- Opere
dell'Età repubblicana
A
Servio Tullio va attribuito
il merito di aver costruito
una possente cinta muraria
lunga
11 chilometri
che racchiudeva, oltre
all'abitato, ampie zone
libere destinate alla futura
espansione della città. Le
mura si snodavano lungo il
ciglio dei colli davanti a
un vasto e profondo fossato
difensivo. Anche sul piano
simbolico, la costruzione
delle mura completò la
definizione dello spazio
urbano di Roma, che apparve
ordinato e civilizzato,
distinto dalle aree rurali e
montuose del mondo esterno.
Ma si avvicinavano tempi di
rivoluzione. La cacciata
dell'ultimo dei Tarquini fu
salutata con l'inaugurazione
del tempio di Giove
Capitolino e la nascita
della magistratura eponima,
il consolato, che segnava
politicamente l'inizio di
una forma di direzione
collegiale e repubblicana
dello stato.
L'affermazione
della repubblica fu anche il
successo di un nuovo ceto
dominante di nobili e
proprietari terrieri, che
iniziò a segnare lo spazio
urbano con i simboli del
proprio potere.
Particolarmente valorizzata
fu l'area del Foro, grazie
alla costruzione del tempio
di Saturno, il dio fondatore
della stirpe latina, nel
quale trovò sede l'erario
pubblico; e del tempio
dedicato a Castore e
Polluce, divinità di
origine greca, i simboli
della cavalleria romana. Ma
la novità più importante
fu l'annessione allo spazio
urbano del Campo Marzio, la
pianura estesa tra il
Campidoglio e il Tevere fino
alle pendici del Quirinale e
del Pincio: confiscata
all'ultimo dei Tarquini,
l'area venne consacrata a
Marte e destinata agli
esercizi militari e a
riunioni politiche.
UNA
SOCIETA' IN CONFLITTO - Alle
febbrili attività edilizie
che avevano caratterizzato
il primo ventennio della
repubblica fece seguito un
lungo periodo di stasi. Roma
entrò in una fase di
recessione economica e
politica, resa evidente
anche dalla fine delle
importazioni di uno dei
prodotti più eleganti e
ricercati: l'elegante
ceramica greca.
I
re etruschi avevano
utilizzato il sostegno agli
strati più bassi della
popolazione come fattore di
pace sociale. La crisi non
fece che acuire la tensione
tra il nuovo ceto dominante
patrizio e il popolo,
afflitto dalla mancanza di
terra e oppresso dalla
schiavitù per debiti. La
tensione non tardò a
sfociare in un vero e
proprio conflitto: i plebei
occuparono l'Aventino, la
collina più meridionale e
più prossima al fiume, e si
organizzarono in uno stato
autonomo con un proprio
culto, quello della dea
Cerere - il cui tempio
divenne sede dell'erario
comune - e con l'impiego di
propri magistrati, i tribuni
della plebe. Questi, privi
di veste legale, traevano il
loro potere dall'appoggio
militare degli elettori.
Crisi
economica, tensione sociale
e la politica di austerità
imposta dall'oligarchia
patrizia finirono per
determinare una stasi
dell'attività edilizia,
tanto che alla fine del V
secolo a.C. Roma appariva,
nelle sue forme generali,
praticamente immutata
rispetto alla città dei re
etruschi. L'unica soluzione
a queste gravi
contraddizioni interne, come
tante volte è successo
nella storia, fu trovata
nell'aggressione militare ai
popoli vicini. Nella prima
metà del IV secolo a.C. i
Romani presero la potente
città vicina di Veio,
conquista che ampliò
enormemente il territorio
dello stato ai danni degli
Etruschi. Nel
367 a
.C. le leggi Licinie Sestie
garantirono per la prima
volta ai plebei una adeguata
rappresentanza politica. I
due episodi vennero
celebrati attraverso la
fondazione di edifici
templari: quello di Giunone
Regina, sull'Aventino, per
la vittoria militare, e
quello della Concordia
, nel Foro, per suggellare
il raggiunto accordo
politico.
