, prima di essere trasferiti qui nel 1952, erano situati sul lato esterno della sala capitolare, al di sopra degli affreschi.

Il nuovo organo del  Duomo - Il nuovo organo, fabbricato nel 1991 dalla ditta austriaca Rieger, dopo quasi quindici anni di discussioni e progetti, ha trovato finalmente la sua sistemazione nella Navata degli Apostoli: la scelta è stata fatta in vista della funzione liturgica dell'organo, così come anche per ragioni architettoniche. 

Lo strumento ha 55 registri su quattro tastiere. Si tratta di un organo principale, molto compatto, sobrio nella posizione di un organo di coro. Possono esservi eseguiti con le migliori condizioni anche brani da concerto, persino con accompagnamento dell'orchestra. La forma esterna non si adatta all'architettura gotica, ma piuttosto alla decorazione interna del Duomo, principalmente barocca.  

La Madonna dei  servi - La leggenda narra che una serva accusata di furto accorresse a questa statua di Maria a chiederle protezione e che, in seguito a ciò, fosse provata la sua innocenza. Il nome, però, si spiega piuttosto con il fatto che questa statua (eseguita intorno al 1320 o, secondo altre ricerche, già nel 1280 circa) originariamente si trovava sull'antico altare dedicato a Maria nel Coro di Nostra Signora, dove un tempo veniva celebrata la messa mattutina, frequentata per lo più dal personale di servizio.

La figura della Madonna, unita delicatamente a Gesù Bambino per mezzo del velo, è considerata per la sua eleganza una delle più belle statue mariane dell'epoca. Dell'originaria policromia sono riconoscibili solo pochi resti, poiché il fumo delle numerose candele di sego, accese davanti ad essa per devozione, con il passare del tempo l'ha annerita. Ancora oggi la Madonna dei servi è una delle immagini più venerate del Duomo.

Altari laterali

L'altare di S. Leopoldo - Vicino all'ingresso della Sacrestia Inferiore, sotto il "Baldacchino Fuchsel" (fu donato nel 1448 da Agnes Fuchsel), nel luogo originariamente destinato ai cantori, è posto l'altare neogotico (1903) del santo margravio Leopoldo. La plastica figura del santo tiene nelle mani lo scudo dell'Austria inferiore ("scudo delle allodole") e il modello di una chiesa. Nella predella si trovano i busti dei santi Colomanno e Severino. Le raffigurazioni sono opera dello scultore viennese Ludwig Schadler, mentre le parti ornamentali furono eseguite dallo scultore Ludwig Linzinger di Linz. Nel muro, a destra dell'altare, è visibile il foro d'entrata della pallottola di un fucile e la data 1848. Entrambi ricordano la rivoluzione del 1848, durante la quale si verificarono scontri anche nel Duomo.  

L'altare della Trinità - Il disegno dell'ultimo altare eretto nel sec. XVIII (1740) si deve probabilmente a Georg Raphael Donner. La pala d'altare di Michelangelo Unterberger (1751) rappresenta la SS. Trinità. La pala è affiancata da due arcangeli. Nella parte superiore, tra due angeli in adorazione, si vede un libro con le parole: "In tres unum sunt". L'architettura dell'altare si deve a Mathias Langwitter, mentre l'opera scultorea a Balthasar Moli. Tra questo altare e l'altare di S. Sebastiano sono posti gli stalli di un coro barocco con un oratorio.

L'altare di S. Sebastiano - La pala d'altare (inizi del sec. XVIII), eseguita da un artista anonimo, raffigura il martirio del martire romano Sebastiano. Sull'arco a sesto ribassato della parte superiore, incorniciato da teste di cherubini, si ergono le figure di due vescovi santi non identificati.  

L'altare con l'immagine miracolosa di Maria Pòcs - Sull'altare tardogotico con baldacchino situato a sud ovest ("Baldacchino di Oexl"), è posta l'icona molto venerata di Maria Pócs. Il 1 dicembre 1697 essa fu collocata al di sopra del tabernacolo dell'altare maggiore per la venerazione e vi rimase fino al 1945, anno del trasferimento nella sede attuale.

