Centro
storico di Roma,
le
proprietà estraterritoriali della Santa Sede nella città e
la
Basilica di San Paolo fuori le mura
Città
del Vaticano - Italia
PATRIMONIO DELL'UMANITÀ
DAL 1980-1990
 
Età
regia e i sette re di Roma
I
primi Re di Roma, appaiono
soprattutto come figure
mitiche. Ad ogni sovrano viene
generalmente attribuito un
particolare contributo nella
nascita e nello sviluppo delle
istituzioni romane e nella
crescita socio-politica
dell'urbe. Contemporaneamente,
venivano fondati i primi
edifici di culto e si
insediavano sui colli
periferici gli abitanti delle
vicine città che venivano man
mano conquistate e distrutte.
In
particolare nel VI secolo,
periodo di grande prosperità
per la città sotto
l'influenza etrusca e il
dominio degli ultimi tre re,
si realizzano le prime
importanti opere pubbliche: il
tempio di Giove Ottimo Massimo
sul Campidoglio, il santuario
arcaico dell'area di
Sant'Omobono, e la costruzione
della Cloaca Massima, che
permise la bonifica dell'area
del Foro Romano e la sua prima
pavimentazione, rendendolo il
centro politico, religioso e
amministrativo della città.
Ai
successori di Romolo - Numa
Pompilio, Tullio Ostilio, Anco
Marzio - la leggenda
attribuisce la creazione delle
prime istituzioni
politico-militari e religiose
e i primi interventi
urbanistici, come la
definizione di assi stradali,
la costruzione di un ponte sul
Tevere (il ponte Sublicio, che
consentì lo svolgersi di
regolari traffici commerciali
tra le due sponde) e
l'erezione della Curia per le
assemblee del Senato. La
solidarietà collettiva e la
comune volontà di intenti di
questa giovane comunità dal
carattere misto e
pluringuistico, latino, sabino
ed etrusco, si esprimeva negli
antichissimi riti del
Septimontium, dei Fordicidia e
dei Forcanalia. Queste solenni
cerimonie religiose con
processioni sacre si snodavano
attraverso i principali nuclei
abitativi che componevano la
città del periodo arcaico.
Nel corso del VII secolo a.C.
Roma assunse la forma di un
insediamento a nuclei sparsi,
esteso su vasti spazi ma
ancora privo di un tessuto
urbanistico coerente.
Bisognerà
attendere il secolo
successivo, con l'affermazione
della potente dinastia dei
Tarquini, perché Roma
raggiunga una forma urbana
compiuta. In quel secolo, Roma
apparve come una distesa ormai
ininterrotta di edifici
pubblici e case private, ricca
di corti, porticati, cisterne.
Sgargianti colori
accompagnavano la decorazione
in legno e terracotta dei
templi e delle dimore dei
ricchi. Un passo fondamentale
furono i lavori di
canalizzazione eseguiti per
drenare le acque del
fondovalle. Nel corso di
questo progetto venne creato
il primo impianto fognario di
Roma,
la Cloaca Maxima, sforzo
attribuito dalla tradizione al
re Tarquinio Prisco. La
regolamentazione delle acque
favorì l'espansione
dell'abitato verso le pianure.
Cuore del nuovo sistema urbano
divenne la valle del Velabro,
che assunse le funzioni di
centro economico, politico e
religioso dell'intera comunità.
Al
tempo dei Tarquini risalgono
la pavimentazione dell'area,
con il tempio di Vesta e
la Regia
e, all'estremità
settentrionale, la creazione
della piazza destinata alle
assemblee, con
la Curia. Gli architetti
iniziarono a usare materiali
non deperibili per edifici
sempre più imponenti. L'area
del Circo Massimo venne
sistemata per le corse dei
carri; sul Campidoglio si
diede inizio al cantiere per
la costruzione del tempio di
Giove Capitolino, destinato a
divenire il più importante
simbolo della città.
Servio
Tullio, successore di
Tarquinio Prisco, contrappose
al tempio di Giove un nuovo
tempio sull'Aventino che venne
dedicato a Diana, la dea dei
mercanti, degli stranieri,
degli strati più bassi della
popolazione che appoggiavano
il suo potere, osteggiato,
invece, dalle famiglie dei
nobili e dei proprietari
terrieri (quelli che i Romani
chiamavano
"patrizi"). Nel Foro
Boario, il nuovo re eresse
anche il tempio di Fortuna, la
sua divinità personale.