Tuttavia,
l'opera più imponente di
questo periodo fu senza
dubbio la ricostruzione
della cinta delle mura
serviane, alla quale
collaborarono ingegneri
siracusani. A tale scopo
venne utilizzato il tufo
poroso di Grotta Oscura, le
cui cave si trovavano nel
territorio della sconfitta
Veio. II compromesso fra gli
strati più alti e i ceti
popolari fu la base della
straordinaria espansione di
Roma nella penisola italica.
Motivazioni commerciali, la
necessità di acquisire
porzioni sempre più estese
di terra e schiavi, una
stretta saldatura tra i modi
di vita e di pensiero delle
aristocrazie e la carriera
militare, fecero della città
un'inossidabile macchina da
guerra, mentre
l'intelligenza politica dei
governanti riusciva ad
assimilare efficacemente i
nuovi territori e i loro
sistemi di governo. Roma
entrò in una fase di
intensa
trasformazione.
In
assenza di un progetto
urbanistico unitario, le
costruzioni della città
furono dettate da intenti
politici, riflessi delle
faide che contrapponevano
singoli individui o gruppi
all’interno dell’elite
dominante. Lo spazio di Roma
divenne il luogo in cui si
concretizzava la volontà di
potenza dei singoli
magistrati, che iniziarono
ad apporre il proprio nome
alle opere di cui essi
stessi si facevano
promotori. Fra il 345 e il
190 a
.C. vennero costruiti ben
trentadue edifici templari,
collegati alle continue
attività belliche e
finanziati dai generali
vittoriosi con i proventi
dei bottini e dei pagamenti
delle regioni assoggettate.
LA
GLORIA DEI MILITARI - Al
nome del censore Gaio Menio,
vincitore della battaglia di
Anzio contro i Volsci (338
a.C.) è legata la
ristrutturazione del
Comizio, sede dell'attività
pubblica cittadina. Egli
fece affiggere alle pareti
esterne dell'edificio i
rostri, ossia gli speroni in
bronzo tolti alle navi
nemiche, ed eresse nello
spazio antistante la colonna
Menia, primo esempio,
nell'austera società
cittadina, di un monumento
onorario destinato a un
personaggio vivente.
In
quegli anni, inoltre, lo
stesso censore promosse un
importante intervento
edilizio che trasformò la
funzione della piazza del
mercato: nei lati lunghi del
Foro le vecchie strutture,
adibite alla vendita di
prodotti alimentari, furono
sostituite con botteghe in
muratura a due piani,
chiamate
"Argentarie" perché
vi trovarono posto banchieri
e cambiavalute. Il mercato
alimentare fu spostato a
nord del Foro, in una
struttura specializzata, il
Macellum.
Il
decennio finale del III
secolo a.C. fu dominato
dall'attività edilizia di
un altro censore, Appio
Claudio Cieco, al quale si
deve la costruzione
dell'Acqua Appia, un
imponente acquedotto con una
portata giornaliera di oltre
75.000 metri cubi
di acqua, e la realizzazione
della celebre via Appia, che
univa Roma a Capua.
In
seguito la strada fu
prolungata fino a Taranto (
281 a
.C.) e Brindisi (
267 a
.C). Lo stesso Appio Claudio
fece costruire, tra il Foro
Boario e il Campo Marzio, il
tempio di Bellona, un vero e
proprio sacrario della sua
gens (stirpe).
UNA
FINESTRA SU UN MONDO NUOVO
- Dal
264 al
201 a
.C. Roma affrontò la prova
più dura: lo scontro con la
potenza commerciale e
militare di Cartagine, nel
Mediterraneo occidentale. Il
periodo delle guerre
puniche, con i suoi continui
rovesci di fronte, mise in
crisi non solo la struttura
politica e militare romana,
ma anche il programma di
espansione urbanistica
cominciato nel secolo
precedente.