L'immagine deriva il nome dalla località di provenienza, Pócs (Ungheria settentrionale), diocesi di Eger, dove fu dipinta nel 1676 da Stephan Pap. Dopo l'esposizione nella chiesa del villaggio, nel 1696, essa cominciò a versare lacrime. Finalmente la fama di questa immagine miracolosa raggiunse la corte imperiale di Vienna. Su sollecitazione di Padre Marco d'Aviano, l'imperatore Leopoldo I, persona di profonda fede, fece trasportare l'icona a Vienna perché fosse conservata nella sua residenza. Dopo che essa, su richiesta dei cittadini, fu esposta per l'adorazione in varie chiese, trovò infine il suo luogo di culto definitivo nel Duomo. 

La vittoria decisiva del principe Eugenio sui Turchi, nella battaglia di Zenta dell'11 settembre 1697, fu attribuita da Abraham a Sancta Clara all'immagine miracolosa. In seguito a ciò gli Asburgo elessero l'icona a "palladium" del loro impero.

In occasione del trasferimento dell'icona nel Duomo, l'imperatrice Eleonora fece dono di una sfarzosa cornice che, probabilmente con allusione alla rosa nella mano di Gesù Bambino, è chiamata "cornice della Rosa Mistica". Nel 1776 la cornice fu sostituita da quella attuale in argento, più semplice e coronata da un baldacchino. L'imperatrice Eleonora, nella stessa occasione, donò anche dei magnifici paramenti per cerimonie solenni, che portano il suo nome e che vengono utilizzati ogni anno per la festa dell'Immacolata, l'8 dicembre.

La cappella di S. Caterina o del Battistero - La cappella di S. Caterina, oggi battistero, è una cappella gotica con un piccolo coro addossato che si trova ai piedi della Torre Sud. La scelta di S. Caterina, patrona degli eruditi e dell'Università, si deve a Rodolfo IV, fondatore dell'Università di Vienna, probabilmente perché nell'immediata vicinanza, nell'attuale Casa della Curia, era ospitata la scuola media, precorritrice dell'università. 

Le significative chiavi di volta raffigurano il Volto di Cristo, l'Agnello di Dio e S. Caterina con spada e ruota. Oggi questa piccola cappella è ornata da un altare neogotico con una statua gotica della santa (anni tra il 1420 e il 1430).  

A sinistra dell'ingresso, sulla parete, si trova una statua dell'Addolorata; a destra una statua di S. Giovanni Evangelista (1895). Gioiello della cappella è comunque il fonte battesimale del 15° secolo. Fu realizzato in marmo di Salisburgo da un artista ignoto nel 1481, come risulta da un'iscrizione sul bordo della vasca. In origine si trovava nella Navata Centrale davanti alla cancellata della Comunione e solo nel sec. XVII fu trasferita nella cappella di S. Caterina.

Al piede del fonte si trovano, come fondamento e base della Rivelazione, della Fede e del Battesimo, i quattro Evangelisti: Matteo, Marco, Luca e Giovanni, con in mano i rispettivi attributi e rotoli o libri. Il fonte battesimale, che sporge notevolmente oltre il piede ottogonale, mostra in quattordici nicchie piatte Cristo "Salvator mundi", i dodici Apostoli e S. Stefano. Sul  bordo tagliato obliquamente si leggono le parole in latino dell'ultimo capitolo del Vangelo di Marco: Poi disse loro: "Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo; chi non crederà, sarà condannato".

Dalla Seconda Guerra Mondiale, il coronamento ettagonale del fonte, in precedenza posto come baldacchino sul pulpito del Duomo, è tornato al suo posto. Nella forma evoca una guglia gotica, è coronato da una rappresentazione del Battesimo di Cristo e mostra su sette riquadri, come su un palcoscenico girevole, le rappresentazioni molto realistiche dei sette sacramenti. Esse sono incassate su sfondi traforati e non sono strettamente separate tra loro. Sopra le singole scene si librano angeli che accompagnano l'amministrazione di ogni sacramento con un simbolo particolare: sul Battesimo un angelo suona pieno di gioia il tamburo; sulla Cresima ci sono degli angeli in preghiera; sull'Eucarestia essi sorreggono un calice; sulla Penitenza un angelo sorregge un libro aperto; sulla Ordinazione sacerdotale e il Matrimonio un angelo accompagna la scena con la musica; al di sopra dell'infermo, l'angelo innalza una croce.