L'archeologia, ancora una
volta, offre importanti
conferme alla tradizione
letteraria: gli scavi eseguiti
presso la chiesa di
Sant'Omobono hanno riportato
in luce i resti di due templi
gemelli, quello di Fortuna e
quello di Mater Matuta,
costruzioni databili tra il
580 e il
570 a
.C, in perfetta coincidenza
con il regno di Servio Tullio.
A
Servio Tullio si deve la prima
suddivisione della città in
quattro regioni e la
costruzione della prima cinta
muraria (Mura serviane).
L'influenza
etrusca lasciò a Roma
testimonianze durevoli,
riconoscibili sia nelle forme
architettoniche dei templi,
sia nell'introduzione del
culto della Triade Capitolina
(Giove, Giunone e Minerva)
ripresa dagli dèi etruschi
Uni, Menrva e Tinia.
Attraverso l'egemonia etrusca
giunsero inoltre nella città
i primi elementi di cultura
greca.
I
sette re di Roma
Sette
furono i Re di Roma che,
secondo la leggenda, ressero
la città di Roma per 244 anni
dal 753 a.C. al 510 a.C.,
prima della fondazione della
Repubblica Romana.
Secondo
quanto ci racconta Tito Livio,
questi erano:
Romolo, Numa Pompilio, Tullo
Ostilio, Anco Marzio,
Tarquinio Prisco, Servio
Tullio e Tarquinio il Superbo.
Romolo
(753 - 716 a.C.)
Romolo
(Romulus
- Alba
Longa, 24
marzo 771
a.C. - Roma,
5 o
7 luglio 716
a.C.),
gemello di Remo, è il nome della figura leggendaria a
cui la tradizione
annalistica attribuiva
la fondazione
di Roma e
delle sue principali
istituzioni politiche, nonché
il ruolo di
primo re della città e
l'origine del toponimo. La
sua storicità è oggetto di
dibattito da parte degli
studiosi dall'inizio del XIX
secolo,
così come l'inizio della
tradizione letteraria sulla
sua figura.
Di
origini latine-Sabine, figlio
- a seguito di un rapporto
estorto con la forza - del dio
Marte e
di Rea
Silvia, figlia
di Numitore, re
di Alba Longa, secondo
la tradizione fondò Roma
tracciandone il confine sacro, il pomerio,
il 21
aprile 753
a.C.. In
tale occasione uccise il
fratello gemello Remo, reo di aver varcato in armi il sacro confine:
tale fratricidio è stato
sovente evocato come segno
violento della necessaria
unicità del potere regale.
Una volta costruita la città
sul colle Palatino,
egli invitò criminali,
schiavi fuggiti, esiliati e
altri reietti a unirsi a lui
con la promessa del diritto
d'asilo. Così facendo Romolo
popolò cinque dei sette
colli di
Roma, rapendo
poi le donne ai
vicini Sabini della
città di Cures,
così da dare delle mogli ai
suoi uomini. Ciò provocò una
guerra tra i due popoli, che
alla fine si risolse con una
pace con i Sabini che poterono
insediarsi sul vicino colle
del Quirinale con
il loro re, Tito
Tazio,
che condivise con Romolo il
potere per cinque anni.
Romolo
divise il popolo tra coloro
che potevano
combattere e coloro che non
potevano farlo. Scelse 100 tra
i più nobili cittadini per
formare il Senato,
tanto che i loro discendenti
andranno a costituire l'élite
nobiliare della Repubblica.
Romolo istituì anche
i comizi
curiati,
a cui spettava il compito di
ratificare, tra le altre cose,
le leggi.
Romolo condusse, quindi,
diverse guerre di conquista. A
lui risale la divisione della
popolazione patrizia nelle 3
tribù di Tities, Ramnes e Luceres -
a loro volta suddivise in
dieci curie ciascuna - le
quali dovevano in caso di
pericolo fornire all'esercito
romano un contingente militare
costituito da cento fanti e
dieci cavalieri, per un totale
complessivo di 3 000
fanti e 300 cavalieri. Dopo
aver regnato per poco più di
37 anni, Romolo, secondo la
leggenda, fu rapito in cielo
durante una tempesta. Secondo
i suoi stessi desideri, una
volta morto fu divinizzato
nella figura di Quirino,
dio sabino venerato sul
Quirinale.
