Antica Tebe e necropoli
Egitto

patrimonio dell'umanità dal 1979

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Nel tentativo di sottrarsi all'ingiuria del tempo e di assicurarsi quella sorta di immortalità che gli era concessa dal credo religioso, il re egizio, in ogni epoca, ha considerato un privilegio e un dovere allestire per se stesso la tomba più ricca e adeguata al proprio rango. A differenza di quanto era avvenuto nell'Antico Regno, quando l'estrema dimora dei faraoni finì per assumere la forma regolare di una piramide, comprensiva di un luogo di culto annesso alla sepoltura vera e propria, così da formare un corpo unico, nel Nuovo Regno si preferì scindere l'area cultuale da quella più propriamente funeraria. 

Con l'inizio della XVIII Dinastia, infatti, i sovrani tebani scelsero quella parte della catena libica che, in forma di piramide naturale, sovrasta la vasta pianura che circonda Tebe per tagliare nella roccia i loro profondi ipogei. Nella stretta fascia di terra che corre tra il limite della zona coltivata e le prime pendici della montagna tebana, sulla riva occidentale del fiume, sorse invece la "Tebe dei morti". Per quasi 1500 anni qui, ai piedi dei colli, perché fossero accessibili alla visita e all'omaggio dei devoti, furono edificati grandi templi funerari completamente separati dalle tombe corrispondenti, che erano invece scavate nella montagna, al riparo da violazioni e furti. 

Conservatisi solo in parte, tali edifici sacri sono disposti in una sorta di allineamento nell'area di Tebe Ovest, ma mantengono anche una connessione ideale con le rispettive inumazioni, trovandosi talvolta esattamente in asse con queste. Esempio particolarmente ammirevole di tale consuetudine è il caso della regina Hatshepsut (1498-1483 a.C. circa), la quale, dopo aver fatto costruire le rampe e i porticati del proprio tempio funerario, ben visibili anche in lontananza, in uno scenario naturale fra i più suggestivi, ai piedi di un'imponente parete rocciosa dai riflessi rossastri, si fece tagliare la tomba sull'opposto versante della montagna, cioè nella Valle dei Re. Il suo sepolcro "da faraone" - il secondo, dato che la dama possedeva già un avello ove essere inumata, costruito quando non aveva ancora assunto le prerogative regali -, situato in una valletto non troppo distante dal tempio, trovava sbocco, con un percorso singolarmente disagevole e sinuoso, nella stanza del sarcofago, scavata proprio a ridosso della stessa parete di fondo del proprio tempio funerario.

A nord, vennero costruiti il tempio di Qurna al-Gedida dedicato ad Amon-Re, e quello consacrato a Hathor, la dea della dolcezza e della gioia venerata sotto forma di vacca, commissionato dalla regina Hatshepsut per sé e per il padre Tutmosi I. 

Ancora più celebre è il grandioso tempio funerario di Ramses II (Ramesseum), una costruzione situata al limite delle aree coltivate che, per i cortili e i sacrari fitti di statue, le decorazioni e i colossi, fu celebrato da molti antichi scrittori. Del tempio di Amenofi III  rimangono soltanto i colossi di Memnone, due impressionanti monoliti di quarzite che ritraggono il faraone seduto sul trono, accompagnato dalle figure della madre e della moglie.

Tempio di Hatshepsut

È un tempio di tipo funerario il gigantesco complesso della regina Hatshepsut (1479-1458 a.C.), una donna ambiziosa, moglie di Tuthmosi II, che assunse il titolo di faraone.

Nel trarre ispirazione dal più immediato e antico precedente tipologico, appartenente all'Xl Dinastia (2040-1972 a.C. circa) e situato proprio a fianco del tempio di Hatshepsut, l'architetto Senmut seppe realizzare un capolavoro unico, dal fascino irripetibile, che sfrutta appieno le risorse dell'ambiente naturale, nel quale appare inserito quasi si trattasse di un fondale di scena: una parete rocciosa alta, squadrata, che si staglia maestosa a racchiudere le diverse terrazze di cui si compone l'edificio, purtroppo giunto a noi non del tutto integro. 

Forse non a caso Hatshepsut, cui vanno attribuiti molti di quegli impulsi culturali e religiosi destinati a fruttificare solo in seguito, con la riforma di Akhenaton, scelse d'innalzare proprio qui il suo tempio funerario. Poggiando direttamente sulla parete di fondo, ma senza più valersi di strutture tagliate nella roccia, con una successione di vaste terrazze - in parte adibite a giardini e collegate fra loro per mezzo di larghe rampe.

