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PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1980-1990
 

  

 

Età regia e i sette re di Roma

Numa Pompilio (715 - 674 a.C.)  

Numa Pompilio (Cures Sabini754 a.C. – 673 a.C.) è stato il secondo re di Roma, e il suo regno durò 43 anni.  

Numa Pompilio, di origine sabina, per la tradizione e la mitologia romana, tramandataci grazie soprattutto a Tito Livio e a Plutarco, che ne scrisse anche una biografia, era noto per la sua pietà religiosa e regnò dal 715 a.C. fino alla sua morte nel 673 a.C. (ottantenne, dopo quarantatré anni di regno) succedendo, come re di Roma, a Romolo. Numa era un re pio, e in tutto il suo regno non combatté nemmeno una guerra.  

L'incoronazione di Numa non avvenne immediatamente dopo la scomparsa di Romolo. Per un certo periodo i Senatori governarono la città a rotazione, alternandosi ogni dieci giorni, in un tentativo di sostituire la monarchia con una oligarchia. Però, incalzati dal sempre maggiore malcontento popolare causato dalla disorganizzazione e scarsa efficienza di questa modalità di governo, dopo un anno i Senatori furono costretti ad eleggere un nuovo re.

La scelta apparve subito difficile a causa delle tensioni fra i senatori Romani che proponevano il senatore Proculo ed i senatori Sabini che proponevano il senatore Velesio.

Per trovare un accordo si decise di procedere in questo modo: i senatori romani avrebbero proposto un nome scelto fra i Sabini e lo stesso avrebbero fatto i senatori sabini scegliendo un romano. I Romani proposero Numa Pompilio, appartenente alla Gens Pompilia, che abitava nella città sabina di Cures ed era sposato con Tazia, l'unica figlia di Tito Tazio. Sembra che egli fosse nato nello stesso giorno in cui Romolo fondò Roma (21 aprile). 

Numa, concittadino di Tito Tazio, era noto a Roma come uomo di provata rettitudine oltreché esperto conoscitore di leggi divine, tanto da meritare l'appellativo di Pius. I Sabini accettarono la proposta rinunciando a proporre un altro nome.

Furono dunque inviati a Cures Proculo e Velesio (i due senatori più influenti rispettivamente fra i Romani ed i Sabini) per offrirgli il regno. Inizialmente contrario ad accettare la proposta dei senatori, per la fama violenta dei costumi di Roma, Numa vi acconsentì solo dopo aver preso gli auspici degli dei, che gli si dimostrarono favorevoli; Numa fu quindi eletto re per acclamazione da parte del popolo.  

La leggenda afferma che il progetto di riforma politica e religiosa di Roma attuato da Numa fu a lui dettato dalla ninfa Egeria con la quale, ormai vedovo, soleva passeggiare nei boschi e che si innamorò di lui al punto da renderlo suo sposo.

A Numa viene attribuito il merito di aver creato una serie di riforme tese a consolidare le istituzioni della nuova città, prime tra tutte quelle religiose, raccolte per iscritto nei commentarii Numae o libri Numae, che andarono perduti nel sacco gallico di Roma (387 a.C.).

Sulla base di queste norme di carattere religioso, i culti cittadini erano amministrati da otto ordini religiosi: i Curiati, i Flamini, i Celeres, le Vestali, gli Auguri, i Salii, i Feziali e i Pontefici.

Numa stabilì di unificare ed armonizzare tutti i culti e le tradizioni dei Romani e dei Sabini residenti a Roma per eliminare le divisioni e le tensioni fra questi due popoli, riducendo l'importanza delle tribù e creando nuove associazioni basate sui mestieri.

Appena divenuto re nominò, a fianco del sacerdote dedito al culto di Giove ed a quello dedicato al culto di Marte, un terzo sacerdote dedicato al culto del dio Quirino, gli dei più importanti dell'epoca arcaica. Riunì poi questi tre sacerdoti in un unico collegio sacerdotale che fu detto dei flamini, a cui diede precise regole ed istruzioni.

Proibì ai Romani di venerare immagini divine a forma umana e animale perché riteneva sacrilego paragonare un dio con tali immagini e, durante il suo regno non furono costruite statue raffiguranti gli dei. Istituì il collegio sacerdotale dei Pontefici, presediuti dal Pontefice Massimo, carica che Numa ricoprì per primo e che aveva il compito di vigilare sulle vestali, sulla moralità pubblica e privata e sull'applicazione di tutte le prescrizioni di carattere sacro.

Istituì poi il collegio delle vergini Vestali assegnando a queste uno stipendio e la cura del tempio in cui era custodito il fuoco sacro della città; le prime furono Gegania, Verenia, Canuleia e Tarpeia (erano dunque quattro, Anco Marzio ne aggiunse altre due portandole a sei).

Istituì anche il collegio dei Feziali (i guardiani della pace) che erano magistrati-sacerdoti con il compito di tentare di appianare i conflitti con i popoli vicini e di proporre la guerra una volta esauriti tutti gli sforzi diplomatici.