Secondo
la leggenda Romolo e Remo
erano figli di Marte e di Rea
Silvia, sacerdotessa vestale figlia
del re
di Alba Longa, Numitore,
diretto discendente di Enea. Romolo
era quindi per parte materna
di stirpe reale albana. Plutarco racconta
che un certo Lucio
Taruzio,
matematico, astrologo ed amico
di Marco
Terenzio Varrone (l'autore del De
lingua Latina),
aveva calcolato il giorno
esatto in cui i due gemelli
furono concepiti (24 giugno
del 772
a.C.)
e nacquero (24 marzo del 771
a.C.).
Dopo
la fuga da Troia,
Enea giunge nel Lazio e viene
accolto dal re
Latino,
che gli fa conoscere sua
figlia Lavinia.
Enea se ne innamora, ma la
fanciulla era già promessa a Turno,
re dei Rutuli. Il
padre di Lavinia ascolta le
intenzioni di Enea ma temendo
una vendetta da parte di Turno
si oppone ai suoi desideri. La
disputa per la mano della
fanciulla diventa una guerra,
a cui partecipano le varie
popolazioni italiche, compresi Etruschi e Volsci;
Enea si allea con le
popolazioni di origine greca
stanziate nella città di
Pallante sul Palatino,
regno dell'arcade Evandro e
di suo figlio Pallante. La
guerra è molto sanguinosa
(subito muore Pallante ucciso
da Turno), e per evitare
ulteriori vittime si decide
che la sfida fra Enea e Turno
dovrà risolversi in un
combattimento tra i due
"comandanti" e
pretendenti. Enea ha il
sopravvento, sposa Lavinia e
fonda la città di Lavinium (l'odierna Pratica
di Mare). Ben
diversa la versione di Livio
nei capitoli 1 e 2 del I libro
della sua "Ab
Urbe Condita"
(il titolo è traducibile dal
latino con "dalla
Fondazione di Roma"). I
Troiani nel loro peregrinare
arrivano nell'agro Laurente e
dopo uno scontro Enea
addiviene a un patto
d'alleanza con il re Latino e
ne sposa la figlia, Lavinia, e
fonda la città di Lavinio dal
nome della moglie. Dal loro
matrimonio nasce Ascanio. Turno,
re dei Rutuli, a cui era stata
promessa in sposa Lavinia,
dichiara guerra ai Latini,
come si chiamano le genti del
luogo dopo il patto. I Latini
hanno la meglio ma Enea muore
combattendo.

Dopo
trent'anni, Ascanio (detto
anche Iulo)
fonda una nuova città, Alba
Longa, sulla
quale regnano i suoi
discendenti. Molto tempo dopo
il figlio e legittimo erede
del re Proca di
Alba Longa, Numitore,
viene spodestato dal fratello Amulio, che
ne costringe la figlia Rea
Silvia a diventare vestale e a
fare quindi voto di castità. Tuttavia
il dio Marte s'invaghisce
della fanciulla e la rende
madre di due gemelli, Romolo e
Remo. Il re Amulio ordina
l'uccisione dei gemelli, ma il
servo incaricato di eseguire
l'assassinio non ne trova il
coraggio e li abbandona alla
corrente del fiume Tevere. La
cesta nella quale i gemelli
sono stati adagiati si arena
sulla riva, presso la palude
del Velabro tra
Palatino e Campidoglio in
un luogo chiamato Cermalus, dove
si trovava il fico
ruminale. Qui
i due vengono trovati e
allevati da una lupa
(probabilmente una prostituta,
all'epoca chiamata anche lupa,
di cui si ritrova oggi traccia
nella parola lupanare)
e da un picchio (animale sacro
per i Latini)
che li protegge, entrambi
animali sacri ad Ares. Li
trova poi il pastore Faustolo (porcaro
di Amulio) che insieme alla
moglie Acca
Larenzia li
cresce come suoi figli. Una
volta divenuti adulti e
conosciuta la propria origine,
Romolo e Remo fanno ritorno ad Alba
Longa,
uccidono Amulio e rimettono
sul trono il nonno Numitore.
