Età
regia e i sette re di Roma
Numa
Pompilio (715 - 674 a.C.)
Numa
Pompilio (Cures
Sabini, 754
a.C. – 673
a.C.) è stato il
secondo re
di Roma, e il suo
regno durò 43 anni.
Numa
Pompilio, di origine sabina,
per la tradizione e la mitologia
romana, tramandataci
grazie soprattutto a Tito
Livio e a Plutarco,
che ne scrisse anche una
biografia, era noto per la sua
pietà religiosa e regnò
dal 715
a.C. fino alla sua
morte nel 673
a.C. (ottantenne, dopo
quarantatré anni di regno)
succedendo, come re di Roma,
a Romolo. Numa
era un re pio, e in tutto il
suo regno non combatté
nemmeno una guerra.
L'incoronazione
di Numa non avvenne
immediatamente dopo la
scomparsa di Romolo. Per un
certo periodo i Senatori
governarono la città a
rotazione, alternandosi ogni
dieci giorni, in un tentativo
di sostituire la monarchia con
una oligarchia.
Però, incalzati dal sempre
maggiore malcontento popolare
causato dalla
disorganizzazione e scarsa
efficienza di questa modalità
di governo, dopo un anno i
Senatori furono costretti ad
eleggere un nuovo re.
La
scelta apparve subito
difficile a causa delle
tensioni fra i senatori Romani
che proponevano il senatore
Proculo ed i senatori Sabini
che proponevano il senatore
Velesio.
Per
trovare un accordo si decise
di procedere in questo modo: i
senatori romani avrebbero
proposto un nome scelto fra i
Sabini e lo stesso avrebbero
fatto i senatori sabini
scegliendo un romano. I
Romani proposero Numa
Pompilio, appartenente alla Gens
Pompilia, che abitava
nella città sabina di Cures ed
era sposato con Tazia, l'unica
figlia di Tito
Tazio. Sembra che egli
fosse nato nello stesso giorno
in cui Romolo fondò
Roma (21
aprile).
Numa,
concittadino di Tito Tazio,
era noto a Roma come
uomo di provata rettitudine
oltreché esperto conoscitore
di leggi divine, tanto da
meritare l'appellativo di Pius.
I Sabini accettarono la
proposta rinunciando a
proporre un altro nome.
Furono
dunque inviati a Cures Proculo
e Velesio (i due senatori più
influenti rispettivamente fra
i Romani ed i Sabini) per
offrirgli il regno.
Inizialmente contrario ad
accettare la proposta dei
senatori, per la fama violenta
dei costumi
di Roma, Numa vi
acconsentì solo dopo aver
preso gli auspici degli dei,
che gli si dimostrarono
favorevoli; Numa fu quindi
eletto re per acclamazione da
parte del popolo.
La
leggenda afferma che il
progetto di riforma politica e
religiosa di Roma attuato da
Numa fu a lui dettato dalla
ninfa Egeria con
la quale, ormai vedovo, soleva
passeggiare nei boschi e
che si innamorò di lui al
punto da renderlo suo sposo.
A
Numa viene attribuito il
merito di aver creato una
serie di riforme tese a
consolidare le istituzioni
della nuova città, prime tra
tutte quelle religiose,
raccolte per iscritto nei commentarii
Numae o libri
Numae, che andarono
perduti nel sacco
gallico di Roma (387
a.C.).
Sulla
base di queste norme di
carattere religioso, i culti
cittadini erano amministrati
da otto ordini religiosi: i Curiati,
i Flamini,
i Celeres, le Vestali,
gli Auguri,
i Salii,
i Feziali e
i Pontefici.
Numa
stabilì di unificare ed
armonizzare tutti i culti e le
tradizioni dei Romani e dei
Sabini residenti a Roma per
eliminare le divisioni e le
tensioni fra questi due
popoli, riducendo l'importanza
delle tribù e creando nuove
associazioni basate sui
mestieri.
Appena
divenuto re nominò, a fianco
del sacerdote dedito al culto
di Giove ed
a quello dedicato al culto di Marte,
un terzo sacerdote dedicato al
culto del dio Quirino,
gli dei più importanti
dell'epoca arcaica.
Riunì poi questi tre
sacerdoti in un unico collegio
sacerdotale che fu detto dei flamini,
a cui diede precise regole ed
istruzioni.
Proibì
ai Romani di venerare immagini
divine a forma umana e animale
perché riteneva sacrilego
paragonare un dio con tali
immagini e, durante il suo
regno non furono costruite
statue raffiguranti gli dei. Istituì
il collegio sacerdotale dei
Pontefici, presediuti dal
Pontefice Massimo, carica che
Numa ricoprì per primo e che
aveva il compito di vigilare
sulle vestali, sulla moralità
pubblica e privata e
sull'applicazione di tutte le
prescrizioni di carattere
sacro.
Istituì
poi il collegio delle vergini Vestali assegnando
a queste uno stipendio e la
cura del tempio in cui era
custodito il fuoco sacro della
città; le prime furono
Gegania, Verenia, Canuleia e
Tarpeia (erano dunque quattro,
Anco Marzio ne aggiunse altre
due portandole a sei).
Istituì
anche il collegio dei Feziali (i
guardiani della pace) che
erano magistrati-sacerdoti con
il compito di tentare di
appianare i conflitti con i
popoli vicini e di proporre la
guerra una volta esauriti
tutti gli sforzi diplomatici.
