La
prima impressione, per chi
arriva a Cheverny, è
d’estremo nitore e grande
simmetria. Si compone di un
edificio alto e stretto che
due ali raccordano ai due
padiglioni estremi, quadrati,
coperti da tetti rotondi
sormontati da lanterne. Qui
l’impostazione d’impronta
schiettamente rinascimentale
è stata corretta dal gusto
classico: lo testimonia la
serie delle nicchie con i
busti che alleggeriscono la
facciata altrimenti un po’
pesante.
Le
dipendenze del castello
ospitano un’eccezionale Sala
dei Trofei, ricca di oltre
duemila corna di cervo, e un
canile con settanta splendidi
esemplari di cani addestrati
per la caccia ad inseguimento.
Regolarmente i proprietari di
Cheverny organizzano delle
cacce, molto apprezzate ai
circoli venatori.
Sappiamo
che nel 1315 il castello di
Cheverny era un semplice
frantoio: a quell’epoca era
già celebre la famiglia degli
Hurault che, di padre in
figlio, furono segretari,
ministri, cancellieri sotto
vari sovrani, da Luigi XII ad
Enrico IV. Nel 1490 Jacques
Hurault, intendente di Luigi
XII, decise di trasformare il
frantoio in un castello: sorse
così un edificio “con un
fossato, un ponte levatoio,
torrette, barbacane e qualche
altra forma di difesa”.
Questo castello, di cui non
resta più nulla se non un
disegno, sembra si trovasse
sulle attuali dipendenze. Un
documento ci dice che il
castello, così come lo
vediamo oggi, quello sorto a
partire dal 1634, fu costruito
“sul luogo dell’antico”:
ma resta da vedere se la frase
“sul luogo” stia a
significare “sullo stesso
luogo” oppure “al posto
di”.

In
ogni caso la storia di
Cheverny è legata ad una
celebre e fosca vicenda, come
ci viene raccontata nelle
Memorie del Marchese Dufort de
Cheverny, storico, che qui ha
abitato durante
la Rivoluzione. Henri
Hurault aveva ereditato la
tenuta nel 1599, all’età di
24 anni. Aveva sposato,
giovanissimo, l’undicenne
Françoise Chabot, ma i due
sposi avevano vissuto quasi
sempre separati, a causa delle
lunghe campagne militari a cui
partecipava Henri. Un giorno
che il giovane si trovava a
Parigi, alla corte di Enrico
IV, il re, per scherzare, mise
due dita della mano, a forma
di corna, sopra la testa di
Henri. I presenti si misero a
ridere, ma uno specchio rivelò
al conte che lui medesimo era
l’oggetto di divertimento.
Senza una parola, il giovane
montò a cavallo e cavalcò
fino ad arrivare a casa
all’alba. In gran silenzio,
il conte si fece aprire le
porte ed arrivò nella camera
della moglie ignara.
La
storia ci dice che il giovane
paggio con cui la donna si
consolava delle lunghe assenze
del marito fece appena in
tempo a saltare da una
finestra ma, caduto in malo
modo, si ruppe una gamba e il
conte lo finì con la spada.
Poi, accompagnato da un
sacerdote, tornò nella camera
della moglie, reggendo in una
mano un bicchiere di veleno e
nell’altra la spada,
annunciandole che sarebbe
ritornato fra un’ora e
lasciando la donna angosciata
nella sua terribile scelta.
Allo scadere dell’ora,
l’uomo fece ritorno, la
moglie scelse e bevve il
veleno e morì.
Le
cose dovrebbero essersi svolte
più o meno così, anche se il
registro parrocchiale di St.
Martin de Blois dà una
versione leggermente diversa.
Quale che sia il vero
svolgersi dei fatti, certo è
che Henri Hurault, dopo aver
portato a termine la sua
terribile missione, se ne tornò
la sera stessa a Parigi, in
tempo per il cerimoniale del
“coucher du roi”. Quando
il re apprese i tristi eventi,
di cui effettivamente era
stato il primo responsabile,
s’irritò moltissimo ed
esiliò il conte per tre anni
nelle terre di Cheverny.
Qui
Henri s’innamorò della
figlia del suo balivo e la
sposò: fu proprio questa
seconda moglie del conte, che
le cronache ci descrivono
donna economa, intelligente e
di gran gusto che, dirigendo
essa stessa i lavori, si
preoccupò d’ingrandire ed
abbellire il castello,
incaricando per questo
l’architetto Bohier e il
pittore Jean Mosnier.
Discendente diretto degli
Hurault, il marchese di
Vibraye, trasmise poi la
tradizione ai nipoti, il
visconte e la viscontessa di
Sigalas, che alla sua morte
ereditarono i possedimenti e
che ancora oggi vivono a
Cheverny di cui mantengono
intatto l’antico splendore.

