Centro storico di Roma, 
le proprietà estraterritoriali della Santa Sede nella città e 
la Basilica di San Paolo fuori le mura 
Città del Vaticano - Italia
   
 
  
PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1980-1990
 

  

 

Opere dell'Età repubblicana

A Servio Tullio va attribuito il merito di aver costruito una possente cinta muraria lunga 11 chilometri che racchiudeva, oltre all'abitato, ampie zone libere destinate alla futura espansione della città. Le mura si snodavano lungo il ciglio dei colli davanti a un vasto e profondo fossato difensivo. Anche sul piano simbolico, la costruzione delle mura completò la definizione dello spazio urbano di Roma, che apparve ordinato e civilizzato, distinto dalle aree rurali e montuose del mondo esterno. Ma si avvicinavano tempi di rivoluzione. La cacciata dell'ultimo dei Tarquini fu salutata con l'inaugurazione del tempio di Giove Capitolino e la nascita della magistratura eponima, il consolato, che segnava politicamente l'inizio di una forma di direzione collegiale e repubblicana dello stato.

L'affermazione della repubblica fu anche il successo di un nuovo ceto dominante di nobili e proprietari terrieri, che iniziò a segnare lo spazio urbano con i simboli del proprio potere. Particolarmente valorizzata fu l'area del Foro, grazie alla costruzione del tempio di Saturno, il dio fondatore della stirpe latina, nel quale trovò sede l'erario pubblico; e del tempio dedicato a Castore e Polluce, divinità di origine greca, i simboli della cavalleria romana. Ma la novità più importante fu l'annessione allo spazio urbano del Campo Marzio, la pianura estesa tra il Campidoglio e il Tevere fino alle pendici del Quirinale e del Pincio: confiscata all'ultimo dei Tarquini, l'area venne consacrata a Marte e destinata agli esercizi militari e a riunioni politiche.  

UNA SOCIETA' IN CONFLITTO - Alle febbrili attività edilizie che avevano caratterizzato il primo ventennio della repubblica fece seguito un lungo periodo di stasi. Roma entrò in una fase di recessione economica e politica, resa evidente anche dalla fine delle importazioni di uno dei prodotti più eleganti e ricercati: l'elegante ceramica greca.

I re etruschi avevano utilizzato il sostegno agli strati più bassi della popolazione come fattore di pace sociale. La crisi non fece che acuire la tensione tra il nuovo ceto dominante patrizio e il popolo, afflitto dalla mancanza di terra e oppresso dalla schiavitù per debiti. La tensione non tardò a sfociare in un vero e proprio conflitto: i plebei occuparono l'Aventino, la collina più meridionale e più prossima al fiume, e si organizzarono in uno stato autonomo con un proprio culto, quello della dea Cerere - il cui tempio divenne sede dell'erario comune - e con l'impiego di propri magistrati, i tribuni della plebe. Questi, privi di veste legale, traevano il loro potere dall'appoggio militare degli elettori.

Crisi economica, tensione sociale e la politica di austerità imposta dall'oligarchia patrizia finirono per determinare una stasi dell'attività edilizia, tanto che alla fine del V secolo a.C. Roma appariva, nelle sue forme generali, praticamente immutata rispetto alla città dei re etruschi. L'unica soluzione a queste gravi contraddizioni interne, come tante volte è successo nella storia, fu trovata nell'aggressione militare ai popoli vicini. Nella prima metà del IV secolo a.C. i Romani presero la potente città vicina di Veio, conquista che ampliò enormemente il territorio dello stato ai danni degli Etruschi. Nel 367 a .C. le leggi Licinie Sestie garantirono per la prima volta ai plebei una adeguata rappresentanza politica. I due episodi vennero celebrati attraverso la fondazione di edifici templari: quello di Giunone Regina, sull'Aventino, per la vittoria militare, e quello della Concordia , nel Foro, per suggellare il raggiunto accordo politico.  

Tuttavia, l'opera più imponente di questo periodo fu senza dubbio la ricostruzione della cinta delle mura serviane, alla quale collaborarono ingegneri siracusani. A tale scopo venne utilizzato il tufo poroso di Grotta Oscura, le cui cave si trovavano nel territorio della sconfitta Veio. II compromesso fra gli strati più alti e i ceti popolari fu la base della straordinaria espansione di Roma nella penisola italica. Motivazioni commerciali, la necessità di acquisire porzioni sempre più estese di terra e schiavi, una stretta saldatura tra i modi di vita e di pensiero delle aristocrazie e la carriera militare, fecero della città un'inossidabile macchina da guerra, mentre l'intelligenza politica dei governanti riusciva ad assimilare efficacemente i nuovi territori e i loro sistemi di governo. Roma entrò in una fase di intensa trasformazione. 