Nell'ottavo anno del suo regno istituì il collegio dei Salii, sacerdoti che avevano il compito di separare il tempo di pace e di guerra (per gli antichi romani il periodo per le guerre andava da marzo ad ottobre). Era, questa funzione, molto importante per gli abitanti dell'antica Roma, perché sanciva, nel corso dell'anno, il passaggio dallo stato di cives (cittadini soggetti all'amministrazione civile e dediti alle attività produttive) a milites (militari soggetti alle leggi ed all'amministrazione militare e dediti alle esercitazioni militari) e viceversa per tutti gli uomini in grado di combattere. Migliorò anche le condizioni di vita degli schiavi, per esempio permettendo loro di partecipare alle feste in onore di Saturno, i Saturnalia assieme ai loro padroni.

La tradizione romana rimanda a Numa Pompilio la definizione dei confini tra le proprietà dei privati, e tra queste e la proprietà pubblica indivisa, statuizione che fu sacralizzata con la dedica dei confini a Jupiter Terminalis, e l'istituzione della festività dei Terminalia.

Nel Foro, fece costruire il tempio di Vesta, e dietro di questo fece costruire la Regia e lungo la Via Sacra fece edificare il Tempio di Giano, le cui porte potevano essere chiuse solo in tempo di pace (e rimasero chiuse per tutti i quarantatré anni del suo regno).

Secondo l'enciclopedista Marco Verrio Flacco (sec. I a.C. - I d.C.), riportato dal lessicografo Sesto Pompeo Festo, il re, ordinando la costruzione del tempio di Vesta, volle che fosse di forma rotonda (ad pilæ similitudinem), cioè della stessa forma del mondo, in quanto egli era un convinto sostenitore della sfericità della terra, tesi dunque già in voga in quei lontani tempi.

Secondo Dionigi di Alicarnasso Numa poi incluse nella città il Quirinale, anche se questo a quell'epoca non era ancora cinto da mura.  

A lui viene ascritta anche una riforma del calendario, basato sui cicli lunari, che passò da 10 a 12 mesi di 355 giorni (secondo Livio invece lo divise in 10 mesi, mentre in precedenza non esisteva alcun calcolo), con l'aggiunta di gennaio, dedicato a Giano, e febbraio che furono posti alla fine dell'anno, dopo dicembre (l'anno iniziava con il mese di marzo; da notare la persistenza dei nomi degli ultimi mesi dell'anno con i numeri: settembre, ottobre, novembre, dicembre).

Il calendario conteneva anche l'indicazione dei giorni fasti e nefasti, durante i quali non era lecito prendere alcuna decisione pubblica. Anche in questo caso, come per tutte le riforme più difficili, la tradizione racconta che il re seguì i consigli della ninfa Egeria, sottolineando così il carattere sacrale di queste decisioni.

L'anno così suddiviso da Numa, non coincideva però con il ciclo lunare, per cui ad anni alterni veniva aggiunto come ultimo mese il mercedonio, composto da 27 giorni, togliendo a febbraio 4 o 5 giorni; era il collegio dei pontefici a decidere queste compensazioni, alle volte anche sulla base di convenienze politiche.  

Come sopra scritto, Floro racconta che Numa insegnò i sacrifici, le cerimonie ed il culto degli Dei immortali ai Romani. Creò anche i pontefici, gli auguri ed i Salii. La tradizione vuole che Numa abbia istituito, tra l'altro, anche la Festa di Quirino e la Festa di Marte. La prima festa si celebrava a febbraio, mentre la festa dedicata a Marte si celebrava a marzo, e veniva officiata dai Salii. Numa partecipava di persona a tutte le feste religiose, durante le quali era proibito lavorare.

A queste riforme di carattere religioso corrispose anche un periodo di prosperità e di pace che permise a Roma di crescere e rafforzarsi, tanto che durante tutto il suo regno le porte del tempio di Giano non furono mai aperte.  

Morì ottantenne e non di morte improvvisa, ma consunto dagli anni (per malattia secondo Livio), quando suo nipote, il futuro re Anco Marzio, aveva solo cinque anni, circondato dall'affetto dei romani, grati anche per il lungo periodo di prosperità e pace di cui avevano goduto. Alla processione funebre parteciparono anche molti rappresentanti dei popoli vicini ed il suo corpo non fu bruciato, ma seppellito insieme ai suoi libri in un mausoleo sul Gianicolo.

Dopo la bellicosa esperienza del regno di Romolo, Numa Pompilio seppe con la sua saggezza fornire un saldo equilibrio alla nascente città.

Durante il consolato di Marco Bebio Tamfilo e Publio Cornelio Cetego, nel 181 a.C., due contadini ritrovarono il luogo della sua sepoltura, contenente sette libri in latino di diritto pontificale, ed altrettanti in greco di filosofia. Per decreto del senato i primi furono conservati con cura, mentre i secondi furono pubblicamente bruciati.  

Il senatore sabino Marcio, che aveva sposato la figlia Pompilia, si candidò alla successione ma fu superato da Tullo Ostilio e si lasciò morire di fame per la delusione. Dal matrimonio fra Pompilia e Marcio era nato Anco Marcio che diverrà re dopo Tullo Ostilio. Alcune fonti raccontano di un secondo matrimonio di Numa Pompilio con una certa Lucrezia da cui sarebbero nati quattro figli: Pompone, Pino, Calpo e Memerco dai quali avrebbero avuto origine le casate romane dei Pomponi, dei Pinari, dei Calpurni e dei Marci.  