Nell'ottavo
anno del suo regno istituì il
collegio dei Salii,
sacerdoti che avevano il
compito di separare il tempo
di pace e di guerra (per gli
antichi romani il periodo per
le guerre andava da marzo ad
ottobre). Era, questa
funzione, molto importante per
gli abitanti dell'antica
Roma, perché sanciva,
nel corso dell'anno, il
passaggio dallo stato di cives (cittadini
soggetti all'amministrazione
civile e dediti alle attività
produttive) a milites
(militari soggetti alle leggi
ed all'amministrazione
militare e dediti alle
esercitazioni militari) e
viceversa per tutti gli uomini
in grado di combattere.
Migliorò anche le condizioni
di vita degli schiavi, per
esempio permettendo loro di
partecipare alle feste in
onore di Saturno,
i Saturnalia assieme
ai loro padroni.
La
tradizione romana rimanda a
Numa Pompilio la definizione
dei confini tra le proprietà
dei privati, e tra queste e la
proprietà pubblica indivisa,
statuizione che fu
sacralizzata con la dedica dei
confini a Jupiter Terminalis,
e l'istituzione della festività
dei Terminalia.
Nel Foro,
fece costruire il tempio
di Vesta, e dietro
di questo fece costruire la Regia e
lungo la Via
Sacra fece
edificare il Tempio
di Giano, le cui porte
potevano essere chiuse solo in
tempo di pace (e rimasero
chiuse per tutti i quarantatré
anni del suo regno).
Secondo
l'enciclopedista Marco Verrio
Flacco (sec. I a.C. - I d.C.),
riportato dal lessicografo
Sesto Pompeo Festo, il re,
ordinando la costruzione del
tempio di Vesta, volle che
fosse di forma rotonda (ad pilæ
similitudinem), cioè della
stessa forma del mondo, in
quanto egli era un convinto
sostenitore della sfericità
della terra, tesi dunque già
in voga in quei lontani tempi.
Secondo
Dionigi di Alicarnasso Numa
poi incluse nella città il Quirinale,
anche se questo a quell'epoca
non era ancora cinto da mura.
A
lui viene ascritta anche una
riforma del calendario, basato
sui cicli lunari, che passò
da 10 a 12 mesi di 355 giorni
(secondo Livio invece lo
divise in 10 mesi, mentre in
precedenza non esisteva alcun
calcolo), con l'aggiunta di gennaio,
dedicato a Giano,
e febbraio che furono
posti alla fine dell'anno,
dopo dicembre (l'anno
iniziava con il mese di marzo;
da notare la persistenza dei
nomi degli ultimi mesi
dell'anno con i numeri: settembre, ottobre, novembre, dicembre).
Il
calendario conteneva anche
l'indicazione dei giorni fasti
e nefasti, durante i quali non
era lecito prendere alcuna
decisione pubblica. Anche in
questo caso, come per tutte le
riforme più difficili, la
tradizione racconta che il re
seguì i consigli della ninfa
Egeria, sottolineando così il
carattere sacrale di queste
decisioni.
L'anno
così suddiviso da Numa, non
coincideva però con il ciclo
lunare, per cui ad anni
alterni veniva aggiunto come
ultimo mese il mercedonio,
composto da 27 giorni,
togliendo a febbraio 4 o 5
giorni; era il collegio dei
pontefici a decidere queste
compensazioni, alle volte
anche sulla base di
convenienze politiche.
Come
sopra scritto, Floro racconta
che Numa insegnò i sacrifici,
le cerimonie ed il culto
degli Dei immortali ai
Romani. Creò anche i pontefici,
gli auguri ed
i Salii. La
tradizione vuole che Numa
abbia istituito, tra l'altro,
anche la Festa di Quirino e
la Festa di Marte.
La prima festa si celebrava a
febbraio, mentre la festa
dedicata a Marte si celebrava
a marzo, e veniva officiata
dai Salii.
Numa partecipava di persona a
tutte le feste religiose,
durante le quali era proibito
lavorare.
A
queste riforme di carattere
religioso corrispose anche un
periodo di prosperità e di
pace che permise a Roma di
crescere e rafforzarsi, tanto
che durante tutto il suo regno
le porte del tempio
di Giano non
furono mai aperte.
Morì
ottantenne e non di morte
improvvisa, ma consunto dagli
anni (per malattia secondo
Livio), quando suo nipote, il
futuro re Anco
Marzio, aveva solo
cinque anni, circondato
dall'affetto dei romani, grati
anche per il lungo periodo di
prosperità e pace di cui
avevano goduto. Alla
processione funebre
parteciparono anche molti
rappresentanti dei popoli
vicini ed il suo corpo non fu
bruciato, ma seppellito
insieme ai suoi libri in un
mausoleo sul Gianicolo.
Dopo
la bellicosa esperienza del
regno di Romolo, Numa Pompilio
seppe con la sua saggezza
fornire un saldo equilibrio
alla nascente città.
Durante
il consolato di Marco
Bebio Tamfilo e Publio
Cornelio Cetego, nel 181
a.C., due contadini
ritrovarono il luogo della sua
sepoltura, contenente sette
libri in latino di diritto
pontificale, ed altrettanti in
greco di filosofia. Per
decreto del senato i primi
furono conservati con cura,
mentre i secondi furono
pubblicamente bruciati.
Il
senatore sabino Marcio, che
aveva sposato la figlia Pompilia,
si candidò alla successione
ma fu superato da Tullo
Ostilio e si lasciò
morire di fame per la
delusione. Dal matrimonio fra
Pompilia e Marcio era nato Anco
Marcio che diverrà
re dopo Tullo Ostilio. Alcune
fonti raccontano di un secondo
matrimonio di Numa Pompilio
con una certa Lucrezia da cui
sarebbero nati quattro figli:
Pompone, Pino, Calpo e Memerco
dai quali avrebbero avuto
origine le casate romane dei
Pomponi, dei Pinari, dei
Calpurni e dei Marci.