In assenza di un progetto urbanistico unitario, le costruzioni della città furono dettate da intenti politici, riflessi delle faide che contrapponevano singoli individui o gruppi all’interno dell’elite dominante. Lo spazio di Roma divenne il luogo in cui si concretizzava la volontà di potenza dei singoli magistrati, che iniziarono ad apporre il proprio nome alle opere di cui essi stessi si facevano promotori. Fra il 345 e il 190 a .C. vennero costruiti ben trentadue edifici templari, collegati alle continue attività belliche e finanziati dai generali vittoriosi con i proventi dei bottini e dei pagamenti delle regioni assoggettate.

LA GLORIA DEI MILITARI - Al nome del censore Gaio Menio, vincitore della battaglia di Anzio contro i Volsci (338 a.C.) è legata la ristrutturazione del Comizio, sede dell'attività pubblica cittadina. Egli fece affiggere alle pareti esterne dell'edificio i rostri, ossia gli speroni in bronzo tolti alle navi nemiche, ed eresse nello spazio antistante la colonna Menia, primo esempio, nell'austera società cittadina, di un monumento onorario destinato a un personaggio vivente.

In quegli anni, inoltre, lo stesso censore promosse un importante intervento edilizio che trasformò la funzione della piazza del mercato: nei lati lunghi del Foro le vecchie strutture, adibite alla vendita di prodotti alimentari, furono sostituite con botteghe in muratura a due piani, chiamate "Argentarie" perché vi trovarono posto banchieri e cambiavalute. Il mercato alimentare fu spostato a nord del Foro, in una struttura specializzata, il Macellum.

Il decennio finale del III secolo a.C. fu dominato dall'attività edilizia di un altro censore, Appio Claudio Cieco, al quale si deve la costruzione dell'Acqua Appia, un imponente acquedotto con una portata giornaliera di oltre 75.000 metri cubi di acqua, e la realizzazione della celebre via Appia, che univa Roma a Capua. 

In seguito la strada fu prolungata fino a Taranto ( 281 a .C.) e Brindisi ( 267 a .C). Lo stesso Appio Claudio fece costruire, tra il Foro Boario e il Campo Marzio, il tempio di Bellona, un vero e proprio sacrario della sua gens (stirpe).

UNA FINESTRA SU UN MONDO NUOVO - Dal 264 al 201 a .C. Roma affrontò la prova più dura: lo scontro con la potenza commerciale e militare di Cartagine, nel Mediterraneo occidentale. Il periodo delle guerre puniche, con i suoi continui rovesci di fronte, mise in crisi non solo la struttura politica e militare romana, ma anche il programma di espansione urbanistica cominciato nel secolo precedente. 

Vi fu tuttavia un risvolto positivo: Roma entrò infatti in contatto con la Sicilia , intrisa da un lato di cultura greca, dall'altro di cultura fenicia e in genere orientale. Presa Cartagine, Roma si volse all'Oriente. Fra il 200 e il 133 a .C, conquistata Corinto in Grecia, Numanzia in Spagna e assunta l'eredità di Pergamo in Asia Minore, divenne potenza indiscussa anche nel Mediterraneo orientale. La conquista dei regni ellenistici di Grecia e di Oriente segnò l'inizio della Luxuria asiatica, un nuovo stile di vita delle classi dominanti in cui entrarono a far parte consumi opulenti e un crescente gusto per il lusso. 

Le conquiste dilatarono enormemente i possessi di Roma, in termini di bottino e schiavi: si calcola che tra il 200 e il 150 a .C. giunsero a Roma quasi trecentomila prigionieri di guerra ridotti in schiavitù. Le conseguenze, sul piano economico e sociale, furono immediate: da un lato si rafforzò una ristretta aristo­crazia detentrice del potere e di immense fortune familiari; dall'altro si profilò una gravissima crisi della piccola e media proprietà terriera, sfiancata dalle guerre. Tale crisi provocò lo spopolamento delle campagne e il trasferimento in città di enormi masse di individui che andarono a ingrossare le fila della plebe urbana.

Solo in questa luce possiamo capire le due tendenze essenziali dell'urbanistica romana nel II e I secolo a.C: da una parte, l'uso delle nuove disponibilità finanziarie per opere di carattere utilitario, dall'altra l'avvio di una serie di realizzazioni monumentali volute dalle famiglie dominanti a fini propagandistici. L'incremento demografico rese necessaria la creazione di enormi quartieri popolari, con case a più piani e una serie di infrastrutture di appoggio.