Sulla parete ovest davanti alla cappella, sono stati collocati nel 1947 resti del monumento alla liberazione dai Turchi (1894), in stile neobarocco. Esso celebra la liberazione della città dal pericolo turco nel 1683 ed è opera di Hedmund von Hellmer, uno degli scultori viennesi allora più noti. Il testo latino della targa fu scritto da Franz Jachym, Arcivescovo coadiutore, quello tedesco fu una libera traduzione della scrittrice austriaca Paula von Preradovic (autrice del testo dell'inno austriaco).  

Santi dei pilastri

I santi dei pilastri di una cattedrale, come il Duomo di S. Stefano, raccontavano all'uomo medievale, che in genere non sapeva leggere, della vita e della morte di Gesù e dei santi in un modo semplice e accurato, ma sempre profondamente religioso. In questo modo i pilastri, ben oltre la loro pura funzione architettonica, si caricano di valore simbolico e segnano per così dire un "sentiero di raccoglimento" verso l'altare maggiore del Duomo. Probabilmente l'idea di elevare i pilastri a veicolo di un programma simbolico insolitamente ricco risale già al duca Rodolfo IV. Anche l'imperatore Federico III dovette avere un'influenza decisiva su tale programma. La decorazione figurativa della navata fu realizzata contemporaneamente alle volte: già nell'edificare le pareti della navata, si tenne conto delle statue, per la maggior parte disposte in gruppi di tre, progettando colonnine e baldacchini.

Sebbene il programma iconografico sembra che non fosse stabilito nei dettagli, è possibile tuttavia identificare alcuni dei luoghi destinati previamente a una figura. Mentre il programma iconografico dei tre cori era stato fissato, nelle tre navate, invece, statue di santi, scene dalle Sacre Scritture e dalla vita di Gesù sono disposte in modo apparentemente arbitrario. Le numerose repliche di santi particolarmente popolari si spiegano con le elargizioni, fatte soprattutto dalla borghesia, e sono anche un chiaro riferimento alla consacrazione del tempio a Tutti i Santi. Alcune delle figure di pietra o di argilla si richiamano a reliquie, altari e cappelle della chiesa.

È interessante sapere che nel Duomo si trovano 96 rappresentazioni di Maria, nell'insieme quasi una completa narrazione della sua vita: si tratta di statue di legno o di pietra, dipinti, raffigurazioni individuali o scene di gruppo su monumenti funebri. 

Duomo, luogo di sepoltura

Le catacombe di S. Stefano - Le cripte sotterranee di S. Stefano vennero chiamate dai viennesi con il nome di "catacombe". L'intero complesso di corridoi e celle sotterranee è articolato in una parte più antica, sotto il Duomo, ed una più recente, situata a nord est del Duomo, sotto la piazza. Il centro delle catacombe è costituito dalla Cripta Ducale, in cui, sotto l'altare maggiore, è posto il sarcofago di Rodolfo IV. 

Il duca Rodolfo il Fondatore fece costruire questa tomba di famiglia per sé ed i suoi discendenti; l'imperatrice Maria Teresa la fece ampliare e restaurare negli anni 1754/55. Oggi vi si trovano 15 feretri, al centro dei quali, in posizione più elevata, è posto il sarcofago di Rodolfo IV. Nella parte anteriore dell'ambiente ovale, sono posti un rilievo gotico con cimieri e due scudi dell'epoca del duca Rodolfo, come anche lo stemma del tempo di Maria Teresa con l'aquila del Sacro Romano Impero. Nelle nicchie laterali sono conservate dal 1957 più di 70 urne contenenti gli intestini degli Asburgo.