La
reale esistenza di Numa
Pompilio, come accade per
quella di Romolo,
è discussa. Per alcuni
studiosi la sua figura sarebbe
principalmente simbolica; un
re per metà filosofo e per
metà santo, teso a creare le
norme e il comportamento
religioso di Roma, avverso
alla guerra e ai disordini,
diametralmente opposto al suo
predecessore, il re guerriero
Romolo. L'origine stessa del
nome (Numa da Nómos =
"legge"; Pompilio da pompé =
"abito sacerdotale"
indicherebbe l'idealizzazione
della sua figura.
Tullio
Ostilio (673 - 641 a.C.)
Tullo
Ostilio (lat. Tullus
Hostilius; ... – 641
a.C.) fu
il terzo dei leggendari Re di
Roma, appartenente alla Gens
Hostilia, che dovrebbe essere
ricompresa tra le cento gentes
originarie ricordate da Tito
Livio. Fu il successore di
Numa Pompilio.
Le
sue guerre vittoriose con Alba
Longa, Fidene e Veio indicano
le prime conquiste del
territorio latino e il primo
allargamento del dominio
romano oltre le mura di Roma.
Fu durante il suo regno che
avvenne il combattimento fra
Orazi e Curiazi, i
rappresentanti di Roma e di
Alba Longa. Si dice che morì
colpito da un lampo come la
punizione del suo orgoglio.
Tullo
Ostilio va considerato
semplicemente come il
duplicato di Romolo. Entrambi
sono eletti fra i pastori,
continuano la guerra contro
Fidene e Veio, aumentano il
numero dei cittadini,
organizzano l'esercito e
spariscono da terra in una
tempesta. Poiché Romolo e
Numa Pompilio rappresentano i Ramnes
ed i Tities, così, per
completare la lista dei
quattro elementi tradizionali
della nazione, Tullo è il
rappresentante del Luceres
ed Anco Marzio il fondatore
della Plebe.
L'evento
distintivo di questo regno è
la distruzione di Alba Longa,
che può essere considerato
come un fatto storico.
Tullo
Ostilio fu scelto dai senatori
perché era un romano e perché
suo nonno Osto Ostilio aveva
combattuto con Romolo contro i
Sabini. Dopo la morte di Numa
Pompilio lo spirito di pace
sembrò indebolirsi.
Secondo
la tradizione, i rapporti
amichevoli fra Romani e la
popolazione di Alba Longa, nei
colli vicino a Roma, si erano
guastati ed erano sorte
controversie perché la gente
aveva cominciato ad effettuare
incursioni negli campi ed orti
altrui, rubandosi
reciprocamente raccolti ed
animali. La risposta del re
romano alle lamentele degli
Albani fu che l'inizio della
lite era stato opera loro.
Gli
eserciti delle due città si
prepararono a combattere, ma
la battaglia fu risolta dalla
sfida tra gli Orazi e Curiazi,
tre fratelli romani i primi e
tre fratelli albani i secondi.
Alba Longa fu sconfitta e
assoggettata allo stato
romano. Quando Alba Longa si
rifiutò di aiutare Roma in un
successivo conflitto, Ostilio
fece dilaniare capi albani con
due carri lanciati nelle
opposte direzioni. Poi
distrusse la città ne trasferì
gli abitanti sul Celio.
Tullo
Ostilio si impegnò anche in
una guerra contro i Sabini; fu
durate il suo regno che fu
costruita la Curia Hostilia,
che divenne il luogo deputato
alle riunioni dei senatori,
che prima di allora si
riunivano all'aperto,
nell'area del Foro che in
seguito sarebbe stata
utilizzata per i Comizi.
La
leggenda dice che Tullo era
così occupato con una guerra
dopo un'altra che aveva
trascurato ogni servizio verso
le divinità. Una peste
terribile si abbatté sui
Romani. Anche Tullo ne fu
colpito. Pregò Giove per
avere il suo favore ed il suo
aiuto. La risposta del dio fu
un fulmine che venne giù dal
cielo, bruciò il re e ridusse
la sua casa in cenere.
Ciò
fu visto dai Romani come
un'indicazione di scegliere
meglio il nuovo re, un re che
seguisse l'esempio pacifico di
Numa Pompilio e scelsero Anco
Marzio, il nipote di Numa
Pompilio.
Anco Marzio (640 - 616
a.C.)
Anco
Marzio, anche Marcio (latino Ancus
Marcius; 675
a.C. (?) – 616
a.C.), è stato il
quarto Re
di Roma e l'ultimo
di origine sabina,
appartenente all'antica gens
Marcia. Regnò per 24
anni.
Nel
641 a.C. Anco Marzio succede
al bellicoso Tullo
Ostilio, diventando
il nuovo re di Roma, favorito
all'ascesa al trono dal legame
di parentela con Numa
Pompilio, di cui era
nipote per parte di una
figlia. Pur essendo il
nipote di Numa Pompilio,
grande amante della religione,
fece la guerra per difendere i
suoi territori. Dopo il regno
di Tullo Ostilio, che aveva
cancellato ogni relazione tra
il potere monarchico, la
religione e la nascente
sacralità romana, il nuovo
monarca restaura questo
rapporto.
Anco
Marzio riprende l'espansione
verso sud a danno dei Latini,
guerra già avviata dal suo
predecessore, conquistando
Politorium (nei pressi di Acqua
acetosa, XXIV Municipio Fonte
Ostiense), i cui
cittadini furono deportati a
Roma. Quindi dopo quattro
anni di combattimenti,
conquistò nuovamente Medullia (ubicata
sulla riva destra dell'Aniene,
forse nei pressi del Comune di Sant'Angelo
Romano), dopo che
questa colonia romana aveva
nuovamente defezionato
passando ai Latini. La
stessa sorte toccò agli
abitati di Tellenae (forse
nei pressi di Medullia) e Ficana (nei
pressi di Acilia), garantendo
così a Roma il controllo dei
territori che si estendevano
dalla costa all'Urbe.