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L'edificio, provvisto nella terrazza superiore di un cortile con un semplice altare, in luogo della piramide o dell'obelisco come era di regola nei templi solari della V dinastia, si configura quale splendido e originale prodotto del genio di Senmut. A quest'ultimo, architetto e uomo di fiducia della regina Hatshepsut, va dunque il merito di aver saputo inventare soluzioni nuove, non più riprese in seguito anche per ragioni di opportunità politica.

I suoi successori tornarono a costruire i propri templi funerari nella piana di Tebe Ovest, e forse soltan­to gli edifici sacri realizzati in Nubia da Ramesse II, primo fra tutti quello di Abu Simbel, seppero recuperare almeno alcuni dei dettami lasciati in eredità da questo personaggio geniale, per infondere ai grandiosi templi rupestri affacciati sul Nilo qualcosa di quel sentimento di comunione con la natura che a Deir el-Bahari parve toccare il suo apogeo.

Al tempio di Hatshepsut si accede mediante una lunga rampa che ha origine da un cortile esterno e conduce alla terrazza inferiore. Dai portici colonnati si giunge sia alle cappelle di Anubi  e Hathor - rispettivamente il dio-cane e la dea-vacca - potenti divinità dell'oltretomba - sia a quelle minori, dedicate alla regina e a suo padre Tuthmosi I, tutte scavate nella roccia.
Il Sancta sanctorum era la cella più sacra e interna del tempio.

Sulle pareti dei portici colonnati si sono conservati alcuni rilievi che raffigurano diversi momenti significativi del regno di Hatshepsut, esaltandone anche la natura divina. Del resto, non era raro trovare decorazioni come queste: le pareti dei templi erano spesso dipinte e incise, secondo una tradizione che prosegue dall'Antico al Nuovo Regno, con cicli che raccontavano le imprese del faraone, le sue battaglie, le sue spedizioni alla ricerca di oro o gioielli.

Tempio di Amnhotep III 

Del monumentale tempio funerario di Amenhotep III, opera dell'influente architetto Amenhotep figlio di Hapu, già autore di molti altri edifici sacri in Tebe e più tardi divinizzato come il più antico Imhotep, non sussistono che i due colossi, detti di Memnone

I Colossi di Memnone sono due enormi statue di pietra del faraone Amenhotep III. Eretti oltre 3400 anni fa nella necropoli di Tebe, lungo le rive del Nilo, di fronte all'attuale città di Luxor, le due statue facevano parte del complesso funerario eretto da Amenhotep III. Le statue successivamente alla morte del faraone divennero già famose nell'antichità, quando, in seguito al loro progressivo degrado, da una di esse si propagarono dei rumori, che all'epoca furono interpretati come il saluto dell'omonimo eroe a sua madre.

Le statue gemelle rappresentano Amenhotep III (XV secolo a.C.) in posizione seduta, con le mani sulle ginocchia e lo sguardo rivolto a est, verso il fiume e il sole nascente. Due figure più basse sono scolpite sulla parte anteriore del trono, a fianco alle sue gambe: la moglie Tiy e la madre Mutemuia. I pannelli laterali rappresentano il dio del Nilo Hapy. 

Sono due statue gigantesche (alte 20 metri, con i soli piedi di 2 metri di lunghezza e uno spessore di 1 metro), tagliate in blocchi monolitici di arenaria e rappresentano il faraone seduto sul trono, con ambedue le mani posate sulle ginocchia.

La funzione originale dei Colossi era di stare a guardia dell'entrata del Tempio di Milioni di Anni di Amenhotep: un gigantesco centro di culto costruito quando il faraone era ancora in vita, dove venne riconosciuto come reincarnazione in terra del dio, sia prima che dopo la sua partenza da questo mondo. Ai suoi tempi, questo tempio era il più grande ed opulento nell'intero Egitto. Con una superficie di 35 ettari, anche i rivali successivi come il Ramesseum di Ramesse II o il Medinet Habu di Ramesse III non reggevano il confronto, non raggiungendone l'area; anche il tempio di Karnak, all'epoca di Amenhotep, era più piccolo.