Sotto il Coro degli Apostoli si costruì nel 1953 una cripta per i vescovi e gli arcivescovi di Vienna con un rilievo di Cristo Risorto, opera di Josef Troyer: 14 vescovi hanno trovato qui il loro sepolcro, la maggior parte di essi dopo la riesumazione in occasione del restauro del Duomo.

Sotto il coro centrale, nel 1952, è stato organizzato un lapidario, in cui vengono conservati sia frammenti di opere d'arte del Duomo andate distrutte, sia originali di sculture sostituite in situ da copie.

Sotto l'incrocio della volta, si trova il semplice vano della chiesa inferiore (adattato nel 1957). Degno di nota è il bell'altare dell'artista tirolese Josef Troyer, un crocifisso ligneo barocco (1730 circa) e una figura classicista di Maria, proveniente dalla cappella del seminario di Hollabrunn.

Sotto il Coro di Nostra Signora trovano sepoltura i canonici di S. Stefano.

La parte nuova delle catacombe (1744), immediatamente attigua, era divenuta ormai necessaria, poiché gli antichi locali sotto la chiesa non erano più sufficienti ad ospitare le sepolture. Con la chiusura del cimitero di S. Stefano, che circondava la chiesa, fu previsto un maggior numero di sepolture all'interno delle catacombe. 

A questo scopo, alla metà del XVIII secolo, furono collegate al sistema delle catacombe le cantine degli edifici circostanti. In circa 30 anni vi trovarono sepoltura quasi 11000 persone, tra cui anche i grandi architetti Johann Bernhard Fischer von Erlach e Lukas von Hildebrandt. 

Attraverso una scala si giunge di nuovo all'aperto, vicino alla cappella della Santa Croce (1752). Davanti a questa croce, il 6 dicembre 1791, fu benedetta, tra molte altre, anche la salma di Wolfgang Amadeus Mozart.

Nel 1783, infine, l'imperatore Giuseppe II proibì di seppellire i morti nelle chiese e nelle cripte.

Negli anni seguenti, le catacombe furono quasi inaccessibili; nel 1872/73, il cardinale Rauscher le fece sanare e fece murare i resti dei cadaveri.

Come documentato chiaramente dallo ricerche archeologiche effettuale nel corso del restauro del Portale Gigante, fin dalla fondazione della chiesa esisteva un cimitero. Solo nel 1732 esso venne chiuso e pietre tombali e lampade furono trasferite sui muri della chiesa. Ancora oggi testimoniano che per molti secoli tanti fedeli hanno trovato l'ultima dimora sotto la protezione di S. Stefano.

Oltre alle tombe del duca Rodolfo IV e dell'imperatore Federico III, importanti da un punto di vista artistico, sono conservati nel   Duomo circa 200 epitaffi.  

All'esterno del Duomo si trovano molti monumenti sepolcrali che abbracciano un arco di tempo compreso tra il 1440 e il 1704. La maggior parte di essi sono stati collocati sui muri della chiesa dopo la chiusura dell'antico cimitero.

Nella parte frontale del pilastro nord-ovest della Torre Nord, si trova una copia (1912) dell'epitaffio composto per il poeta umanista Conrad Celtis (t 1508). L'originale fu posto all'interno del Duomo, a destra dell'ingresso principale, presso l'ingresso al confessionale. Rappresenta il defunto in veste di erudito, con le braccia appoggiate su dei libri. Sotto l'iscrizione sepolcrale, in una semplice cornice architettonica, si trova una corona d'alloro con la croce e le lettere "VIVO".

L' "Orto del Getsemani di Lackner", datato 1502, è posto nella parte sud della Coro degli Apostoli, insieme con una lampada funeraria gotica che presenta una decorazione a rami. Esso mostra Gesù e i suoi discepoli sul Monte degli Ulivi; significativi sono in particolare i ricchi dettagli paesaggistici. Il commerciante Lienhart Lackner fece eseguire questo capolavoro gotico con l'affascinante figura di S. Stefano in ricordo della consorte Barbara.