Quindi,
dopo altri due anni di guerre
infruttuose con i Latini, i
Romani conquistarono e
saccheggiarono Fidenae (attuale Fidene,
III Municipio) e respinsero
anche razziatori Sabini, che
avevano compiuto scorrerie nei
possedimenti romani lasciati
sguarniti. Quindi, dopo pochi
anni, i Romani combatterono e
vinsero due guerre (la seconda
delle quali nei pressi di Campus
salinarum) contro la
città di Veio,
che pretendeva di riavere i
possedimenti persi all'epoca
di Romolo, e
l'anno seguente ebbero la
meglio anche sui Volsci che,
dopo aver razziato le campagne
romane, si erano ritirati
dentro le mura di Velitrae all'apparire
dell'esercito romano.
Aggiunse
così alla città
di Roma, oltre all'Aventino,
che cinse all'interno delle
mura cittadine e popolò con
le popolazioni latine
deportate a Roma (tra le quali
quelle di Tellenae e
Politorium), anche il Gianicolo, e
probabilmente anche il Celio.
Durante
il suo regno sono realizzate
numerose opere architettoniche
tra cui la fortificazione del Gianicolo, la
fondazione della prima colonia
romana ad Ostia alla
foce del Tevere (a 16 miglia
da Roma), "evidentemente
perché già allora aveva il
presentimento che le ricchezze
ed i viveri di tutto il mondo
sarebbero stati, un giorno,
ricevuti lì, come se fosse lo
scalo marittimo di Roma"; la
costruzione della via
Ostiense, dove per
primo organizzò le saline e
costruì una prigione, la
costruzione dello scalo
portuale sul Tevere chiamato Porto
Tiberino e la
costruzione del primo ponte di
legno sul Tevere,
il Pons
Sublicius.
Ristabilì
le cerimonie religiose
istituite da Numa. A lui
si fa discendere la
definizione dei riti che
dovevano essere seguiti dai
Feziali perchè la guerra
dichiarata ai nemici non
dispiacesse agli dei e potesse
essere quindi una "guerra
giusta".
Anco
Marzio sarebbe soltanto un
duplicato di Numa, come si
potrebbe dedurre dal suo
secondo nome, Numa Marzio, dal
confidente e pontefice di
Numa, non essendo niente altro
che Numa Pompilio stesso,
rappresentato come sacerdote.
L'identificazione
con Anco è indicata dalla
leggenda che indica
quest'ultimo come costruttore
di un ponte (pontifex), il
costruttore del primo ponte di
legno sopra il Tevere. È
nell'esercizio delle sue
funzioni sacerdotali che la
somiglianza è mostrata più
chiaramente.
Come
Numa Pompilio, Anco Marzio morì
di morte naturale dopo
ventiquattro anni di regno (nel
616 a.C.), di malattia secondo
altri lasciando due figli, uno
dei quali ancora fanciullo.
Gli succedette Tarquinio
Prisco.
Tarquinio
Prisco (616 - 579 a.C.)
Lucio
Tarquinio Prisco (lat. Lucius
Tarquinius Priscus; 4
agosto ... – 579
a.C.) originario di Tarquinia in Etruria, è
stato il quinto re
di Roma secondo la
cronologia di Tito
Livio, che regnò per
trentotto anni (dal 616 al 579
a.C.).
Secondo
la tradizione Lucio Tarquinio
Prisco era nato a Tarquinia da
madre etrusca, ma era greco
per parte di padre (Demarato era
originario della città greca
di Corinto da
dove era fuggito per
stabilirsi poi a Tarquinia) ed
a causa dell'ascendenza
paterna, nonostante fosse
ricco e noto in città, veniva
osteggiato dai suoi
concittadini e non riusciva ad
accedere alle cariche
pubbliche. Per questi
motivi, e su consiglio di sua
moglie Tanaquilla,
decise quindi di emigrare da
Tarquinia a Roma, dove
cambiò nome, dall'etrusco Lucumone al
più latino Lucio
Tarquinio detto poi Prisco per
distinguerlo dall'ultimo re di
Roma, Tarquinio
il Superbo.
Al
suo arrivo a Roma, nei pressi
del Gianicolo,
dove arrivò a bordo di un
carro, accadde un fatto
eccezionale; un'aquila prima
gli portò via il berretto,
poi tornò indietro e lo fece
cadere sulla sua testa.
Tanaquilla, che in quanto
etrusca conosceva l'arte di
interpretare i segni del
cielo, interpretò questo
fatto come il segno di future
grandezze per il marito.
In
città Tarquinio si fece
notare per le sue qualità e
la sua generosità, tanto che Anco
Marzio volle
conoscerlo e, una volta
divenuto amico, prima lo fece
entrare tra i suoi
consiglieri, poi decise
di adottarlo, affidandogli il
compito di proteggere i suoi
figli. Secondo alcuni studiosi
come Giuseppe
Valditara, ricoprì
anche la carica di magister
populi. Alla morte del
re, Tarquinio riuscì a farsi
eleggere re dal popolo romano
come figlio di Anco Marzio
salendo al potere in seguito a
una congiura contro lo stesso
Anco.