Romolo
e Remo, non volendo abitare ad
Alba Longa senza potervi
regnare almeno fino a quando
fosse stato in vita il nonno
materno, ottengono il permesso
di andare a fondare una nuova
città, nel luogo dove erano
cresciuti. Romolo vuole
chimarla Roma ed
edificarla sul Palatino,
mentre Remo la vuole
battezzare Remoria e
fondarla sull'Aventino.
Plutarco
narra che una volta seppellito
il fratello Remo, morto nello
scontro che precedette la fondazione
della città, Romolo fece venire dall'Etruria esperti
di leggi e testi sacri che gli
spiegassero ogni aspetto del
rituale da attuare. Fu scavata
una fossa circolare attorno al Comizio e
deposte offerte votive per
ottenere il favore degli Dei.
Romolo però aveva bisogno di
più abitanti per popolare la
nuova città, e così accolse
pastori latini ed etruschi,
alcuni anche d'oltre mare, Frigi affluiti
sotto la guida del suo avo
Enea, oltre ad Arcadi arrivati
sotto quella di Evandro.
Ogni
abitante portò una piccola
zolla di terreno e la gettò,
mischiata alle altre, nella
fossa chiamata mundus,
che costituiva proprio il
centro della città. Fu poi
tracciato il solco primigenius tutto
intorno alla città, i cui
confini ne rappresentavano
il pomerium,
racchiuso all'interno delle
mura "sacre".
Quindi
Romolo chiese al popolo quale
forma di governo volesse per
la città appena fondata, e
questo rispose che avrebbe
accettato Romolo come proprio
re. Ma Romolo accettò la
nomina solo dopo aver preso
gli auspici
favorevoli
del volere degli dei, che si
manifestò con un lampo che
balenò da sinistra verso
destra.

Romolo,
divenuto unico re di Roma,
decise per prima cosa di fortificare
la nuova città,
offrendo sacrifici agli dèi
secondo il rito
albano e
dei Greci in
onore di Ercole,
così com'erano stati
istituiti da Evandro;
successivamente dotò la città
del suo primo sistema di leggi
e si circondò di 12 littori.
Con
il tempo Roma andò
ingrandendosi, tanto da
apparire secondo Livio "così
potente da poter rivaleggiare militarmente con
qualunque popolo
dei dintorni".
Erano le donne che
scarseggiavano. Questa
grandezza era destinata a
durare una sola generazione se
i Romani non avessero trovato
sufficienti mogli con cui
procreare nuovi figli per la
città, nonostante Romolo
avesse proibito di esporre
tutti i figli maschi e la
prima tra le figlie, tranne
che fossero nati con delle
malformazioni.
La
gioventù romana non la prese
di buon grado, tanto che la
soluzione che andò
prospettandosi fu quella di
usare la forza. Romolo,
infatti, decise di dissimulare
il proprio risentimento e di
allestire dei giochi solenni
in onore di Nettuno
equestre, che
chiamò Consualia (secondo Floro erano
dei ludi
equestri)
e che si celebravano ancora al
tempo di Strabone. Quindi
ordinò ai suoi di invitare
allo spettacolo i popoli
vicini: dai Ceninensi,
agli Antemnati, Crustumini e
Sabini, questi ultimi
stanziati sul vicino
colle Quirinale.
L'obiettivo era quello di
compiere un gigantesco
rapimento delle loro donne
proprio nel mezzo dello
spettacolo. Arrivò
moltissima gente, con figli e
consorti, anche per il
desiderio di vedere la città
nuova.
Terminato
lo spettacolo i genitori delle
fanciulle scapparono,
accusando i Romani di aver
violato il patto di ospitalità. Romolo
riuscì a placare gli animi
delle fanciulle e, con
l'andare del tempo, sembra che
l'ira delle ragazze andò
affievolendosi grazie alle
attenzioni ed alla passione
con cui i Romani le trattarono
nei giorni successivi. Anche
Romolo trovò moglie tra
queste fanciulle, il cui nome
era Ersilia.
Da lei il fondatore della città,
ebbe una figlia, di nome Prima ed
un figlio, di nome Avilio.