Il colosso a sud, anche se molto rovinato, sembra tuttavia avere sofferto meno dell'altro: a quest'ultimo si ricollega una leggenda. Sembra che nel 27 a.C. un terribile terremoto danneggiasse gravemente quasi tutti i monumenti di Tebe e che aprisse un'enorme fessura dall'alto fino alla metà del colosso, che rovinò al suolo. Si notò che ogni mattina, all'alba, la statua emetteva un suono vago e prolungato, in cui alcuni viaggiatori credettero di udire un canto triste ma armonioso. Su questo strano fatto testimoniato da grandi storici come Strabone, Pausania, Tacito, Luciano e Filostrato, i poeti greci fecero fiorire una bella leggenda.

La "pietra che canta", dissero, rappresenta Memnone, il mitico figlio dell'Aurora e di Titone. Inviato dal padre in aiuto di Troia assediata dall'esercito greco, Memnone uccise in combattimento Antiloco, figlio di Nestore, ma a sua volta cadde sotto la mano   vendicatrice di Achille.

L'Aurora, pregò allora Zeus di far resuscitare, almeno una volta al giorno, il figlio: così, ogni mattina, mentre lo accarezzava con i suoi raggi, egli rispondeva alla madre inconsolabile emettendo un lungo suono lamentoso. Il fenomeno è dovuto invece a cause del tutto naturali. I suoni emessi sarebbero dovuti alle vibrazioni prodotte nella superficie spezzata, dal brusco passaggio dal freddo della notte al calore dei primi raggi del sole. Incise sulle gambe del colosso, numerose e talvolta curiose incisioni si sono aggiunte nel corso dei secoli.

Oggi il  tempio è quasi completamente scomparso, causa i ripetuti saccheggi, un terremoto e l'erosione delle annuali inondazioni del Nilo, che si alzava ogni anno invadevano  probabilmente i cortili e le sale esterne, risparmiando il solo sacrario.

Tempio di Sethi I 

Nei pressi del villaggio di Qurna sorge il  tempio di Sethi I, uno dei maggiori monumenti dell'antichità, di cui si conserva piuttosto bene solo la sezione centrale, a partire dalla sala ipostila, che rivela decorazioni interessanti e di qualità. Preceduti da due piloni in mattone crudo, oggi quasi interamente scomparsi, gli ambienti superstiti rimandano a una tripartizione che vuole le sale interne dedicate rispettivamente ad Amon e Sethi I (centro), ad Amon e Ramesse I (sud), ad Amon-Ra (nord).

La presenza di una camera dedicata al culto del padre Ramesse I, sul trono per soli due anni, dimostra la pietà filiale di Sethi I che, come già avvenne nel caso del sepolcro nella Valle dei Re, volle portare a compimento ciò che era stato previsto per il suo predecessore, scomparso troppo presto dalla scena, del quale egli volle però garantire memoria e culto specifico.

Il Tempio di Seti I contiene 7 sacrari dedicati a 7 diverse divinità: Isis, Horus, Amon Ra, Osiris, Ra Hor Akhty , Ptah e Seti I rappresentato come un re deificato. All’interno vi si possono trovare anche i migliori rilievi e testi risalenti alla XVIII Dinastia.

Il Tempio fu costruito con del marmo bianco e, una volta, vi era un grande pilastro costruito da Ramses II. La parte anteriore del tempio è costituita da una facciata quadrata di colonne, vi sono 12 pilastri rettangolari con decorazioni di Ramses II che da il benvenuto agli dei Isis, Osiris e Horus.

Originariamente il tempio aveva 7 portoni ognuno dei quali conduceva a 7 sacrari costruiti da Seti I. Ramses II apportò ulteriori modifiche, attualmente è aperto un solo portone.

La sala ipostila a sei colonne papiriformi evidenzia scene d'offerta ad Amon e all'Enneade da parte di Sethi I e del figlio e successore Ramesse II, il quale a sua volta portò a termine la costruzione degli edifici sacri, che comprendono anche un cosiddetto "palazzo reale", il primo del genere ritrovato nell'area, destinato a ospitare il "rivitalizzato" re defunto in occasione di importanti feste. 

Noto per le sue imprese militari, sotto il regno di Sethi I furono realizzati alcuni grandiosi monumenti, quali la Grande Sala Ipostila di Karnak, anch’essa completata da Ramses II, e il suo tempio ad Abido, nel Medio Egitto.

La tomba di Sethi I è sicuramente la più spettacolare tra quelle della Valle dei Re e possiede alcune fra le più splendide decorazioni parietali. Purtroppo, i piloni e i cortili del tempio funerario sono stati in gran parte distrutti, rendendolo meno imponente di quanto fosse in origine. Si è conservato solo il nucleo centrale dell' edificio, il portico sostenuto da otto colonne papiriformi e la sala ipostila, che è più piccola però rispetto a quella di Karnak.