La
sua abilità militare fu
subito messa alla prova da un
attacco sferrato dai Sabini;
l'attacco fu respinto dopo
sanguinosi combattimenti nelle
strade della città, portando
non pochi territori di queste
genti vinte sotto il controllo
di Roma. Fu
in questa occasione che fu
aumentato il numero di
cavalieri che ognuna delle tre tribù (Ramnes, Tities e Luceri)
doveva fornire all'esercito.
Tarquinio
poi combatté i Latini,
destinandoli a sorte diversa a
seconda se avessero combattuto
contro i romani, o se si
fossero arresi dopo essersi
ribellati. E così che
distrusse Apiolae e
conquistò Collatia,
che diventò colonia romana
governata dal nipote Egerio,
fu più clemente con Crustumerium e Nomentum.
Quindi
combatté contro una
coalizione di Latini ed
Etruschi delle città di Chiusi, Arezzo, Volterra, Roselle e Vetulonia corsi
in aiuto dei Latini. Lo
scontro si risolse, a seguito
di due durissime battaglie
campali, a favore dei romani,
che ebbero la meglio sulla
coalizione nemica, con i
Latini che ottennero la pace
dietro il pagamento dei danni
e la restituzione di quanto
depredato.
Gli
scontri continuarono però
anche nei due anni successivi,
questa volta però contro una
coalizione di Etruschi e
Sabini, fino a che i romani
sbaragliarono i due campi
nemici, che erano stati eretti
alla confluenza tra il Tevere
e l'Aniene nei
pressi di Fidenae,
con uno stratagemma. In
seguito a questa sconfitta i
Sabini concordarono con i
romani una tregua di sei anni,
contrariamente agli Etruschi,
che occuparono Fidenae con una
propria guarnigione, avendo
intenzione di continuare gli
scontri. Gli scontri tra
i Romani e gli Etruschi di Veio e Caere durarono
altri sette anni e si
risolsero con un grande
scontro campale presso la città
sabina di Eretum, vinto dai
romani. In seguito a questo
scontro gli etruschi si
arresero ai romani e
presentarono a Tarquinio
Prisco i segni del potere
delle proprie città, Fasci
Littori e Sedie
Curuli, come segno di
resa.
Attuò
una riforma che riguardò la classe
dei cavalieri,
aumentandone gli effettivi. Egli
decise di raddoppiare il
numero delle centurie (fino ad
allora in numero di tre), o
comunque aumentarne gli
effettivi, e di aggiungerne
altre a cui diede un nome
differente. Queste ultime
furono chiamate posteriores o sex
suffragia, portando così
il totale dei cavalieri a 600.
Tarquinio
riformò anche lo stato,
aumentando il numero dei
membri dell'assemblea
centuriata a 1.800
componenti (contro il parere
di un certo Attio
Nevio) e raddoppiando
(o comunque aumentando) il
numero di senatori, dai 100
membri romulei ai 200,
aggiungendone comunque altri
100.
Fu
Tarquinio che per primo celebrò
un trionfo su un cocchio
dorato a quattro cavalli in
Roma, vestito con una
toga ricamata d'oro ed una
tunica palmata (con
disegni di foglie di palma),
vale a dire con tutte le
decorazioni e le insegne per
cui risplende l'autorità del
comando. E sempre a lui
si deve l'introduzione in città
di usanze tipicamente
etrusche, relative alla sua
posizione regale, come i riti
sacrificali, la divinazione, la
musica per le pubbliche
manifestazioni, le trombe
(tubae), gli anelli, lo
scettro, il paludamentum, la
trabea, la sella
curule, le falere, toga
pretesta ed i fasci
littori e le asce.
Grazie
alle fortunate guerre
intraprese contro le vicine
popolazioni, riuscì a
rimpinguare le casse statali
con i ricchi bottini depredati
alle città sconfitte. E
sembra che decise di dotare la
città di Roma di
nuove mura.
Si
occupò anche dei giochi della
città, erigendo il Circo
Massimo e
destinandolo come sede
permanente delle corse dei
cavalli, istituendo i ludi
Romani; prima di
allora gli spettatori
assistevano alle gare, che qui
si svolgevano, seduti da
postazioni di fortuna.
In
seguito a forti alluvioni, che
interessarono specialmente le
zone dove sarebbe sorto il
futuro Foro
Romano, fece poi
iniziare la costruzione della Cloaca
Massima. A lui si
deve poi l'inizio dei lavori
per la costruzione del tempio
di Giove
Capitolino sul
colle del Campidoglio.
Il
maggiore dei figli di Anco
Marzio, nella speranza
di ottenere il trono che
riteneva gli fosse stato
usurpato da Tarquinio,
organizzò un complotto e lo
uccise. I suoi piani
furono però frustrati
dall'abile Tanaquilla,
che fece in modo che il popolo
romano eleggesse suo genero Servio
Tullio come sesto
re di Roma e
successore di Lucio Tarquinio
Prisco. Livio Mariani, uno
storico che fece parte del
Triumvirato della Repubblica
Romana e morto nel 1857 ad
Atene ed autore della
"Storia del
Sublacense", afferma che
Tarquinio Prisco sia stato
tumulato nei pressi di Marano
Equo e la sua tomba sia stata
rimossa nel 1750 dai Barberini
e traslata a Collalto Sabino
nel loro castello di cui erano
titolari come baroni.
Servio Tullio (578 - 535
a.C.)
Servio
Tullio (Corniculum,
... – Roma, 535
a.C.) è stato il sesto re
di Roma. Secondo la
tradizione regnò dal 578
a.C. al 535
a.C., per 43 anni. La
tradizione a partire
dall'imperatore Claudio lo
identifica anche col magister
populi etrusco Macstarna (o Mastarna).