Tutto
ciò diede origine ad una
serie di guerre successive. Dei
popoli che avevano subito
l'affronto furono i soli
Ceninensi ad invadere i
territori romani, ma furono
battuti dalle schiere
ordinate dei
Romani. Il comandante
nemico, un certo Acrone fu
ucciso in duello dallo stesso
Romolo, che ne spogliò il
cadavere e offrì gli spolia
opima a Giove
Feretrio,
fondando sul Campidoglio il primo
tempio romano. Eliminato
il comandante nemico, Romolo
si diresse contro la loro città
che cadde al primo assalto, trasferendone,
poi, la cittadinanza a Roma e
conferendole pari diritti a
quelli dei Romani.
Tale
evento era, invece, avvenuto
secondo Plutarco, basandosi su
quanto raccontato a sua volta
da Fabio
Pittore,
solo tre mesi dopo la
fondazione di Roma (nel luglio
del 753 a.C.).
Dopo
la vittoria sui Ceninensi fu
la volta degli Antemnati. La
loro città fu presa d'assalto
ed occupata, portando Romolo a
celebrare una seconda ovatio.
Rimaneva
solo la città dei Crustumini,
la cui resistenza durò ancora
meno dei loro alleati. Portate
a termine le operazioni
militari, il nuovo re di Roma
dispose che venissero inviati
nei nuovi territori
conquistati alcuni coloni,
i quali andarono a popolare
soprattutto la città di Crustumerium,
che, rispetto alle altre,
possedeva terreni più
fertili. Contemporaneamente
molte persone dei popoli
sottomessi, in particolar modo
i genitori ed i parenti delle
donne rapite, vennero a
stabilirsi a Roma.
L'ultimo
attacco portato a Roma fu
quello dei Sabini del
Quirinale, nel corso del
quale si racconta della
vergine vestale, Tarpeia,
figlia del comandante della
rocca Spurio
Tarpeio,
la quale fu corrotta con
dell'oro (i bracciali che
vedeva rilucere alle braccia
dei Sabini) da Tito Tazio e
fece entrare nella cittadella
fortificata sul Campidoglio un
drappello di armati con
l'inganno. L'occupazione
dei Sabini della rocca, portò
i due eserciti a schierarsi ai
piedi dei due colli (Palatino e
Campidoglio), dove più tardi
sarebbe sorto il Foro
romano,
mentre
i capi di entrambi gli
schieramenti incitavano i
propri soldati alla lotta: Mezio
Curzio per
i Sabini e Ostio
Ostilio per
i Romani. Quest'ultimo cadde nel
corso della battaglia che
poco dopo si scatenò, costringendo
le schiere romane a ripiegare
presso la vecchia porta del
Palatino. Romolo, invocando
Giove e promettendo allo
stesso in caso di vittoria un tempio
a lui dedicato (nel
Foro romano), si lanciò
nel mezzo della battaglia
riuscendo a contrattaccare e
ad avere la meglio sulle
schiere nemiche. Fu in
questo momento che le donne
sabine, che erano state rapite
in precedenza dai Romani, si
lanciarono in mezzo alla
battaglia per dividere i
contendenti e placarne la
collera.
Con
questo gesto entrambi gli
schieramenti si fermarono e
decisero di collaborare,
stipulando un trattato di
pace, varando l'unione tra i
due popoli con comunanza di
potere e cittadinanza, associando
i due regni (quello di Romolo
e Tito Tazio), lasciando
che la città dove ora era
trasferito tutto il potere
decisionale continuasse a
chiamarsi Roma, anche se tutti
i Romani furono chiamati Curiti (in
ricordo della patria natia di
Tito Tazio, che era Cures)
per venire incontro ai Sabini. Contemporaneamente
il vicino lago nei pressi
dell'attuale Foro romano, fu
chiamato in ricordo di quella
battaglia e del comandante
sabino scampato alla morte (Mezio
Curzio), Lacus
Curtius, mentre
il luogo in cui si conclusero
gli accordi tra le due
popolazioni, fu chiamato Comitium,
che deriva da comire per
esprimere l'azione di
incontrarsi.