La reale esistenza di Numa Pompilio, come accade per quella di Romolo, è discussa. Per alcuni studiosi la sua figura sarebbe principalmente simbolica; un re per metà filosofo e per metà santo, teso a creare le norme e il comportamento religioso di Roma, avverso alla guerra e ai disordini, diametralmente opposto al suo predecessore, il re guerriero Romolo. L'origine stessa del nome (Numa da Nómos = "legge"; Pompilio da pompé = "abito sacerdotale" indicherebbe l'idealizzazione della sua figura.

Tullio Ostilio (673 - 641 a.C.)  

Tullo Ostilio (lat. Tullus Hostilius; ... – 641 a.C.) fu il terzo dei leggendari Re di Roma, appartenente alla Gens Hostilia, che dovrebbe essere ricompresa tra le cento gentes originarie ricordate da Tito Livio. Fu il successore di Numa Pompilio.  

Le sue guerre vittoriose con Alba Longa, Fidene e Veio indicano le prime conquiste del territorio latino e il primo allargamento del dominio romano oltre le mura di Roma. Fu durante il suo regno che avvenne il combattimento fra Orazi e Curiazi, i rappresentanti di Roma e di Alba Longa. Si dice che morì colpito da un lampo come la punizione del suo orgoglio.

Tullo Ostilio va considerato semplicemente come il duplicato di Romolo. Entrambi sono eletti fra i pastori, continuano la guerra contro Fidene e Veio, aumentano il numero dei cittadini, organizzano l'esercito e spariscono da terra in una tempesta. Poiché Romolo e Numa Pompilio rappresentano i Ramnes ed i Tities, così, per completare la lista dei quattro elementi tradizionali della nazione, Tullo è il rappresentante del Luceres ed Anco Marzio il fondatore della Plebe.

L'evento distintivo di questo regno è la distruzione di Alba Longa, che può essere considerato come un fatto storico.

Tullo Ostilio fu scelto dai senatori perché era un romano e perché suo nonno Osto Ostilio aveva combattuto con Romolo contro i Sabini. Dopo la morte di Numa Pompilio lo spirito di pace sembrò indebolirsi.

Secondo la tradizione, i rapporti amichevoli fra Romani e la popolazione di Alba Longa, nei colli vicino a Roma, si erano guastati ed erano sorte controversie perché la gente aveva cominciato ad effettuare incursioni negli campi ed orti altrui, rubandosi reciprocamente raccolti ed animali. La risposta del re romano alle lamentele degli Albani fu che l'inizio della lite era stato opera loro.

Gli eserciti delle due città si prepararono a combattere, ma la battaglia fu risolta dalla sfida tra gli Orazi e Curiazi, tre fratelli romani i primi e tre fratelli albani i secondi. Alba Longa fu sconfitta e assoggettata allo stato romano. Quando Alba Longa si rifiutò di aiutare Roma in un successivo conflitto, Ostilio fece dilaniare capi albani con due carri lanciati nelle opposte direzioni. Poi distrusse la città ne trasferì gli abitanti sul Celio.

Tullo Ostilio si impegnò anche in una guerra contro i Sabini; fu durate il suo regno che fu costruita la Curia Hostilia, che divenne il luogo deputato alle riunioni dei senatori, che prima di allora si riunivano all'aperto, nell'area del Foro che in seguito sarebbe stata utilizzata per i Comizi.

La leggenda dice che Tullo era così occupato con una guerra dopo un'altra che aveva trascurato ogni servizio verso le divinità. Una peste terribile si abbatté sui Romani. Anche Tullo ne fu colpito. Pregò Giove per avere il suo favore ed il suo aiuto. La risposta del dio fu un fulmine che venne giù dal cielo, bruciò il re e ridusse la sua casa in cenere.

Ciò fu visto dai Romani come un'indicazione di scegliere meglio il nuovo re, un re che seguisse l'esempio pacifico di Numa Pompilio e scelsero Anco Marzio, il nipote di Numa Pompilio.

Anco Marzio (640 - 616 a.C.)  

Anco Marzio, anche Marcio (latino Ancus Marcius; 675 a.C. (?) – 616 a.C.), è stato il quarto Re di Roma e l'ultimo di origine sabina, appartenente all'antica gens Marcia. Regnò per 24 anni.  

Nel 641 a.C. Anco Marzio succede al bellicoso Tullo Ostilio, diventando il nuovo re di Roma, favorito all'ascesa al trono dal legame di parentela con Numa Pompilio, di cui era nipote per parte di una figlia. Pur essendo il nipote di Numa Pompilio, grande amante della religione, fece la guerra per difendere i suoi territori. Dopo il regno di Tullo Ostilio, che aveva cancellato ogni relazione tra il potere monarchico, la religione e la nascente sacralità romana, il nuovo monarca restaura questo rapporto.  