Servio,
come attestato anche dal nome,
era di umili origini; nacque
infatti da una prigioniera di
guerra (che si racconta fosse
stata nobile nella sua città) ridotta
a servire il focolare
domestico del re Tarquinio
Prisco. Si narra anche
potesse essere il figlio della
schiava Ocresia (nobile
di Corniculum,
attuale Montecelio,
fatta prigioniera) e di un
Tullio, sempre di Corniculum.
Si racconta poi che, quando da
bambino Servio stava ancora
nella culla, gli brillò una
fiamma sulla testa.
Deve
la sua fortuna a Tanaquil, che
ne indovinò la futura
grandezza e per questo gli
diede in sposa la figlia ed
alla morte del marito fece in
modo che Servio gli succedesse
come re di Roma. Infatti a
delitto avvenuto, Tanaquil
informò della congiura il
popolo romano, ma gli nascose
la morte del re, dicendo
invece che il re era rimasto
ferito e che nel frattempo
Servio Tullio ne sarebbe stato
il reggente. Solo quando la
situazione si fu calmata e il
popolo romano si era abituato
alla figura regnante di Servio
Tullio, Tanaquil comunicò la
morte del marito; a questo
punto al popolo parve naturale
che Servio Tullio continuasse
a regnare sulla città.
Fu
l'autore della più importante
modifica dell'esercito. Si
rese conto infatti che per
assicurare a Roma una forza
militare sufficiente a
mantenere le proprie
conquiste, necessitava di un
esercito più numeroso di
quello che possedeva (un'unica
legione di circa 3000 uomini,
detto esercito romuleo).
Si
impegnò quindi a favorire il
reclutamento degli strati
inferiori della società, a
quel tempo esclusi. Per il
patriziato fu un brutto colpo,
perché si resero conto che
così facendo avrebbero
dovuto, prima o poi, dare, a
quella che solo grazie a tale
riforma prenderà a chiamarsi
plebe, dei riconoscimenti
politici.
Questo
genere di contrasti rese i re
etruschi piuttosto invisi alla
dirigenza di Roma che vedeva
minacciati i propri privilegi.
Roma
continuò comunque la sua
politica di espansione
territoriale, questa volta a
danno delle città etrusche di
Veio, Cere e Tarquinia; dopo
alterne vicende i romani ebbro
la meglio su queste città e
ingrandirono il loro
territorio verso nord.
Servio
Tullio modificò la
tradizionale ripartizione in
tribù del popolo romano, che
non tenne più conto
dell'origine delle genti, ma
che considerava come criterio
di appartenenza il luogo di
residenza, ponendo di fatto le
basi per l'omogenizzazione
delle diverse genti che
vivevano in città.
Vennero
così create quattro tribù
urbane (Suburana, Palatina,
Esquilina, Collina) e
diciassette tribù rustiche
(extra-urbane); in questo
modo, oltre a omogenizzare
i cittadini romani, si poteva
anche valutare il patrimonio
dei singoli cittadini e quindi
fissarne il tributo, che
questi dovevano versare alle
casse dello stato, oltre che
il censo, che ne determinava i
diritti ed i doveri.
Servio
Tullio fece costruire
sull'Aventino il tempio Diana,
che corrisponde alla dea greca
Artemide, il cui tempio si
trovava ad Efeso, trasferendo
da Ariccia il culto latino di
Diana Nemorensis. Come per i
greci, per i quali il tempio
di artedimide rappresentava
una federazione di città, con
il tempio di Diana, costruito
intorno al 540 a.C., i romani
miravano a porsi come centro
politico e religiose delle
popolazioni del Lazio e
fors'anche dell'Etruria
meridionale.
A
Servio si ascrive anche la
decisione di costruire il
Tempio di Mater Matuta e il
Tempio della Dea Fortuna,
entrambi al Foro Boario.

Servio
Tullio fu ucciso da Tarquinio
il Superbo che ebbe come
complice la seconda moglie
Tullia Minore, figlia minore
di Servio; si tramanda infatti
che Tarquinio, dopo aver
provocato il re, gettasse
questo giù dalle scale della
Regia; il sovrano, ferito ma
non ancora morto, fu quindi
finito dalla figlia che gli
passò sopra con un carro
trainato da cavalli, mentre
cercava di scappare dal foro.
Secondo
un'antica tradizione la figura
di Servio Tullio si identifica
con quella di Mastarna,
alleato di Celio Vibenna (o Vivenna),
entrambi condottieri etruschi
impegnati in spedizioni di
conquista in Etruria e nei
territori circostanti, e
rifugiatisi, al termine di
alterne vicende belliche, sul
Monte Celio a Roma. Mastarna
avrebbe poi ottenuto il regno
e cambiato il nome, assumendo
quello di Servio Tullio.
Questa versione dei fatti fu
oggetto anche di un famoso
discorso al Senato
dell'imperatore etruscologo
Claudio (riportato nelle
tavole di bronzo di Lione).
Gli
storici, al di là degli
aspetti leggendari del
racconto, non escludono che
possa avere qualche fondamento
di verità, e portano a
sostegno di questa ipotesi
anche i famosi affreschi della
Tomba François di Vulci che
rappresentano in modo
sorprendentemente realistico
questo ciclo di racconti
epici.
Tarquinio
il Superbo
(535 - 510 a.C.)
Lucio
Tarquinio (Roma,
... – Cuma, 495
a.C.), meglio
conosciuto come Tarquinio
il Superbo a causa dei
suoi costumi, fu il settimo e
ultimo re
di Roma.
Della
dinastia etrusca dei Tarquini, Tarquinio
regnò dal 535
a.C. al 509
a.C., anno in cui fu
messo al bando da Roma.