Immediatamente a sinistra, il cognato Hans Straub donò l'epitaffio che da lui prese nome e che rappresenta plasticamente il commiato di Gesù da sua madre. Egli, circondalo dagli  Apostoli, tende la mano alla madre afflitta, mentre la sostiene quasi con   tenerezza. La scena è incorniciata da medaglioni che raffigurano i Sette Dolori di Maria. Artisticamente rilevante è anche la cornice rinascimentale che conferisce all'epitaffio una particolare eleganza.

A sinistra, vicino al portico dei Cantori, si trova in alto, con una copertura a mo' di cappella, la tomba (1360) del poeta e trovatore Neidhart von Reuental, "consigliere divertente" alla corte di Otto l'Allegro. La lastra di copertura mostra la figura distesa del defunto. Sono conservati anche resti dei rilievi. Fu gravemente mutilato nel corso delle Guerre Napoleoniche (1809). Una targa commemorativa e la luce di una lampada cimiteriale gotica nella parete sud della cappella di S. Eligio ricordano colui che diede impulso alla ricostruzione di S. Stefano, il parroco del duomo, Karl Raphael Dorr (t 1964).

All'interno della chiesa, andarono perduti, in seguito all'incendio del 1945, numerosi epitaffi sulle pareti e sul pavimento della chiesa. Di quelli a noi pervenuti, se ne devono menzionare alcuni. A sinistra del cancello della cappella della Santa Croce, si trova il monumento funebre di Johannes Cuspinian, delle sue due consorti e dei suoi otto figli. Egli fu un importante medico, poeta, narratore e diplomatico al servizio dell'imperatore Massimiliano e mori nel 1529. 

Tra gli altari di S. Francesco e di S. Francesco Saverio, sulla parete nord, è posto l'epitaffio per il vescovo Johann Fabri (t 1541). Il vescovo viennese vi è raffigurato già avanti negli anni. Ogni domenica predicava, dopo i Vespri, dal pulpito del Duomo e, in ottemperanza ai suoi desideri, trovò l'ultima dimora presso l'ingresso al pulpito. 

Nel Coro di Nostra Signora, si trova una serie di monumenti sepolcrali di vescovi della diocesi di Vienna. Di particolare effetto è la pietra tombale del primo vescovo che resse effettivamente la diocesi, Georg von Slatkonia (t 1522). Essa rappresenta il vescovo con tutte le sue insegne e i suoi stemmi, sorretti da putti, in una bella cornice architettonica. Uno dei pochi monumenti sepolcrali barocchi è quello del principe arcivescovo Joseph conte Tautson (t 1757). La grande struttura è decorata da un sarcofago, da un obelisco e da un medaglione contenente un ritratto, con due putti dolenti.

Nel lato sud della cappella di S. Caterina è situato il monumento al primo principe vescovo di Vienna, Anton Wolfrath, anteriormente abate del duomo di Krems e di Wilhering (t 1639). Esso raffigura, in un medaglione, il ritratto a mezzo busto del vescovo in una cornice architettonica. 

Campane del Duomo

Le campane del duomo di S. Stefano sono distribuite su tre torri campanarie: la Torre Sud, la Torre Nord e la Torre Pagana nord.

Nella Torre Nord si trova il campanone, la seconda campana più grande dell'Europa occidentale, chiamata per i suoi rintocchi profondi la "Pummerin". Essa ha preso il posto dell'antica "Pummerin", del peso di 22.500 kg, fusa nel 1711 con il bronzo dei cannoni turchi, e andata distrutta nel grande incendio del 1945. La nuova campana, realizzata nella fonderia di campane di Sankt Florian nell'Austria superiore, pesa 21.383 kg, ha un diametro di 23 cm ed un'altezza di 294 cm, corona compresa. Nel punto di maggiore spessore raggiunge i 23 cm. È decorata con sei teste di turco nei bracci della corona e con tre rilievi che rappresentano la  Madonna, una scena dell'assedio turco del 1683 e l'incendio del Duomo del 1945. L'iscrizione latina del rilievo dei turchi, tradotta, dice: "Fui fusa con il bottino dei Turchi, quando la città dissanguata esultò dopo la valorosa vittoria sulla potenza nemica. 1711 ".