Qualche
anno dopo Tito
Tazio fu
ucciso a Lavinium e
Romolo, che non reagì al
fatto con alcuna azione
militare, rimase unico
regnante della città. Successivamente
Romolo riuscì prima a
conquistare Medullia,
poi a battere Fidenae installandovi
2.500 coloni, a
farsi amici ed alleati i prisci
Latini, a battere gli
abitanti di Cameria (sedici
anni dopo la fondazione)
ed
infine sconfiggere la potente città etrusca di Veio, sottraendole
i territori dei Septem
pagi (ad
ovest dell'isola
Tiberina)
e delle Saline, in cambio
di una tregua della durata di
cento anni. Questa fu
l'ultima guerra combattuta da
Romolo.
Al
regno di Romolo si
attribuiscono i primi
ordinamenti romani. Sembra,
infatti, che per prima cosa
organizzò l'esercito,
sulla base della popolazione
adatta alle armi. Successivamente
istituì un'assemblea, formata
da 100 Patres,
mentre i loro discendenti
furono chiamati patrizi,
a cui diede il nome nella sua
globalità di Senato (Senatus da senex per
la loro anzianità).
A
lui si attribuisce
l'istituzione del diritto di
asilo, a quanti erano stati
banditi o fuggivano dalle città
vicine; la circostanza si può
ricollegare all'esigenza di
popolare la città. Gli si
attribuisce anche il fenomeno
del patronato dei
patrizi nei confronti dei
plebei che gli facevano da
garanti e protettori in cambio
di favori conosciuto anche con
il termine clientela.
Tito
Livio racconta
che in seguito alla pace
stipulata con i Sabini di Tito
Tazio (con il quale regnò in
assoluta armonia, fino a
quando quest'ultimo non fu
assassinato a Lavinio cinque
anni dopo l'inizio del loro
regno congiunto), essendo
raddoppiata la popolazione,
non solo furono eletti altri
100 Patres tra
i Sabini, e raddoppiati gli
effettivi dell'esercito (ora
composto da 6 000 fanti e
600 cavalieri), ma
divise anche l'intero popolo
in tre
tribù: i Ramnes,
i Tities ed i Luceres,
a loro volta suddivisi in
dieci curie
ciascuna,
attribuendo ad esse i nomi di
trenta donne. Plutarco
racconta che i due re, Romolo
e Tazio, non tennero un
consiglio comune tra loro, ma
ognuno deliberava prima
separatamente con i propri 100 Patres,
e poi si radunavano tutti
insieme in uno stesso luogo
per deliberare.
Plutarco racconta
che Romolo, inorgoglitosi dei
successi conseguiti contro
tutte le popolazioni limitrofe
alla città di Roma, con
grande arroganza abbandonò la
precedente tendenza
democratica, per sposare un
modello di monarchia assoluta,
opprimente ed intollerabile. Egli
indossava un mantello purpureo
e una toga bordata di porpora,
dava udienza su di un trono,
attorniato da alcuni giovani,
chiamati celeres (una
forma di guardia del corpo
reale da lui creata), ed
era preceduto da alcuni littori,
che respingevano la folla con
dei bastoni a difesa del rex. In
effetti si tratterebbe di
un'istituzione già presente
nelle città etrusche, dalla
quali fu probabilmente ripresa
ed introdotta in Roma in epoca
storica.
Si
racconta, inoltre, che, quando
il nonno Numitore morì, a
Romolo spettasse il governo
della città di Alba Longa, ma
egli preferì affidarne
l'amministrazione al popolo,
attraverso un suo magistrato
che eleggeva annualmente, e
così insegnò anche ai
cittadini più potenti di Roma
a desiderare di vivere in una
città senza
un rex,
autonoma. Infatti a
Roma, da quando Romolo aveva
mutato il
suo atteggiamento da
democratico a dispotico, i
cosiddetti patrizi, pur
partecipando alla vita
pubblica, portavano solo un
"titolo" onorifico
ed un prestigio apparente,
riunendosi in Senato più per
abitudine che per esprimere un
parere. Di fatto tutti si
limitavano ad obbedire agli
ordini di Romolo, avendo un
unico privilegio: quello di
essere informati per primi
sulle decisioni de re,
rispetto alla
moltitudine. Plutarco
aggiunge che Romolo coprì di
ridicolo il Senato,
distribuendo personalmente ai soldati la
terra conquistata in guerra e
restituendo gli ostaggi ai Veienti,
senza aver preventivamente
consultato ed ottenuto
l'assenso da parte dei
senatori.