I bassorilievi che abbelliscono le pareti del tempio sono tra i più raffinati ed eleganti esempi dell'arte del Nuovo Regno.

Tempio di Ramesse II 

Il tempio funerario di Ramesse II, è collocato a Tebe, nell'Alto Egitto, nei pressi del fiume Nilo a poca distanza dalla moderna città di Luxor. E' uno splendido complesso di edifici che ricalca nel modello l'analogo tempio di Sethi I, padre di Ramesse II. 

Definito nel secolo scorso "Ramesseo" dallo stesso Champollion, che ne rimase affascinato e ne lasciò una puntuale descrizione, il tempio di Ramesse II appare ancor oggi nella sua grandiosità, nonostante il degrado. Circondato da una cinta esterna e da una serie di grandi magazzini costruiti in mattoni crudi, così come le volte dei soffitti (tra i pochi esempi di struttura curvilinea in Egitto, dove si rifuggiva da questa tipologia sia in pianta sia in elevato), il Ramesseo rivela, nella struttura principale, due piloni e due cortili che conducono a più sale ipostile. 

Ramesse II modificò, usurpò o costruì molte tra le più belle strutture del Nuovo Regno tra le quali proprio il Ramesseum, un tempio dedicato al faraone, dio in terra, dove la memoria sarebbe stata nota per generazioni a tutto il mondo dopo la sua morte corporale. I lavori per la costruzione del tempio iniziarono secondo i registri all'inizio del suo regno e si conclusero in 20 anni.

Il disegno del tempio di Ramesse aderisce perfettamente ai canoni standard dell'architettura dei templi del Nuovo Regno. Orientato da nord-ovest a sud-est, il tempio stesso comprendeva due piloni di pietra per ingresso che conducevano al cortile del tempio. Oltre il secondo cortile, al centro del complesso, si trovava una sala ipostila sorretta da 48 colonne che circondava il santuario interno. Nel primo cortile inoltre si trovava una gigantesca statua del re di cui ancora oggi si possono ammirare i resti.

La facciata interna del primo pilone, fortemente danneggiato, evidenzia scene di combattimento contro i popoli del Vicini Oriente e in particolare gli Ittiti, con la rappresentazione della celebre battaglia di Qadesh. L'epico scontro, avvenuto sulle rive dell'Oronte, in area siro-palestinese, fu riprodotto anche in altri edifici a Karnak, Abido e soprattutto ad Abu Simbel, dove tra l'altro è accompagnato da un resoconto, noto oggi come Poema di Pentaur, dal nome dello scriba che lo redasse. 

Della gigantesca statua di Ramesse II (alta 19 metri e del peso di 1000 tonnellate) oggi rimangono solo dei frammenti ancora visibili sul terreno. Dalle cave in cui venne sbozzata, la statua venne trasportata poi per 170 miglia. I resti oggi rappresentano i più grandi resti in situ di statua colossale al mondo assieme ai colossi di Ramesse a Tanis.

I resti che si trovano nel secondo cortile includono parte della facciata interna dei piloni e una porzione del portico di Osiride sulla destra. Altre scene di guerra con gli ittiti a Kadesh si ripetono sui muri. Nella parte alta si trovano invece feste in onore della dea Min, dea della fertilità. 

Sul lato opposto al cortile di Osiride si trovano altre colonne che forniscono l'idea originaria di splendore del sito perché meglio conservate. Qui si trovano anche parti di due statue del re, una in granito rosa e l'altra in granito nero, affiancate all'entrata del tempio. Una delle teste di queste statue venne rimossa e si trova oggi al British Museum. 

31 delle 48 colonne della sala ipostila (misure 41m x 31m) si trovano ancora in piedi. Esse sono decorate con scene che raffigurano il re con diversi dei. Parte del soffitto è decorata con stelle dorate su sfondo blu ed è ancora conservato in pittura. I figli e le figlie di Ramesse appaiono in processione sulle mura di sinistra. 

Il santuario è composto da tre camere consecutive con otto colonne ed una cella tetrastila. Parte della prima stanza, col soffitto decorato con scene astrali, è ancora oggi conservata.