La seconda iscrizione, relativa all'incendio del Duomo, contiene le seguenti parole: "Mi spaccai nelle fiamme dell'incendio. Precipitai dalla torre devastata, mentre la città gemeva per la guerra e l'angoscia". L'iscrizione commemorativa recita: "Ripristinata sotto il cardinale Theodor Innitzer, con l'impegno di Heinrich CleiBner, dal maestro Karl Ceisz; consacrato alla Regina dell'Austria, affinché per sua intercessione regni la pace nella libertà. 1951 " Al di sopra di tale iscrizione si trova lo stemma della Repubblica austriaca; al di sotto di essa, una combinazione di vari stemmi. Il campanone venne fuso il 5 novembre 1951, fu consacrato solennemente il 26 aprile 1952 dal cardinale Innitzer e infine issato sulla Torre Nord nell'ottobre del 1957. I suoi rintocchi risuonano almeno dieci volte l'anno, nelle seguenti occasioni: la notte di Capodanno, la notte di Pasqua, la domenica di Pasqua, la domenica dì Pentecoste, il giorno del Corpus Domini, il giorno dell'Assunzione, per Tutti i Santi, la notte di Natale, a S. Stefano, per il Te Deum di fine anno e in occasione della morte dell'arcivescovo. 

Le campane a festa di S. Stefano (11 campane) si trovano nella Torre Sud. Vennero fuse tutte nel 1960 ad opera della ditta Pfunder di Vienna, furono consacrate il 2 ottobre e risonarono per la prima volta il 1 novembre 1960 in occasione del pontificale. 

La campana di S. Stefano, soprannominata la "Halbpummehn", ha un peso di 5.700 kg e viene suonata solo per celebrazioni particolarmente solenni. Le altre dieci campane danno voce allo scampanio domenicale e festivo.

Poiché la Torre Pagana nord fu risparmiata dall'incendio, sono pervenute fino a noi le campane originali. La campana più grande dal peso di 1.670 kg è chiamata "Feuerin" (da Feuer, fuoco). Essa venne fusa nel 1859 e fu suonata in occasione di un incendio. Attualmente viene utilizzata in particolari occasioni ai Vespri.

La quarta campana per dimensioni, soprannominata la "Kantnerin" (da Kantor, cantore), chiamava un tempo i cantori in chiesa e, durante la settimana, sonava per la benedizione. Pesa 1.306 kg e la sua fusione risale al 1772.

Nello stesso anno venne fusa anche la "Fehringerin", dal peso di 643 kg, suonata per la messa solenne domenicale.

Un tempo, per comunicare alle birrerie vicine al Duomo che era giunta l'ora di chiusura, risonava la "Bicrin gerin" (da Bier, birra), anch'essa fusa nel 1772.

Kantnerin, Fehringerin e Bieringerin costituiscono lo scampanio al Vespri della domenica e degli  altri giorni festivi.

Ancora nella Torre Pagana si trovano la vecchia "Armen-Seelenn-Glocke" ("campana delle Anime del Purgatorio"), risalente al 1772, e la cosiddetta "Churpótsch", dello stesso anno.  

Il nome di quest'ultima si deve probabilmente a una donazione del clero della curia in  onore della immagine miracolosa di Maria Pòcs. Nella parte superiore della Torre Sud si trovano inoltre le due campane che segnano le ore, la "Primglocke" (campana che segna i quarti) e la "Schlag-glocke" (da schlagen, battere, sonare. Segna le ore), entrambe del XIV secolo

Sacrestie

La "sacrestia superiore", in origine pendant alla Sala Capitolare, che era un ambiente con volta a crociera e con chiavi di volta ornamentali a sud dell'altare maggiore, fu ampliata nel sec. XVII e ristrutturata nel 1718. A questo periodo risalgono anche gli arredi. Gli affreschi, opera di Martino Altomonte, rappresentano scene della vita di S. Stefano. Degno di nota è anche un lavabo barocco in marmo che contiene nell'alzata un rilievo con il Battesimo di Gesù.