Figlio
di Lucio
Tarquinio Prisco, e
fratello di Arunte
Tarquinio, sposò prima
Tullia Maggiore, la figlia
maggiore di Servio
Tullio, poi sposò la
sorella di questa, Tullia
Minore, da cui ebbe i
tre figli Tito, Arrunte e Sesto,
e con il cui aiuto organizzò
la congiura per uccidere il
suocero e ascendere sul trono
di Roma.
Tito
Livio ci racconta
che Tarquinio un giorno si
presentò in Senato e
si sedette sul trono del
suocero rivendicandolo per sé;
Tullio, avvertito del fatto,
si precipitò nella Curia.
Ne
nacque un'accesa discussione
tra i due, che presto degenerò
in scontri tra le opposte
fazioni; alla fine il più
giovane Tarquinio, dopo averlo
spintonato fuori dalla Curia,
scagliò il re giù dalle
scale. Servio, ferito ma non
ancora morto, fu finito dalla
figlia Tullia
Minore che ne fece
scempio travolgendolo con il
cocchio che guidava. Il
luogo del misfatto ricevette
in seguito l'appropriato nome
di Vicus Sceleratus.
A
Tarquinio fu attribuito il
soprannome di Superbo dopo che
negò la sepoltura di Servio
Tullio. Tarquinio assunse il
comando con la forza, senza
che la sua elezione fosse
approvata dal Popolo e dal Senato
romano, e sempre
con la forza (si parla anche
di una guardia armata
personale) mantenne il
controllo della città durante
il suo regno. In breve tempo
annientò la struttura
fortemente democratica della
società romana realizzata dal
suo predecessore e creò un
regime autoritario e violento
a tal punto da unire per la
prima volta, nell'odio verso
la sua figura, patrizi e
plebei.
Se
le fonti antiche lo criticano
per come conquistò e mantenne
il potere in città in modo
tirannico, le stesse gli
riconoscono però grandi
capacità militari: sotto il
suo regno furono conquistate,
infatti, importanti città del Latium
vetus, quali Suessa
Pometia, Ardea, Ocricoli e
Gabi.
Sempre
durante il suo regno, iniziò
la centenaria lotta
tra Romani e Volsci. Sappiamo,
inoltre, che il delegato della
città latina di Aricia, Turno
Erdonio, durante l'assemblea
della Lega tenutasi
presso Locus
Ferentinum, avendo
osato opporsi al volere del
Superbo re di Roma,
fu messo a morte e fatto
affogare in un fosso.
A
Tarquinio si fa discendere lo
stratagemma con cui i romani
conquistarono la città di Gabii, dove
mandò il proprio figlio Sesto
Tarquinio che si
fece accogliere in città
dicendo di voler sfuggire alla
tirannia del padre. In
verità il genitore e il
figlio agivano di comune
accordo, dovendo il figlio
recare discordia nella città
nemica, tanto che questa per i
contrasti sorti al suo interno
si diede a Roma senza
che fosse combattuta battaglia
alcuna.
Durante
il periodo della dominazione
etrusca Roma divenne
un'importante stazione
commerciale e acquisì il
controllo su alcune comunità
circostanti iniziando la sua
espansione, anche con la
fondazione di colonie
romane, con
l'occupazione di città come
quelle di Signa e Circeii.
Sotto il suo regno fu
portata a termine la
costruzione della Cloaca
Massima e del Tempio
di Giove Ottimo Massimo,
dopo la campagna vittoriosa
contro i Volsci, con
il bottino delle città
conquistate.
Preoccupato
da una visione, un serpente
che sbucava da una colonna di
legno, il re organizzò una
spedizione a Delo in
modo da ottenerne
un'interpretazione del famoso
oracolo, inviandovi i propri
figli per chiedere chi avrebbe
regnato su Roma; di
questa spedizione fece parte
anche Lucio
Giunio Bruto, nipote
del re, che celava i suoi veri
pensieri fingendosi stolto,
bruto appunto. Dopo aver avuto
il vaticinio richiesto dal re,
la comitiva chiese anche chi
sarebbe stato il prossimo re
di Roma; il responso
dell'oracolo, "Avrà in
Roma il sommo imperio chi
primo, o giovani, di voi bacerà
la madre", fu
compreso solo da Bruto, che
tornato in patria sbarcando
finse di cadere e baciò la
madre terra. I fatti poi
gli diedero ragione.
In
quel tempo Roma stava
conducendo una guerra contro i Rutuli asserragliati
nella città di Ardea; tutti
i cittadini atti alle armi
partecipavano all'assedio. In
questo quadro si inserisce
l'episodio di Lucio
Tarquinio Collatino e
di sua moglie Lucrezia,
di cui si invaghì il figlio
del re Tarquinio
Sesto che, dopo
aver lasciato il campo, tornò
a Roma dove con l'inganno e la
forza fece violenza a
Lucrezia. Il giorno seguente,
la donna si recò nel campo
militare dove si trovava il
marito, e si uccise per il
dolore di essere stata
violentata.
Sconvolti
dall'accaduto e pieni d'odio
per Tarquinio e la sua
famiglia, Bruto e Collatino
giurarono di non aver pace
fino a quando i Tarquini non
fossero stati cacciati dalla
città. Raccolto il
cadavere della nobile donna,
seguiti dai giovani seguaci, i
due si diressero a Roma dove
Bruto parlò alla folla
accorsa nel Foro; il suo
eloquio fu così efficace e
trascinante, e la nefandezza
di Sestio così grande, che
riuscì a smuovere l'animo dei
propri cittadini, stanchi dei
soprusi dei Tarquini, che
proclamarono il bando dalla
città del re, destituendolo, e
dei suoi figli mentre questi,
avvertiti da dei seguaci,
stavano tornando in città dal
campo militare. Al re furono,
quindi, confiscati tutti i
beni, fu poi consacrato il territorio
a Marte e affidato
dal popolo il potere ai
difensori della libertà.