Anco Marzio riprende l'espansione verso sud a danno dei Latini, guerra già avviata dal suo predecessore, conquistando Politorium (nei pressi di Acqua acetosa, XXIV Municipio Fonte Ostiense), i cui cittadini furono deportati a Roma. Quindi dopo quattro anni di combattimenti, conquistò nuovamente Medullia (ubicata sulla riva destra dell'Aniene, forse nei pressi del Comune di Sant'Angelo Romano), dopo che questa colonia romana aveva nuovamente defezionato passando ai Latini. La stessa sorte toccò agli abitati di Tellenae (forse nei pressi di Medullia) e Ficana (nei pressi di Acilia), garantendo così a Roma il controllo dei territori che si estendevano dalla costa all'Urbe.

Quindi, dopo altri due anni di guerre infruttuose con i Latini, i Romani conquistarono e saccheggiarono Fidenae (attuale Fidene, III Municipio) e respinsero anche razziatori Sabini, che avevano compiuto scorrerie nei possedimenti romani lasciati sguarniti. Quindi, dopo pochi anni, i Romani combatterono e vinsero due guerre (la seconda delle quali nei pressi di Campus salinarum) contro la città di Veio, che pretendeva di riavere i possedimenti persi all'epoca di Romolo, e l'anno seguente ebbero la meglio anche sui Volsci che, dopo aver razziato le campagne romane, si erano ritirati dentro le mura di Velitrae all'apparire dell'esercito romano.  

Aggiunse così alla città di Roma, oltre all'Aventino, che cinse all'interno delle mura cittadine e popolò con le popolazioni latine deportate a Roma (tra le quali quelle di Tellenae e Politorium), anche il Gianicolo, e probabilmente anche il Celio.

Durante il suo regno sono realizzate numerose opere architettoniche tra cui la fortificazione del Gianicolo, la fondazione della prima colonia romana ad Ostia alla foce del Tevere (a 16 miglia da Roma), "evidentemente perché già allora aveva il presentimento che le ricchezze ed i viveri di tutto il mondo sarebbero stati, un giorno, ricevuti lì, come se fosse lo scalo marittimo di Roma"; la costruzione della via Ostiense, dove per primo organizzò le saline e costruì una prigione, la costruzione dello scalo portuale sul Tevere chiamato Porto Tiberino e la costruzione del primo ponte di legno sul Tevere, il Pons Sublicius.  

Ristabilì le cerimonie religiose istituite da Numa. A lui si fa discendere la definizione dei riti che dovevano essere seguiti dai Feziali perchè la guerra dichiarata ai nemici non dispiacesse agli dei e potesse essere quindi una "guerra giusta".

Anco Marzio sarebbe soltanto un duplicato di Numa, come si potrebbe dedurre dal suo secondo nome, Numa Marzio, dal confidente e pontefice di Numa, non essendo niente altro che Numa Pompilio stesso, rappresentato come sacerdote.

L'identificazione con Anco è indicata dalla leggenda che indica quest'ultimo come costruttore di un ponte (pontifex), il costruttore del primo ponte di legno sopra il Tevere. È nell'esercizio delle sue funzioni sacerdotali che la somiglianza è mostrata più chiaramente.  

Come Numa Pompilio, Anco Marzio morì di morte naturale dopo ventiquattro anni di regno (nel 616 a.C.), di malattia secondo altri lasciando due figli, uno dei quali ancora fanciullo. Gli succedette Tarquinio Prisco.

Tarquinio Prisco (616 - 579 a.C.)  

Lucio Tarquinio Prisco (lat. Lucius Tarquinius Priscus; 4 agosto ... – 579 a.C.) originario di Tarquinia in Etruria, è stato il quinto re di Roma secondo la cronologia di Tito Livio, che regnò per trentotto anni (dal 616 al 579 a.C.).  

Secondo la tradizione Lucio Tarquinio Prisco era nato a Tarquinia da madre etrusca, ma era greco per parte di padre (Demarato era originario della città greca di Corinto da dove era fuggito per stabilirsi poi a Tarquinia) ed a causa dell'ascendenza paterna, nonostante fosse ricco e noto in città, veniva osteggiato dai suoi concittadini e non riusciva ad accedere alle cariche pubbliche. Per questi motivi, e su consiglio di sua moglie Tanaquilla, decise quindi di emigrare da Tarquinia a Roma, dove cambiò nome, dall'etrusco Lucumone al più latino Lucio Tarquinio detto poi Prisco per distinguerlo dall'ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo.  

Al suo arrivo a Roma, nei pressi del Gianicolo, dove arrivò a bordo di un carro, accadde un fatto eccezionale; un'aquila prima gli portò via il berretto, poi tornò indietro e lo fece cadere sulla sua testa. Tanaquilla, che in quanto etrusca conosceva l'arte di interpretare i segni del cielo, interpretò questo fatto come il segno di future grandezze per il marito.

In città Tarquinio si fece notare per le sue qualità e la sua generosità, tanto che Anco Marzio volle conoscerlo e, una volta divenuto amico, prima lo fece entrare tra i suoi consiglieri, poi decise di adottarlo, affidandogli il compito di proteggere i suoi figli. Secondo alcuni studiosi come Giuseppe Valditara, ricoprì anche la carica di magister populi. Alla morte del re, Tarquinio riuscì a farsi eleggere re dal popolo romano come figlio di Anco Marzio salendo al potere in seguito a una congiura contro lo stesso Anco.  