L’IMITAZIONE DEI GRECI - L’attività monumentale cui gli aristocratici affidavano il proprio prestigio si indirizzò, come di consueto, nel Foro, nel Campidoglio e nel Campo Marzio, che vennero progressivamente trasformati per rispondere alle nuove esigenze della capitale di un impero. A tal fine si ricorse a tutti i mezzi offerti dall'architettura e dall'urbanistica greca, che in modo esemplare rispondevano alla volontà di esibizione del nuovo status raggiunto da Roma. 

Le regole della vecchia tradizione romano-italica furono trasgredite e sovvertite. Il Foro assunse un aspetto omogeneo e monumentale attraverso la realizzazione di grandi basiliche e portici, a imitazione delle piazze pubbliche delle città ellenistiche. Con la costruzione del Tabularium alle pendici del Campidoglio, nell' 83 a .C, l'intera pianura assunse un fondale scenografico che unificava in un complesso omogeneo i vari edifici pubblici. 

Ma l'area maggiormente interessata alle nuove realizzazioni monumentali fu senza dubbio il Campo Marzio, sia per il suo forte significato ideologico, sia perché era ancora privo di costruzioni e quindi sede ideale di progetti edilizi di ampia portata. Attorno al Circo Flaminio, luogo di partenza dei cortei trionfali, sorsero - a partire dagli inizi del II secolo a.C. - alcuni templi e porticati che si ispiravano a modelli greci. 

Nel I secolo a.C. il Campo Marzio fu indelebilmente segnato dalle fortune e dalla cadute di grandi personalità. Nella prima metà del I secolo a.C, in un suo possedimento privato non lontano dai templi dell'odierno largo Argentina, Pompeo fece costruire il primo teatro in muratura della città, un immenso portico e la Curia Pompeia , un luogo di riunioni per il senato. Con queste costruzioni, egli assunse quasi le vesti di un re orientale. 

Simile fu la politica edilizia di Cesare, dopo che ebbe conquistato il potere. Sorsero così nel Foro il tempio di Venere e altri grandi edifici pubblici. L’opera di Cesare, bruscamente interrotta dal suo assassinio nel 44 a.C, ha delle tinte chiaramente monarchiche e prelude ormai alla prossima, ineluttabile trasformazione dello stato in impero.

I LUOGHI - Il Campidoglio

Sembra che in passato l'altura del Campidoglio fosse nota come "Colle di Saturno", dal nome di un mitico re Saturno che, secondo un'antica leggenda, era giunto dal mare per insegnare ai Latini i rudimenti dell'agricoltura e della civiltà. Sul colle, secondo questa tradizione, sarebbe sorta la prima residenza del re. In tempi molto antichi, ai piedi dell'altura, nel Foro, era stata dedicata un'ara a questo diore.

Sul nome del Campidoglio esistono diverse versioni. Secondo una leggenda che pare appositamente costruita a posteriori, il nome deriverebbe dalla testa della statua di un guerriero chiamato Tolo oppure Olo, che sarebbe stata rinvenuta nel corso dello scavo del tempio di Giove sulla cima del colle. Campidoglio, secondo questo improbabile racconto, significherebbe dunque "Caput Olii", la testa di Olo. Più plausibilmente, invece, il nome indica soltanto che il colle era la sede capitale degli dèi che proteggevano Roma, nonché acropoli fortificata della città. Secondo la tradizione, le fortificazioni del Campidoglio sarebbero state erette dal re Anco Marzio.

La celebre Lupa capitolina, simbolo della città, è un'opera etrusca databile al Vl-V secolo a.C. e da sempre è conservata nei Musei Capitolini. Secondo molti studiosi, si tratterebbe della stessa statua che, come ricordano le tradizioni, venne colpita da un fulmine proprio sul colle. 

Nel 296 a.C, ci racconta lo storico Tito Livio, i Romani aggiunsero alla Lupa le statue dei gemelli Romolo e Remo.

Iniziato, secondo la tradizione, da Tarquinio Prisco, continuato da Tarquinio il Superbo e inaugurato dopo la fine della monarchia, il tempio di Giove Capitolino era dedicato alla triade protettrice del popolo romano, formata da Giove, Giunone e Minerva. Al suo interno, l'edificio era suddiviso in tre navate parallele, ciascuna dedicata a una delle tre divinità. Questa triade divina corrisponde alla trinità più sacra dell'antica religione etrusca, composta dalle equivalenti divinità di Tin, Uni, Menrva.