La "sacrestia inferiore", situata nel lato sud della navata, fu costruita al posto di una sacrestia gotica. La prima stanza è arricchita di preziosi stucchi di Giovanni Antonio Tencala; iI dipinto sul soffitto, opera di Martino Altomonte, ha come soggetto il "Sacrificio di Elia" ed è incorniciato da ritratti a mezzo busto di diversi profeti, eseguiti in stucco. 

Entrando nella sala, a sinistra, si trova un grande crocifisso gotico di legno (1420 circa) che in origine forse si trovava nell'arco di trionfo della Cattedrale. Le due statue alle estremità della parete del crocifisso (originariamente destinate alla cappella della Santa Croce) rappresentano Maria e Giovanni e sono firmate dall'artista, Franz Xaver Messerschmidt (1768). Nella parete di fronte si trova una rappresentazione plastica di Mosé con le Tavole della Legge.

La seconda stanza, la sacrestia del vescovo e dei canonici, possiede anch'essa preziosi stucchi e affreschi di Martino Altomonte. L'elaborazione figurativa è centrata da un punto di vista iconografico sul Nuovo Testamento. L'affresco sul soffitto (1730 circa) mostra la consegna delle chiavi a Pietro. I piccoli medaglioni sul soffitto mostrano i quattro Evangelisti e l'Annunciazione. Sulla porta d'ingresso si trova ancora la rappresentazione plastica della "Ecclesia". Degni di menzione sono anche l'originale mobilia intarsiata   della sacrestia e due lavabi il cui disegno risale probabilmente a Georg Raphael Donner. I rilievi furono eseguiti da Georg Hillebrand.

Tesoro di Santo Stefano

Poiché la sacrestia inferiore di S. Stefano fu risparmiata dalla distruzione durante l'incendio, ci sono stati conservati una serie di preziosi paramenti e oggetti liturgici tuttora in uso secondo una tradizione non scritta. Di particolare rilievo sono i piccoli e i grandi paramenti di Breuner. I piccoli furono modificati nel 1647 utilizzando una stoffa più antica (1500 circa); i grandi, tra i più importanti del primo Barocco, sono perfettamente conservati. Nel Tesoro si trovano anche scarpe, calze e guanti pontificali, oggi non più in uso, e i manipoli. I grandi paramenti di Breuner sono in raso di seta con ricami in oro e vengono indossati ogni anno il 26 dicembre.

Altri paramenti, quelli dell'imperatrice Eleonora (1697), sono arricchiti da una magnifica decorazione floreale variopinta e da figure ricamate; essi vengono utilizzati per la messa solenne della festa dell'8 dicembre.

In occasione della sua visita all'imperatore Giuseppe II, Papa Pio VI donò al Duomo numerose pianete, tra cui quella bianca (1740) ogni anno viene indossata dall'arcivescovo la domenica di Pasqua. Degna di nota è anche la Pianeta di Maria (1780 circa) con una ricca decorazione floreale e ricami figurativi.

Tra le numerose opere d'arte, alcune delle quali concesse in prestito al palazzo arcivescovile e al Museo Diocesano e del Duomo, è da ricordare soprattutto il ritratto di Rodolfo IV il Fondatore. È considerato il più antico ritratto conservato del duca e rappresenta Rodolfo in un inconsueto proflilo di tre quarti con una corona che non gli appartiene. È ancora da menzionare l'originario tabernacolo dell'altare maggiore (1640 circa), un'opera del primo Barocco realizzata a Palermo, e una preziosa croce gotica (sec. XIV), usata   nel Duomo durante le celebrazioni liturgiche della Settimana Santa. Nel Museo di Storia della Città, a Karlsplalz, si trovano accanto alle statue originale della Torre Sud, alle vetrate ducali e ai disegni (la più grande collezione del mondo di progetti di epoca gotica), anche resti dell'altare del Cristo Morto.  

31 Maggio 2015

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