Vi
fu tuttavia un risvolto
positivo: Roma entrò
infatti in contatto con
la Sicilia
, intrisa da un lato di
cultura greca, dall'altro di
cultura fenicia e in genere
orientale. Presa Cartagine,
Roma si volse all'Oriente.
Fra il 200 e il
133 a
.C, conquistata Corinto in
Grecia, Numanzia in Spagna e
assunta l'eredità di
Pergamo in Asia Minore,
divenne potenza indiscussa
anche nel Mediterraneo
orientale. La conquista dei
regni ellenistici di Grecia
e di Oriente segnò l'inizio
della Luxuria asiatica, un
nuovo stile di vita delle
classi dominanti in cui
entrarono a far parte
consumi opulenti e un
crescente gusto per il
lusso.
Le
conquiste dilatarono
enormemente i possessi di
Roma, in termini di bottino
e schiavi: si calcola che
tra il 200 e il
150 a
.C. giunsero a Roma quasi
trecentomila prigionieri di
guerra ridotti in schiavitù.
Le conseguenze, sul piano
economico e sociale, furono
immediate: da un lato si
rafforzò una ristretta
aristocrazia detentrice
del potere e di immense
fortune familiari;
dall'altro si profilò una
gravissima crisi della
piccola e media proprietà
terriera, sfiancata dalle
guerre. Tale crisi provocò
lo spopolamento delle
campagne e il trasferimento
in città di enormi masse di
individui che andarono a
ingrossare le fila della
plebe urbana.
Solo
in questa luce possiamo
capire le due tendenze
essenziali dell'urbanistica
romana nel II e I secolo
a.C: da una parte, l'uso
delle nuove disponibilità
finanziarie per opere di
carattere utilitario,
dall'altra l'avvio di una
serie di realizzazioni
monumentali volute dalle
famiglie dominanti a fini
propagandistici.
L'incremento demografico
rese necessaria la creazione
di enormi quartieri
popolari, con case a più
piani e una serie di
infrastrutture di appoggio.
L’IMITAZIONE
DEI GRECI - L’attività
monumentale cui gli
aristocratici affidavano il
proprio prestigio si
indirizzò, come di
consueto, nel Foro, nel
Campidoglio e nel Campo
Marzio, che vennero
progressivamente trasformati
per rispondere alle nuove
esigenze della capitale di
un impero. A tal fine si
ricorse a tutti i mezzi
offerti dall'architettura e
dall'urbanistica greca, che
in modo esemplare
rispondevano alla volontà
di esibizione del nuovo
status raggiunto da Roma.
Le
regole della vecchia
tradizione romano-italica
furono trasgredite e
sovvertite. Il Foro assunse
un aspetto omogeneo e
monumentale attraverso la
realizzazione di grandi
basiliche e portici, a
imitazione delle piazze
pubbliche delle città
ellenistiche. Con la
costruzione del Tabularium
alle pendici del
Campidoglio, nell'
83 a
.C, l'intera pianura assunse
un fondale scenografico che
unificava in un complesso
omogeneo i vari edifici
pubblici.
Ma
l'area maggiormente
interessata alle nuove
realizzazioni monumentali fu
senza dubbio il Campo
Marzio, sia per il suo forte
significato ideologico, sia
perché era ancora privo di
costruzioni e quindi sede
ideale di progetti edilizi
di ampia portata. Attorno al
Circo Flaminio, luogo di
partenza dei cortei
trionfali, sorsero - a
partire dagli inizi del II
secolo a.C. - alcuni templi
e porticati che si
ispiravano a modelli greci.
Nel
I secolo a.C. il Campo
Marzio fu indelebilmente
segnato dalle fortune e
dalla cadute di grandi
personalità. Nella prima
metà del I secolo a.C, in
un suo possedimento privato
non lontano dai templi
dell'odierno largo
Argentina, Pompeo fece
costruire il primo teatro in
muratura della città, un
immenso portico e
la Curia Pompeia
, un luogo di riunioni per
il senato. Con queste
costruzioni, egli assunse
quasi le vesti di un re
orientale.