A
Romolo si fa tradizionalmente
risalire l'introduzione della
proprietà terriera privata a
Roma, con l'atto, legato alla
fondazione della città, di
attribuire ad ogni gens un heredium di
terra, che sarebbe poi passato
in proprietà agli eredi.
Romolo
stabilì anche una legge
secondo la quale una moglie
non potesse lasciare il
marito. Al contrario la donna
poteva essere ripudiata se
tentava di avvelenare i figli,
di sostituire le chiavi di
casa o in caso di adulterio.
Nel caso in cui fosse stata
ripudiata per altri motivi, il
marito era tenuto a versarle
una quota del suo patrimonio e
ad offrirne una seconda al
tempio di Demetra.
Chi ripudiava la propria
moglie era, infine, tenuto a
sacrificare agli dei
Inferi. Curioso
che Romolo non stabilì alcuna
pena contro i parricidi, ma
definì parricidio tutte le
forme di omicidio, come se il parricidio fosse
un delitto impossibile da
compiersi.
Sabini
e Romani, una volta uniti
sotto Tito Tazio e Romolo,
parteciparono alle rispettive
feste e riti sacri, senza
eliminare nessuno di quelli
che ciascun popolo aveva fino
a quel momento celebrato
singolarmente. Al contrario ne
istituirono di nuovi, come
i Matronalia, i Carmentalia ed
i Lupercali. Romolo
decise di accogliere i rituali
dedicati ad Ercole,
unico tra i riti non romani da
lui accettati, e sempre a
lui (o al suo successore, Numa
Pompilio) è
inoltre attribuita
l'istituzione del culto del
fuoco, con la creazione delle
vergini sacre a sua custodia,
chiamate Vestali.
La
tradizione afferma che Romolo
avrebbe istituito per primo il Calendario
romano (un
calendario lunare con inizio
alla luna piena di marzo,
costituito da 10 mesi - 6 mesi
di 30 giorni e 4 mesi di 31
giorni, per un totale di 304
giorni; i restanti 61 giorni
di inverno non venivano
assegnati ad alcun mese). Va
altresì segnalato che altri
storici come Eutropio,
sostengono possa essere stato
il suo successore Numa
Pompilio. Questo
fu un argomento molto
dibattuto dagli storici del
tempo (da Tito Livio a Dionigi
d'Alicarnasso o Plutarco)
poiché alcuni di loro
affermavano trattarsi di un
calendario piuttosto
disordinato, dove i mesi
variavano da 20 giorni a 35
giorni.
Dopo
trentotto anni di regno, secondo
la tradizione (all'età di
54 anni), Romolo venne
assunto in cielo durante
una tempesta ed
un'eclissi, avvolto da
una nube, mentre passava in
rassegna l'esercito e parlava
alle truppe vicino alla Palus
Caprae in Campo
Marzio. L'improvvisa
scomparsa del loro fondatore
fece sì che i Romani lo
proclamassero dio (con il nome
di Quirino, in
onore del quale fu edificato
un tempio sul colle, chiamato
in seguito Quirinale), figlio
di un dio (Marte), re e pater (padre)
di
Roma. Ancora
ai tempi di Plutarco si
celebravano molti riti nel
giorno della sua scomparsa,
avvenuta secondo tradizione il
5 o il 7 luglio del 716
a.C.
Sembra
anche che, per dare maggiore
credibilità all'accaduto, la
tradizione racconta che
riapparve al suo vecchio
compagno albano Proculo
Giulio, il
più antico personaggio noto
appartenente alla gens Iulia.
L'evidente
somiglianza delle tradizioni,
ha indotto alcuni storici a
ritenere che questo racconto
abbia ispirato quello relativo
alla risurrezione
di Gesù. Nella
probabile realtà storica,
invece, il primo re di Roma
sarebbe morto assassinato dai Patres durante
una seduta del consiglio regio
al Volcanal (ovvero
il tempio di Efesto nel
Foro romano). Si racconta
infatti che, a causa delle
continue limitazioni che aveva
posto al Senato, organo
divenuto più che altro di
facciata ad una forma di
monarchia sempre più
"assoluta",
soprattutto dopo la morte di
Tito Tazio, caddero sui suoi
membri sospetti e calunnie. Il
suo corpo sarebbe stato poi
simbolicamente smembrato dai
senatori, "a causa del
suo carattere troppo duro" e
le sue parti (divise tra gli
stessi membri del Senato)
sepolte nelle varie aree
componenti il territorio della
città.