Tarquinio,
messo al bando dalla città su
cui regnava, venuto a
sapere di questa notizia,
mentre stava ancora assediando
la città di Ardea,
partì per Roma per reprimere
la rivolta. Lucio
Giunio Bruto, allora,
informato che il re si stava
avvicinando, per evitare
l'incontro, fece una breve
diversione e raggiunse
l'accampamento regio ad Ardea
dove fu accolto con entusiasmo
da tutti i soldati, i quali
espulsero i figli del re,
mentre a quest'ultimo venivano
chiuse le porte in faccia e
comunicata la notizia
dell'esilio. Due dei figli
seguirono il padre in esilio a Cere (Cerveteri); Sesto
Tarquinio invece,
partito per Gabii,
qui fu assassinato da coloro
che si vendicarono delle
stragi e razzie da quello
compiute. In seguito a questi
eventi, furono convocati i comizi
centuriati dal prefetto della
città di Roma, ed
elessero i primi due consoli: Lucio
Giunio Bruto e Lucio
Tarquinio Collatino.
Costretto
a fuggire con la moglie e i
figli a Cere, dopo
ventisei anni di regno, il
vecchio sovrano non si diede
per vinto e tentò di
restaurare il proprio regno
con l'aiuto di Porsenna,
re di Clusium, a
cui si alleò, e delle città latine avversarie
di Roma. Nonostante i successi
ottenuti dal lucumone etrusco,
Tarquinio non riuscì a
rientrare nell'Urbe. Tarquinio
allora, con i propri
familiari, pose la propria
base a Tuscolo,
governata da suo genero Ottavio
Mamilio. Questo cavalcò
il malcontento delle città
latine, adoperandosi in
funzione anti-romana.
Intanto
Tarquinio riuscì a ottenere
il sostegno degli Etruschi di Tarquinia e Veio,
ponendosi al comando di un
esercito che si scontrò con
quello romano, condotto dai
consoli Lucio
Giunio Bruto e Publio
Valerio Publicola,
nella sanguinosa battaglia
della Selva Arsia, in
territorio romano. La
battaglia, a lungo incerta,
vide la vittoria dei romani.
Lo
scontro inizialmente temuto si
concretizzò nel 499
a.C., quando gli
eserciti romani e latini si
scontrarono nella battaglia
del Lago Regillo.
L'esercito romano fu affidato
ad Aulo
Postumio Albo Regillense,
nominato dittatore per
fronteggiare la crisi, ed a Tito
Ebuzio Helva, suo magister
equitum, mentre quello
latino era guidato da Mamilio
e dallo stesso Tarquinio.
Tarquinio
morì nel 495
a.C., mentre si trovava
in esilio a Cuma in Campania.
La notizia della morte
dell'ultimo re di Roma fu
accolta con manifestazioni di
entusiasmo che coinvolsero
tutta la città.
Andrea
Carandini, fondandosi
sul nome indicato
nell'affresco alla tomba François
di Vulci come
quello del rivale di Servio
Tullio-Mastarna,
ha sostenuto che la
discendenza diretta di
Tarquinio il superbo da Tarquinio
Prisco è frutto
di una damnatio
memoriae decretata
dallo stesso Servio Tullio nei
confronti di Gneo Tarquinio,
che sarebbe il figlio di
Tarquinio Prisco e il padre di
Tarquinio il Superbo: già
Lucio Calpurnio Pisone
Cesonino si sarebbe accorto
del falso storico, in ragione
dell'età ultracentenaria che
Tarquinio il superbo avrebbe
dovuto avere nella
ricostruzione storica
tradizionale al momento della
morte.
Con
Tarquinio il Superbo termina
l'egemonia etrusca, iniziata
con il regno di Tarquinio
Prisco sulla città di
Roma. Perlomeno quella
proveniente dalla città di Tarquinia,
se nel periodo in cui prevale
l'elemento etrusco si
considera anche quello
immediatamente successivo in
cui Roma dovette
quantomeno subire l'influenza
(se non addirittura la
conquista) di Chiusi.
Sotto
i Tarquini, Roma aveva
stretto alleanze con le città
latine formando una lega
all'interno della quale era la
città egemone; ciò era
avvenuto soprattutto grazie
alla fondazione del tempio di
Diana sull'Aventino. Nello
stesso periodo Chiusi, dove
regnava Porsenna, era
diventata la più potente città
etrusca e prendeva la
decisione di conquistare Roma.
Porsenna riuscì nel suo
intento e cacciò Tarquinio il
Superbo, il quale si rivolse
alle alleanze che aveva a
disposizione e in particolare
ai latini e ai greci. I primi
e i secondi, guidati questi
ultimi da Aristodemo
di Cuma, affrontarono
Porsenna presso
Aricia nel 510 a.C. sconfiggendolo.
Nonostante
questo, Tarquinio il superbo
non tornò a Roma, ma trovò
rifugio presso Aristodemo a Cuma.
A Roma intanto dopo la
cacciata dei tarquini e la
sconfitta di Porsenna veniva
fondata la Repubblica: si
trattava di una rivoluzione
aristocratica che si inserisce
però in un quadro politico di
ridimensionamento della forza
etrusca nella penisola. Gli
etruschi stavano
progressivamente perdendo le
loro posizioni in Lazio e
Campania a vantaggio di Latini
e Greci ed è possibile che in
questo contesto Roma abbia
approfittato per liberarsi di
Tarquinio il Superbo che,
cacciato da Porsenna, veniva
visto dall'aristocrazia come
un dittatore tiranno.