Simile
fu la politica edilizia di
Cesare, dopo che ebbe
conquistato il potere.
Sorsero così nel Foro il
tempio di Venere e altri
grandi edifici pubblici.
L’opera di Cesare,
bruscamente interrotta dal
suo assassinio nel 44 a.C,
ha delle tinte chiaramente
monarchiche e prelude ormai
alla prossima, ineluttabile
trasformazione dello stato
in impero.
I
LUOGHI - Il Campidoglio
Sembra
che in passato l'altura del
Campidoglio fosse nota come
"Colle di
Saturno", dal nome di
un mitico re Saturno che,
secondo un'antica leggenda,
era giunto dal mare per
insegnare ai Latini i
rudimenti dell'agricoltura e
della civiltà. Sul colle,
secondo questa tradizione,
sarebbe sorta la prima
residenza del re. In tempi
molto antichi, ai piedi
dell'altura, nel Foro, era
stata dedicata un'ara a
questo diore.
Sul
nome del Campidoglio
esistono diverse versioni.
Secondo una leggenda che
pare appositamente costruita
a posteriori, il nome
deriverebbe dalla testa
della statua di un guerriero
chiamato Tolo oppure Olo,
che sarebbe stata rinvenuta
nel corso dello scavo del
tempio di Giove sulla cima
del colle. Campidoglio,
secondo questo improbabile
racconto, significherebbe
dunque "Caput
Olii", la testa di Olo.
Più plausibilmente, invece,
il nome indica soltanto che
il colle era la sede
capitale degli dèi che
proteggevano Roma, nonché
acropoli fortificata della
città. Secondo la
tradizione, le
fortificazioni del
Campidoglio sarebbero state
erette dal re Anco Marzio.
La
celebre Lupa capitolina,
simbolo della città, è
un'opera etrusca databile al
Vl-V secolo a.C. e da sempre
è conservata nei Musei
Capitolini. Secondo molti
studiosi, si tratterebbe
della stessa statua che,
come ricordano le
tradizioni, venne colpita da
un fulmine proprio sul
colle.
Nel
296 a.C, ci racconta lo
storico Tito Livio, i Romani
aggiunsero alla Lupa le
statue dei gemelli Romolo e
Remo.
Iniziato,
secondo la tradizione, da
Tarquinio Prisco, continuato
da Tarquinio il Superbo e
inaugurato dopo la fine
della monarchia, il tempio
di Giove Capitolino era
dedicato alla triade
protettrice del popolo
romano, formata da Giove,
Giunone e Minerva. Al suo
interno, l'edificio era
suddiviso in tre navate
parallele, ciascuna dedicata
a una delle tre divinità.
Questa triade divina
corrisponde alla trinità più
sacra dell'antica religione
etrusca, composta dalle
equivalenti divinità di
Tin, Uni, Menrva.
I
re etruschi, che avevano
stabilito il loro quartier
generale proprio sulla rocca
che ancora oggi ospita il
governo della città, erano
circondati dalla comunità
dei loro connazionali, il
cui quartiere si estendeva
nella antistante pianura del
Velabro. La presenza degli
Etruschi in quest'area è
inoltre testimoniata da
numerose iscrizioni trovate
sulle pendio del colle.
L'INFLUENZA
DEGLI ETRUSCHI
- II
tempio del Campidoglio
misurava 60 x
35 metri
di base e circa
22 metri
di altezza. La sua struttura
ricordava probabilmente il
modello del classico tempio
etrusco di quel periodo: era
infatti preceduto da un
vasto e ombroso colonnato,
esteso per circa metà
dell'ampiezza totale
dell'edificio. Il portico
anteriore dell'edificio
sosteneva un tetto ligneo a
basso spiovente,
relativamente leggero, che
sporgeva abbondantemente ai
lati dell'edificio. Molto
probabilmente, era abbellito
da una gran profusione di
lastre, tegole, coppi,
gronde in terracotta dipinte
a colori vivaci, mentre sul
culmine e lungo gli
spioventi del tetto si
affollavano figure di esseri
divini e animali fantastici
in terracotta. Il frontone
del tempio era decorato con
statue in terracotta che
raffiguravano la quadriga di
Giove. L'ombra del
porticato, i forti raggi del
sole, lo scintillio delle
statue bronzee che
affiancavano l'edificio, la
profusione del colore delle
decorazioni dovevano formare
contrasti fortemente
suggestivi.