La sua abilità militare fu subito messa alla prova da un attacco sferrato dai Sabini; l'attacco fu respinto dopo sanguinosi combattimenti nelle strade della città, portando non pochi territori di queste genti vinte sotto il controllo di Roma. Fu in questa occasione che fu aumentato il numero di cavalieri che ognuna delle tre tribù (RamnesTities e Luceri) doveva fornire all'esercito.

Tarquinio poi combatté i Latini, destinandoli a sorte diversa a seconda se avessero combattuto contro i romani, o se si fossero arresi dopo essersi ribellati. E così che distrusse Apiolae e conquistò Collatia, che diventò colonia romana governata dal nipote Egerio, fu più clemente con Crustumerium e Nomentum.

Quindi combatté contro una coalizione di Latini ed Etruschi delle città di ChiusiArezzoVolterraRoselle e Vetulonia corsi in aiuto dei Latini. Lo scontro si risolse, a seguito di due durissime battaglie campali, a favore dei romani, che ebbero la meglio sulla coalizione nemica, con i Latini che ottennero la pace dietro il pagamento dei danni e la restituzione di quanto depredato.

Gli scontri continuarono però anche nei due anni successivi, questa volta però contro una coalizione di Etruschi e Sabini, fino a che i romani sbaragliarono i due campi nemici, che erano stati eretti alla confluenza tra il Tevere e l'Aniene nei pressi di Fidenae, con uno stratagemma. In seguito a questa sconfitta i Sabini concordarono con i romani una tregua di sei anni, contrariamente agli Etruschi, che occuparono Fidenae con una propria guarnigione, avendo intenzione di continuare gli scontri. Gli scontri tra i Romani e gli Etruschi di Veio e Caere durarono altri sette anni e si risolsero con un grande scontro campale presso la città sabina di Eretum, vinto dai romani. In seguito a questo scontro gli etruschi si arresero ai romani e presentarono a Tarquinio Prisco i segni del potere delle proprie città, Fasci Littori e Sedie Curuli, come segno di resa.  

Attuò una riforma che riguardò la classe dei cavalieri, aumentandone gli effettivi. Egli decise di raddoppiare il numero delle centurie (fino ad allora in numero di tre), o comunque aumentarne gli effettivi, e di aggiungerne altre a cui diede un nome differente. Queste ultime furono chiamate posteriores o sex suffragia, portando così il totale dei cavalieri a 600.  

Tarquinio riformò anche lo stato, aumentando il numero dei membri dell'assemblea centuriata a 1.800 componenti (contro il parere di un certo Attio Nevio) e raddoppiando (o comunque aumentando) il numero di senatori, dai 100 membri romulei ai 200, aggiungendone comunque altri 100.

Fu Tarquinio che per primo celebrò un trionfo su un cocchio dorato a quattro cavalli in Roma, vestito con una toga ricamata d'oro ed una tunica palmata (con disegni di foglie di palma), vale a dire con tutte le decorazioni e le insegne per cui risplende l'autorità del comando. E sempre a lui si deve l'introduzione in città di usanze tipicamente etrusche, relative alla sua posizione regale, come i riti sacrificali, la divinazione, la musica per le pubbliche manifestazioni, le trombe (tubae), gli anelli, lo scettro, il paludamentum, la trabea, la sella curule, le faleretoga pretesta ed i fasci littori e le asce.  

Grazie alle fortunate guerre intraprese contro le vicine popolazioni, riuscì a rimpinguare le casse statali con i ricchi bottini depredati alle città sconfitte. E sembra che decise di dotare la città di Roma di nuove mura.

Si occupò anche dei giochi della città, erigendo il Circo Massimo e destinandolo come sede permanente delle corse dei cavalli, istituendo i ludi Romani; prima di allora gli spettatori assistevano alle gare, che qui si svolgevano, seduti da postazioni di fortuna.

In seguito a forti alluvioni, che interessarono specialmente le zone dove sarebbe sorto il futuro Foro Romano, fece poi iniziare la costruzione della Cloaca Massima. A lui si deve poi l'inizio dei lavori per la costruzione del tempio di Giove Capitolino sul colle del Campidoglio.  

Il maggiore dei figli di Anco Marzio, nella speranza di ottenere il trono che riteneva gli fosse stato usurpato da Tarquinio, organizzò un complotto e lo uccise. I suoi piani furono però frustrati dall'abile Tanaquilla, che fece in modo che il popolo romano eleggesse suo genero Servio Tullio come sesto re di Roma e successore di Lucio Tarquinio Prisco. Livio Mariani, uno storico che fece parte del Triumvirato della Repubblica Romana e morto nel 1857 ad Atene ed autore della "Storia del Sublacense", afferma che Tarquinio Prisco sia stato tumulato nei pressi di Marano Equo e la sua tomba sia stata rimossa nel 1750 dai Barberini e traslata a Collalto Sabino nel loro castello di cui erano titolari come baroni.

Servio Tullio (578 - 535 a.C.)  

Servio Tullio (Corniculum, ... – Roma535 a.C.) è stato il sesto re di Roma. Secondo la tradizione regnò dal 578 a.C. al 535 a.C., per 43 anni. La tradizione a partire dall'imperatore Claudio lo identifica anche col magister populi etrusco Macstarna (o Mastarna).