Al
contrario d’altri castelli,
come Blois e Chambord, i cui
interni sono pressoché vuoti,
quello di Cheverny mostra una
magnifica ed intatta
decorazione d’epoca Luigi
XIII. Il raro privilegio di
cui ha goduto il castello è
infatti quello d’essere
stato di proprietà della
stessa famiglia (tralasciando
un breve passaggio nel
1564 a
Diana di Poitiers, e ciò ha
permesso una grande unitarietà
nel gusto e nello stile.
La
facciata principale del
castello è interamente in
pietra da taglio. Come altri
castelli, Cheverny è stato
costruito con blocchi di tufo
calcareo bianco, la pietra di
Bourré. Tenera all'uscita
della cava, questo tipo di
pietra si indurisce ed
imbianchisce con il passare
del tempo. La facciata è
decorata con busti romani, in
voga nel Rinascimento. Il
piano generale di Cheverny con
i suoi grandi padiglioni ad
angolo sormontati da cupole ed
i suoi motivi decorativi di
pietra in linee sovrapposte,
rappresenta una novità per
l'epoca. Tali elementi
diventeranno caratteristici
dell'architettura classica
francese.
La
scala a rampe con pianerottolo
a mezzo piano ricorda
l'influenza del Rinascimento
italiano nella Valle della
Loira. L'elegante arredo è
intagliato nella pietra di
Bourré. I suoi motivi sono
quelli alla moda durante il
regno di Luigi XIII: le
balaustre, le ghirlande, gli
emblemi di guerra degli
Hurault e le varie arti. Sul
pianerottolo sono collocate le
immense corna di un Cervus
megacero, antenato preistorico
dell'alce.
Lo
stile della sala da pranzo è
ispirato agli arredi del XVII
secolo: i soffitti, i muri
rivestiti di cuoio di Cordova
con gli stemmi della famiglia
Hurault, il camino monumentale
in pietra dorata, sovrastato
da un busto del re Enrico IV.
Sui muri, dei pannelli
ritraggono alcune scene tratte
dal romanzo di Cervantes, Don
Chisciotte, molto alla
moda nel XVII secolo.
Il
mobilio in rovere intagliato
venne espressamente
commissionato nel XIX secolo
per la sala da pranzo. Le
sedie sono facilmente movibili
grazie al meccanismo di
rotelle in osso poste nei
piedi anteriori. L'imponente
credenza in rovere massiccio,
con gli stemmi di famiglia, è
il capolavoro di un unico
artigiano di Blois. Il tavolo
allungabile può accogliere
fino a trenta commensali.
L'armeria
è la sala più grande del
castello, ha conservato le
dimensioni e la decorazione
originale del XVII secolo. Il
soffitto, dalle travi a vista
è detto “alla francese”.


Sui
muri i piccoli pannelli in
legno sono ornati da fiori e
da frasi, indovinelli e giochi
di parole in latino. Sul
camino in legno intagliato e
dorato, gli dei Mercurio e
Venere fanno da cornice alla
storia degli amori di Adone,
con al centro la sua morte. Di
fronte al camino un arazzo del
XVII secolo, notevole per la
freschezza dei colori delle
tinte. L'arazzo illustra un
celebre episodio citato da
Omero sia nell'Iliade che
nell'Odissea: il rapimento di
Elena. Nella sala è presente
una collezione di armi,
armature, bauli e bauletti da
viaggio del XV, XVI e XVII
secolo. Un baule ricoperto di
cuoio di Cordova, goffrato con
gli stemmi di Francia e
Navarra è appartenuto al re
Enrico IV.
Il
Grande Salone, restaurato nel
XIX secolo, si ispira
all'arredamento originale.
Alcuni quadri di famiglia
rendono omaggio ai primi Conti
di Cheverny, tra cui: Filippo
Hurault (padre di Enrico), sua
moglie Anna de Thou,
Elisabetta (figlia di Enrico),
suo marito il Marchese de
Montglas e la nuora di
Elisabetta, Marie-Joanne de la
Carre Saumery. Sopra le porte
i ritratti dei personaggi
legati a Cheverny: il re Luigi
XIII; sua moglie Anna
d'Austria, il fratello del re
Gastone d'Orléans e sua
figlia Anna d'Orléans. Infine
i ritratti di Cosimo de'
Medici, Granduca di Toscana e
Giovanna d'Aragona, nipote
naturale di Ferdinando I
d'Asburgo. Il mobilio risale
al XVII e al XVIII secolo:
sotto lo specchio, le poltrone
sono dell'epoca di Luigi XIV.
Tra le finestre un rarissimo
comò di stile Luigi XIV. A
destra del camino, un tavolo
Luigi XVI molto pregiato.
La
camera del re è riservata al
re e agli ospiti di riguardo.
le immagini dell'arredo
raccontano le più favolose
storie ed avventure
romanzesche. Sul camino, sulle
sovrapporte e sul soffitto a
cassettoni, detto
“all'italiana”, è dipinta
la drammatica storia di Perseo
ed Andromeda.
Gli
arazzi dell'inizio del XVII
secolo raccontano le avventure
di Ulisse. Il letto a
baldacchino è rivestito con
tessuti di seta persiani
ricamati, del XVI secolo. Le
sedie e le poltrone sono di
stile Luigi XIII e Luigi XIV.


La
biblioteca del castello
conserva 2000 libri antichi,
rilegati in diverse pelli,
alcuni goffrati con gli stemmi
di famiglia. Il mobilio di
questa sala è in stile Primo
Impero. La grande scrivania è
firmata Jacob, uno dei
principali fornitori di
Napoleone I. I cassetti sul
piano, possono essere disposti
a piacimento, a sinistra o a
destra.
Il
salone degli arazzi è
rivestito da cinque arazzi
delle Fiandre, tessuti nel
XVII secolo; su questi arazzi
vi sono rappresentati vari
aneddoti. La scrivania ed il
secrétaire sono di stile
Luigi XV. Le poltrone sono
Luigi XIV e Luigi XV. Infine
due mobili eccezionali: un comò
Luigi XIV in tarsia di
tartaruga rossa e di ottone ed
un orologio regolatore Luigi
XV. Questi orologi di
precisione servivano agli
orologiai per regolare orologi
e pendole. Questo orologio,
decorato da bronzi cesellati,
funziona tuttora: scandisce le
ore, i minuti, i secondi, il
giorno, la data e le fasi
lunari.
L'Orangerie,
del XVIII secolo, è riservata
ai ricevimenti. Inizialmente
una serra, ha protetto durante
la Seconda guerra mondiale una
parte delle opere appartenenti
al patrimonio dello Stato, tra
cui la celebre Gioconda.
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