I re etruschi, che avevano stabilito il loro quartier generale proprio sulla rocca che ancora oggi ospita il governo della città, erano circondati dalla comunità dei loro connazionali, il cui quartiere si estendeva nella antistante pianura del Velabro. La presenza degli Etruschi in quest'area è inoltre testimoniata da numerose iscrizioni trovate sulle pendio del colle.

L'INFLUENZA DEGLI ETRUSCHI - II tempio del Campidoglio misurava 60 x 35 metri di base e circa 22 metri di altezza. La sua struttura ricordava probabilmente il modello del classico tempio etrusco di quel periodo: era infatti preceduto da un vasto e ombroso colonnato, esteso per circa metà dell'ampiezza totale dell'edificio. Il portico anteriore dell'edificio sosteneva un tetto ligneo a basso spiovente, relativamente leggero, che sporgeva abbondantemente ai lati dell'edificio. Molto probabilmente, era abbellito da una gran profusione di lastre, tegole, coppi, gronde in terracotta dipinte a colori vivaci, mentre sul culmine e lungo gli spioventi del tetto si affollavano figure di esseri divini e animali fantastici in terracotta. Il frontone del tempio era decorato con statue in terracotta che raffiguravano la quadriga di Giove. L'ombra del porticato, i forti raggi del sole, lo scintillio delle statue bronzee che affiancavano l'edificio, la profusione del colore delle decorazioni dovevano formare contrasti fortemente suggestivi.

Gli antichi scrittori romani ricordavano come gli artisti incaricati della decorazione del grande tempio provenissero da Veio e come ai lavori avesse contribuito il grande Vulca, uno dei rari scultori etruschi del quale ci sia stato tramandato il nome, autore anche della decorazione del tempio del Portonaccio nella vicina Veio.  

LE OCHE DEL CAMPIDOGLIO - Sulla cima del Campidoglio si trovava anche il tempio di Giunone Moneta (letteralmente l’Ammonitrice"). Nei pressi di questo santuario si custodivano le oche, animali sacri alla dea. 

Secondo una celebre leggenda, furono proprio le oche del Campidoglio ad avvisare i cittadini romani dell'assalto dei Galli invasori. Qui vicino sorgevano anche alcuni edifici che i Romani utilizzarono come zecca, appunto, per coniare le loro monete.

Un'antica tradizione voleva che i generali, in occasione di una battaglia particolarmente impegnativa, evocassero al loro fianco la divinità dei nemici per ottenerne il favore; e che, in caso di vittoria, le dedicassero un edificio di culto. Di conseguenza, il Campidoglio fu il centro di nuove e crescenti attività edilizie, dove ogni generale non mancava di lasciare il segno tangibile dei propri successi militari attraverso la costruzione di cappelle e di ex voto attorno al santuario principale.

Ai piedi del Campidoglio sorgevano il tempio del dio Giano e il portico degli Dèi Consenti, che conteneva le statue dorate delle dodici maggiori divinità romane. Altri templi eretti sul Campidoglio furono quello di Giove Feretrio, attribuito a Romolo, dove si dedicavano le spoglie dei nemici vinti; quello di Venere Ericina ( 216 a .C); quello di Giove Veiove ( 194 a .C); quello di Giove Tonante ( 22 a .C); quello di Marte Ultore ("Vendicatore"), del 20 a .C.

IL CORTEO DEL TRIONFO - II grande santuario di Giove Capitolino era meta del corteo della processione del trionfo, una cerimonia di origine etrusca che i Romani trasformarono in ambita onorificenza da tributare ai generali vittoriosi. 

Dal Campo Marzio, il corteo del trionfo attraversava la città sino a raggiungere il tempio. Aprivano il corteo magistrati e senatori, seguiti dagli addetti al trasporto del bottino di guer­ra: armi, oggetti in metallo prezioso, statue, il tutto accompagnato da quadri esplicativi che rappresentavano i momenti salienti della campagna militare e le atta espugnate. 

Il corteo proseguiva con la sfilata dei tori bianchi destinati al sacrificio, dei prigionieri di guerra e del carro trionfale guidato da quattro cavalli bianchi, che trasportava il generale vittorioso vestito di porpora e oro. Questa solenne processione era chiusa dai soldati che, con il capo coronato di alloro, intonavano canti e motti licenziosi alla volta del loro generale. La cerimonia terminava con il sacrificio dei tori sull'altare innanzi al tempio di Giove e con un solenne banchetto offerto ai soldati e al popolo, che poteva raggiungere addirittura i sessantamila invitati!  

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