Servio, come attestato anche dal nome, era di umili origini; nacque infatti da una prigioniera di guerra (che si racconta fosse stata nobile nella sua città) ridotta a servire il focolare domestico del re Tarquinio Prisco. Si narra anche potesse essere il figlio della schiava Ocresia (nobile di Corniculum, attuale Montecelio, fatta prigioniera) e di un Tullio, sempre di Corniculum. Si racconta poi che, quando da bambino Servio stava ancora nella culla, gli brillò una fiamma sulla testa.

Deve la sua fortuna a Tanaquil, che ne indovinò la futura grandezza e per questo gli diede in sposa la figlia ed alla morte del marito fece in modo che Servio gli succedesse come re di Roma. Infatti a delitto avvenuto, Tanaquil informò della congiura il popolo romano, ma gli nascose la morte del re, dicendo invece che il re era rimasto ferito e che nel frattempo Servio Tullio ne sarebbe stato il reggente. Solo quando la situazione si fu calmata e il popolo romano si era abituato alla figura regnante di Servio Tullio, Tanaquil comunicò la morte del marito; a questo punto al popolo parve naturale che Servio Tullio continuasse a regnare sulla città.

Fu l'autore della più importante modifica dell'esercito. Si rese conto infatti che per assicurare a Roma una forza militare sufficiente a mantenere le proprie conquiste, necessitava di un esercito più numeroso di quello che possedeva (un'unica legione di circa 3000 uomini, detto esercito romuleo).

Si impegnò quindi a favorire il reclutamento degli strati inferiori della società, a quel tempo esclusi. Per il patriziato fu un brutto colpo, perché si resero conto che così facendo avrebbero dovuto, prima o poi, dare, a quella che solo grazie a tale riforma prenderà a chiamarsi plebe, dei riconoscimenti politici.

Questo genere di contrasti rese i re etruschi piuttosto invisi alla dirigenza di Roma che vedeva minacciati i propri privilegi.

Roma continuò comunque la sua politica di espansione territoriale, questa volta a danno delle città etrusche di Veio, Cere e Tarquinia; dopo alterne vicende i romani ebbro la meglio su queste città e ingrandirono il loro territorio verso nord.

Servio Tullio modificò la tradizionale ripartizione in tribù del popolo romano, che non tenne più conto dell'origine delle genti, ma che considerava come criterio di appartenenza il luogo di residenza, ponendo di fatto le basi per l'omogenizzazione delle diverse genti che vivevano in città.

Vennero così create quattro tribù urbane (Suburana, Palatina, Esquilina, Collina) e diciassette tribù rustiche (extra-urbane); in questo modo, oltre a omogenizzare i cittadini romani, si poteva anche valutare il patrimonio dei singoli cittadini e quindi fissarne il tributo, che questi dovevano versare alle casse dello stato, oltre che il censo, che ne determinava i diritti ed i doveri.

Servio Tullio fece costruire sull'Aventino il tempio Diana, che corrisponde alla dea greca Artemide, il cui tempio si trovava ad Efeso, trasferendo da Ariccia il culto latino di Diana Nemorensis. Come per i greci, per i quali il tempio di artedimide rappresentava una federazione di città, con il tempio di Diana, costruito intorno al 540 a.C., i romani miravano a porsi come centro politico e religiose delle popolazioni del Lazio e fors'anche dell'Etruria meridionale.

A Servio si ascrive anche la decisione di costruire il Tempio di Mater Matuta e il Tempio della Dea Fortuna, entrambi al Foro Boario.

Servio Tullio fu ucciso da Tarquinio il Superbo che ebbe come complice la seconda moglie Tullia Minore, figlia minore di Servio; si tramanda infatti che Tarquinio, dopo aver provocato il re, gettasse questo giù dalle scale della Regia; il sovrano, ferito ma non ancora morto, fu quindi finito dalla figlia che gli passò sopra con un carro trainato da cavalli, mentre cercava di scappare dal foro.

Secondo un'antica tradizione la figura di Servio Tullio si identifica con quella di Mastarna, alleato di Celio Vibenna (o Vivenna), entrambi condottieri etruschi impegnati in spedizioni di conquista in Etruria e nei territori circostanti, e rifugiatisi, al termine di alterne vicende belliche, sul Monte Celio a Roma. Mastarna avrebbe poi ottenuto il regno e cambiato il nome, assumendo quello di Servio Tullio. Questa versione dei fatti fu oggetto anche di un famoso discorso al Senato dell'imperatore etruscologo Claudio (riportato nelle tavole di bronzo di Lione).

Gli storici, al di là degli aspetti leggendari del racconto, non escludono che possa avere qualche fondamento di verità, e portano a sostegno di questa ipotesi anche i famosi affreschi della Tomba François di Vulci che rappresentano in modo sorprendentemente realistico questo ciclo di racconti epici.

Tarquinio il Superbo (535 - 510 a.C.)  

Lucio Tarquinio (Roma, ... – Cuma495 a.C.), meglio conosciuto come Tarquinio il Superbo a causa dei suoi costumi, fu il settimo e ultimo re di Roma.

Della dinastia etrusca dei Tarquini, Tarquinio regnò dal 535 a.C. al 509 a.C., anno in cui fu messo al bando da Roma.  