La
reale esistenza di Romolo è
stata lungamente discussa, ma
secondo lo storico Theodor
Mommsen sarebbe
comprovata dalla presenza tra
le gentes originarie di
Roma (di cui parla Tito Livio)
della gens
Romilia,
nota da iscrizioni, che è
stata identificata con il clan
familiare dei discendenti di
Romolo, e che diede anche il
proprio nome ad una delle più
antiche Tribù
territoriali.
Se ne ha conferma da una
glossa di Festo (la
331 nell'epitome di Paolo
Diacono,
edita da Lindsay),
che riporta appunto
l'esistenza di una tribù
Romulia. Altri autori
ritengono sia una creazione
artificiale, fantasiosa quella
di Romolo, pur riconoscendo
nella stessa figura
"leggendaria" la
sintesi di elementi
topografici, politici e
religiosi realmente accaduti,
a partire dalla tribù dei Romili oltre
alla figura di Remo, identificabile con l'antico centro di Remuria nei
pressi della Roma
quadrata (sull'Aventino).
Secondo
il linguista Carlo
de Simone, i
nomi di Roma e Romolo
sarebbero collegati ed
entrambi deriverebbero da un
termine ricostruito in ruma,
al quale la tradizione romana
assegnava il significato di
"mammella". Il
termine sarebbe di origine etrusca,
perché non ne è stato
trovato l'etimo indoeuropeo (e
l'unica lingua non-indoeuropea
della zona era appunto
l'etrusco). Il termine sarebbe
entrato come prestito nel latino arcaico
e avrebbe dato origine al
toponimo Ruma (più
tardi Roma) e ad
un
prenome Rume (in
latino divenuto Romus),
dal quale sarebbe derivato il
gentilizio etrusco Rumel(e)na,
divenuto in latino Romilius.
Il Villar,
invece, sostiene che il nome Roma fosse,
molto probabilmente, il nome
preindoeuropeo del Tevere trasferito
alla città che esso bagnava,
come accadeva frequentemente a
quel tempo.
Secondo
altre ipotesi (sempre più
smentite dalle campagne
archeologiche), i più antichi
dei re di Roma sarebbero
figure principalmente
simboliche (in particolare
sembrano complementari i primi
due, Romolo e Numa Pompilio,
che avrebbero introdotto le
massime istituzioni
politico-militari e religiose
dello stato).
La
reale esistenza della figura
di Romolo come effettivo
fondatore, primo legislatore e
re-sacerdote, è stata
rivalutata dall'archeologo Andrea
Carandini,
sulla base di moderni scavi
condotti alle pendici del
Palatino, che avrebbero
portato al rinvenimento
dell'area corrispondente alla
vera Regia di
Romolo, nonché dell'antico
tracciato del pomerio.
Ivi sono stati rinvenuti
reperti fittili, resti di una
palizzata e di un muro in tufo
(derubricato come «muro di
Romolo») databili con
certezza al secolo VIII a.C.,
circostanza che darebbe
conferma anche dell'esattezza
cronologica delle fonti
storiografiche latine
sull'epoca della fondazione di
Roma e della consistenza del
suo rito di fondazione.
Inoltre,
sulla base di una fonte
letteraria, la scoperta del
sito del lapis
niger nel
1899 fu associata all'ipotesi
di un possibile sito della
tomba di Romolo o di un
arcaico luogo di culto a lui
dedicato.
A
possibile conferma di quanto
sopra, nel febbraio 2020 nella
zona sottostante alla
scalinata di accesso alla
Curia è stato rinvenuto un
cenotafio ipogeo databile al
VI secolo a.c. dedicato al suo
culto, contenente un sarcofago
della lunghezza di circa m
1,50, che alcuni studiosi
hanno ipotizzato possa essere
stata la sua tomba, mentre
altri hanno escluso tale
possibilità. Va osservato
tuttavia che la lunghezza del
sarcofago, (corrispondente in
modo abbastanza preciso alla
statura media degli uomini di
quell'epoca) farebbe pensare
ad una funzione di inumazione
di un corpo integro, non delle
sue parti.
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