Gli
antichi scrittori romani
ricordavano come gli artisti
incaricati della decorazione
del grande tempio
provenissero da Veio e come
ai lavori avesse contribuito
il grande Vulca, uno dei
rari scultori etruschi del
quale ci sia stato
tramandato il nome, autore
anche della decorazione del
tempio del Portonaccio nella
vicina Veio.
LE
OCHE DEL CAMPIDOGLIO
- Sulla
cima del Campidoglio si
trovava anche il tempio di
Giunone Moneta
(letteralmente
l’Ammonitrice"). Nei
pressi di questo santuario
si custodivano le oche,
animali sacri alla dea.
Secondo
una celebre leggenda, furono
proprio le oche del
Campidoglio ad avvisare i
cittadini romani
dell'assalto dei Galli
invasori. Qui vicino
sorgevano anche alcuni
edifici che i Romani
utilizzarono come zecca,
appunto, per coniare le loro
monete.
Un'antica
tradizione voleva che i
generali, in occasione di
una battaglia
particolarmente impegnativa,
evocassero al loro fianco la
divinità dei nemici per
ottenerne il favore; e che,
in caso di vittoria, le
dedicassero un edificio di
culto. Di conseguenza, il
Campidoglio fu il centro di
nuove e crescenti attività
edilizie, dove ogni generale
non mancava di lasciare il
segno tangibile dei propri
successi militari attraverso
la costruzione di cappelle e
di ex voto attorno al
santuario principale.
Ai
piedi del Campidoglio
sorgevano il tempio del dio
Giano e il portico degli Dèi
Consenti, che conteneva le
statue dorate delle dodici
maggiori divinità romane.
Altri templi eretti sul
Campidoglio furono quello di
Giove Feretrio, attribuito a
Romolo, dove si dedicavano
le spoglie dei nemici vinti;
quello di Venere Ericina (
216 a
.C); quello di Giove Veiove
(
194 a
.C); quello di Giove Tonante
(
22 a
.C); quello di Marte Ultore
("Vendicatore"),
del
20 a
.C.
IL
CORTEO DEL TRIONFO
- II
grande santuario di Giove
Capitolino era meta del
corteo della processione del
trionfo, una cerimonia di
origine etrusca che i Romani
trasformarono
in ambita onorificenza da
tributare ai generali
vittoriosi.
Dal
Campo Marzio, il corteo del
trionfo attraversava la città
sino a raggiungere il
tempio. Aprivano il corteo
magistrati e senatori,
seguiti dagli addetti al
trasporto del bottino di
guerra: armi, oggetti in
metallo prezioso, statue, il
tutto accompagnato da quadri
esplicativi che
rappresentavano i momenti
salienti della campagna
militare e le atta
espugnate.
Il
corteo proseguiva con la
sfilata dei tori bianchi
destinati al sacrificio, dei
prigionieri di guerra e del
carro trionfale guidato da
quattro cavalli bianchi, che
trasportava il generale
vittorioso vestito di
porpora e oro. Questa
solenne processione era
chiusa dai soldati che, con
il capo coronato di alloro,
intonavano canti e motti
licenziosi alla volta del
loro generale. La cerimonia
terminava con il sacrificio
dei tori sull'altare innanzi
al tempio di Giove e con un
solenne banchetto offerto ai
soldati e al popolo, che
poteva raggiungere
addirittura i sessantamila
invitati!