Figlio di Lucio Tarquinio Prisco, e fratello di Arunte Tarquinio, sposò prima Tullia Maggiore, la figlia maggiore di Servio Tullio, poi sposò la sorella di questa, Tullia Minore, da cui ebbe i tre figli TitoArrunte e Sesto, e con il cui aiuto organizzò la congiura per uccidere il suocero e ascendere sul trono di Roma.

Tito Livio ci racconta che Tarquinio un giorno si presentò in Senato e si sedette sul trono del suocero rivendicandolo per sé; Tullio, avvertito del fatto, si precipitò nella Curia.

Ne nacque un'accesa discussione tra i due, che presto degenerò in scontri tra le opposte fazioni; alla fine il più giovane Tarquinio, dopo averlo spintonato fuori dalla Curia, scagliò il re giù dalle scale. Servio, ferito ma non ancora morto, fu finito dalla figlia Tullia Minore che ne fece scempio travolgendolo con il cocchio che guidava. Il luogo del misfatto ricevette in seguito l'appropriato nome di Vicus Sceleratus.  

A Tarquinio fu attribuito il soprannome di Superbo dopo che negò la sepoltura di Servio Tullio. Tarquinio assunse il comando con la forza, senza che la sua elezione fosse approvata dal Popolo e dal Senato romano, e sempre con la forza (si parla anche di una guardia armata personale) mantenne il controllo della città durante il suo regno. In breve tempo annientò la struttura fortemente democratica della società romana realizzata dal suo predecessore e creò un regime autoritario e violento a tal punto da unire per la prima volta, nell'odio verso la sua figura, patrizi e plebei.  

Se le fonti antiche lo criticano per come conquistò e mantenne il potere in città in modo tirannico, le stesse gli riconoscono però grandi capacità militari: sotto il suo regno furono conquistate, infatti, importanti città del Latium vetus, quali Suessa Pometia, Ardea, Ocricoli e Gabi.  

Sempre durante il suo regno, iniziò la centenaria lotta tra Romani e Volsci. Sappiamo, inoltre, che il delegato della città latina di Aricia, Turno Erdonio, durante l'assemblea della Lega tenutasi presso Locus Ferentinum, avendo osato opporsi al volere del Superbo re di Roma, fu messo a morte e fatto affogare in un fosso.

A Tarquinio si fa discendere lo stratagemma con cui i romani conquistarono la città di Gabii, dove mandò il proprio figlio Sesto Tarquinio che si fece accogliere in città dicendo di voler sfuggire alla tirannia del padre. In verità il genitore e il figlio agivano di comune accordo, dovendo il figlio recare discordia nella città nemica, tanto che questa per i contrasti sorti al suo interno si diede a Roma senza che fosse combattuta battaglia alcuna.  

Durante il periodo della dominazione etrusca Roma divenne un'importante stazione commerciale e acquisì il controllo su alcune comunità circostanti iniziando la sua espansione, anche con la fondazione di colonie romane, con l'occupazione di città come quelle di Signa e Circeii.  Sotto il suo regno fu portata a termine la costruzione della Cloaca Massima e del Tempio di Giove Ottimo Massimo, dopo la campagna vittoriosa contro i Volsci, con il bottino delle città conquistate.  

Preoccupato da una visione, un serpente che sbucava da una colonna di legno, il re organizzò una spedizione a Delo in modo da ottenerne un'interpretazione del famoso oracolo, inviandovi i propri figli per chiedere chi avrebbe regnato su Roma; di questa spedizione fece parte anche Lucio Giunio Bruto, nipote del re, che celava i suoi veri pensieri fingendosi stolto, bruto appunto. Dopo aver avuto il vaticinio richiesto dal re, la comitiva chiese anche chi sarebbe stato il prossimo re di Roma; il responso dell'oracolo, "Avrà in Roma il sommo imperio chi primo, o giovani, di voi bacerà la madre", fu compreso solo da Bruto, che tornato in patria sbarcando finse di cadere e baciò la madre terra. I fatti poi gli diedero ragione.

In quel tempo Roma stava conducendo una guerra contro i Rutuli asserragliati nella città di Ardea; tutti i cittadini atti alle armi partecipavano all'assedio. In questo quadro si inserisce l'episodio di Lucio Tarquinio Collatino e di sua moglie Lucrezia, di cui si invaghì il figlio del re Tarquinio Sesto che, dopo aver lasciato il campo, tornò a Roma dove con l'inganno e la forza fece violenza a Lucrezia. Il giorno seguente, la donna si recò nel campo militare dove si trovava il marito, e si uccise per il dolore di essere stata violentata.

Sconvolti dall'accaduto e pieni d'odio per Tarquinio e la sua famiglia, Bruto e Collatino giurarono di non aver pace fino a quando i Tarquini non fossero stati cacciati dalla città. Raccolto il cadavere della nobile donna, seguiti dai giovani seguaci, i due si diressero a Roma dove Bruto parlò alla folla accorsa nel Foro; il suo eloquio fu così efficace e trascinante, e la nefandezza di Sestio così grande, che riuscì a smuovere l'animo dei propri cittadini, stanchi dei soprusi dei Tarquini, che proclamarono il bando dalla città del re, destituendolo, e dei suoi figli mentre questi, avvertiti da dei seguaci, stavano tornando in città dal campo militare. Al re furono, quindi, confiscati tutti i beni, fu poi consacrato il territorio a Marte e affidato dal popolo il potere ai difensori della libertà.  