Adiacente alla sala ipostila si trova un tempio più piccolo dedicato alla madre di Ramesse, Tuya ed alla sua amata prima moglie Nefertari. Il complesso è circondato da numerose sale di rappresentanza, granai, laboratori, e costruzioni accessorie, alcune costruite in epoca romana.

Nell'area della sala ipostila si trovava precedentemente un tempio fatto costruire da Sethi I, ma oggi ne sono emerse le sole fondamenta. Esso consisteva di una corte a peristilio e da due cappelle. Papiri tra l'XI e l'VIII secolo a.C. indicano il tempio come il sito di un'importante scuola di scribi.

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Tempio di Ramesse III 

Per lungo tempo Medinet Habu non fu altro che una ricchissima cava dove si potevano recuperare grandi pietre squadrate. In epoca cristiana sorse in questa zona un villaggio che i copti chiamarono Djeme, e che occupava gran parte della zona dove sorgeva il tempio: fu proprio questa sua nuova utilizzazione che, in questo caso, permise di salvare numerose vestigia che altrimenti sarebbero forse andate perdute. Gli scavi hanno messo in luce le tracce di tutta una città che si stendeva intorno al palazzo dei faraoni, ma solo una casa è stata ritrovata: quella di un ispettore della necropoli. 

Il grande complesso archeologico di Medinet Habu racchiude numerosi edifici di età diversa e conserva una spessa cinta muraria in mattoni crudi, risalente per lo più a Ramesse III. Questo sovrano, che per innalzare il proprio tempio funerario scelse un sito particolarmente sacro ad Amon, come dimostrano le più antiche testimonianze ritrovate in situ, volle creare a propria imperitura memoria un insieme di edifici religiosi celebrativi tale da rivaleggiare per imponenza nell'area tebana solo con Karnak. 

Di aspetto imponente, quasi militaresco, è la bella Porta del Sud, detta padiglione reale, incassata fra le due torri alte più di 20 metri e sopra cui si aprono due ordini di finestre longitudinali. All'interno presenta una sorta di passaggio che va restringendosi verso il fondo. Anche i bassorilievi scolpiti sulle pareti delle torri ribadiscono il carattere "guerresco" di questa costruzione: massacri simbolici di prigionieri, il faraone che presenta al dio Amon i nemici catturali e così via.

Il grande tempio di Ramesse III, che ripete il modello del Ramesseo, con due cortili porticati, tre sale ipostile e il sacrario della barca sacra, attorniati da cappelle, alcune delle quali destinate a ospitare il tesoro proveniente dalle offerte al dio Amon, è ottimamente conservato. Il primo pilone riporta in facciata la consueta scena del sovrano che sacrifica i prigionieri davanti ad Amon e una lunga lista di Paesi sconfitti, tra i quali figurano i famosi "popoli del mare" che tentarono di sbarcare nel Delta del Nilo, ma vennero respinti, come attestano le iscrizioni e i rilievi sulle pareti esterne del tempio. Sulla parete interna del primo pilone Ramesse III è ritratto in presenza degli dèi protettori, alla testa dell'esercito mentre massacra i nemici e celebra la vittoria ostentando le membra mozzate e accatastate degli avversari. 

Sul muro di fondo, a sinistra del primo cortile, si apre la "finestra dell'apparizione", da cui si accedeva al palazzo reale e che consentiva al faraone di assistere alle cerimonie. Il secondo pilone, preceduto da un'elegante rampa e parimente decorato con un'ampia descrizione delle imprese militari del sovrano, immette in un altro cortile porticato, adorno di scene religiose e di raffigurazioni dei cortei della barca divina. 

Nella grande sala ipostila rimangono solo i tronconi dei fusti di 24 colonne che originariamente reggevano il soffitto. Sulle pareti esterne del lato sud-occidentale della sala sono visibili scene di caccia e un importante calendario religioso, mentre sul fianco nord-orientale si possono ammirare le celebri immagini di battaglie navali e combattimenti contro i Libici. 

Il comprensorio di Medinet Habu include anche un tempio risalente all'inizio della XVIII Dinastia, come attestano i cartigli di Amenhotep I e Thutmosi I; completato successivamente, l'edificio fu dotato di un ingresso monumentale sotto gli ultimi Tolomei, mentre Antonino Pio fece costruire un cortile e un avancorpo. La decorazione interna ed esterna del sacrario riporta i nomi di molti dei più celebri faraoni del Nuovo Regno, da Thutmosi III a Horemheb, da Sethi I ad Amenemes, mentre le decorazioni delle porte risalgono all'epoca tolemaica.

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