Tarquinio, messo al bando dalla città su cui regnava, venuto a sapere di questa notizia, mentre stava ancora assediando la città di Ardea, partì per Roma per reprimere la rivolta. Lucio Giunio Bruto, allora, informato che il re si stava avvicinando, per evitare l'incontro, fece una breve diversione e raggiunse l'accampamento regio ad Ardea dove fu accolto con entusiasmo da tutti i soldati, i quali espulsero i figli del re, mentre a quest'ultimo venivano chiuse le porte in faccia e comunicata la notizia dell'esilio. Due dei figli seguirono il padre in esilio a Cere (Cerveteri); Sesto Tarquinio invece, partito per Gabii, qui fu assassinato da coloro che si vendicarono delle stragi e razzie da quello compiute. In seguito a questi eventi, furono convocati i comizi centuriati dal prefetto della città di Roma, ed elessero i primi due consoliLucio Giunio Bruto e Lucio Tarquinio Collatino.

Costretto a fuggire con la moglie e i figli a Cere, dopo ventisei anni di regno, il vecchio sovrano non si diede per vinto e tentò di restaurare il proprio regno con l'aiuto di Porsenna, re di Clusium, a cui si alleò, e delle città latine avversarie di Roma. Nonostante i successi ottenuti dal lucumone etrusco, Tarquinio non riuscì a rientrare nell'Urbe. Tarquinio allora, con i propri familiari, pose la propria base a Tuscolo, governata da suo genero Ottavio Mamilio. Questo cavalcò il malcontento delle città latine, adoperandosi in funzione anti-romana.

Intanto Tarquinio riuscì a ottenere il sostegno degli Etruschi di Tarquinia e Veio, ponendosi al comando di un esercito che si scontrò con quello romano, condotto dai consoli Lucio Giunio Bruto e Publio Valerio Publicola, nella sanguinosa battaglia della Selva Arsia, in territorio romano. La battaglia, a lungo incerta, vide la vittoria dei romani.

Lo scontro inizialmente temuto si concretizzò nel 499 a.C., quando gli eserciti romani e latini si scontrarono nella battaglia del Lago Regillo. L'esercito romano fu affidato ad Aulo Postumio Albo Regillense, nominato dittatore per fronteggiare la crisi, ed a Tito Ebuzio Helva, suo magister equitum, mentre quello latino era guidato da Mamilio e dallo stesso Tarquinio.  

Tarquinio morì nel 495 a.C., mentre si trovava in esilio a Cuma in Campania. La notizia della morte dell'ultimo re di Roma fu accolta con manifestazioni di entusiasmo che coinvolsero tutta la città.  

Andrea Carandini, fondandosi sul nome indicato nell'affresco alla tomba François di Vulci come quello del rivale di Servio Tullio-Mastarna, ha sostenuto che la discendenza diretta di Tarquinio il superbo da Tarquinio Prisco è frutto di una damnatio memoriae decretata dallo stesso Servio Tullio nei confronti di Gneo Tarquinio, che sarebbe il figlio di Tarquinio Prisco e il padre di Tarquinio il Superbo: già Lucio Calpurnio Pisone Cesonino si sarebbe accorto del falso storico, in ragione dell'età ultracentenaria che Tarquinio il superbo avrebbe dovuto avere nella ricostruzione storica tradizionale al momento della morte.

Con Tarquinio il Superbo termina l'egemonia etrusca, iniziata con il regno di Tarquinio Prisco sulla città di Roma. Perlomeno quella proveniente dalla città di Tarquinia, se nel periodo in cui prevale l'elemento etrusco si considera anche quello immediatamente successivo in cui Roma dovette quantomeno subire l'influenza (se non addirittura la conquista) di Chiusi.

Sotto i Tarquini, Roma aveva stretto alleanze con le città latine formando una lega all'interno della quale era la città egemone; ciò era avvenuto soprattutto grazie alla fondazione del tempio di Diana sull'Aventino. Nello stesso periodo Chiusi, dove regnava Porsenna, era diventata la più potente città etrusca e prendeva la decisione di conquistare Roma. Porsenna riuscì nel suo intento e cacciò Tarquinio il Superbo, il quale si rivolse alle alleanze che aveva a disposizione e in particolare ai latini e ai greci. I primi e i secondi, guidati questi ultimi da Aristodemo di Cuma, affrontarono Porsenna presso Aricia nel 510 a.C. sconfiggendolo.

Nonostante questo, Tarquinio il superbo non tornò a Roma, ma trovò rifugio presso Aristodemo a Cuma. A Roma intanto dopo la cacciata dei tarquini e la sconfitta di Porsenna veniva fondata la Repubblica: si trattava di una rivoluzione aristocratica che si inserisce però in un quadro politico di ridimensionamento della forza etrusca nella penisola. Gli etruschi stavano progressivamente perdendo le loro posizioni in Lazio e Campania a vantaggio di Latini e Greci ed è possibile che in questo contesto Roma abbia approfittato per liberarsi di Tarquinio il Superbo che, cacciato da Porsenna, veniva visto dall'aristocrazia come un dittatore tiranno.

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